DISCORSO E DIMOSTRAZIONE MATEMATICA INTORNO A UNA NUOVA SCIENZA ATTINENTE ALLA FELICITÀ DELL’UOMO
FRANCO SCALENGHE
Libera Università di Donousa
Tutti i filosofi dell’antichità ignoravano il principio di inerzia e ritenevano che i moti fossero di due tipi soltanto: naturali e violenti. I moti violenti erano quelli causati dall’azione di un ‘impulso’, mentre i moti naturali erano quelli che riportavano i corpi materiali al loro ‘luogo naturale’.
Ciò accadeva perché, secondo loro, tutti i corpi risultavano da una mescolanza in quantità diversa dei quattro elementi fondamentali: ‘terra ed acqua’, considerati elementi dotati di pesantezza e di un moto naturale verso il basso; ed ‘aria e fuoco’, considerati invece elementi dotati di leggerezza e di un moto naturale verso l’alto.
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Però, se nominar lice talvolta Con proprio nome il ver, non altro in somma Fuor che infelice, in qualsivoglia tempo, E non pur ne’ civili ordini e modi, Ma della vita in tutte l’altre parti, Per essenza insanabile, e per legge Universal, che terra e cielo abbraccia, Ogni nato sarà.
Giacomo Leopardi: ‘Palinodia al Marchese Gino Capponi’ vv. 190-197
Aveva ragione Giacomo Leopardi nel dare la vittoria all’infelicità (ossia al vizio) per 4-0, diciamo, e ne capiremo tra poco il perché? Vediamo.
È empiricamente dimostrabile che ogni singolo uomo realmente esistente è tale grazie al suo naturale possesso della ‘proairesi’.
È altrettanto empiricamente dimostrabile che l’Universo cui noi apparteniamo ha una struttura -che chiameremo ‘Natura delle cose’– definita, al massimo livello di generalizzazione possibile, da due soli insiemi. Il primo insieme è quello entro il quale è raggruppabile tutto ciò che è ‘aproairetico’ossia che è non in esclusivo potere della ‘proairesi’ umana. Questo insieme, si noti bene, è perfettamente riassunto nella sua essenza dalla seconda iscrizione che compariva sul frontone del tempio di Apollo a Delfi: ‘Nulla di troppo’. Il secondo insieme è quello entro il quale è raggruppabile tutto ciò che è ‘proairetico’ossia che è in esclusivo potere della ‘proairesi’ umana. E questo insieme, si noti altrettanto bene, è perfettamente riassunto nella sua essenza dalla prima iscrizione che compariva sul frontone del tempio di Apollo a Delfi: ‘Riconosci te stesso’.
La ‘proairesi’ è definibile in modo rigoroso come la facoltà umana capace di atteggiarsi ‘diaireticamente’ o ‘controdiaireticamente’. La ‘proairesi’ è per natura libera, infinita, inasservibile e insubordinabile. Essa si atteggia ‘diaireticamente’ quando opera la ‘diairesi’, cioè distingue tra ciò che è in suo esclusivo potere, ossia è ‘proairetico’; e ciò che è non in suo esclusivo potere, ossia è ‘aproairetico’. Si atteggia invece ‘controdiaireticamente’ quando non opera la ‘diairesi’, ovvero aberra e decreta ‘proairetico’ ciò che invece è ‘aproairetico’, oppure ‘aproairetico’ ciò che invece è ‘proairetico’.
La ‘Natura delle Cose’ e la ‘proairesi’ umana sono una sola ed unica realtà assoluta, invariante, inviolabile, empiricamente valida per qualunque uomo appartenente a qualunque cultura. Questa realtà si configura come il legittimo equivalente, a livello ‘proairetico’, della realtà assoluta, invariante, inviolabile, empiricamente valida per qualunque osservatore rappresentata nel mondo fisico, ossia nell’ambito di ciò che è ‘aproairetico’, dalla velocità della luce.
Poiché è empiricamente vero che qualunque uomo giudica bello, felice, buono l’ottenere ciò che desidera, e giudica invece brutto, infelice e cattivo l’incappare in ciò che avversa, ‘felicità’ ed ‘infelicità’ dell’uomo sono in corrispondenza strettamente biunivoca con l’atteggiamento diairetico o controdiairetico della sua proairesi. Ciò significa che felice (ossia virtuoso) è unicamente l’uomo la cui proairesi rispetta la propria natura riconoscendo la natura della cose, e quindi agisce quotidianamente su ciò che è proairetico guidata dal giudizio che l’esito dell’operazione è in suo esclusivo potere e ottiene così ciò che desidera; e su ciò che è aproairetico guidata dal giudizio che l’esito dell’operazione invece è non in suo esclusivo potere, e dunque con la dovuta riserva, e così non incappa in ciò che avversa. Inevitabilmente infelice (ossia vizioso) sarà invece l’uomo la cui proairesi non rispetta la propria natura e cerca di violare la natura delle cose, agendo su ciò che è proairetico come se questo non fosse in suo esclusivo potere; e su ciò che è aproairetico come se ciò fosse invece in suo esclusivo potere.
Ora, se cerchiamo di definire teoricamente le tipologie ‘pure’ di tutti i comportamenti umani possibili sulla base delle precedenti premesse empiricamente vere, sarà sufficiente esaminare i comportamenti umani possibili di fronte a ciò che è ‘proairetico’ (per esempio, il progetto di camminare) e contemporaneamente di fronte a ciò che è ‘aproairetico’ (per esempio, il camminare davvero). L’esame contemporaneo è indispensabile poiché la felicità (ossia la virtù) è il risultato di una combinazione di due fattori, i quali debbono trovarsi entrambi in armonia con la natura delle cose, salvo trasformarsi in infelicità (ossia in vizio) quando anche uno solo dei due si trovi in uno stato contrario alla natura delle cose. Scopriamo così, con una certa sorpresa, che questa ricerca è non soltanto fattibile ma anche piuttosto semplice, giacché le tipologie ‘pure’ di tutti i comportamenti umani possibili risultano in teoria essere soltanto quattro, come è evidenziabile dallo schema seguente. In esso: il segno + equivale al comportamento umano conseguente al giudizio: ‘è in mio esclusivo potere’ il segno – equivale al comportamento umano conseguente al giudizio: ‘è non in mio esclusivo potere’
La prima tipologia è quella dell’uomo che agisce guidato dal giudizio che ‘tutto è in mio esclusivo potere’. Pur se la sua relazione con ciò che è proairetico è corretta, è scorretta la sua relazione con ciò che è aproairetico. Inevitabilmente prima o poi quest’uomo è destinato per natura delle cose ad incappare in ciò che avversa, con la inevitabile infelicità (ossia vizio) che ne consegue. Indicherei questa tipologia, come pure quelle ad essa consimili, come la tipologia della ‘esaltazione dispotica’.
La seconda tipologia è quella dell’uomo guidato dal giudizio che quanto è proairetico è non in suo esclusivo potere, mentre quanto è aproairetico è in suo esclusivo potere. Si tratta della tipologia esattamente simmetrica e contraria alla quarta, e descrive un uomo preda della continua infelicità (ossia del vizio), il quale sistematicamente non ottiene ciò che desidera e sistematicamente incappa in ciò che avversa. Indicherei questa tipologia,come pure quelle ad essa consimili, come la tipologia dello ‘stolto’.
La terza tipologia è quella dell’uomo che vive guidato dal giudizio che ‘niente è in mio esclusivo potere’. Pur se la sua relazione con ciò che è aproairetico è corretta, è scorretta la sua relazione con ciò che è proairetico. Si tratta della tipologia esattamente simmetrica e contraria alla prima. La infelicità (ossia il vizio) di quest’uomo è tanto profonda quanto difficile da delineare. Mi limiterei ad indicare questa, come pure quelle ad essa consimili,la come la tipologia della ‘depressione autodistruttiva’.
La quarta tipologia è quella dell’uomo guidato dal giudizio che quanto è proairetico è in suo esclusivo potere, mentre quanto è aproairetico è non in suo esclusivo potere. Si tratta della tipologia esattamente simmetrica e contraria alla seconda. Quest’uomo vive la felicità (ossia la virtù) poiché ha il corretto atteggiamento tanto verso ciò che è proairetico quanto verso ciò che è aproairetico. Saluterei questa tipologia come la tipologia del ‘saggio’.
Ciò significa che, senza altri vincoli e all’interno di un discorso puramente statistico, l’infelicità vince la partita contro la felicità per 3-1. Lo stesso risultato si ottiene componendo una matrice 4×2 nella quale si dà: il valore 1 al comportamento umano conseguente al giudizio: ‘è in mio esclusivo potere’ e il valore 0 al comportamento umano conseguente al giudizio: ‘è non in mio esclusivo potere’.
Tale matrice avrebbe il seguente aspetto:
PROAIRETICO APROAIRETICO
1 1 2 > infelicità (ossia vizio)
0 1 1 > infelicità (ossia vizio)
0 0 0 > infelicità (ossia vizio)
1 0 1 > felicità (ossia virtù)
e il suo risultato è nuovamente 3-1
L’asimmetria naturale che abbiamo così scoperto è una conseguenza della natura delle cose e delle caratteristiche della proairesi umana; e consiste appunto nel fatto che, per definizione, una sola delle tipologie, quella del ‘saggio’, è associabile ad una vita armoniosa e felice (ossia virtuosa); mentre sono ben tre le tipologie associabili ad una vita travagliata ed infelice (ossia viziosa).
Questo significa anche che, trascurando qualsiasi altro parametro e ragionando su basi puramente teoriche, ci si può attendere che il 75% degli esseri umani abbiano una vita travagliata ed infelice, ossia viziosa; e che sia soltanto il 25% ad avere una vita armoniosa e felice, ossia virtuosa. Dunque appare del tutto naturale che nel lunghissimo periodo l’infelicità, ossia il vizio, vinca 3-1 la gara contro la felicità, ossia la virtù. E se è così, si può dare ragione a Giacomo Leopardi per il 75% e dargli torto per il 25%. Per lui si tratta, comunque, di una vittoria della quale sono lieto e mi piace dargli atto. Ciò non esclude però che nel breve periodo vi possano essere, per svariate cause, delle imponenti fluttuazioni e scostamenti dalle medie tali che in certe fasi della storia umana la virtù possa prevalere significativamente sul vizio, al 75% o addirittura al 95%. Dopotutto una partita di calcio che è inevitabilmente destinata a finire con la sconfitta della felicità per 3 a 1 può sempre vedere la sua temporanea vittoria per 1 a 0 sino a pochi minuti dal termine della gara.
La felicità promana dalla saggezza, la saggezza si muove tra azioni rette ossia di successo e l’azione di successo è ciò che, quando effettuato, ha una giustificazione ragionevole. 1109/284 = Stoicorum Veterum Fragmenta 3, 70, 7 Sesto Empirico ‘Adversus Mathematicos’ VII, 158
E nelle ‘Dimostrazioni sulla giustizia’ afferma espressamente che: “Ogni azione retta ossia di successo è anche un’azione conforme alla legge e alla giustizia. Giacché quanto è effettuato secondo padronanza di sé, fortezza, saggezza e virilità è un’azione di successo. Sicché è anche un’azione giusta”. 1115/297 = Stoicorum Veterum Fragmenta 3, 73, 13 Plutarco ‘De Stoicorum Repugnantiis’ §15 p. 1041a
Tra le azioni rette ossia di successo, di alcune c’è bisogno, di altre no. Quelle di cui c’è bisogno sono le azioni che si possono chiamare giovevoli come, ad esempio, l’essere saggi e l’essere temperanti. Non c’è invece bisogno di quelle che tali non sono. Similmente, si ha la stessa trattazione per le azioni contrarie al doveroso. 1241/503 = Stoicorum Veterum Fragmenta 3, 136, 35 Stobeo ‘Eclogae’ II 86, 5
Tutte le azioni rette ossia di successo sono azioni giuste, normali, ben ordinate, ben condotte, fortunate, felici, opportune, decorose. Non sono però ancora azioni sagge, giacché tali sono soltanto quelle che discendono da saggezza. Similmente per le altre virtù, anche se non nominate. Per esempio le azioni temperanti sono quelle che discendono dalla temperanza e le azioni giuste quelle che discendono dalla giustizia. All’opposto le aberrazioni sono azioni ingiuste, anormali e disordinate. 1241/502 = Stoicorum Veterum Fragmenta 3, 136, 27 Stobeo ‘Eclogae’ II 7 p.97, 5 W.
Affermano anche che delle nostre attività alcune sono azioni rette ossia di successo, altre sono aberrazioni, altre ancora sono udeteri. Sono azioni di successo le seguenti: essere saggi, essere temperanti, operare con giustizia, rallegrarsi, beneficare, allietarsi, disputare con saggezza e quant’altro si effettua secondo la retta ragione. Sono invece aberrazioni l’essere insensati, intemperanti, commettere ingiustizia, affliggersi, avere paura, rubare e, in generale, quant’altro si effettua contro la retta ragione. Non sono né azioni di successo né aberrazioni le seguenti: parlare, domandare, rispondere, passeggiare, mettersi in viaggio e cose simili. 1241/501 = Stoicorum Veterum Fragmenta 3, 136, 18 Stobeo ‘Eclogae’ II 96, 18 W.
Parlano dell’azione retta ossia di successo come di un’azione che ha tutti i numeri della doverosità oppure come di quella che è perfettamente doverosa. Azione non retta ossia aberrazione è invece l’azione effettuata contro la retta ragione oppure l’azione in cui la creatura razionale ha omesso qualcosa di doveroso. 1241/500 = Stoicorum Veterum Fragmenta 3, 136, 14 Stobeo ‘Eclogae’ II 93, 14 W.
Come affermano gli Stoici, una sola è la ragione ed assolutamente uno è l’intelletto; pari sono le azioni rette ossia di successo e pari sono le virtù, sia delle parti sia del tutto. 931/ 1128 = Stoicorum Veterum Fragmenta 2, 327, 17 Giamblico ‘De anima’ apud Stobaeum ‘Eclogae’ I p. 372, 7 W.
Al discorso su ciò che è cardinale segue l’ambito di ciò che è doveroso. Il doveroso è definito così: “Ciò che consegue al fatto di essere in vita e che, quando effettuato, ha una giustificazione razionale”. In modo opposto si definisce ciò che non è doveroso. Questa definizione si estende anche alle creature sprovviste di ragione, giacché esse pure hanno attività conseguenti alla loro natura. Ma per esse si rende così: “Ciò che consegue al fatto di essere in vita”. Sostengono poi che delle azioni doverose alcune sono perfette, e queste si chiamano appunto azioni rette ossia di successo. Queste azioni sono le attività conformi a virtù, come l’essere saggi e l’operare con giustizia. Non sono azioni di successo quelle che tali non sono, ed esse neppure sono designate come doverose e perfette, ma come azioni intermedie. Ne sono esempio lo sposarsi, il fare ambascerie, il dialogare e cose simili. 1237/494 = Stoicorum Veterum Fragmenta 3, 134, 18 Stobeo ‘Eclogae’ II 85, 13
Colui che non è fattibile né costringere né impedire ebbene, quello non è servo. Ora, non è possibile né costringere né impedire l’uomo virtuoso; dunque il virtuoso non è servo, giacché manifestamente egli non è né costretto né impedito. Impedito è chi non fa centro nelle cose che desidera; ma il sapiente desidera le cose che promanano dalla virtù, e centrare questo obiettivo non è per natura impossibile. Se poi davvero è costretto, è manifesto che fa qualcosa suo malgrado. Le azioni umane o promanano da virtù e sono azioni rette ossia di successo, oppure promanano dal vizio e sono aberrazioni, oppure sono azioni intermedie ed indifferenti. Le azioni virtuose non sono prodotto di violenza, ma l’uomo dabbene le compie tutte quante –giacché le sceglie- di buon grado. Quelle invece viziose, in quanto da fuggirsi, egli neppure si sogna di effettuarle. Né è verosimile che egli effettui suo malgrado le azioni indifferenti, verso le quali il suo intelletto è in equilibrio come su una bilancia, avendo imparato a non cedere loro come se avessero forza attrattiva né ad essere malcontento di loro come se meritasse di distogliersene. E’ da ciò manifesto che il virtuoso nulla fa suo malgrado e che neppure è costretto. Se invece fosse servo, sarebbe costretto. Pertanto il virtuoso è libero. 1145/363 = Stoicorum Veterum Fragmenta 3, 88, 38 Filone ‘Quod omnis probus liber sit’ Vol II p. 454, 31 Mang.
Anche se ha scritto molte cose contrarie, Crisippo manifestamente aderisce alla tesi che non vi è un vizio od una aberrazione che sia più eminente di un altro vizio o di un’altra aberrazione e neppure una virtù od una azione di successo che sia più eminente di un’altra virtù o di un’altra azione di successo. Lo afferma nel terzo libro “Sulla natura”. “Come a Zeus conviene fare il solenne con sé e con la propria vita pregiandoli grandemente e, per dirla così, anche essere orgoglioso, essere fiero e vantarsi di vivere una vita degna di vanto; così questo conviene a tutti gli uomini dabbene, giacché essi non sono sopravanzati in nulla da Zeus”. 1251/526 = Stoicorum Veterum Fragmenta 3, 141, 15 Plutarco ‘De Stoicorum Repugnantiis’ §13 p. 1038c
Coloro che effettuano qualcosa di dovuto, ma con intelligenza inassenziente e loro malgrado, violentando le loro intime disposizioni, non compiono un’azione retta ossia di successo. 1247/518 = Stoicorum Veterum Fragmenta 3, 139, 32 Filone ‘Quod Deus immutabilis sit’ §100 Vol. II p. 78, 4 Wendland
Giacché libero è colui cui tutto accade secondo proairesi e che nessuno può impedire. E dunque? Demenza è la libertà? Non sia mai! Follia e libertà non vengono al medesimo punto. “Ma io voglio che succeda tutto quanto reputo ed in qualunque modo lo reputerò”. Tu sei pazzo, vaneggi. Non sai che libertà è cosa bella e rinomata? Il volere come capita che accada quanto ho reputato come capita, corre pericolo non soltanto di non essere bello, ma la cosa più brutta di tutte. Come facciamo coi caratteri dell’alfabeto? Decido di scrivere il nome ‘Dione’ come voglio? No, ma mi viene insegnato a disporre che sia scritto come si deve. Che facciamo con le note musicali? Allo stesso modo. Che facciamo, in generale, laddove è in gioco un’arte od una scienza? Se no, di nessun valore sarebbe l’avere scienza di qualcosa, se ciò si acconciasse alle decisioni di ciascuno. Qui dunque, soltanto su quanto è massimo e sommamente dominante, sulla libertà, mi è stato accordato di volere come capita? Nient’affatto! Ma educarsi a diairesizzare è questo imparare a disporre ciascuna cosa così come accade. Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 1, Capitolo 12, § 9-15
Qual è dunque il frutto di questi giudizi? Quello che dev’essere il più bello ed appropriato per coloro che effettivamente sono educati a diairesizzare: dominio sullo sconcerto e sulla paura, libertà. Giacché non bisogna su questo fidarsi dei più, i quali dicono che soltanto i cittadini liberi hanno la potestà di essere educati; ma piuttosto dei filosofi, i quali dicono che soltanto gli educati a diairesizzare sono liberi. -Come questo?- Così: ora, la libertà è qualcos’altro dalla potestà di spassarcela come decidiamo? “Nient’altro”. Ditemi, o uomini: decidete di vivere aberrando? “Non lo decidiamo”. Quindi nessuno che aberri è libero. Decidete di vivere avendo paura, decidete di vivere afflitti, decidete di vivere sconcertati? “Nient’affatto!” Proprio nessuno che abbia paura, sia afflitto, sia sconcertato è libero; mentre chiunque si è allontanato da afflizioni, paure e sconcerti ebbene costui, per la stessa strada, si è allontanato anche dall’essere servo. Dunque come potremo ancora affidarci a voi, o carissimi legislatori, che non consentite di essere educati se non ai cittadini liberi? I filosofi, infatti, dicono che non consentiamo di essere liberi se non a coloro che sono stati educati a diairesizzare, cioè che è la materia immortale a non consentirlo. -E dunque qualora uno faccia rigirare il suo servo alla presenza di un pretore, non fa niente?- La fa. -Cosa?- Fa rigirare il suo servo alla presenza di un pretore. -Null’altro?- Sì, è tenuto anche a dare il suo cinque per cento. -E dunque? Chi sperimenta questo non è diventato libero?- Non più che capace di dominare lo sconcerto. Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 2, Capitolo 1, § 21-27
Così nasce la libertà. Per questo Diogene diceva: “Da quando Antistene mi liberò, non fui mai più servo”. E come lo liberò? Ascolta cosa dice: “Mi insegnò il mio ed il non mio. Il patrimonio non è mio; congeneri, familiari, amici, fama, posti consueti, trastulli: che tutto questo è allotrio. ‘Cos’è dunque tuo? L’uso delle rappresentazioni’. Mi mostrò che quest’uso io l’ho non soggetto ad impedimenti, non soggetto a costrizioni; che nessuno può intralciarmi, nessuno violentarmi ad usare le rappresentazioni altrimenti da come dispongo io. Chi dunque ha ancora potestà su di me? Filippo od Alessandro o Perdicca od il Gran Re? Donde verrebbe loro? Giacché chi sta per essere sconfitto da un essere umano, prioritariamente deve essere sconfitto dalle cose”. Colui dunque su cui non hanno la meglio il piacere fisico, il dolore, la reputazione, la ricchezza di denaro e che può, qualora lo reputi, partire dopo avere sputato contro qualcuno l’intero corpo, ebbene costui di chi è ancora servo, a chi è stato subordinato? Se Diogene se la passasse piacevolmente in Atene e fosse sconfitto da questo trastullo, le sue faccende sarebbero in potere di chiunque, ed il più potente sarebbe signore di affliggerlo. Come reputi che avrebbe adulato i pirati perché lo vendessero ad un Ateniese, così da vedere il magnifico Pireo, le lunghe mura e l’Acropoli? Vederle essendo tu chi, schiavo? Un servo ed un servo nell’animo! E che pro per te? -No, ma libero.- Mostrami, libero come. Ecco un tale qualunque ti ha abbrancato, ti sloggia dai tuoi consueti trastulli e dice: “Sei mio servo, giacché è in mio esclusivo potere impedirti di passartela come vuoi; in mio potere placarti, asservirti la proairesi. E qualora io voglia, di nuovo far sì che tu ti allieti e proceda sollevato verso Atene”. Cosa dici a costui che ti riduce in servitù? Quale emancipatore gli dai? O neanche lo guardi in faccia ma, tralasciati i molti discorsi, lo supplichi di lasciarti perdere? Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 3, Capitolo 22, § 67-76
Libero è chi vive come decide, chi non è possibile costringere né impedire né violentare; colui i cui impulsi non sono soggetti ad intralci, i cui desideri vanno a segno, le cui avversioni non incappano in quanto avversano. Chi, dunque, vuole vivere aberrando? -Nessuno.- Chi vuole vivere ingannandosi, essendo precipitoso, ingiusto, impudente, lagnoso sulla propria sorte, servo nell’animo? -Nessuno.- Proprio nessuno degli insipienti vive come decide e, quindi, neppure è libero. Chi vuole vivere affliggendosi, avendo paura, invidiando, commiserando, desiderando e fallendo, avversando ed incappando in quanto avversa? -Neppure uno.- Abbiamo dunque qualche insipiente senza afflizione, senza paura, che non incappa in quanto avversa, che non fallisce il segno? -Nessuno.- Proprio nessuno, pertanto, libero. Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 1-5
Analizza come usiamo il concetto di libertà per gli animali. Taluni chiudono in gabbia dei leoni addomesticati, poi li nutrono, li pascono, li trasferiscono con sé. Chi dirà che questo leone è libero? Quanto più mollemente se la spassa, non è tanto più servilmente? Quale leone, se prendesse coscienza e contezza, deciderebbe di essere uno di questi leoni? Orsù, e qualora questi volatili vengano presi e siano nutriti in gabbia, cosa non sperimentano cercando di fuggir via? Taluni si rovinano di fame piuttosto di soggiacere a siffatto modo di spassarsela. Quanti poi si preservano in vita, lo fanno con stento ed esasperazione, deperiscono e, in complesso, se troveranno uno spiraglio balzano via. Così tanto desiderano la naturale libertà e di essere autonomi, non soggetti ad impedimenti! Che male c’è per te qui? “Che dici? Io sono nato per volare dove voglio, per passarmela all’aria aperta, per cantare quando voglio: tu mi sottrai tutto questo e dici: ‘Che male c’è per te?’ “. Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 24-28
Qualora dunque non vivano come vogliono né quelli detti re né gli amici dei re, chi è ancora libero?- Cerca e troverai. Giacché la natura ti ha dato risorse per il rinvenimento della verità. E se non sei capace di trovare il seguito procedendo con queste mere risorse, ascoltalo da coloro che hanno cercato. Cosa dicono? Reputi la libertà un bene? -Il sommo.- Può dunque uno che centra il sommo bene essere infelice o finire male? -No.- Quanti vedrai dunque essere infelici, non essere sereni, piangere, dichiara con fiducia che non sono liberi. -Lo dichiaro.- Pertanto ci siamo già ritirati dalla compravendita e da siffatto assegnamento sul patrimonio. Giacché se avessi rettamente ammesso questo, sia un grande re sia uno piccolo, sia chi è stato una volta console sia chi lo è stato due, se sarà infelice non sarà libero. -Sia.- Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 51-53
Rispondi ancora a questo: reputi la libertà qualcosa di grande e generoso, di rinomato? -E come no?- E’ dunque possibile che chi centra un bene così grande e rinomato e generoso sia servo nell’animo? -Non è possibile.- Qualora dunque tu veda qualcuno che si è prostrato davanti ad un altro o che adula contro il proprio parere, dì con fiducia che anche costui non è libero: e non soltanto se lo farà per un pranzetto, ma anche per una provincia od un consolato. E chiama microservi quanti lo fanno per piccoli fini e gli altri, come meritano, megaservi. -Sia anche questo.- Reputi la libertà qualcosa di incondizionato ed autonomo? -E come no?- Dunque quando è in potere di un altro impedire o costringere qualcuno, dì con fiducia che costui non è libero. E non scrutarmi i suoi nonni e bisnonni, non cercare una compravendita; se lo sentirai dire dal di dentro e con passione “Signore!”, anche se dodici verghe lo promuoveranno, dillo servo. Se lo sentirai dire “Sciagurato me, cosa non sperimento!” dillo servo. Se insomma lo vedrai singhiozzare tutto, lagnarsi, non essere sereno: dillo un servo che porta una toga porporata. Se poi non farà nulla di ciò, non dirlo ancora libero ma decifra se i suoi giudizi sono soggetti a costrizioni, soggetti ad impedimenti, generatori di non serenità. E se lo troverai siffatto, chiamalo un servo in vacanza durante i Saturnali. Dì che il suo Signore si è messo in viaggio; ma poi giungerà e riconoscerai quel che non sperimenta! -Giungerà chi?- Chiunque avrà potestà di procacciare o sottrarre qualcuna delle cose che egli vuole. -Dunque abbiamo così tanti Signori?- Così tanti. Giacché precedenti a questi abbiamo per signori le cose, ed esse sono molte. Per questo è necessario che siano nostri Signori quanti hanno potestà su qualcuna di esse. Dacché nessuno ha paura proprio di Cesare, ma ha paura della morte, dell’esilio, della sottrazione di proprietà, della prigione, del difetto di onorificenze. Né qualcuno predilige Cesare, se Cesare non sarà uomo di gran valore, ma prediligiamo la ricchezza di denaro, il tribunato, la pretura, il consolato. Qualora prediligiamo ed odiamo ed abbiamo paura di queste cose, è necessario che quanti hanno potestà su di esse siano nostri Signori. Per questo li riveriamo come Dei. Giacché concettualizziamo così: “Quanto ha potestà del massimo giovamento è divino”. Poi subordiniamo malamente: “Costui ha potestà del massimo giovamento”. Di necessità anche quel che ne deriva è inferito malamente. Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 54-61
Orsù dunque, veniamo ai punti ammessi. Libero è l’uomo non soggetto ad impedimenti, cui le faccende sono a portata di mano come decide. Invece, chi è possibile impedire o costringere od intralciare o sbattere in qualcosa suo malgrado, è servo. Chi non è soggetto ad impedimenti? Chi non prende di mira nulla di allotrio. Cos’è allotrio? Ciò che non è in nostro esclusivo potere avere o non avere od avere con certe qualità od in un certo stato. Pertanto allotrio è il corpo, allotrie sono le parti del corpo, allotrio è il patrimonio. Se dunque ti struggerai per qualcuna di queste cose come tua peculiare, pagherai il fio che merita chi prende di mira l’allotrio. Questa strada conduce alla libertà, questa sola è scampo dalla servitù: poter dire una volta con l’animo intero *Conducimi, o Zeus, e proprio tu o Fato, là dove sono stato da voi una volta ordinato*. Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 128-131
Giacché la libertà non è apprestata dall’assolvimento di ciò per cui smaniamo ma dal disapprestamento della smania. Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 175
C ‘è bisogno di poco per la perdita ed il sovvertimento di tutto: un piccolo distoglimento della ragione. Per far capovolgere il bastimento, il pilota non ha bisogno della medesima preparazione che per salvaguardarlo. Se volterà un poco di fianco al vento, va in malora. E se rallenterà un poco l’attenzione, anche suo malgrado, va in malora. Qualcosa di siffatto accade anche qua. Se sonnecchierai un poco, tutto quanto hai raccattato finora parte. Fa dunque attenzione alle rappresentazioni; vegliaci su, ché non è piccolo il tesoro serbato: è il rispetto di te e degli altri, è la lealtà, la stabilità di giudizio, è il dominio sulle passioni, sulle afflizioni, sulla paura, sullo sconcerto, insomma è la libertà. Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 3, § 4-7
I fatti sono questi. I porti che vengono toccati nel corso del loro giro del mondo sono in genere capaci e ben attrezzati, ma queste navi da crociera sono molto grandi. Pertanto lo sbarco e l’imbarco dei crocieristi è meglio assicurato da una piccola pilotina che è stivata nella nave, ne ha lo stesso nome, e viene posta in acqua soltanto al momento richiesto e per il tempo necessario. Numerose sono le compagnie che offrono giri del mondo con le loro navi, e i costi per i crocieristi possono ovviamente variare molto. Tutte le compagnie, però, rispettano l’obbligo di offrire servizi identificati senza ambiguità dal nome delle navi che utilizzano. Una compagnia navale di lunga tradizione, anche se di scarsissimo seguito, si chiama ‘United Stoic Ships’ e per i suoi servizi utilizza, insieme ad alcune altre, le pilotine qui di seguito elencate.
– Pilotina USS 02 ‘Libertà’ Su questa pilotina della USS è possibile imbarcarsi qui ed arrivare qui. Chi di voi vuole, può tuttavia scegliere altre navi e altre destinazioni con altre Compagnie. Sono molto popolari ed utilizzate la nave ‘Schiavitù’, la ‘Dittatura’ e la ‘Tiranno’.
– Pilotina USS 03 ‘Azione di successo’ Su questa pilotina USS è possibile imbarcarsi qui ed arrivare qui. Altre Compagnie hanno però a disposizione la ‘Insuccesso garantito’, la ‘Fallimento’ e la ‘Disastro’.
– Pilotina USS 04 ‘Educazione alla diairesi’ Su questa pilotina USS è possibile imbarcarsi qui ed arrivare qui. Le più gettonate navi di altre Compagnie sono la ‘Controdiairesi’, la ‘Fischi per Fiaschi’ e la ‘Ignoranza’.
– Pilotina USS 05 ‘Felicità’ Su questa pilotina USS è possibile imbarcarsi qui ed arrivare qui. Di altre Compagnie, nei paraggi ci sono la ‘Infelicità’, la ‘Disperata’ e la ‘Tristezza’, ma di solito sono prenotate con tale anticipo che è impossibile trovare posto.
– Pilotina USS 06 ‘Natura delle cose’ Su questa pilotina USS è possibile imbarcarsi qui ed arrivare qui. Questa pilotina è quasi sempre desolatamente vuota. Richiestissime sono invece le navi ‘Modello Culturale’, ‘Insignificante’ e ‘Tenebra’ di altre Compagnie.
– Pilotina USS 07 ‘Giustizia’ Su questa pilotina USS è possibile imbarcarsi qui ed arrivare qui. Va da sé che le navi di altre Compagnie più prenotate sono la ‘Ingiustizia’, la ‘Raggiro’ e la ‘Iniquità’.
– Pilotina USS 08 ‘Saggezza’ Su questa pilotina USS è possibile imbarcarsi qui ed arrivare qui. È notevole che la ‘Stoltezza’, la ‘Insipiente’ e la ‘Ottusità’ non riescono neppure a soddisfare la metà delle richieste di trasporto che le altre Compagnie ricevono.
– Pilotina USS 09 ‘Virilità’ Su questa pilotina USS è possibile imbarcarsi qui ed arrivare qui. Delle altre Compagnie vanno di moda e sono molto ricercate la ‘Effeminata’, la ‘Piagnisteo’, e la ‘Pusillanime’.
– Pilotina USS 10 ‘Temperanza’ Su questa pilotina USS è possibile imbarcarsi qui ed arrivare qui. Le altre Compagnie, a loro dire, fanno molti profitti con la nave ‘Intemperante’, la ‘Eccesso’ e la ‘Bunga Bunga’.
La parola ‘Proairesi’, (tradotta ancor oggi in modo del tutto improprio e fuorviante in Italiano con ‘scelta morale di fondo’, e in inglese con ‘moral purpose’ o ‘freedom of will’ e altre sciocchezze del genere) ha una storia degna di nota. Introdotta nel linguaggio filosofico da Aristotele, dopo secoli di oblio fu infatti ripresa in modo geniale e creativo da Epitteto, il quale ne fece uno dei cardini del suo Stoicismo. Il testo che offro in lettura, mentre presenta la mia traduzione di tutti i passi delle opere di Aristotele nei quali risultano utilizzati il termine ‘Proairesi’ ed i vocaboli ad esso direttamente correlati, permette il confronto diretto con numerosi passi similari, sempre in mia traduzione, dell’opera di Epitteto, e quindi mette in grado il lettore di intendere in modo non ambiguo differenze e similarità.
Tutto ciò che Aristotele chiama ‘’Proairesi’ e la ‘’Proairesi’ di Epitteto sono la stessa cosa?
Proairesi
Sono a tutt’oggi soltanto due i filosofi che hanno dato un rilievo decisamente centrale al concetto di ‘Proairesi’ nella loro filosofia. I due filosofi sono: Aristotele (385-322 a.C.) e, circa quattro secoli dopo di lui, Epitteto (50-120 d.C.).
11.1) Aristotele e la Proairesi
Breve cenno alla storia del termine greco ‘Proàiresis’
L’uso del sostantivo greco ‘proàiresis’ e dei suoi derivati è poco attestato nella prosa greca prima della metà del IV° secolo a. C.; ed anche nella seconda metà di tale secolo compare piuttosto raramente nei testi dei principali autori i cui scritti sono pervenuti fino a noi. Il termine non compare né negli scritti di Lisia (450-380 a.C.) né in quelli di Andocide (440-390 a.C.), ed è usato soltanto quattro volte da Isocrate (436-338 a.C.). Senofonte (430-354 a.C.) non lo utilizza mai; Platone (429-348 a.C.) lo impiega una volta soltanto, mentre esso non compare in nessun testo di Iseo (415-344 a.C.). Il suo uso si fa leggermente più frequente nella seconda metà del IV° secolo a. C. Infatti, Licurgo (396-325 a.C.) lo usa due volte; Iperide (390-322 a.C.) ed Eschine (390-315 a.C.) entrambi tre volte; Demostene (385-322 a.C.) alcune decine di volte, ma di nuovo non compare in alcun testo di Dinarco (361-291 a.C.).
Il significato di ‘Proàiresis’ nel linguaggio corrente del IV° secolo a. C.
In tutti gli autori citati, l’area semantica coperta dal temine ‘proàiresis’ e dai suoi derivati è essenzialmente l’area esprimente l’ ‘interesse personale’, l’ ‘intenzionalità’, il ‘deliberato proposito’, la ‘premeditazione’ delle azioni di un soggetto.
L’uso del termine ‘Proàiresis’ da parte di Aristotele e la sua analisi di esso
Vi è universale consenso nell’attribuire ad Aristotele (385-322 a. C.), il quale è esattamente contemporaneo di Demostene, la paternità dell’introduzione del termine ‘proàiresis’ nel linguaggio filosofico. Anche se si affacciano più o meno frequentemente in quasi tutte le opere del filosofo di Stagira, il sostantivo ‘proàiresis’ ed i diretti derivati assumono un rilievo cruciale nelle sue tre principali opere etiche: essi, infatti, compaiono almeno 105 volte nell’ ‘Etica Nicomachea’; 94 volte nell’ ‘Etica Eudemia’ e 50 volte nei ‘Magna Moralia’. Chi aprisse l’ ‘Etica Nicomachea’ e ne iniziasse la lettura dalla prima parola del primo paragrafo del primo libro, si accorgerebbe subito della ‘proàiresis’ giacché essa è l’undicesima parola, ed il quarto sostantivo, che gli viene incontro. È in questo trattato che Aristotele, nell’ambito della discussione degli atti volontari (ta ekoùsia) e involontari (ta akoùsia), della virtù (areté), della non padronanza di sé (akràteia) e dell’impudenza (akolasìa), ha tentato di analizzare e di precisare la sua definizione di ‘proàiresis’. Il risultato di tale analisi, che si presenta senza sostanziali varianti anche nelle altre due opere etiche citate, appare come una molteplicità di determinazioni polivalenti e in parte contraddittorie che hanno sempre lasciato, e continuano a lasciare, parecchia incertezza sul preciso significato da attribuire al termine ‘proàiresis’. Questo è molto probabilmente anche uno, se non il principale, dei motivi che hanno contribuito alla scarsa comprensibilità del concetto aristotelico di ‘proàiresis’ e alla sua emarginazione dal dibattito filosofico, oltre che alla sua sostanziale intraducibilità e quindi alla mirabolante moltiplicazione di vocaboli e di perifrasi proposte in diverse lingue da diversi traduttori per rendere il temine ‘proàiresis’. Aristotele, infatti, definisce la ‘proàiresis’ come: il ‘volontario preceduto da una deliberazione’ (prebebouleuménon), oppure ‘desiderio deliberato (òrexis bouleutiké) di cose in nostro potere’ (tòn ef’emìn), oppure ‘mente desiderativa’ (noùs orektikòs) oppure ‘desiderio intellettualizzato’ (òrexis dianoetiké), o ancora ‘scelta (àiresis) di qualcosa a preferenza di un’altra’. Ma parrebbe potersi intendere la ‘proàiresis’ aristotelica anche come ‘processo che porta al raggiungimento di un fine’ oppure come ‘il piano iniziale del processo che porta al raggiungimento di un fine’. Qualunque cosa Aristotele intenda con il termine ‘’Proàiresis’, egli è comunque consistentemente coerente nel ribadire che:
la ‘’Proàiresis’ non è appannaggio degli altri animali, dei bambini in tenera età e dell’uomo in certi stati come l’ira o l’ubriachezza
la ‘’Proàiresis’ non ha mai come oggetto ‘il fine’ ma soltanto ‘i mezzi’ in nostro potere per raggiungere un certo fine
la ‘’Proàiresis’ non ha mai come oggetto delle impossibilità (adùnata) né eventi del passato
l’uomo può agire tanto in accordo con la propria proairesi (katà ‘Proàiresin) quanto in contrasto con la propria proairesi (parà ‘Proàiresin).
La traduzione dei testi
Quella che segue è la mia traduzione di tutti i passi nei quali Aristotele usa il sostantivo ‘’Proàiresis’ e i suoi diretti derivati nell’ ‘Etica Nicomachea’, nell’ ‘Etica Eudemia’ e nei ‘Magna Moralia’. Se non sbaglio, capita a me di essere il primo traduttore al mondo che non cerca sinonimi o circonlocuzioni per tradurre il termine ‘’Proàiresis’ ed i suoi collegati. Dunque per la prima volta nella traduzione di Aristotele i seguenti vocaboli greci sono resi in italiano come segue: -il sostantivo ‘proàiresis’ con ‘proairesi’ -l’aggettivo ‘proairetikòs’ con ‘proairetico’ -l’aggettivo ‘aproàiretos’ con ‘aproairetico’ -il verbo ‘proairèisthai’ con ‘proairesizzare’ -l’avverbio ‘aproairétos’ con ‘aproaireticamente’ -il sostantivo ‘antiproàiresis’ con ‘antiproairesi’ La lettura permetterà indubbiamente a ciascuno di farsi la sua opinione sul significato che Aristotele intendeva dare al termine ‘’Proàiresis’.
11.1.1) ETICA A NICOMACO
NE-LIBRO I°
NE1.1[1094a,1-3] Ogni arte, ogni metodologia razionale e similmente ogni azione e proairesi sembrano avere di mira un qualche bene. Perciò è stato correttamente dichiarato che ‘tutto ha di mira il bene’.
NE1.4[1095a,14-17] Riprendendo il discorso, poiché ogni conoscenza e proairesi è desiderio di un qualche bene, diciamo cosa sia ciò che la politica ha di mira e quale sia il sommo dei beni fattibili.
NE1.7[1097a,19-23] Questo bene in medicina è la salute, in strategia la vittoria, in edilizia la casa, in altri campi altro ancora; e comunque in ogni azione e proairesi il fine, giacché è in vista di esso che tutti operano il resto.
NE1.13[1102a,12-14] Se poi questa analisi è propria della politica, è chiaro che la ricerca potrebbe avvenire in accordo con la proairesi iniziale.
NE-LIBRO II°
NE2.4[1105a,33] Ma occorre anche che chi compie azioni virtuose le compia con una certa disposizione: in primo luogo sapendo cosa fa, poi proairesizzando e proairesizzando le azioni per se stesse, in terzo luogo operando con una disposizione salda e inamovibile.
NE2.5[1106a,2-4] Inoltre noi ci adiriamo e abbiamo paura aproaireticamente, mentre le virtù sono certe proairesi o non mancano di proairesi.
NE2.6[1106b,36-1107a,1] La virtù è dunque una disposizione proairetica, consistente in una medietà in rapporto a noi, definita dalla ragione e come la definirebbe il saggio.
NE-LIBRO III°
NE3.1[1110b,31-33] Giacché l’ignoranza nella proairesi non è causa dell’involontarietà ma della depravazione.
NE3.2[1111b,4-1112a,18] Una volta definito il ‘volontario’ e l’ ‘involontario’, proseguiamo discorrendo di proairesi, giacché essa sembra essere ciò che di più attinente vi sia alla virtù e quella che determina i caratteri più delle azioni. La proairesi appare certo un che di volontario ma non si identifica con esso, poiché il ‘volontario’ copre un ambito più vasto. Il ‘volontario’, ma non la proairesi, infatti, ci accomuna anche ai fanciulli e agli altri animali e noi chiamiamo gli atti repentini ‘volontari’ ma non secondo proairesi. Chi afferma che la proairesi è ‘smania’ o ‘istintività’ o ‘voglia’ o ‘opinione’ non sembra parlare correttamente, giacché la proairesi non ci è comune con gli animali privi di ragione mentre invece ci accomunano ad essi smania e istintività. Anche chi è non padrone di sé opera per smania ma non per proairesi, mentre chi invece è padrone di sé a sua volta opera per proairesi e non per smania. Smania è l’opposto di proairesi, ma non smania di smania. La smania, poi, concerne qualcosa di piacevole o di spiacevole, la proairesi né lo spiacevole né il piacevole. Ancor meno la proairesi è istintività, e gli atti istintivi sembrano essere atti nient’affatto secondo proairesi. La proairesi non è neppure una voglia, anche se appare essere qualcosa di assai vicino ad essa. La proairesi, infatti, non concerne le impossibilità, e se qualcuno dicesse di proairesizzare cose impossibili farebbe la figura dello sciocco. La voglia, invece, può essere voglia di cose impossibili: per esempio dell’immortalità. La voglia, inoltre, è anche voglia di cose in nessun modo agite dal soggetto, come la vittoria di un certo attore o di un certo atleta. Nessuno, invece, proairesizza simili cose, bensì quanto crede possa dipendere unicamente da lui. La voglia, poi, è piuttosto voglia di un fine, mentre la proairesi concerne i mezzi per raggiungere un fine: ad esempio, vogliamo essere in buona salute e proairesizziamo i mezzi per esserlo; e diciamo anche di voler essere felici mentre non è acconcio dire che lo proairesizziamo: insomma, la proairesi appare concernere cose che sono in nostro potere. La proairesi non sarebbe neppure opinione, giacché l’opinione sembra riguardare qualunque cosa: ciò che è eterno ed impossibile non meno di ciò che è in nostro potere. L’opinione, poi, si discrimina secondo il falso e il vero, non secondo il male e il bene, mentre la proairesi si discrimina piuttosto secondo questi ultimi. Dunque, forse nessuno identifica proairesi ed opinione in generale. [1112a] Ma neppure la identifica con un’opinione in particolare, giacché noi siamo le persone che siamo con il proairesizzare cose buone o cattive, non con l’averne un’opinione. Infatti proairesizziamo di prendere o di fuggire qualcuna di esse, mentre invece opiniamo che cosa esse siano o a chi siano utili o in che modo; ma non opiniamo affatto circa il prenderle o il fuggirle. La proairesi, poi, è lodata per essere proairesi di ciò che si deve, piuttosto che l’opinione per essere opinione in un certo modo. E noi proairesizziamo quelli soprattutto che sappiamo essere beni, mentre abbiamo opinioni anche su cose che non sappiamo affatto. Inoltre, non paiono essere gli stessi coloro che proairesizzano in modo eccellente e coloro che hanno le più eccellenti opinioni, poiché alcuni opinano meglio e poi per viziosità scelgono ciò che non si deve scegliere. Se poi l’opinione venga prima o dopo la proairesi non fa alcuna differenza, giacché non stiamo considerando questo ma se proairesi e opinione siano la stessa cosa. Cos’è dunque e che genere di cosa è allora la proairesi, visto che non è nessuna delle cose dette? Si mostra invero essere qualcosa di volontario, ma quanto è volontario non è tutto proairetico. Sarà forse il volontario quando è preceduto da una deliberazione? La proairesi, infatti, è compagna di ragione e intelletto, e il nome stesso pare significare qualcosa che è scelto a preferenza di altre cose.
NE3.3[1113a,3-14] Il deliberato e il proairetico sono la stessa cosa, eccetto che il proairetico è già stato precedentemente definito, essendo proairetico ciò che è stato predeterminato dalla deliberazione. E ciascuno di noi cessa di cercare come opererà quando abbia ricondotto la causa basilare dell’azione a sé e alla parte dominante di sé, poiché è questa la parte che proairesizza. Questo è manifesto anche nelle primitive Costituzioni rappresentate da Omero nei suoi poemi. In esse i re annunciavano al popolo ciò che avevano proairesizzato. Poiché dunque il proairetico è qualcosa in nostro potere, desiderato in seguito a una deliberazione, la proairesi sarebbe un desiderio deliberato di cose in nostro potere, giacché dopo avere giudicato e deliberato desideriamo in accordo con la deliberazione. Si consideri così delineata schematicamente la proairesi, quali siano i suoi oggetti e che riguarda mezzi relativi ai fini.
NE3.5[1113b,3-5] Voluto pertanto il fine, deliberando e proairesizzando i mezzi per raggiungerlo, le azioni a questo riguardo sarebbero azioni secondo proairesi e volontarie.
NE3.8[1117a,4-6] La forma più naturale di coraggio, poi, sembra essere quella per istintività; e quando le si aggiungano proairesi e consapevolezza del fine essa diventa virilità.
NE3.8[1117a,21-23] Si potrebbero proairesizzare i pericoli manifesti grazie al calcolo e al ragionamento, ma quelli improvvisi si affrontano secondo la disposizione del momento.
NE-LIBRO IV°
NE4.7[1127b,15] Il cialtrone non è tale in potenza ma in proairesi.
NE-LIBRO V°
NE5.5[1134a,2] La giustizia è quella disposizione in relazione alla quale si chiama giusto colui che pratica il giusto secondo proairesi.
NE5.6[1134a,21] Giacché un uomo potrebbe anche avere rapporti intimi con una donna sapendo con chi sta, ma senza avere come causa basilare di ciò lasua proairesi bensì per passione.
NE5.8[1135b,8-11] Degli atti volontari, poi, alcuni li compiamo per proairesi, altri senza averli proairesizzati; proairetici essendo quelli che sono stati predeliberati, aproairetici quelli non predeliberati.
NE5.8[1135b,25] Qualora invece l’ingiuria origini dalla proairesi, allora l’individuo è ingiusto e depravato.
NE5.8.[1136a,1] Se il danno originasse dalla proairesi, allora si commette ingiustizia.
NE5.8.[1136a,4] E similmente il giusto è tale qualora operi il giusto avendolo proairesizzato.
NE5.11[1138a,22] Inoltre, l’azione ingiusta è volontaria, origina dalla proairesi, ed è anteriore ad ogni provocazione.
NE-LIBRO VI°
NE6.2[1139a,21-27] Quello che nell’intelletto sono negazione e affermazione, nell’ambito del desiderio sono perseguimento e fuga. E così, dal momento che la virtù etica è una disposizione proairetica e la proairesi è desiderio deliberato, se la proairesi deve essere virtuosa bisogna appunto che il ragionamento sia vero e il desiderio sia retto, ossia che la ragione affermi e il desiderio persegua le medesime cose.
NE6.2[1139a,32-34] Causa basilare dell’azione morale è dunque la proairesi, che è ciò da cui origina il movimento ma non ciò per cui esso avviene. Causa della proairesi, poi, sono desiderio e ragionamento diretto a un fine. Perciò la proairesi non è mai disgiunta da mente, intelletto e disposizione etica.
NE6.2[1139b,5-8] Perciò la proairesi è mente desiderativa o desiderio intellettualizzato e questa causa basilare è l’uomo. Non può essere proairetico alcun evento del passato: nessuno proairesizza, per esempio, di avere devastato Troia.
NE6.12[1144a,19-21] Pertanto esiste un modo per fare ciascuna cosa così da essere virtuoso: dico agendo per proairesi ossia avendo per scopo delle azioni rette le azioni stesse. E dunque è la virtù a far sì che la proairesi sia retta.
NE6.13[1145a,4-6] La proairesi non sarà retta senza saggezza e senza virtù. Giacché la saggezza ci fa porre il fine e la virtù ci fa operare le azioni atte a raggiungerlo.
NE-LIBRO VII°
NE7.4[1148a,4-11] Di coloro che sono non padroni di sé nelle fruizioni corporali in relazione alle quali definiamo l’individuo temperante e quello intemperante, colui che non proairesizzando bensì in contrasto con la propria proairesi e il proprio intelletto insegue gli eccessi nelle cose piacevoli e fugge quelli delle cose spiacevoli come fame, sete, caldo, freddo e tutto quanto ha a che fare con tatto e gusto: ebbene costui si chiama non padrone di sé senza ulteriori qualificazioni.
NE7.4[1148a,17-19] Gli individui padroni di sé e quelli non padroni di sé sono tali in relazione agli stessi oggetti ma non nello stesso modo, giacché i primi proairesizzanomentre i secondi non proairesizzano.
NE7.6[1149b,35] Le bestie, infatti, non hanno proairesi né contezza alcuna di sè e stanno fuori della natura umana, come i pazzi.
NE7.7[1150a,18-21] Colui che insegue gli eccessi nelle cose piacevoli o i necessari piaceri in eccesso e lo fa per proairesi, per gli eccessi in quanto tali e non per riuscire ad altro: ebbene costui è intemperante.
NE7.7[1150a,23-27] Similmente intemperante è colui che fugge le sofferenze corporali non perché sopraffatto ma per proairesi. Di coloro, poi, che non proairesizzano, gli uni si lasciano guidare dal piacere, gli altri dal fuggire la sofferenza che deriva dalla smania.
NE7.8[1150b,29-31] L’intemperante, come abbiamo detto, non è incline al pentimento poiché persiste per proairesi. Invece, chiunque sia non padrone di sé è incline al pentimento.
NE7.8[1151a,7-8] È dunque manifesto che la non padronanza di sé non è un vizio. Ma forse lo è in un certo senso, giacché la non padronanza di sé è tale in contrasto allaproairesi, mentre il vizio è secondo proairesi.
NE7.9[1151a,29-35] Pertanto, come ci chiedevamo problematicamente prima, è padrone di sé colui che persiste in un ragionamento qualsivoglia e una qualsivogliaproairesi oppure colui che persiste nella retta proairesi? Ed è non padrone di sé colui che non persiste in una qualsivoglia proairesi e in un ragionamento qualsivoglia oppure colui che persiste in un falso ragionamento e in una proairesi scorretta? Oppure uno persiste in una opinione qualunque accidentalmente, ma in essenza nel ragionamento vero e nella retta proairesi mentre l’altro non vi persiste?
NE7.10[1152a,10-14] Nulla impedisce che il valente parlatore sia non padrone di sé (……..), poiché l’uomo saggio e l’abile parlatore sono vicini quanto a parole ma differiscono quanto a proairesi.
NE7.10[1152a,17-18] Chi non è padrone di sé….non è malvagio. Infatti, la sua proairesiè acquiescente: sicché è malvagio a metà.
NE-LIBRO VIII°
NE8.5[1157b,30-32] L’affezionamento, infatti, è rivolto non meno agli esseri inanimati, mentre coloro che ricambiano l’amicizia lo fanno con proairesi e la proairesi ha a che fare con una disposizione.
NE8.13[1163a,22-24] Nelle amicizie fondate sulla virtù non ci sono incolpazioni e la proairesi di chi compie il beneficio assomiglia ad un’unità di misura, giacché dominante per la virtù e il carattere è la proairesi.
NE-LIBRO IX°
NE9.1[1164b,1-3] Tale è l’amicizia che il contraccambio va fatto in accordo con la proairesi, giacché questa è propria dell’amico e della virtù.
NE-LIBRO X°
NE10.8[1178a,35] Vi è disaccordo se più dominante per la virtù sia la proairesi o siano le azioni, poiché essa potrebbe essere in entrambe.
NE10.9[1178b,35] Se, dunque, di queste virtù come pure dell’amicizia e del piacere abbiamo detto schematicamente a sufficienza, dobbiamo ritenere raggiunto il fine che si era proposto la nostra proairesi.
11.1.2) ETICA A EUDEMO
EE-LIBRO I°
EE1.2[1214b,7] Una volta stabilito riguardo a ciò, che chiunque può vivere secondo la propria proairesi pone qualcosa a scopo del vivere bene: l’onore, la fama, la ricchezza o l’educazione (…) è necessario (…) definire in cosa consista (…) il vivere bene.
EE1.4[1215b,1] (…) vediamo che sono anche tre i tipi di vita che quanti ne hanno per caso facoltà proairesizzano tutti di vivere: la vita politica, quella filosofica, quella di piacere.
EE1.5[1216a,26] Ma la maggior parte di quanti sono impegnati in politica impropriamente sono così designati, giacché non sono veri politici. Il politico, infatti, è colui che proairesizza le azioni nobili per loro stesse, mentre i più abbracciano questo modo di vita per la roba e per interesse.
EE-LIBRO II°
EE2.5[1222a,31] Sicché anche le disposizioni proairetiche all’esercizio atletico saranno più favorevoli alla salute in accordo con ambedue le differenti scelte.
EE2.6[1223a,17-19] Tutti invero ammettiamo che ciascun individuo sia la causa di tutto ciò che è volontario e in accordo con la sua propria proairesi, mentre invece di quanto è involontario egli non sia la causa. Ed è manifesto che tutto ciò che è proairesizzatoè anche volontario.
EE2.7[1223a,21-23] Dobbiamo anche prendere in esame cosa siano il volontario e l’involontario e cosa sia la proairesi, poiché virtù e vizio sono definiti per mezzo di essi.
EE2.7[1223a,23-25] Volontario e involontario sembrerebbero essere riconducibili a una di queste tre conformità o difformità: col desiderio, con la proairesi o con l’intelletto.
EE2.8[1223b,39] Che il volontario non sia neppure ciò che è secondo proairesi è manifesto da questo che segue.
EE2.8[1224a,3] Molte cose che noi vogliamo le facciamo repentinamente, mentre nessuno proairesizza nulla repentinamente.
EE2.8[1224a,6] Siccome abbiamo stabilito che il volontario è necessariamente una di queste tre cose: conforme a desiderio o a proairesi o ad intelletto, e siccome non è conforme alle prime due, rimane che consista nell’operare in un certo modo dell’intelletto.
EE2.8[1225a,13] Egli infatti semplicemente non proairesizza quello stesso che fa ma ciò per cui lo fa.
EE2.9[1225a,39] Concludendo, poiché il volontario non è definito né dal desiderio né dalla proairesi, rimane che sia da definirsi conforme all’intelletto.
EE2.10[1225b,18-1226a,33] Dopo ciò parliamo di proairesi, ragionando delle difficoltà che sorgono circa di essa. Infatti si potrebbe dubitare su quale genere di cosa laproairesi sia per natura, in quale classe di cose vada posta e se il volontario e il proairetico siano o non siano la stessa cosa. Alcuni soprattutto affermano, e così potrebbe parere ad uno che faccia questa ricerca, che la proairesi sia una di queste due cose: o opinione o desiderio, poiché ambedue queste cose paiono comprenderla. Eppure è evidente che la proairesi non è desiderio. Infatti, allora sarebbe o voglia o smania o istintività, giacché nessuno desidera senza avere prima sperimentato queste sensazioni. Ma istintività e smania esistono anche nelle belve, non però la proairesi. Inoltre anche coloro che sperimentano entrambe queste sensazioni, pure proairesizzano spesso senza istintività e senza smania; e quando sono soggetti alle passioni non proairesizzano ma si fanno forza. Inoltre smania e istintività sono sempre accompagnate da affanno, mentre invece noi proairesizziamo spesso senza affanno. Ma invero neppure sono la stessa cosa voglia e proairesi. Alcuni di noi vogliono infatti certe cose anche sapendo che sono impossibili; per esempio, regnare su tutti gli uomini ed essere immortali. Invece nessuno proairesizza qualcosa quando sa che è impossibile, e neppure proairesizza qualcosa di possibile, qualora creda che il farlo o non farlo non dipende da lui. Sicché è manifesto che necessariamente il proairetico è una di quelle cose che sono in nostro potere. Similmente è manifesto che proairesi non è opinione né ciò che uno semplicemente crede, poiché abbiamo visto che il proairetico è una di quelle cose che sono in nostro potere, mentre noi opiniamo anche molte cose che non sono in nostro potere, per esempio sulla diagonale incommensurabile [del quadrato di lato unitario]. Inoltre la proairesi non è vera o falsa. La proairesi non è neppure l’opinione di cose fattibili e in nostro potere, per cui ci capita di credere di dover fare o non fare qualcosa: questo è comune all’opinione e alla voglia. Nessuno, poi, proairesizza un fine bensì i mezzi per raggiungere un fine. Dico, per esempio, che nessuno proairesizza di stare in buona salute, ma di passeggiare o di restare seduto per stare in buona salute; né di essere felice, ma di fare affari o di rischiare per poter essere felice; e insomma colui che proairesizza sempre manifesta ‘cosa’ e ‘per che cosa’ lo fa. Il ‘per che cosa’ è ciò in vista di cui un’altra cosa è proairesizzata, mentre il ‘cosa’ è qualunque cosa è proairesizzata in vista di un’altra. L’uomo vuole, poi, soprattutto il fine ed opina che tali siano il dover essere in buona salute e lo star bene. Sicché è manifesto da ciò, che opinione e voglia sono altro da proairesi. Voglia e opinione sono specialmente del fine, mentre la proairesi non riguarda il fine. È pertanto manifesto che la proairesi non è né voglia, né opinione né semplicemente concezione. In che cosa differisce, allora da queste? E in quale relazione è con il volontario? La risposta a queste domande chiarirà anche cos’è la proairesi. Ora, delle cose che possono essere o non essere ve ne sono di tali che ammettono di essere deliberate da parte nostra, mentre altre non lo ammettono. Vi sono, infatti, cose che possono essere o non essere ma la cui genesi non è in nostro potere e avviene, nel caso di alcune, per opera di natura; nel caso di altre per opera di altre cause. Circa queste cose nessuno porrebbe mano, sapendolo, a deliberare. Alcune cose, invece, ammettono non soltanto di esistere oppure no, ma anche di essere deliberate dagli uomini; e sono le cose che è in nostro potere fare o non fare. Perciò noi non deliberiamo sulle faccende indiane né sulla quadratura del cerchio, giacché le faccende indiane sono cose non in nostro potere, mentre le cose proairetiche e fattibili sono in nostro potere, e la quadratura del cerchio non è fattibile, ragion per cui è anche manifesto che la proairesi non è semplicemente opinione.
EE2.10[1226b,2-9] Siccome la proairesi non è né opinione né voglia separatamente e neppure è entrambe le cose, (nessuno, infatti, proairesizza repentinamente ma a tutti repentinamente pare di dover fare qualcosa e tutti repentinamente vogliono) sembra che debba effettivamente sorgere da entrambe, giacché entrambe esistono in colui cheproairesizza. Bisogna allora analizzare come questo avvenga, e il nome stesso chiarisce il come. La proairesi, infatti, è una scelta; non una semplice scelta ma la scelta di qualcosa a preferenza di un’altra. E questo non è possibile senza analisi e senza deliberazione. Perciò la proairesi è originata da un’opinione deliberativa.
EE2.10[1226b,14-23] Se in effetti nessuno proairesizza senza essersi preparato e senza avere deliberato o peggio o meglio; e inoltre delibera, tra le cose che possono essere o non essere, quei mezzi per un certo fine che sono in nostro potere, è manifesto che la proairesi è un desiderio deliberato di cose in potere del soggetto. Noi deliberiamo tutto ciò che proairesizziamo e però non proairesizziamo tutto ciò che deliberiamo. Chiamo, poi, deliberato quel desiderio di cui principio e causa è la deliberazione, e quando si desidera grazie all’avere deliberato. Perciò la proairesi non esiste negli altri animali né in ogni età dell’uomo né in ogni sua condizione.
EE2.10[1226b,33-37] È necessario che tutto quanto è proairetico sia volontario mentre non tutto il volontario è proairetico, e che tutto ciò che avviene secondo proairesi sia volontario mentre ciò che è volontario non è tutto secondo proairesi.
EE2.10[1227a,2-5] Che la proairesi non sia semplicemente voglia né opinione, è manifesto; ma è sia opinione che desiderio quando essi siano la conclusione di una deliberazione.
EE2.10[1227a,37-1227b,12] È pertanto necessario che sia l’inganno sia la proairesimuovano dalla medietà verso i contrari; e contrari sono il più e il meno rispetto alla medietà. Causa ne sono il piacere e il dolore. Le cose stanno infatti in modo che il piacevole appare all’animo buono e ancora migliore quanto più piacevole; e il doloroso cattivo e ancora peggiore quanto più doloroso. Così è manifesto anche da ciò che virtù e vizio hanno a che fare con piaceri e dolori, poiché capita che questi siano in relazione con cose proairetiche e la proairesi lo sia con bene, male e i pareri al riguardo, essendo per natura piacere e dolore cose del genere. Siccome la virtù morale è essa stessa una certa medietà tutta coinvolta con piaceri e dolori, e il vizio consiste in un eccesso o una carenza circa le medesime cose che concernono la virtù; è necessario che la virtù sia la disposizione morale proairetica di medietà in relazione a noi nelle cose piacevoli e dolorose, secondo che si dice essere di una certa qualità morale l’individuo che si rallegra o quello che si affligge, giacché non si dice che abbia una certa qualità morale semplicemente colui che ama il dolce o colui che ama l’amaro.
EE2.11[1227b,13-15] Una volta definite queste questioni, discutiamo se la virtù metta la proairesi al riparo dalle aberrazioni e renda retto il fine così che si proairesizzi ciò che bisogna proairesizzare oppure, come sembra ad alcuni, renda retta la ragione.
EE2.11[1227b,37-1228a,5] Il fine è ciò per cui si opera qualcosa e ogni proairesi, infatti, è proairesi di qualcosa e per qualcosa. Il ‘qualcosa per cui’ ossia il fine è la medietà, causa della proairesizzazione del quale è la virtù mentre la proairesi non è proairesi di questo fine ma dei mezzi per raggiungere questo fine. Dunque il centrare questi mezzi, ossia quanto si deve fare in vista del fine è affare di un’altra facoltà, mentre la causa della rettitudine del fine della proairesi è la virtù. Perciò è dalla proairesi che noi giudichiamo chi un individuo sia, cioè guardando non che cosa fa ma per che cosa lo fa. E similmente anche il vizio, per i motivi opposti, opera sulla proairesi.
EE2.11[1228a,12-19] E poi, benché l’attività sia presa in esame più della virtù, noi lodiamo e denigriamo tutti guardando alle loro proairesi più che alle loro opere, dal momento che le persone fanno cose ignobili anche per costrizione, cose che nessuno proairesizza. Inoltre, non essendo facile vedere di quale sorta sia la proairesi, siamo per questo costretti a giudicare dalle opere di quale sorta un uomo sia, e dunque la sua attività è più considerata, ma più lodabile è la sua proairesi.
EE-LIBRO III°
EE3.1[1228a,23-25] È stato detto in termini generali che vi è nelle virtù una medietà e che esse sono disposizioni proairetiche. È stato anche detto che i loro opposti sono i vizi e quali questi siano.
EE3.1[1230a,27] Ma poiché ogni virtù è proairetica (…)
EE3.6[1233a,31-33] Esiste anche l’uomo munifico, munifico non in una qualunque azione guidata dalla proairesi ma in fatto di spesa.
EE3.1[1233a,37-40] Uomo davvero munifico è colui che, in fatto di grandi spese, è proairetico della appropriata grandezza di esse, e desideroso a loro riguardo di una siffatta medietà.
EE3.7[1234a,24-26] Tutte queste medietà sono lodevoli ma non sono virtù, né i loro contrari sono vizi se non coinvolgono la proairesi.
EE-LIBRO VII°
EE7.2[1236b,3-4] Da ciò è chiaro che il primo tipo di amicizia, quella dei virtuosi, è mutua reciprocità di amicizia e di proairesi (antiproairesi).
EE7.2[1236b,5-7] Questo tipo di amicizia esiste soltanto tra gli uomini, giacché soltanto l’uomo ha coscienza della proairesi. Le altre amicizie, invece, esistono anche tra le belve.
EE7.2[1237a,30-35] E se amare attivamente con piacere è reciprocazione proairetica (antiproairesi) della mutua conoscenza, è manifesto che, nel complesso, il primo tipo di amicizia è reciprocazione proairetica(antiproairesi) di cose buone e piacevoli in quanto buone e piacevoli; e l’amicizia stessa è una disposizione dalla quale sorge siffatta proairesi.
EE7.7[1241a,19-23] Giacché è possibile pensare e desiderare cose contrarie, come nel caso di chi non è padrone di sé, nel quale questa discordia occorre. E se l’amico concorda con l’amico quanto a proairesi, può però non concordare con lui quanto a desiderio. La concordia è tra i virtuosi; mentre gli insipienti, quando proairesizzano e desiderano le stesse cose, si danneggiano l’un l’altro.
EE7.7[1241a,26-28] Vi è poi un altro tipo di amicizia per la quale anche gli insipienti concordano, qualora abbiano proairesi e desiderio delle medesime cose.
EE7.7[1241a,32-34] Vi è concordia qualora circa il comandare e l’essere comandati si abbia la medesima proairesi.
EE7.10[1243a,33] L’amicizia politica, dunque, bada ai patti e agli affari, mentre l’amicizia etica guarda alla proairesi.
EE7.10[1243b,3] Sicché è chiaro che bisogna discriminare tra questi casi, poiché se essi sono amici eticamente bisogna guardare alla proairesi.
EE7.10[1243b,10] Ed è manifesto che l’amicizia etica è amicizia secondo proairesi.
EE-LIBRO VIII°
EE8.3[1249a,3-5] Gli Spartani (…) sono uomini valenti (…) ma non virtuosi, giacché non fanno e non proairesizzano belle azioni per se stesse ma per procurarsi altri beni.
11.1.3) MAGNA MORALIA
MM-LIBRO I°
MM1.1[1181a,23-24] Siccome proairesizziamo di parlare di Etica, in primo luogo dovremo analizzare di quale branca della filosofia faccia parte lo studio del carattere.
MM1.11[1187b,15-19] Causa basilare dell’azione tanto virtuosa che viziosa è la proairesi, la voglia di agire, tutta la nostra parte razionale. Quindi è manifesto che anche queste cause prime mutano e che i nostri cambi di azione sono volontari. Sicché anche la causa basilare proairesi muta volontariamente.
MM1.11[1187b,29-30] Chi proairesizza di essere il più virtuoso uomo al mondo tale non sarà, pur se sarà migliore, ove non ci fosse anche la natura a soccorrerlo in ciò.
MM1.17[1189a,1-1189b,9] Rimane ancora da esaminare la proairesi, se essa sia desiderio oppure no. Ora, il desiderio si ingenera anche negli altri animali e tuttavia essi non hanno proairesi, giacché proairesi va con ragione e la ragione non appartiene a nessun altro animale. Pertanto la proairesi non potrebbe essere desiderio. Potrebbe essere voglia? O neppure questo? La voglia è anche voglia di cose impossibili. Per esempio: noi vogliamo essere immortali ma non lo proairesizziamo. Inoltre, la proairesi non è proairesi del fine ma dei mezzi per un fine. Ad esempio, nessuno proairesizza di stare in buona salute, mentre invece noi proairesizziamo il mezzo: camminare o correre, per stare in buona salute. I fini, invece, li vogliamo. Infatti vogliamo stare in buona salute. Sicché è manifesto anche così che proairesi e voglia non sono la stessa cosa. La proairesi è quello che dice anche il suo stesso nome. Ad esempio, noi proairesizziamo qualcosa al posto di qualcos’altro, come il meglio invece del peggio. Qualora, dunque, noi permutiamo il peggio con il meglio in fatto di scelta, ecco che qui parrebbe avere attinenza il proairesizzare. Poiché la proairesi non è nulla di tutto ciò, è essa forse l’attività dell’intelletto? O non è neppure questo? Noi infatti pensiamo e opiniamo molte cose con l’intelletto. Ma tutto ciò che pensiamo, lo proairesizziamo anche? O no? Spesso, infatti, pensiamo agli affari Indiani; ma certo non li proairesizziamo e dunque la proairesi non è neppure intelletto. Siccome dunque la proairesi non è nessuna di queste cose singolarmente presa e questi sono i fenomeni che avvengono nell’animo, necessariamente la proairesi deve essere la composizione in coppia di alcuni di essi. Poiché, allora, la proairesi è, come abbiamo detto in precedenza, proairesi dei mezzi per raggiungere un fine e non del fine, dei mezzi a noi possibili e delle alternative circa la scelta di questo o di quest’altro; è manifesto che si dovrebbe prima riflettere su di esse e deliberare in merito. Successivamente, quando ci paia di avere riflettuto al meglio, vi è un impulso ad agire in conseguenza e, facendo questo, ci sembra di agire secondo proairesi. Se quindi la proairesi è un desiderio deliberato conseguente ad una attività dell’intelletto, il ‘volontario’ non è la stessa cosa del proairetico. Infatti, noi facciamo molte cose volontarie prima di riflettere e di deliberare. Per esempio, ci sediamo, ci alziamo e compiamo molti altri simili atti volontari senza averci riflettuto; mentre tutto ciò che è proairetico dovrebbe essere conseguente ad una attività dell’intelletto. Dunque il ‘volontario’ non è tutto proairetico, mentre tutto il proairetico è ‘volontario’, giacché se proairesizziamo di fare qualcosa dopo averlo deliberato, agiamo volontariamente. Vi sono anche alcuni legislatori che paiono definire diversamente il ‘volontario’ e il ‘per proairesi’, disponendo pene minori per i delitti volontari che per quelli ‘per proairesi’’. La proairesi concerne azioni pratiche, quelle che è in nostro potere fare o non fare, fare così o non così, e che hanno un ‘perché’.
MM1.17[1189b,13] Nelle azioni pratiche, nelle quali è coinvolta la proairesi, non è così.
MM1.17[1189b,16-18] A seconda delle contingenze, noi proairesizziamo le azioni pratiche che ci appaiano migliori e per ciò agiamo.
MM1.19[1190b,2-6] Quando gli altri uomini ne vedono uno virtuoso lo giudicano dalle sue azioni, essendo impossibile venire in chiaro sul come sia atteggiata la proairesialtrui. Se, infatti, fosse possibile sapere com’è atteggiata la mente altrui verso il bello morale, allora chi è virtuoso apparirebbe tale anche senza bisogno di guardare alle sue azioni.
MM1.34[1196b,27-34] Ora, le parti deliberativa e proairetica dell’animo umano hanno a che fare con le cose percepibili e mutevoli, insomma con tutto ciò che è soggetto a generarsi e a perire. Giacché noi deliberiamo su cose che, una volta da noi proairesizzate, è in nostro potere fare o non fare, ossia cose che ammettono da parte nostra voglia e proairesi di farle o di non farle. Si tratta di cose percepibili e suscettibili di mutamento; sicché la parte proairetica dell’animo umano ha a che fare con l’ordine delle cose percepibili.
MM1.34[1197a,14-16] Sicché la prudenza sarebbe una disposizione proairetica e pratica su cose che è in nostro potere fare e non fare, cose che hanno per scopo quanto ci è utile.
MM1.34[1197b,23-25] Giacché proprio dell’uomo prudente e della prudenza è l’avere di mira l’ottimo e di farlo sempre oggetto della propria proairesi e della propria pratica.
MM1.34[1198a,2] Vi sono invero anche eccellenze sia per carattere che per proairesi.
MM1.34[1198a,5-6] La virtù naturale, quando le si aggiungano ragione e proairesi, diventa virtù perfetta.
MM1.34[1198a,8-13] Né, a loro volta, ragione e proairesi si perfezionano in virtù se manca l’impulso naturale. Perciò Socrate non parlava rettamente quando diceva che la virtù è ragione e che di nessun pro è fare azioni virili e giuste quando non si sa cosa si fa e non si proairesizza secondo ragione.
MM1.34[1198a,16-18] Se qualcuno facesse azioni giuste senza alcuna proairesi di esse né conoscenza di ciò che è moralmente bello, ma per impulso irrazionale (…); azioni simili non hanno titolo a lode alcuna.
MM-LIBRO II°
MM2.12[1212a,18-22] Giacché, in primo luogo, la concordia non è tale a pensieri ma nella pratica; e non in quella pratica per cui due persone la pensano concordemente, ma quella in cui, pensando la stessa cosa, hanno proairesi concordi sul risultato cui pensano.
11.2) Epitteto e la Proairesi
A differenza dell’uso aristotelico, l’uso che Epitteto fa del sostantivo ‘’Proàiresis’ e dei suoi collegati non lascia invece adito ad alcun dubbio. Egli definisce la ‘’Proàiresis’ in modo chiarissimo, restituendole così piena legittimità di termine filosofico. Senza alcuna pretesa ad una esaustività che qui sarebbe fuori luogo e forse noiosa, il quadro può brevemente essere riassunto in questo modo. ‘Proairesis’ è il nome che Epitteto dà alla facoltà razionale il cui possesso differenzia l’uomo da tutte le altre creature viventi. Egli precisa che essa è una facoltà:
autoteoretica
inasservibile e insubordinabile
capace di usare le rappresentazioni e di comprenderne l’uso
parte egemone (egemonikòn) dell’animo umano, ossia parte alla quale tutte le altre facoltà umane sono subordinate ed alla quale fa capo la catena di comando che ci fa operare in un certo modo oppure in un altro.
La Proairesi umana è pienamente all’opera quando l’uomo usa:
desiderio e avversione
impulso e repulsione
assenso e dissenso
ed è strutturalmente operante attraverso due ‘giudizi di giudizi’ o ‘supergiudizi’ che si possono chiamare ‘Diairesi’ e ‘Controdiairesi’. La ‘Diairesi’ è il supergiudizio capace, di fronte a giudizi ordinari riferentisi a qualunque situazione, di distinguere ciò che è in nostro esclusivo potere (le cose proairetiche) e ciò che non lo è (le cose aproairetiche). La ‘Controdiairesi’ è il supergiudizio che, di fronte a giudizi ordinari riferentisi a qualunque situazione, decreta invece proairetico ciò che è aproairetico, dunque essere in nostro esclusivo potere ciò che non è in nostro esclusivo potere; oppure essere aproairetico ciò che invece è proairetico, dunque non essere in nostro esclusivo potere ciò che invece è in nostro esclusivo potere. Ne consegue che la proairesi umana può atteggiarsi in due modi diversi: diaireticamente oppure controdiaireticamente. E siccome l’uomo è la sua proairesi ecco che, a differenza di Aristotele, per Epitteto comunque l’uomo agisca egli non può mai agire in contrasto con la propria proairesi (parà proàiresin).
Giacché nulla può sostituire la lettura dei testi, quelli che seguono sono brani scelti tratti da vari libri delle Diatribe, nei quali Epitteto delinea magistralmente il suo concetto di Proairesi secondo le linee sopra esposte e ci invita a farne un cardine della nostra interpretazione del mondo e del nostro operare.
“Dì i segreti”. Non li dico: giacché questo è in mio esclusivo potere. “Ma ti incatenerò”. O uomo, che dici? Me? Incatenerai la mia gamba, ma la proairesi neppure Zeus può vincerla. “Ti butterò in prigione”. Butterai in prigione il mio corpicino. “Ti decapiterò”. E quando mai ti dissi che solo il mio collo non è mozzabile? Questo dovrebbero studiare coloro che fanno filosofia, questo scrivere ogni giorno, in questo allenarsi.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 1 , § 23-25
Soltanto, analizza a quanto vendi la tua proairesi. Se non altro, o uomo, non venderla a poco. Il grande e singolare conviene senz’altro ad altri, a Socrate ed agli uomini siffatti.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 2, § 33
Vengo quindi da questo interprete e sacrificatore e dico: “Esaminami le viscere, cosa mi significano”. Lui le prende, le sbroglia, poi spiega: “Uomo, tu hai una proairesi per natura non soggetta ad impedimenti e non soggetta a costrizioni. Qui, nelle viscere, questo è stato scritto. Te lo mostrerò innanzitutto nell’ambito dell’assenso. Può forse qualcuno impedirti di annuire al vero? Neppur uno. Può forse qualcuno costringerti ad accettare il falso? Neppur uno. Vedi che in questo ambito il proairetico l’hai non soggetto ad impedimenti, non soggetto a costrizioni, disimpacciato? Orsù, è diverso nell’ambito del desiderio e dell’impulso? Chi può vincere un impulso se non un altro impulso? Chi un desiderio ed un’avversione se non un altro desiderio ed un’altra avversione?” “Se,” qualcuno dice, “uno mi appresserà la paura della morte, mi costringe”. “Non è quanto viene appressato a costringerti, ma è che reputi meglio fare una di queste cose che morire. Di nuovo dunque il tuo giudizio ti costrinse; ossia proairesi costrinse proairesi. Se infatti la parte peculiare che Zeus ci diede spiccandosela, egli avesse strutturato soggetta ad impedimenti o costrizioni sue o di qualcun altro, non sarebbe più materia immortale né sarebbe sollecita di noi nel modo dovuto. Questo trovo” dice, “nelle vittime sacrificali. Questo ti significano. Se lo disporrai sei libero. Se lo disporrai non biasimerai nessuno, non incolperai nessuno, tutto sarà secondo l’intelligenza insieme tua e quella di Zeus”. Per questo dono divinatorio vengo da questo sacrificatore e filosofo, non ammirando lui per la spiegazione ma quello che spiega.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 17, § 20-29
-“Ma il tiranno incatenerà”- Cosa? La gamba. -“Ma staccherà”- Cosa? Il collo. Cosa non incatenerà e non staccherà? La proairesi. Per questo gli antichi prescrivevano il “Riconosci te stesso”.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 18, § 17
Cos’è dunque educarsi a diairesizzare? Imparare ad adattare i naturali pre-concetti alle particolari sostanze in modo consono alla natura delle cose e, orbene, a discriminare che, delle cose, alcune sono in nostro esclusivo potere mentre altre non sono in nostro esclusivo potere. Sono in nostro esclusivo potere la proairesi e tutte le opere della proairesi; non sono in nostro esclusivo potere il corpo, le parti del corpo, patrimoni, genitori, fratelli, figlioli, patria, insomma i soci. Dove porremo dunque il bene? A quale sostanza lo adatteremo? A quella in nostro esclusivo potere? -E poi non sono beni salute del corpo, integrità fisica, vita e neppure figlioli, genitori, patria?- E chi ti tollererà? Alloghiamolo dunque di nuovo qua. E’ fattibile che sia felice chi subisce danno e fallisce il bene? -Non è fattibile.- E che serbi verso i soci la condotta che si deve? E com’è fattibile? Giacché io sono nato per il mio utile. Se mi è utile avere un fondo, mi è utile anche sottrarre quello di chi mi è dintorno; se mi è utile avere una toga, mi è utile anche rubarla alle terme. Di qua guerre, conflitti civili, tirannie, insidie.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 22, § 9-14
Se questo è vero e noi non battiamo la fiacca né recitiamo quando diciamo che il bene ed il male dell’uomo stanno nella proairesi mentre tutto il resto è nulla per noi; perché siamo ancora sconcertati, perché abbiamo ancora paura? Su quanto ci industriamo nessuno ha potestà; di ciò su cui gli altri hanno potestà, di questo non ci impensieriamo. Che fastidi abbiamo ancora?
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 25, § 1-2
Sostanza del bene è un certo modo della proairesi; del male, un certo modo della proairesi. Cosa sono dunque gli oggetti esterni? Materiali per la proairesi, sui quali rivolgendosi essa centrerà il proprio peculiare bene o male. Come centrerà il bene? Se non si infatuerà dei materiali. Giacché i giudizi sui materiali, se sono retti fanno la proairesi buona; se scorretti e pervertiti, cattiva. Questa legge la materia immortale ha posto e dice: “Se disponi qualche bene, prendilo da te stesso”. Tu dici “No, da un altro”. No, ma da te stesso.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 29 , § 1-4
Questo dunque cerca di sapere da te: “A scuola cosa dicevi essere esilio, prigione, catene, morte, discredito?” “Io, indifferenti”. “Ed ora cosa le dici essere? Furono forse cambiate?” “No”. “Fosti cambiato tu?” “No”. “Dì dunque cos’è indifferente”. “L’aproairetico”. “Dì anche il seguito”. “L’aproairetico nulla è per me”. “Dì anche quali cose reputavate beni”. “La proairesi e l’uso delle rappresentazioni quale si deve”. “E quale il fine?” “Seguirti”. “Dici questo anche ora?” “Dico anche ora lo stesso”. Orbene, vattene dentro con fiducia, ricordatene, e vedrai cos’è un giovane che ha studiato ciò che si deve fra gente che non ha studiato.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 30 , § 2-5
Così pertanto, anche nella vita l’opera cardinale è quella: discrimina le faccende, scindile e dì: “L’al di fuori non è in mio esclusivo potere; la proairesi è in mio esclusivo potere. Dove cercherò il bene ed il male? Dentro, in quanto è mio”. In quanto è allotrio non nominare mai né bene né male, né giovamento né danno né nient’altro di siffatto.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 5, § 4-5
Analizza chi sei. Innanzitutto un essere umano, cioè una creatura che nulla ha di più dominante della proairesi ed il resto subordinato a questa, mentre essa è inasservibile ed insubordinabile.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 10, § 1
E dunque? Non danneggerò chi mi danneggia? Innanzitutto vedi cos’è danno e ricordati di quanto sentisti dire dai filosofi. Infatti se il bene è nella proairesi ed il male allo stesso modo nella proairesi, scruta se quel che dici non è qualcosa del genere: “E dunque? Siccome quello danneggiò se stesso commettendo un’ingiustizia contro di me, io non danneggerò me stesso commettendo un’ingiustizia contro di lui?” Perché dunque non ci rappresentiamo qualcosa di siffatto ed invece laddove vi sarà qualche menomazione corporale o patrimoniale, là danno; e laddove la menomazione riguarderà la proairesi, nessun danno? A chi è ingannato o commette ingiustizia non viene mal di testa o mal d’occhi o la sciatica né perde il fondo. E noi null’altro vogliamo che questo. Se poi avremo la proairesi rispettosa di sé e degli altri e leale oppure sfacciata e sleale, su questo non siamo neppur vicini a litigare eccetto che a scuola soltanto e finché sono discorsetti. Perciò appunto facciamo profitto finché sono discorsetti ed al di fuori di essi neppure il menomo.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 10, § 24-30
Dov’è il bene? -Nella proairesi.- Dov’è il male? -Nella proairesi.- Dove l’udetero? -Nell’aproairetico.- E dunque? Qualcuno di noi si ricorda di questi discorsi fuori della scuola? Qualcuno studia per rispondere lui su di sé in questo modo alle faccende come alle domande: “E’ proprio giorno?” “Sì”; “E che? E’ notte?” “No”; “E che? Le stelle sono in numero pari?” “Non sono in grado di dirlo”.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 16, § 1-2
Giacché dove saranno l'”io” ed “il mio”, là è necessario che propenda la creatura. Se nella carne, che là sia il dominante; se nella proairesi, che sia nella proairesi; se negli oggetti esterni, in questi. Se quindi io sono là dov’è la proairesi, solamente così sarò amico e figlio e padre quale si deve. Giacché mi sarà utile serbare l’uomo leale, rispettoso di sé e degli altri, capace di tollerare l’intemperanza altrui, di astenersi dalla propria, capace di cooperare e custodire le relazioni umane.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 19, § 19-20
Tu indaga non quel che indagano gli altri, se hanno gli stessi genitori, se sono stati allevati assieme e dallo stesso pedagogo; ma solo quello: dove pongono il loro utile, se esternamente o nella proairesi. Se esternamente, non dirli amici; non più che leali o ben saldi o fiduciosi in se stessi o liberi; anzi neppure uomini, se vi poni mente. Giacché non è un giudizio da uomo quello che fa mordere l’un l’altro, ingiuriarsi, pigliare luoghi isolati o piazze come belve le montagne e dimostrare in tribunale modi da rapinatori. Né quello che rende non padroni di sé, adulteri, corruttori; né di quant’altre contumelie gli esseri umani si coprono vicendevolmente a causa di questo solo ed unico giudizio: il porre se stessi e quanto è loro nell’aproairetico. Se invece sentirai dire che questi, gli uomini, davvero credono il bene solo là dov’è proairesi, dov’è il retto uso delle rappresentazioni; non impicciarti più se sono figlio e padre o fratelli o sono andati a scuola insieme e sono compagni. Riconosciuto soltanto questo, dichiara con fiducia che sono amici, come anche che sono leali, che sono giusti.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 22, § 26-29
Qual è la facoltà che apre e chiude gli occhi e li distoglie da ciò da cui vanno distolti e ad altro li appressa? La visiva? No, ma la proairetica. Quale serra ed apre le orecchie? Grazie a quale si diventa indiscreti e ficcanaso o, di nuovo, immoti ad un discorso? Alla uditiva? Non ad altra che la facoltà proairetica. E poi quand’essa vede di trovarsi con altre facoltà tutte cieche e sorde, incapaci di notare altro eccetto quelle opere per le quali sono state posizionate a farle da ministre e servitrici, mentre essa sola scorge con acutezza e vede dall’alto non solo le altre facoltà e quanto merita ciascuna, ma anche se stessa; ebbene, è la proairesi per dichiararci che qualcos’altro è più possente di lei? L’occhio aperto, che altro fa se non vedere? Ma se si deve guardare la moglie di qualcuno e come, chi lo dice? La facoltà proairetica. Se bisogna fidarsi delle parole dette o diffidare e, fidandosi, essere stuzzicati o no, chi lo dice? Non è la facoltà proairetica? E questa facoltà espressiva e di abbellire locuzioni -se proprio è una facoltà peculiare- che altro fa, qualora il discorso si imbatta su qualcosa, che imbellettare i nomignoli e comporli come i parrucchieri la chioma? Se sia meglio dire o tacere, parlare così o cosà, se questo sia confacente o non confacente, il tempo di ciascuna cosa ed il bisogno, chi altro lo dice se non la facoltà proairetica? Vuoi dunque che essa pervenga a votarsi contro?
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 23, § 9-15
“E dunque,” dice, “se così sta la faccenda, può quanto fa da ministro essere migliore di ciò cui fa da ministro: il cavallo migliore del cavaliere, il cane del cacciatore, lo strumento del citarista, i servitori del re?” Cos’è che usa? La proairesi. Cos’è sollecito di tutto? La proairesi. Cosa leva interamente di mezzo l’uomo, una volta per fame, un’altra per impiccagione, un’altra giù da un precipizio? La proairesi. E poi qualcosa è più potente di questo negli uomini? Com’è possibile che l’impedito lo sia di quanto non è soggetto ad impedimenti? Cos’è per natura capace di intralciare la facoltà visiva? La proairesi e l’aproairetico. Lo stesso vale per la facoltà uditiva, ed è allo stesso modo per la facoltà espressiva. Ma cos’è per natura capace di intralciare la proairesi? Nulla di aproairetico bensì essa, quando sia pervertita, se stessa. Per questo la proairesidiventa solo vizio o sola virtù.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 23, § 16-19
Perché non sei un pezzo di carne né peli ma proairesi: se avrai questa bella allora sarai bello. Finora non ho l’audacia di dirti che sei brutto, giacché reputo che tutto vuoi sentir dire fuorché questo. Ma vedi cosa dice Socrate al più magnifico e più giovanilmente fiorente di tutti, ad Alcibiade: “Prova dunque ad essere bello”. Che gli dice? “Plasmati la chioma e depilati le gambe?” Non sia mai! Ma: “Adorna la tua proairesi, estirpa i giudizi insipienti”.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 1, § 40-42
E scrutiamo i tuoi giudizi.Non è manifesto che tu poni nel nulla la tua proairesi e che scruti fuori all’aproairetico, a cosa dirà il tale e chi sembrerai essere, seun erudito, se uno che ha letto Crisippo od Antipatro? Se hai letto anche Archedemo, hai proprio tutto!
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 2, § 13
Per questo il bene pregiudica ogni legame di parentela. Nulla vi è tra me e mio padre, ma tra me ed il bene. “Sei così duro?” Sono così per natura. Questa moneta mi ha dato la materia immortale. Per questo, se il bene è altro dal bello e dal giusto, spariscono padre, fratello, patria e tutte le faccende. Che io disdegni il mio bene perché tu l’abbia, per dare spazio a te? In cambio di cosa? “Sono tuo padre!” Ma non il bene. “Sono tuo fratello”. Ma non il bene. Se però lo porremo in una retta proairesi, lo stesso serbare le relazioni diventa un bene e chi recede da certi oggetti esterni , costui centra il bene.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 3, § 5-8
A me accada di essere pigliato mentre di null’altro sono sollecito che della mia proairesi, con lo scopo di saper dominare la passione, di non essere soggetto ad impedimenti, non essere soggetto a costrizioni, di essere libero.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 5, § 7
Giacché si devono avere a portata di mano questi due principi generali: che al di fuori della proairesi nulla vi è né di bene né di male; e che non si devono precedere le faccende ma aderirvi.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 10, § 18
Forse uno può darti la notizia che concepisti male o desiderasti male? -Nient’affatto!- Ma che uno morì. Cos’è dunque per te? Che uno parla male di te. Cos’è dunque per te? Che il padre ha pronto questo e quest’altro. Contro chi? Forse contro la proairesi? E donde può? Bensì contro il corpo, contro le coserelle. Sei salvo; non è contro di te. Ma l’arbitro dichiara che hai commesso una empietà. E nel caso di Socrate i giudici non lo dichiararono? E’ forse opera tua che egli lo dichiari? -No.- Perché dunque t’importa ancora?
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 18, § 2-4
Prima differenza tra una persona comune ed un filosofo. L’uno dice: “Ahimè! Colpa del pupattolo, colpa del fratello; ahimè! colpa di mio padre”. L’altro, se mai sarà costretto a dire “Ahimè!” riflette e dice: “colpa mia”. Giacché nulla di aproairetico può impedire o danneggiare la proairesi se non essa se stessa.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 19, § 1-2 Dove invece sono proairesi ed uso delle rappresentazioni, là vedrai quanti occhi ha; tanto da farti dire che Argo, al suo confronto, era cieco. Dove trovi in lui un assenso precipitoso, dove un impulso avventato, dove un desiderio fallito, dove un’avversione che incappa in quanto avversa, dove un progetto imperfetto, dove lagnanza, dove servilismo o invidia? E’ qua la sua grande attenzione e sforzo; per il resto russa
supino: pace completa. Un rapinatore di proairesi non c’è, non c’è tiranno di proairesi. E del corpo? Sì. E di coserelle? Sì, ed anche di cariche ed onorificenze. Che gli importa di questo? Qualora dunque uno voglia incutergli paura per mezzo loro, il Cinico gli dice: “Va’, cerca dei bimbi; è a loro che le maschere fanno paura; io invece so che sono di terracotta, dal di dentro non c’è nulla”.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 22, § 103-106
L’opera di un altro contro la natura delle cose non diventi un male per te. Giacché tu non sei nato per farti serva la proairesi né per avere sfortuna in compagnia ma per avervi fortuna.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 24, § 1 Se disporrai di avere questo, lo avrai ovunque e vivrai fiducioso. In cosa? Nella
sola cosa in cui è fattibile avere fiducia, in quanto è leale, non soggetto ad impedimenti, intoglibile, cioè nella tua proairesi.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 26, § 24
Insomma ricordati che qualunque cosa onorerai al di fuori della tua propria proairesi, mandi in malora la proairesi. E fuori non c’è soltanto una carica ma anche l’assenza di una carica, non soltanto l’impegno ma anche l’agio.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 4, Capitolo 4, § 23
-A che cosa devo dunque fare attenzione?- Innanzitutto a quei principi universali; quelli tenere a portata di mano; non dormire e non alzarsi, non bere e non mangiare, non conferire con persone sprovvisto di quelli: che nessuno è signore di una proairesi altrui e che soltanto in questa stanno il bene ed il male. Dunque nessuno è signore né di procacciarmi il bene né di precingermi del male, ma io solo ho potestà su di me a questo riguardo.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 4, Capitolo 12, § 7-8
Se dunque vedrai qualcuno che si industria per l’aproairetico e che ad esso ha subordinato la propria proairesi, sappi che questo individuo ha miriadi di persone che lo costringono, che lo impediscono. Non c’è bisogno per lui di pece o di ruota di tortura per riferire quel che sa, ma lo scrollerà, caso mai, il cennuccio di una ragazzina, il segno d’amicizia di un funzionario di Cesare, la smania per una carica, per una eredità ed altre trentamila cose simili a queste.
Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 4, Capitolo 13, § 21-22
La malattia è un intralcio del corpo, non della proairesi, se la proairesi non lo disporrà. Una azzoppatura è un intralcio di gamba, non di proairesi. E questo soggiungi per ciascun accadimento, giacché troverai che esso intralcia qualcos’altro ma non te.
Io so che in ciascuno degli Stati del Mondo (e la lista ufficiale delle Nazioni Unite ne registra attualmente 192) esiste almeno una persona che comprende perfettamente cosa sia lo Stoicismo, usa sistematicamente la diairesi ed è quindi capace di essere ‘pace vivente’.
La versione completa di ‘United States of Stoicism’ è disponibile anche in pdf cliccando qui.
Epitteto soleva notare correttamente che l’afflizione di un altro è cosa allotria, e che soltanto la mia è mia. E quindi continuava:
– Io dunque farò cessare ad ogni costo la mia, giacché questo è in mio esclusivo potere. Quella allotria proverò al mio meglio, ma non proverò ad ogni costo. Se no, combatterò contro la Materia Immortale, mi contrapporrò a Zeus, mi opporrò a lui riguardo all’intero. E la mercede di questa battaglia alla Materia Immortale e di questa disobbedienza non la sborseranno “i figli dei figli” ma io in persona, di notte sobbalzando tra le visioni in sogno e di giorno, preda dello sconcerto, tremante dinanzi ad ogni annuncio, con il mio dominio delle passioni dipendente da missive scritte da altri. Ne è giunta una da Roma. “Solo non sia qualche male!” Ma che male ti può avvenire là dove non sei? Ne è giunta una dalla Grecia. “Solo non sia qualche male!” Così qualunque posto può essere per te causativo di catti-va fortuna. Non è sufficiente che tu sia sfortuna-to là dove sei; devi esserlo anche oltremare e per lettera? Le tue faccende sono sicure così? – E dunque, se moriranno gli amici di là? – Che altro sarà se non che morirono dei mortali? Ma come, vuoi invecchiare e insieme non vedere la morte di qualcuno di coloro per cui hai affetto? Non sai che, nel tempo lungo, è necessario succedano molti e svariati avvenimenti: che la febbre deve avere la meglio su uno, un rapinatore su di un altro, un tiranno su un altro ancora? Siffatto è il contesto, siffatti i sodali. Freddi e calure, cibi non ben regolati, viaggi per terra e per mare, venti e svariate circostanze uno lo fanno andare in ma-lora, un altro confinare, un altro sbattere in una ambasceria, un altro in una campagna militare. Siediti quindi in fibrillazione per tutto questo, piangente, sfortunato, preda della cattiva sorte, dipendente da altro, anzi non da una sola cosa, non da due, ma da miriadi sopra miriadi.
Ne consegue che gli individui afflitti ed infeli-ci sono necessariamente ‘guerra vivente’.
Io so, però, che in ciascuno degli Stati del Mondo (e la lista ufficiale delle Nazioni Unite ne registra attualmente 192) vivono uno o più uomini che comprendono perfettamente cosa sia lo Stoi-cismo, usano sistematicamente la diairesi e sono quindi ‘pace vivente’. E siccome tutti hanno fi-nora sempre e soltanto dato la parola agli afflitti e agli infelici, a me pare che sia finalmente venu-to il momento tanto atteso di darla agli uomini sereni e felici.
USS 001 – Chile, Santiago
– Che sorpresa vederti qui a Santiago, Victor!
– Violeta, e che piacere per me! Se hai un po’ di tempo libero, capiti proprio al momento giu-sto.
– Per cosa?
– Hai voglia di accompagnarmi? Sto andando in Avenida Andrés Bello per vedere un edificio del quale ho avuto notizie dalla mia amica Elisa Gutierrez.
– Cosa c’è di speciale in quell’edificio?
– Lo speciale sta in alcuni di coloro che vi a-bitano, e la mia curiosità nei loro confronti scatu-risce da quel mio istinto per l’archeologia che anche tu conosci. Allora, cosa decidi?
– Mi hai incuriosito, Victor Parra. Vengo con te.
– Ed eccoci arrivati, Violeta. Dunque, l’edificio che abbiamo davanti a noi è abitato da molte persone. Di queste, la maggioranza condivide quelle regole che ormai quasi tutti noi condividiamo.
– A quali regole ti riferisci?
– Anch’essi ritengono, ad esempio, di avere la responsabilità esclusiva del proprio bene e del proprio male. Come noi, infatti, sono convinti che sia impossibile immaginare un ordine morale in cui una persona faccia il male o il bene e un’altra ne abbia a soffrire o a godere, giacché bene e male, felicità e infelicità dipendono esclusivamente dalla proairesi, sono entità proairetiche.
– È proprio così. È una vera meraviglia esserci liberati da millenni di ideologie aberranti!
– Pertanto ritengono anche che chi, essendo capace di usare correttamente la diairesi, ha una proairesi atteggiata secondo la natura delle cose, è virtuoso, vive nel bene, gode di felicità e libertà e non ha bisogno d’altro se sa mantenersi in tale stato. Chi invece ha una proairesi atteggiata contro la natura delle cose, essendo incapace di usare la diairesi, come sai è vizioso, vive nel male e soffre di infelicità e schiavitù se si mantiene in tale stato. Ecco, proprio in questo edificio vive ancora un piccolo gruppo di gente che si rifiuta di usare la diairesi.
– Sono pochi questi individui?
– Fortunatamente sì; Violeta. Essi vivono nel male perché sono convintissimi che il nostro bene e il nostro male siano entità aproairetiche e consistano nel possesso di oggetti materiali o in qualcosa che altri possono fare per noi o contro di noi. La loro vita è un indefesso affannarsi per conseguire o per evitare cose ed eventi che non sono in loro potere, ma dipendono da altri o dalla pura e semplice fortuna.
– Victor, aspettiamo di vedere entrare o uscire qualcuno e proviamo a cercare di riconoscere a quale categoria di persone appartengano.
– Non è una cattiva idea, Violeta. In effetti vedrai che bastano gesti anche minimi per capirlo.
USS 002 – Burkina Faso, Ouagadougou
Il traffico in Piazza delle Nazioni Unite, nel centro di Ouagadougou, è vivace e confuso come al solito. Amadou Ouedraogo, seduto su una panchina, lo osserva e riflette sui giudizi che spingono lui a rimanere seduto e ad osservare, e gli altri a muoversi in tante direzioni diverse. Le sue riflessioni sono interrotte dall’arrivo dell’amico Blaise Kaboré, che lo saluta e si siede accanto a lui.
– Amadou, chissà com’era il traffico in questa città qualche secolo fa. Oggi nessuno usa più il petrolio per produrre energia e non riesco nep-pure a immaginare come dovesse essere inquina-ta l’aria a quei tempi.
– Sì, Blaise; siamo fortunati a questo riguardo. Ma ancora di più lo siamo perché l’uso della diairesi è diventato ormai un uso di massa.
– Hai ragione, Amadou. Qualche secolo fa nessuno credeva la cosa possibile.
– Invece è avvenuta. Basta guardare come vivono gli uomini che abbiamo attorno.
– Cos’è cambiato, rispetto a secoli fa, nell’ambito dei loro assensi e dei loro dissensi, ossia del loro dire di sì oppure di no alle rappresentazioni che la nostra mente si forma degli avvenimenti di ogni giorno?
– Oggi sono davvero pochi coloro i quali, quando vedono abbondanza di denaro o anche soltanto la immaginano, rimangono a bocca aperta e muggiscono un ‘sììììììì’ che sale loro in bocca dalle più intime viscere. Sono ormai delle rarità anche coloro che, vedendo una ragazza avvenente subito ammiccano: ‘Beato chi ci va a letto!’. E meno ancora sono coloro che, quando sentono parlare di onori e di cariche, si dichiarano in cuor loro senz’altro disposti a qualunque bassezza pur di raggiungere quel traguardo.
– Oggi denaro, sesso, onori non hanno più il valore che avevano una volta.
– È vero. Però, che c’è ancora qualcuno che, quando vede un altro piangere, subito si lascia andare a frasi del genere: ‘Poverino, come dev’essere infelice!’
– Oppure, quando incontra un senatore, invece di tenersene a quella distanza che sappiamo essere giusta, borbotta: ‘Beato lui!’
– E se gli si fa incontro qualcuno povero di denaro, lo compiange e piagnucola: ‘Meschino, non hai di che mangiare!’. Tutti costoro sono gli eredi di quella che un tempo era l’immensa schiera di coloro che, non applicando la diairesi, dice-vano di sì al giudizio che i nostri beni e i nostri mali sono entità aproairetiche. Oggi invece quasi tutti noi, prima di dire di sì o di no ad una rap-presentazione, la analizziamo come si deve, usando la diairesi.
– Anche gli scettici più incalliti hanno dovuto ammettere che questa pratica quotidiana di massa ha fatto miracoli.
– Poco fa è passato qui un signore che, proprio davanti a me, ha incontrato un industriale noto per la sua ricchezza di denaro. Egli si è certa-mente chiesto se il denaro sia un’entità proairetica o aproairetica, e dev’essersi giustamente risposto che è aproairetica. Ne avrà certo concluso che il denaro è né un bene né un male, perché l’ho visto salutare quella persona senza servilismo e senza disprezzo. Un altro, sempre qui da-vanti ai miei occhi, si è imbattuto in un cono-scente che piangeva per la morte di un figlio. La morte è un’entità proairetica o aproairetica? La diairesi deve avere risposto senza incertezza: ‘aproairetica’. Egli ne ha tratto la conseguenza che la morte è né bene né male; mentre il giudizio che la morte sia un bene o un male, ecco questo è male. Ha così potuto esprimere al suo conoscente parole di conforto e di amicizia che purtroppo sono state rifiutate con rabbia. Una terza persona, una signora, ha appena incontrato uno scienziato pieno di supponenza e di boria perché gli era stato conferito il premio Nobel. Cos’è il premio Nobel? Qualcosa di proairetico o di aproairetico? Certamente aproairetico. E guardandola attentamente ho capito che rideva di cuore, dentro di sé, per l’insipienza di chi, giudicandosi uno scienziato famoso, mostrava a sproposito una fierezza tanto sdegnosa e arrogante.
USS 003 – Switzerland, Ginevra
A Ginevra, il Rodano scorre maestoso sotto il Ponte del Mont Blanc. È piena estate. Mireille Dunant si è appena tuffata nel lago ai Bagni di Paquis e, dopo avere nuotato, è tornata a sedersi accanto alla sua amica Corinne Buscaglia.
– Mireille, mi chiedo quali siano oggi i principali desideri e le principali avversioni della gente.
– Mi è stato raccontato che qualche mese fa alcuni miei lontani parenti sono andati in vacanza a Johannesburg, in Sud-Africa; e là sono rimasti bloccati qualche giorno a causa di un improvviso sciopero degli aerei. Il forzato cambiamento di programma e l’impossibilità del ritorno a Berna alla data prevista, li ha posti in una condizione di tale angoscia e prostrazione che ora hanno giurato di non mettere mai più il naso fuori di casa. Ecco, Corinne, persone come loro sono ormai delle vere rarità, giacché oggi quasi più nessuno si lascia prendere dal panico per eventi che non dipendono da lui.
– Come le lotterie e i concorsi a pronostico?
– Esattamente. I botteghini del Lotto sono un vago ricordo del passato remoto e soltanto più in qualche sperduto cantuccio di questo paese si gioca ancora d’azzardo. Il fatto è che nessuno vede più la vincita di un po’ di denaro come qualcosa che possa cambiare in meglio, dall’oggi al domani, la vita.
– La vita terrena o la vita eterna?
– Né l’una né l’altra. Che dire di coloro che desiderano la vita eterna, l’immortalità personale? Oggi è ormai quasi impossibile trovare qualcuno che si ricordi di cosa fossero il Cristianesimo, l’Islam o l’Ebraismo.
– Qualcuno però c’è ancora?
– Credo in Sud-America. Egli rimane convinto di avere diritto alla vita eterna per promessa divina e, seppure con qualche dubbio in cuor suo, in certe occasioni frequenta dei riti che promettono di garantirgliela.
– Sai dirmi qualcosa di quali fossero le principali avversioni di quei nostri lontani antenati?
– La stragrande maggioranza di loro era piena di acciacchi, veri ma più spesso immaginari. Essi avversavano dunque la malattia e la ritenevano senz’altro un male. Una delle loro espressioni preferite e più comuni era: ‘Basta la salute! Quando c’è la salute c’è tutto!’. Insieme alla malattia essi avversavano vivamente la solitudine e si lamentavano in continuazione del fatto che nessuno si interessasse di loro, dell’abbandono in cui dicevano di essere lasciati, di essere trascurati o di non essere abbastanza accuditi. Una cosa per la quale provavano poi particolare ribrezzo era la povertà di denaro. Per evitarla avrebbero fatto, e spesso facevano davvero, qualunque cosa; anche a scapito della parentela, della lealtà e della dignità personale.
– Quest’ultima avversione era caratteristica soltanto di chi era di condizione modesta?
– No, soprattutto di chi viveva nell’agiatezza.
– La grande maggioranza di noi, invece, oggi la pensa diversamente.
– Sì, Corinne. Per esempio oggi i furti sono rarissimi, ma io conosco una persona che è stata recentemente derubata. Posso assicurarti che, guardando le pareti vuote e ripensando ai mobili che erano stati rubati, egli ha riflettuto sulla giustezza della legge universale che afferma: ‘Il migliore prevalga sempre sul peggiore’.
– È vero, Mireille: un corpo è più potente di un altro corpo; i più dell’uno; il ladro del non ladro.
– E ne ha concluso che il ladro era stato migliore di lui nel tenere d’occhio l’appartamento. Ma anche il ladro aveva pagato un prezzo per quei mobili. In cambio di quei mobili era diventato una persona sleale e belluina. E questo egli aveva reputato vantaggioso per lui!
– Oggi più nessuno pagherebbe questo terribile prezzo.
– Un altro, per strada, due sere fa, è stato oggetto di ripetuti insulti e di sputi da parte una persona che, del tutto a torto e senza fondamento alcuno, si era sentita offesa da lui. Ebbene egli ha pensato alle parole indimenticabili con le quali Epitteto bolla a fuoco l’insipienza di rispondere all’offesa con l’offesa e, grazie ad esse, ha saputo mantenersi calmo mentre l’altro dava in escandescenze.
– Triste retaggio di millenni di odio e di massacri, e luminoso esempio del modo in cui oggi quasi tutti noi reagiamo alle offese.
– Anche le manifestazioni sportive oggi non sono più occasione di passioni rissose. Tutti ormai hanno capito che è insensato parteggiare, per partito preso, per una squadra o per un’altra; e badano invece al gioco e all’abilità dei contendenti in esso. Non parteggiando, si può riconoscere e apprezzare la bravura del vincitore, chiunque sia, senza dileggiare chi perde. C’è una frase di Epitteto che oggi è ripetuta frequentemente e che dice:
Apékou kai anékou.
– La frase è in greco e la conosco bene, Mireille.
– Può essere tradotta così: ‘Astieniti e sopporta’.
– Astieniti da cosa?
– Ovviamente dall’intemperanza.
– Sopporta che cosa?
– Ovviamente l’intolleranza altrui.
USS 004 – Guatemala, Guatemala City
Alvarado Rosales e Alba Valladares si conoscono da molti anni, vivono entrambi a Guatemala City e il caso ha voluto che si incontrassero in Avenida de la Reforma.
– Alvarado, oggi come ieri tutti gli esseri umani respirano, si nutrono, evacuano, dormono, cam- minano; e sarebbe impossibile trovare, al riguardo, differenza alcuna tra di noi. Tutti proviamo lo stimolo della fame, della sete, del sonno, del sesso.
– È vero, Alba. Però è anche vero che il necessario soddisfacimento degli impulsi e delle repulsioni naturali di tutti noi è condizionato dal giudizio che bene e male consistano in oggetti esterni ed aproairetici, oppure che bene e male siano entità puramente proairetiche.
– Stento a credere che ci sia stato un periodo storico in cui gli uomini hanno creduto che bene e male fossero fuori di loro, negli oggetti esterni e aproairetici.
– Non un breve periodo, Alba. Come ben sai ci sono stati millenni interi nei quali gli esseri u-mani hanno pensato così.
– Poveri infelici! Che brutta vita devono avere fatto!
– Quando si guardavano allo specchio, per esempio, tantissimi affermavano di scorgere sulla loro pelle mille imperfezioni che li giustificavano a consumare massicciamente dei prodotti che definivano ‘estetici’ e che li spingevano a ricorrere alla chirurgia plastica. Vivevano nella paura di non avere cibo a sufficienza, e molti di loro erano affetti da bulimia. Abbiamo testimonianze di una cosa ancora più ridicola.
– Quale?
– Essi ritenevano il sesso un bene, anzi il solo e supremo bene; e lo ricercavano in ogni mo-mento e sotto qualunque forma, valutandosi tanto più fortunati e realizzati quanti più trofei potevano vantare al riguardo.
– Oggi quasi tutti siamo guidati dal giudizio che cibo e sesso sono né bene né male, e dunque abbiamo imparato a soddisfare impulsi e repulsioni naturali in modo posato, con razionalità, senza trascuratezza.
– Anche nel comportamento verso l’ambiente ci sono grandi differenze tra adesso e allora.
– Sai essere più preciso, Alvarado?
– La maggioranza, allora, si distingueva per la sua trascuratezza più totale al riguardo. Cartacce, lattine, bottigliette, residui di cibo, qualunque co-sa capitasse loro in mano poteva tranquillamente essere abbandonata dove capitava. Respiravano a pieni polmoni i gas nocivi che inquinavano le loro città e convivevano senza alcuna apparente preoccupazione con acque e terre contaminate.
– E si è visto in quali disastri sono incorsi!
– Salvo poi ad esigere una pulizia quasi maniacale dell’abitazione in cui vivevano e a provare indicibile repulsione anche per il minimo granello di polvere.
– Alvarado, tutti noi siamo stati concepiti, partoriti, allevati. Tutti siamo figli o padri e madri, fratelli, sorelle, nonni e così via. Raggiunta la maggiore età, tutti abbiamo diritti politici e facciamo parte della società civile. Anche qui c’erano differenze?
– La società civile nella quale sono nato è qualcosa in mio esclusivo potere? Sembrerà incredibile, ma la maggioranza delle persone di quei lontani tempi riteneva di sì e si affannava per costruire quella che essi erano convinti fosse la società ‘giusta’. Il risultato è stato che per guerre di religione, conflitti sociali, conflitti tra nazioni, olocausti nucleari, si sono trucidati tra di loro a miliardi.
– Davvero credevano che potesse esistere una simile società ‘giusta’?
– Essi pensavano che bene e male, giustizia e ingiustizia, libertà e schiavitù fossero cose esterne e aproairetiche, e che potessero essere incarnate da organizzazioni istituzionali. Invece oggi sappiamo con certezza che bene e male, giustizia e ingiustizia, libertà e schiavitù sono giudizi e non istituzioni, e che soltanto l’uomo singolo può essere ‘giusto’ o ‘ingiusto’, ‘libero’ o ‘schiavo’ a seconda che la sua proairesi sia atteggiata rettamente oppure non rettamente.
– L’origine delle carneficine di quel tempo sta-va proprio qui, nell’errato giudizio che faceva loro porre il bene e il male fuori di sé. Per questo non potevano che formare una massa di persone nemiche le une delle altre, pronte alla guerra, a litigare per un’eredità e a scannarsi per un tradimento.
– Proprio così, Alba. Oggi invece la stragrande maggioranza di noi pone correttamente il be-ne e il male nella proairesi, e dunque siamo attrezzati per vivere e per far sentire chiara e forte la nostra voce in qualunque contesto. La società è un gioco con delle regole che vanno rispettate, e soltanto oggi siamo attrezzati per rispettarle, poiché non abbiamo più paura che possa venircene qualche male.
– Fino a quando, Alvarado?
– Fino a quando la ragione deciderà che il gioco è ben giocato. Quando il gioco non sarà più ben giocato, lasceremo il gioco augurandoci a vicenda buona fortuna. Ma non lo lasceremo mai irragionevolmente, per mollezza o per un pretesto casuale.
Prima di lasciarla Alvarado ha regalato ad Alba un bastone da passeggio e sorridendo le ha detto:
– Prendi, Alba; questo bastone da passeggio che ti regalo è la bacchetta di Ermete. Tutto ciò che toccherai con esso, diventerà bello. So che saprai farne buon uso.
USS 005 – Mexico, Boca del Cielo
Senza più la compagnia di Luisa Cortès, morta di cancro ormai da molti anni, Tenoch Iturbide e Julio Zapata sono tornati a rivedere la incantata, solitaria baia di Boca del Cielo, sulla costa pacifica dello stato di Oaxaca, tra S. Bernabé e Santa Maria Colotepec. Soli, seduti sulla sabbia, fissano, come un tempo, l’oceano davanti a loro. -L’ultima volta che l’abbiamo vista, Luisa era seduta proprio qui, tra me e te. Tenoch, perché siamo venuti qui?- -Perché così ci è parso, Julio- -Le azioni di ogni essere umano a questo sono commisurate?- -Sì, Julio, ai suoi giudizi, al suo parere- -Ma il parere può essere o buono o cattivo- -Certamente. Se il parere è buono, la persona è irreprensibile; se è cattivo, la persona si è punita da se stessa- -Come, Tenoch, punita da se stessa?- -Sì, punita da se stessa; giacché non può essere uno quello che erra ed un altro quello che viene danneggiato- -Vuoi dire che è impossibile fare del male agli altri?- -Proprio questo. Julio, si possono uccidere gli altri, ma la natura delle cose è tale per cui è impossibile fare loro del male. L’unico male che si può fare è quello che si fa a se stessi- -E neppure del bene?- -Neppure del bene. L’unico bene che si può fare è quello che si fa a se stessi- -Tenoch, capisco che ci siamo perduti di vista da tanto tempo, ma tu dove hai vissuto? Sulla luna?- -No, sulla terra. Tra persone che per millenni hanno creduto buono adirarsi, esasperarsi, ingiuriare, biasimare, odiare, offendere e uccidersi reciprocamente per instaurare il regno della libertà, della pace e della giustizia per tutti gli uomini- -Ideali così grandi e terribili hanno questo inizio: il parere?- -Questo e nient’altro. E i millenni hanno dimostrato a iosa che si è trattato di pessimi pareri. Anche l’Iliade null’altro è che rappresentazione ed uso di rappresentazioni. Parve a Paride di menar via la moglie di Menelao e parve ad Elena di seguirlo. Se dunque a Menelao fosse parso che l’essere defraudato di una simile moglie era un guadagno, cosa sarebbe accaduto?- -Tenoch, non ci ho mai pensato…- -Non solo sarebbe andata in malora l’Iliade, Julio; ma non ci sarebbe stata neppure l’Odissea-
USS 06 – Malaysia, Kuala Lumpur
Parlando e passeggiando a Kuala Lumpur, non lontano da dove sorgevano un tempo le celebri Petronas Towers, Jalal Sirajuddin si è improvvisamente arrestato ed ha detto all’amico Lokambo Omokoko: -‘Sono due i giudizi che ho dovuto strappare dalla mia Proairesi: il primo era la presunzione di sapere; il secondo era la diffidenza. Presunzione di sapere è reputare di non avere bisogno di nulla. Diffidenza è concepire impossibile l’essere felici in questo mondo. Dunque il controllo dei giudizi mi ha strappato la presunzione di sapere. Quanto al vivere felicemente, e che non è faccenda impossibile, ho analizzato e cercato. Questa ricerca, a differenza di tante altre, non mi ha danneggiato. E quando non sono più stato capace di trovare procedendo con le mie mere risorse, ho ascoltato coloro che, prima di me, hanno cercato e trovato come sia fattibile usare senza impacci di desiderio e avversione, di impulso e repulsione, di assenso e di dissenso. Presunzione di sapere e sfiducia nella possibilità di vivere felicemente caratterizzano davvero l’atteggiarsi controdiairetico della Proairesi degli esseri umani’-
USS 007 – Samoa, Apia
Non lontano da Apia, su un muretto che costeggia la casa di Vailima dove visse i suoi ultimi anni e dove morì lo scrittore Robert L. Stevenson, Pou Tagaloa ha scritto: -La felicità dell’uomo non poté, non può e non potrà mai essere stabilita per decreto da nessuna autorità o istituzione: né dal re, né della repubblica, né dello stato comunista, né dal papa-
USS 008 – Syrian Arab Republic, Aleppo
Una sera, nella sua casa di Aleppo, Shams al-Din al-`Itaqi ha raccontato ai suoi ospiti questa favola: -Ad una certa distanza da Bagdad, un derviscio, noto per la sua devozione, trascorreva giorni tranquilli in una piacevole solitudine. Al fine di essere ricordato nelle preghiere del sant’uomo, tutto il popolo -senza distinzione di ceto, di ricchezza, di cultura – non mancava di portargli ogni giorno provviste e doni. Perciò egli non cessava di rendere grazie a Dio e di lodarne la Provvidenza che di tanti doni lo colmava. ‘O Allah! -diceva – quanto è ineffabile la tenerezza che nutri per i tuoi servi! E se penso a quanto poco io faccio per meritare i beni che la tua generosità mi elargisce! O Re dei cieli! O Padre della natura! O Pastore degli uomini! Quali lodi sarebbero mai sufficienti per cantare degnamente la tua generosità? O Allah! Grande, grande, grande è la tua bontà verso gli uomini! E quali immense cure ti prendi di tutta l’opera tua!’ Con il cuore colmo di gratitudine, il derviscio fece dunque voto di intraprendere per la settima volta il pellegrinaggio alla Mecca. Né il pensiero di una guerra che divampava allora tra Persiani e Turchi valse a distoglierlo dall’esecuzione del suo progetto. Pieno di confidenza in Dio, si mise dunque in viaggio. Con l’inviolabile tutela di un abito rispettato da tutti, raggiunge i luoghi della guerra e supera senza ostacoli le linee dei soldati. Lungi dall’essere molestato, riceve segni di rispetto e di venerazione prima da un esercito e poi dall’altro. Alla fine, preso dalla stanchezza, sente la necessità di trovare asilo contro i raggi di un sole ardente. Lo trova sotto la fresca ombra di un palmeto, le cui radici sono vivificate da un limpido ruscello. In questo luogo solitario, in un silenzio interrotto soltanto dal mormorio delle acque e dal canto degli uccelli, il prediletto di Dio trova non soltanto un incantevole luogo di riposo ma anche un cibo delizioso. Non ha che da stendere la mano per cogliere datteri ed altri frutti saporosi; il ruscello gli dà modo di dissetarsi; un verde prato lo invita a godere il dolce riposo. Quando si risveglia, compie la sacra abluzione e, in un impeto di gioia, esclama: ‘O Allah! Quanto sono grandi le tue bontà per i figli degli uomini!’ Sazio, rinfrescato, pieno di vigore e di lietezza, il celestissimo uomo prosegue il cammino. Attraversa un’amena campagna che offre al suo sguardo poggi fioriti, verdeggianti praterie, alberi carichi di frutti. S’intenerisce il cuore mirando tale spettacolo e non cessa di adorare la mano ricca e generosa della Provvidenza, che dappertutto si mostra intenta alla felicità della stirpe umana. Trova quindi l’ostacolo di un’impervia montagna. Giunto finalmente in cima ad essa, un orribile spettacolo si presenta di colpo ai suoi occhi e il suo cuore ne rimane sbigottito. Egli vede una vasta pianura interamente devastata dal fuoco e dal ferro. La misura con lo sguardo e la vede ricoperta di centinaia di migliaia di cadaveri, resti miserabili di una sanguinosa battaglia. Le aquile, gli avvoltoi, i corvi, i lupi divoravano a gara i cadaveri. Questa vista lo gettò in una cupa meditazione. Il cielo, per uno speciale favore, gli aveva concesso il dono di comprendere il linguaggio delle bestie. Ed un lupo, rimpinzato di carne umana, nel colmo della gioia ululava: ‘O Allah! Quanto sono grandi le tue bontà per i figli dei lupi! La tua previdente saggezza manda attacchi di follia a questi uomini detestabili. Tu davvero vegli sulle tue creature e ci fornisci sontuosi banchetti. O Allah! Quanto sono grandi le tue bontà per i figli dei lupi!’-
USS 009 – Bhutan, Thimphu
A Thimphu, sotto una pioggia torrenziale e al provvisorio riparo di un tetto del tempio di Changangkha, Drugon Shigpo così si rivolgeva a Sangay Ngedup: -Perché tu ritieni di essere un filo qualunque dei molti che formano la tunica- -E allora?- -E allora sei tu che devi curarti di essere simile ad altri individui, non io; come neppure un filo vuole avere qualcosa di singolare rispetto agli altri fili. Io invece decido di essere porpora, quel pochino di splendido che fa apparire anche il resto confacente e magnifico.
USS 010 – Central African Republic, Bangui
A Bangui, seduti su una panchina nei pressi nell’Ambasciata di Francia e con alle spalle il Mercato Centrale, Antoinette Bobossi Serengbe parlava con un diplomatico turco: -Antoinette, io stimo che sia la società e solo la società a produrre i mali- -Di quali mali intendi parlare?- -La fame, la miseria, la tirannia, il delitto, lo sfruttamento, l’ingiustizia e cose simili- -Sono mali per te, questi?- -Sì- -E dimmi: mali per chi li fa o mali per chi li riceve?- -Mali per chi li riceve; non certo per chi li fa- -E chi li fa?- -L’uomo, operandoli su altri uomini. Ad esempio: il tiranno comanda e gli altri ubbidiscono- -Se comandasse il giusto non sarebbe più tiranno; ma siccome comanda l’ingiusto è tiranno. E’ questo che vuoi dire?- -Sì, è questo- -Dunque tu conosci cos’è giusto e cos’è ingiusto?- -Tutti lo conoscono- -Fortunati voi che dite di avere queste conoscenze! Ma dimmi piuttosto: il tiranno opera l’ingiusto sugli altri. Così operando, cosa opera per sé: il giusto o l’ingiusto?- -Non ci ho mai riflettuto, ma mi pare che operi il giusto- -Così tu dici. E allora, chi opera il giusto non è forse felice?- -Di ciò sono certo: chi opera il giusto non può non essere felice- -Dunque converrai che il tiranno è felice- -Ne convengo- -Felice di essere tiranno; poiché, quanto a lui, egli opera il giusto. Non è dunque invidiabile la sorte del tiranno?- -Sì, è invidiabile- -E se dunque è invidiabile, non devi anche tu tendere a diventare come lui?- -Ma io non voglio diventare tiranno a mia volta. Con le tue domande, filosofo, tu intorbidi le acque e vorresti farmi dire cose ch’io non voglio dire- -Bada bene a come parli, amico mio. Non sono stata io a stabilire il principio di questa discussione. Sei stato tu, ponendo innanzi la società come generatrice di mali e il tiranno come operatore dell’ingiusto. Attraverso una catena di conseguenze logiche, io ti ho semplicemente fatto giungere alle conclusioni che erano implicite nelle tue premesse e delle quali, ora vedo, tu non ti rendevi conto. Se si pone davanti al volto di una persona uno specchio, così che quella persona vi si possa specchiare, quale colpa ha mai lo specchio se la persona, guardandosi, si ritrova brutta? Chi bisogna cambiare, allora: la persona o lo specchio? Dunque non voler fare come chi, essendo brutto e vedendosi tale nello specchio, pensasse di diventare bello spaccando lo specchio-
USS 011 – France, Parigi
Anche Marguerite Amiel è stata affascinata dal grande striscione che ondeggia al vento di Parigi, in Rue de Rivoli, e che dice: – Finora i filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo. Bene: per gli uomini non si tratta affatto di trasformarlo bensì di riconoscere la natura delle cose e di imparare com’è possibile trovare in esso la felicità.
USS 012 – Greece, Isola di Delo
È proprio a Delo, sulla Terrazza dei Leoni, che Irini Diamantopoulos ha raccontato questa favola che parla di tempi ormai remotissimi: – ‘Milioni di anni dopo avere creato l’universo, l’onnipotente Zeus si volse un giorno a considerare la varietà delle creature che lo popolavano. E considerando tale varietà e trovandola quasi infinita, il Dio se ne compiacque. E compiacendosi a un tempo della propria potenza e saggezza, disse: ‘Tutto ciò che la mia mente ha creato sia sacro e tutto ciò che è uscito dalla mia mano sia ben fatto. Il movimento che io infusi nella Materia quando dapprima la concepii, poiché ha dato così buoni frutti, continui in eterno’. E guardate le piante della terra e gli animali che popolavano le sue acque, Zeus finalmente passò ad altri pensieri e ad altre cure. Passati altri milioni di anni, Zeus si volse di nuovo a contemplare l’universo da lui creato. E la varietà e la bellezza di ciò che il suo occhio osservava non cessavano di crescere. Compiaciuto della propria potenza e grandezza, egli appuntò la sua attenzione su un piccolo pianeta chiamato ‘Terra’ e su una creatura che non aveva mai scorto prima. Notò che questa creatura aveva capacità che nessun altro animale aveva. E quando intese queste creature discorrere tra di loro, capì che esse avevano inventato il linguaggio. Allora Zeus fu preso da timore ed ebbe la certezza che prima o poi tali creature avrebbero usurpato il posto che nell’universo spettava agli Dei. Riunito dunque il Consiglio di tutte le Divinità che gli erano sottoposte, Zeus disse: ‘Prendiamo provvedimenti affinché l’uomo non diventi padrone dell’universo’. Ma subito Ermes obiettò: ‘Padre, nulla noi dobbiamo temere da queste nuove creature. Fino a che esse avranno un linguaggio, sempre lo useranno per onorarci. Infatti la nascita del linguaggio coincide con la nascita dell’idea di divinità’. Zeus non fu convinto dalle parole di Ermes e replicò: ’Chi ci assicura che gli uomini non imparino ad usare correttamente il linguaggio? E’ meglio sterminarli del tutto, così da eliminare ogni rischio’. Ares fu subito d’accordo con Zeus e si offrì all’istante per la bisogna. Ma Atena fece notare a Zeus che anche quelle strane creature erano manifestazioni del movimento di cui lui aveva informato la Materia e che dunque il distruggerle sarebbe stata quasi un’ammissione di avere errato. E come poteva Zeus onnipotente essere accusato di errore? Zeus concordò con Atena e allora, dopo molto discutere tra gli Dei, fu deciso quanto segue. Ermes sarebbe sceso sulla terra e avrebbe rapito in cielo un uomo e una donna. Queste due creature sarebbero poi state poste nel Paradiso Celeste e qui osservate attentamente giorno e notte. Così fu fatto; e in breve volgere di tempo si scoprì che la straordinarietà dell’uomo dipendeva dalla straordinarietà del suo cervello. Un cervello che era capace di inventare il linguaggio ma che era anche capace di scorgerne i limiti. E questo era segno certo che gli Dei sarebbero stati prima o poi detronizzati dagli uomini. Riunì allora Zeus nuovamente il Consiglio di tutte le Divinità che gli erano sottoposte e Atena disse: ‘Per porre riparo alla tremenda minaccia che ci sovrasta propongo di togliere all’uomo e alla donna il loro presente cervello e di sostituirlo con una protesi all’apparenza del tutto uguale. Efesto saprà bene operare alla bisogna. La differenza tra individui con la protesi e individui con il cervello sia soltanto questa: che gli individui con la protesi non siano in grado di rendersi conto dei limiti del linguaggio; credano nella esistenza indipendente delle idee; siano dunque infelici e si pongano in eterno, senza mai trovare una risposta, queste domande: ‘Da dove veniamo? Dove andiamo? Chi siamo? Perché il Male nel mondo?’. Con l’aiuto di Afrodite, dotiamo anche queste due creature di una capacità generativa maggiore di quella che si trovano ora ad avere e riportiamole sulla terra’. Tutti gli Dei concordarono con il progetto di Atena, e così fu fatto. Efesto costruì le protesi, le sostituì ai cervelli e Afrodite dotò l’uomo e la donna della capacità generativa proposta. Poi Ermes riportò le due creature sulla terra. Tornate sulla terra, quelle due creature senza cervello generarono una grande quantità di figli; e i figli dei loro figli si moltiplicarono in tale copia da sopravanzare rapidamente il numero degli uomini che ancora possedevano il cervello. Per lunghissimo tempo questi ultimi furono ridotti a pochi esemplari, mentre la grande massa degli esseri umani fu per millenni infelice e adorò il linguaggio. E intanto gli Dei li guardavano dall’alto e tacevano’.
USS 013 – New Zealand, Auckland
Su una bancarella di un mercatino di vecchi libri in Queen Street, ad Auckland, spicca la copia di un’edizione molto antica del ‘Manuale’ di Epitteto. Il libro è certamente appartenuto ad un Maori di nome Rakiura Wakihuatanga e la citazione manoscritta leggibile sulla prima pagina può essere tradotta così: – ‘Giacché non sono eterno, no. Sono un uomo; una parte del tutto, come un’ora di un giorno. Instare io devo come l’ora e come un’ora trapassare’.
USS 014 – Bolivarian Republic of Venezuela, Caracas
A Caracas, nel Parque Carabobo, Gabriel Alejandro Baduel ha guardato negli occhi Majandra Frias, ne ha ascoltato le parole tacendo e ha pensato: ‘Perché burlarmi di te? Perché distoglierti dalla consapevolezza dei tuoi mali? No. Intendo mostrarti l’opera della virtù, affinché impari dove cercare il profitto. Non cercarlo là dove non è. Cercalo là, disgraziata Majandra, dov’è l’opera tua. E dov’è l’opera tua? Nel desiderio e nell’avversione, per non fallire il segno nell’uno e non incappare nell’oggetto dell’altra; negli impulsi e nelle repulsioni, per essere al riparo dalle aberrazioni; nella proposizione e sospensione dell’assenso, per essere al riparo dall’inganno’.
USS 015 – Nicaragua, Managua
Dinanzi al Teatro Nazionale ‘Rubèn Dario’, Dora Maria Martinez è pazientemente in coda. È la prima volta che a Managua viene messa in scena una commedia di Goldoni. Giunta quasi all’ingresso del teatro, avverte alle sue spalle una specie di fruscio, al quale non fa troppo caso. Quando è ormai seduta in poltrona si accorge che dalla sua borsetta è sparito il portafoglio. Dora tira un profondo respiro e riflette sul fatto che i più hanno paura della necròsi del corpo ed escogiterebbero di tutto pur di non incappare in qualcosa di simile; ma che nulla loro importa se si necrotizza la proairesi. Infatti, se sarà necrotizzata la lealtà, l’onestà intellettuale, il rispetto di sé e degli altri, questo lo chiamano ‘furbizia’ o addirittura ‘forza’.
USS 016 – Bulgaria, Varna
In compagnia di Anastasia Karakachanov, Ivan Stanishev sta guardando le cupole della Cattedrale dell’Assunzione della Vergine dorate dal sole che splende su Varna. Ivan ha una grande ammirazione per Anastasia e forse prova per lei qualcosa che va anche al di là dell’ammirazione. C’è un po’ di incertezza nella sua voce, quando finalmente le chiede: – Anastasia, cos’è la ‘proairesi’? Qui qualcuno ha ancora dei dubbi in proposito. – Cos’è la proairesi? Ti rispondo subito. Chiediti qual è la facoltà che ti fa aprire o chiudere gli occhi dinanzi a certi spettacoli. È forse l’occhio stesso, la tua facoltà visiva? Certamente no. Quale facoltà ti spinge ad ascoltare o ad evitare l’ascolto di certi discorsi? È forse l’orecchio in quanto tale, la tua facoltà uditiva? Certamente no. L’occhio aperto non fa altro che vedere. Ma se tu debba guardare il marito di qualcuna e come lo debba guardare, chi lo dice? L’orecchio non fa altro che sentire. Ma se diventi indiscreta e ficcanaso oppure rimani indifferente ad un discorso, chi lo dice? Se devi fidarti oppure diffidare di certe promesse, chi lo dice? Ecco, a dirlo è proprio la tua ‘proairesi’. Essa non è altro che la facoltà logica, razionale, tua, mia, di tutti gli esseri umani, quando sia considerata come facoltà autoteoretica, inasservibile, insubordinabile, capace di usare le rappresentazioni e di comprenderne l’uso e alla quale tutte le altre facoltà umane sono subordinate.
USS 017 – Rwanda, Kigali
A Kigali, un grande Memorial Centre ricorda ancora le vittime del genocidio iniziato pochi anni prima della fine del secondo millennio. Sostando dinanzi alle immagini delle fosse comuni, Faustin Mukezamfura ha chiesto a Jean Twagiramungu: – Dunque, imprese così rilevanti sono dipese da una faccenda talmente piccola? – Faustin, quali imprese chiami così rilevanti? – Guerre, conflitti civili, perdita di molti esseri umani, sia Tutsi che Hutu, e stermini di città. – E cos’hanno di grande questi avvenimenti? – Nulla? – Che ha di grande il fatto che muoiano molti buoi e molte pecore e che molte nidiate di rondini o di cicogne siano date alle fiamme e sterminate? – Questi avvenimenti sono dunque simili a quelli? – Similissimi. Sono andati in malora corpi di esseri umani e di buoi e di pecore. Sono state date alle fiamme stanzette di esseri umani e nidi di cicogne. Che c’è di grande o di terribile in ciò? Oppure mostrami in cosa differiscono, come dimora, la casa di un uomo e il nido di una cicogna. – Dunque, per te, cicogna e uomo sono la stessa cosa? – Perché dici: la stessa cosa? Quanto al corpo, sì: la stessa cosa. Eccetto che in un caso le casette sono edificate con travi, tegole e mattoni; nell’altro con rametti e argilla. – Dunque un uomo non differisce in nulla da una cicogna? – Non sia mai! Ma, quanto al corpo, non differisce; giacché gli stessi atomi compongono il corpo tanto dell’uno quanto dell’altra. – Per cosa dunque differisce? – Cerca e troverai che per altro differisce. Vedi se non è per il possesso della proairesi, per il comprendere quanto fa; vedi se non è per la lealtà, il rispetto di sé e degli altri, la sicurezza nell’uso delle rappresentazioni, la razionalità. – Dov’è dunque il grande negli uomini, in bene e in male? – Il grande negli uomini, nel bene e nel male, sta là dove sta la loro differenza rispetto ad una cicogna: nella proairesi. Se questa differenza sarà salvaguardata, permarrà ben fortificata e non rovineranno il rispetto di sé e degli altri né la lealtà né la razionalità, allora si salva anche l’uomo. Ma se qualcosa di questa differenza va in malora e cede all’assedio, allora anche l’uomo va in malora. Le grandi faccende stanno in questo. Hitler fece qualcosa di grande quando i Tedeschi attaccarono la Polonia e scatenarono la seconda guerra mondiale? Nient’affatto! Allora venivano soltanto devastati dei nidi di cicogne. Il grande e terribile nel male avvenne ben prima e fu quando Hitler mandò in malora l’uomo rispettoso di sé e degli altri, l’uomo leale, conscio delle inviolabili leggi della natura delle cose, il cittadino del mondo. Questo è il prezzo dell’ignoranza della diairesi. Questi sono gli umani inciampi, questo è l’assedio, questo è lo sterminio: quando i retti giudizi sono demoliti, quando rovinano le differenze tra l’uomo e la cicogna. Questo è il prezzo della controdiairesi. – Qualora le donne siano dunque condotte via e i bambini fatti prigionieri e le persone scannate, questi non sono mali? – Donde presumi che, per chi li subisce, questi siano mali? Insegnalo anche a me! – No; ma come fai tu a dire che, per chi li subisce, non sono mali? – Essi sono mali per chi li fa, non per chi li subisce. Veniamo ai canoni, porta i preconcetti. Per questo non mi stupisco mai abbastanza di quel che accade. Laddove disponiamo di giudicare pesi, non giudichiamo a casaccio. Laddove si tratta di linee rette e curve, non giudichiamo a casaccio. Insomma dove il riconoscere quanto è vero in un ambito fa per noi differenza, nessuno di noi fa mai qualcosa a casaccio. Ma dove c’è il primo e solo causativo dell’avere successo o di aberrare, dell’essere felici o no, sfortunati o fortunati, qua soltanto siamo avventati e precipitosi. Da nessuna parte sappiamo vedere qualcosa simile ad una bilancia, da nessuna parte sappiamo trovare qualcosa simile ad un canone, ma: ‘qualcosa mi pare e subito dico e faccio quel che mi pare’. Giacché io e te siamo migliori di Hitler o di Stalin o di tanti altri dei quali conosciamo fatti e misfatti, così che mentre quelli, seguendo i loro pareri fanno a se stessi e sperimentano in se stessi siffatti orribili mali, a noi invece basta il parere? E quale tragedia ha altro inizio? L’Edipo di Sofocle, cos’è? Il parere di Edipo. Dunque non darsi sollecitudine alcuna di ciò, di chi lo reputi proprio? Come sono detti coloro che seguono unicamente e in tutto il loro parere, senza badare alla diairesi e all’inviolabile natura delle cose? – Pazzi. – E tu fai qualcos’altro?
USS 018 – Austria, Salisburgo
La sera scende dolcemente su Salisburgo e il Salzach scorre lento sotto lo Staats- Brucke. Attraversato il ponte, Joerg Gusenbauer ed Eva Strache-Nowotny entrano nella Getreidegasse e dopo pochi passi si trovano di fronte alla casa natale di Mozart. – Eva, me lo avevi promesso. Ed io ora sono pronto ad ascoltarti e ad imparare cos’è la ‘diairesi’. – Mantengo la promessa. La diairesi è un giudizio che tu usi continuamente, anche se non te ne rendi conto. Te lo spiego nel modo più semplice possibile. Chiediti se tutto ciò che esiste è in tuo esclusivo potere, oppure se nulla di ciò che esiste è in tuo esclusivo potere, oppure se di ciò che esiste alcune cose sono in tuo esclusivo potere ed altre non lo sono. Vediamo. Essere sano o ammalarti è in tuo esclusivo potere? – Certamente no. – Avere molto o poco denaro è in tuo esclusivo potere? – Certamente no. – Avere un lavoro o un lavoro di un certo tipo è in tuo esclusivo potere? – Neppure questo. – Chiediti adesso se esiste qualcosa che sia in tuo esclusivo potere. Può qualcuno farti assentire ad un’affermazione falsa? – Nessuno. – Può qualcuno costringerti a propendere verso qualcosa che ti ripugna? – No, nessuno lo può. – Chi può forzarti a desiderare ciò che non vuoi? – Nessuno. – Resta così dimostrato che delle cose che sono, alcune sono in tuo esclusivo potere ed altre non sono in tuo esclusivo potere. In tuo esclusivo potere sono dunque, ad esempio, valutazioni, progetti, desideri, impulsi. Tutte queste entità possono essere definite ‘proairetiche’. Non sono invece in tuo esclusivo potere cose come il corpo, il patrimonio, la reputazione, il lavoro, eccetera. Tutte queste entità possono essere definite ‘aproairetiche’. – Cos’è dunque la diairesi? – La diairesi è il giudizio che ti fa capace di distinguere in qualunque situazione quanto è in tuo esclusivo potere e quanto invece non lo è. – Fammi ancora un esempio. – Dimmi: la casa che abbiamo dinanzi è qualcosa di proairetico o di aproairetico? – Aproairetico. – La venerazione che hai per la musica di Mozart è qualcosa di proairetico o di aproairetico? – Proairetico. – Ecco: per darmi queste risposte hai usato la diairesi.
USS 019 – Viet Nam, Hanoi
Ad Hanoi, in uno degli accoglienti giardini situati all’interno del maestoso Van Mieu Quoc Tu Giam, è conservata una lapide in marmo sulla quale è stato inciso questo pensiero di Bui Xuam Khiem: – ‘Per questo è brutto per l’uomo iniziare ed esaurirsi laddove lo fanno anche le creature sprovviste di ragione. Ma piuttosto egli deve iniziare di qua ed esaurirsi su ciò su cui si esaurì nel nostro caso la natura. Ed essa si esaurì in noi su conoscenza di principi generali, comprensione dell’uso delle rappresentazioni e il tragittarsela in armonia con la natura delle cose. Vedete dunque di non morire senza essere stati spettatori di ciò’.
USS 020 – Netherlands, Amsterdam
– Qualora uno abbia nella vita il posto che gli spetta, non sta a bocca aperta per le cose di fuori. Jan, cosa vuoi che ti accada? Io mi accontento se desidererò e avverserò secondo la natura delle cose; se userò impulso e repulsione come sono nata per fare; e poi proposito, progetto, assenso. Perché mi cammini davanti come se avessi ingoiato uno spiedo? – Beatrix, te l’ho ripetuto tante volte. Io voglio il premio Nobel. Io voglio che quanti incontro mi ammirino e, seguendomi, mi acclamino gridando: ‘Oh, che grande scrittore!’. – Chi sono costoro dai quali vuoi essere ammirato? Non sono coloro dei quali sei solito dire che sono imbecilli? E dunque? Vuoi essere ammirato dagli imbecilli? I rintocchi delle campane della Westerkerk inondano lo Herengracht di una Amsterdam ancora assonnata, mentre Jan Peter Balkenhorst e Beatrix Van Dillen prendono strade diverse.
USS 021 – Fiji, Nadi
Seduti sul pavimento di un ‘bure’ di Nadi, tutti sono riuniti attorno alla grande scodella di legno piena di yaqona. Ognuno ne berrà usando, a turno, un guscio di noce di cocco tagliato a metà. – Sì, e mi colano pure i mocci dal naso! borbotta con voce lamentosa Sitiveni – Per cos’hai dunque le mani? Non è anche per pulirti il naso? lo rimbrotta Ratu Nailamarama – Ma è ragionevole un ordine del mondo nel quale esistono anche i mocci? Non sarebbe migliore un mondo senza mocci? – Certamente peggiore di quello presente e vero, il quale prevede, dandotene la facoltà e i mezzi, che tu ti smocci invece di incolparlo di assenza di razionalità. Pulisciti, dunque, e poi bevi senza prendertela con l’ordine del mondo. Sitiveni Lesavua non risponde e pare non sentire. Se ne sta seduto a occhi bassi, muto, tremante, con la proairesi fissa ad implorare che non gli succedano alcune cose; mentre per quelle che gli capitano sempre si rammarica, piange, geme e bestemmia.
USS 022 – Romania, Timisoara
Sono diventate celebri le parole che pronunciò Mircea Basescu, che ora è Prefetto a Brasov, quando passò da Timisoara di ritorno dal suo esilio volontario. Infatti, inveiva contro la vita che aveva precedentemente condotto e professava che non si sarebbe mai più industriato che per tragittarsela in quiete e dominio sullo sconcerto per il resto dei suoi giorni. – ‘Giacché’, proclamava, ‘quanto mi resta ancora da vivere?’ L’amico Traiàn Tariceanu gli diceva: – ‘Non lo farai. Al contrario, appena fiutata l’aria di Bucarest dimenticherai tutto questo. E se troverai pure un modo qualunque per rientrare nel giro dei cosiddetti politici, io ti dico che farai di tutto per farti largo e ne ringrazierai Dio’. Al che Mircea replicava: – ‘Traiàn, se saprai che io ho di nuovo posto anche un solo piede nella merda della politicheria, allora concepisci pure di me le cose peggiori che vuoi!’. Or dunque, che fece il buon Mircea? Ancor prima di arrivare a Bucarest gli recapitarono certe lettere. Lui, presane conoscenza, si scordò di tutti quei propositi e, orbene, ha accumulato una carica sopra l’altra. Traiàn si diverte, a volte, ad immaginare di stargli vicino – ma non troppo vicino – per richiamargli alla memoria i discorsi che faceva quand’era di passaggio qui a Timisoara e dirgli: ‘Quanto sono più raffinato indovino di te!’
USS 023 – Angola, Luanda
Il mercato Roque Santeiro, popolato ogni giorno da un milione di persone, è il più grande di Luanda e il più grande di tutta l’Africa. Josefina Victoria Ngonda e Angelita Muachicungo fanno compostamente la fila davanti a una panetteria. – Ne sei persuasa o no, Angelita? – Ne sono persuasa. – Pertanto, qualora facciamo qualcosa non rettamente, da oggi in poi non chiameremo in causa altro che il giudizio in base al quale la facemmo, e quel giudizio proveremo ad estirpare e recidere più che un tumore o un ascesso del corpo. – E allo stesso modo sarà un giudizio la causa di ciò che effettuiamo rettamente. – É così. Pertanto non daremo più la colpa di qualche nostro male né al vicino di casa, né al marito, né ai figli; persuase che tutti noi effettuiamo qualcosa unicamente se lo reputiamo vantaggioso. Infatti, quanto al reputare o non reputare siamo unici signori noi e non gli oggetti esterni. – E’ proprio così, Josefina. – Quindi da oggi null’altro sopravvederemo o indagheremo; né il denaro, né il lavoro, né la casa, né la salute, né la pace, né la guerra, ma i nostri giudizi riguardo a ciascuna di queste cose. – Lo auspico, e personalmente farò un esame dei miei giudizi. – Che poi questo non sia affare di un’ora sola o di un giorno, siamo tutte e due d’accordo. A pochi passi, donne con tinozze di plastica colorata vendono di tutto ai margini della strada.
USS 024 – Nigeria, Lagos
– Una volta conosciuta la natura delle cose, bisogna venire ad educarsi all’uso della diairesi non per cambiare le premesse (giacché ciò non ci è dato né è meglio), ma perché stando le cose intorno a noi come stanno, noi teniamo la nostra intelligenza conciliata agli avvenimenti. Habu, è forse sensato fuggire la relazione con le persone? – E com’è possibile, Odumegwu? È del tutto insensato. – Stando con loro, cambiarle? – E chi ci da questo potere? – Nessuno. Dunque cosa dobbiamo fare, quale accorgimento dobbiamo trovare per convivere con esse? – Dobbiamo trovare un accorgimento tale che esse faranno quanto loro pare e noi nondimeno staremo in accordo con la natura delle cose. – Hai detto bene, Habu. Invece tu sei indolente e trovi sempre un’occasione per dispiacerti. Se sei solo, chiami questo isolamento; se stai con altre persone, le chiami insidiose e traditrici. Biasimi i tuoi genitori, umìli i tuoi figli, inveisci contro i tuoi fratelli, denigri i tuoi vicini. Se rimani solo dovresti invece chiamare questo quiete e libertà, e ritenerti simile agli dei. Stando fra molti, poi, non dovresti chiamare questo folla né trambusto né spiacevolezza, ma festa e sagra, e così tutto accogliere con compiacimento. – Hodumegwu, qual è dunque il castigo per coloro che non accettano la natura delle cose? – Lo stare come stanno. Uno si dispiace di essere solo? Ecco che si ritiene in isolamento. Un figlio si dispiace dei genitori? Ecco che si ritiene sfortunato e piange. Un genitore si dispiace dei figli? Ecco che si amareggia e geme. Non c’è bisogno di prigione. La sua prigione è essere dov’è. Giacché vi è suo malgrado, e dove uno è suo malgrado quella è per lui prigione. Sul carcere di Lagos scende la sera. Per Habu Obasanjo e Odumegwu Maiturare sarà lunga la notte.
USS 025 – Colombia, Bogotà
– Giacché libero è colui cui tutto accade secondo proairesi e che nessuno può impedire. – L’hai detto, Magdalena. Dunque la libertà è demenza. – Non sia mai, Cesar! Demenza e libertà non sono affatto la stessa cosa. – Ma io voglio che succeda tutto quello che reputo debba succedere e in qualunque modo lo reputerò. – Tu sei pazzo, tu vaneggi. Tu vuoi che accada quanto hai reputato a casaccio. Questo non soltanto non è libertà, ma è la cosa più brutta di tutte. Come fai con i caratteri dell’alfabeto? Decidi di scrivere il nome ‘Buenaventura’ come vuoi tu? – No, mi viene insegnato come disporre le lettere dell’alfabeto in modo che la parola ‘Buenaventura’ sia scritta come si deve. – Che cosa facciamo con le note musicali? – Allo stesso modo. – Cosa facciamo, in generale, laddove è in gioco un’arte o una scienza? – Facciamo la stessa cosa. – E’ così, altrimenti di nessun valore sarebbe l’avere scienza di qualcosa, se ciò si acconciasse alle decisioni casuali di ciascuno di noi. Qui dunque, soltanto su quanto è massimo e sommamente dominante, sulla libertà, ti è lecito e possibile volere a casaccio, come capita? Nient’affatto! Ma educarsi ad usare la diairesi significa esattamente imparare a disporre ciascuna cosa così come accade. E come accade? Com’è dettato dalla natura delle cose. E la natura delle cose è tale che vi sono caldo e freddo, profusione e penuria, virtù e vizio e tutte le opposizioni siffatte per l’armonia dell’intero… Una frazione di secondo dopo, Magdalena Tolima Diaz è esanime sull’asfalto della Calle 20 di Bogotà e l’automobile che l’ha investita fugge via veloce. Cesar Choco Velez non si è ancora reso conto di cosa sia successo.
USS 026 – Oman, Mascate
Ritto dinanzi al portone del Forte di Jalali, Said fissa il massiccio Jebel al-Akhdar e ha il dono di intenderne l’impetuosa e possente voce. – Said, quando tu smani e aduli coloro che sono in posizioni di potere, stai rappresentando te stesso come un insieme di visceri, di budella e di coglioni. Se conoscessi l’infelicità, l’interiore miseria di coloro al cui posto vorresti essere, cambieresti i tuoi giudizi al riguardo. – Intendi parlare di Re, Sultani, Presidenti, alti Ufficiali e così via e così via, scendendo sino al piccolo Direttore di banca? Il prezzo che si paga per arrivare là è l’infelicità e la miseria interiore? – Dal più grande al più piccolo è esattamente questo, Said. E devi giudicare non una fortuna bensì una vera disgrazia lo smaniare per prendere il loro posto. Perciò di quanto essi possono fare, tu non devi impensierirti affatto. Di quanto importa davvero a te, sappi che nulla di questo essi possono fare. Il sole è ormai alto su Mascate. Il turno di guardia di Said Bin Taimur è finito e il vento che scendeva dal Jebel al-Akhdar si è calmato del tutto.
USS 027 – Finland, Rovaniemi
In una modesta casetta nei dintorni di Rovaniemi, proprio sul Circolo Polare Artico, Annikki Kuosmanen oggi ha messo a letto la sua piccola Elina e, per farla addormentare dolcemente, le ha cantato questa ninna-nanna: – ‘Riguardo al corpo, gioia cara, tu sei una parte dell’intero. Ma quanto alla ragione, per nulla sei peggiore degli dei né più piccola di loro. Giacché la grandezza della ragione non si determina dalla lunghezza né dall’altezza, ma dai giudizi’.
USS 028 – Islamic Republic of Iran, Teheran
– Un centinaio di persone sono riunite nella Hosseiniye Ershad per ascoltare Ali Hashemi Behbahani che parla della ‘Natura delle cose’. Ali sta dicendo che ‘l’uomo vive libero non quando vuole che accadano, quando e come ha deciso lui, tali e talaltre cose che non sono in suo esclusivo potere, bensì quando ha imparato ad aderire a ciò che accade, e che non è in suo esclusivo potere, secondo che accade. Non bisogna fraintendere questa affermazione come un’equiparazione di libertà a ‘passività’ o ‘rinuncia’. L’individuo inizia il suo cammino di libertà allorquando capisce la natura delle cose, ossia impara a distinguere tra ciò che dipende esclusivamente da lui e ciò che non dipende esclusivamente da lui. Volere cose che non dipendono esclusivamente da noi è come voler vincere in qualunque gioco e ogni volta che si gioca. Ma, perbacco, l’uomo libero ‘delibera’ – senza poter essere impedito da alcuno – che ogni accadimento si verifichi in armonia con la natura delle cose….’ Improvvisamente si odono grida provenire dalla Shariati Avenue e subito dopo nella sala fanno irruzione tre individui, due dei quali sono armati. Uno si ferma all’ingresso della sala e con un Kalshnikov minaccia i presenti. Gli altri due si dirigono velocemente verso il tavolo dietro il quale Ali sta parlando. Uno dei due cava di tasca un foglio e legge qualcosa di cui si fa in tempo ad intendere soltanto ‘In nome di…’ mentre il resto è già coperto dal fragore del colpo di pistola del terzo individuo che fa esplodere la testa di Ali. Così inizia la memorabile serie di articoli nei quali Kajar Muzaffar raccontò a suo tempo i fatti di Teheran. Quella corrispondenza ha fatto epoca e merita di essere continuamente ripubblicata.
USS 029 – Ecuador, Guayaquil
A Guayaquil, centinaia di grosse iguane vivono pacificamente in centro città nel Parque Seminario, all’incrocio tra le Avenidas Chile e 10 de Agosto. Come tanti altri, Manuel Enrique Villafuerte e Xavier Cifuentes hanno portato con sé un po’ di cibo, che servirà a far scendere le iguane dagli alberi sui cui rami più alti esse passano di preferenza le ore più calde della giornata. – Che splendido rettile è l’iguana! Manuel, nessuna di esse ha mai bisogno di farsi più bella di quel che naturalmente è, mentre io non sono quasi mai soddisfatto di come sono. – Xavier, riconosci innanzitutto chi sei e adornati di conseguenza. Tu non sei un’iguana ma un essere umano: cioè una creatura mortale atta ad usare le rappresentazioni in modo logico. Cos’hai dunque di singolare rispetto all’iguana? La creatura? – No, anche l’iguana è una creatura. – Il mortale? – No, anche l’iguana è mortale. – L’usare le rappresentazioni? – No, anche l’iguana usa le rappresentazioni. E cosa vuol dire ‘in modo logico’? – Significa: in modo perfettamente ammissibile con la natura delle cose. – Manuel, allora la mia unica singolarità è la logicità. Ossia una proairesi capace di distinguere tra ciò che è in mio esclusivo potere e ciò che non lo è? Questa devo adornare ed abbellire?
USS 030 – Russian Federation, San Pietroburgo
– Lev Nikolaevic, cosa dispone la natura delle cose? – Che tu, Anna, sia felice e serena. – Come posso essere felice e serena? – Desiderando il bene ed avversando il male. – E qual è il mio bene? – Ottenere ciò che desideri e non cadere in ciò che avversi. – Come posso ottenere ciò che desidero e non cadere in ciò che avverso? – Imparando a distinguere ciò che dipende esclusivamente da te e ciò che non dipende esclusivamente da te. – E sono possibili comportamenti contro la natura delle cose? – Sì, sono possibili. – Lev Nikolaevic, quando ci si comporta contro la natura delle cose? – Quando si sbaglia in quella distinzione fondamentale che si chiama diairesi, ossia quando si giudicano come dipendenti esclusivamente da noi cose che non dipendono esclusivamente da noi e viceversa. – Che cosa accade, allora? – Che noi non otteniamo ciò che desideriamo e che cadiamo in ciò che avversiamo. – Ma io ho pur sempre desiderato il mio bene ed avversato il mio male! – Certamente. Il fatto è, però, che ti sei ingannata su quale fosse il tuo bene e quale fosse il tuo male. Come ben vedi, infatti, invece di libertà e felicità hai ottenuto infelicità e schiavitù. – E questo la natura delle cose non lo dispone? – No. La natura delle cose è assoluta, invariante e valida per tutti senza distinzione, qui a San Pietroburgo come dovunque nell’universo. Siamo noi uomini ad essere relativi ad essa. La tua infelicità è semplicemente il segno tangibile che tu hai tentato di violarla. Ecco il comportamento contro la natura delle cose. – E fino a quando sarò infelice? – Fino a quando non ti renderai conto dell’errore logico nel quale sei caduta. Dopo avere baciato ancora una volta Anna Arkàdievna, Lev Nikolaevic Vronskij è poi scivolato via nella penombra della notte estiva.
USS 031 – India, Diu
Quella mattina arrivava fino agli spalti del Forte di Diu un tenue e non sgradevole profumo di pesce in essiccazione. Affacciati sull’Oceano Indiano, dall’alto del bastione di San Giorgio, Kavita Krishnamurthy e Muktananda Paswan si tenevano per mano e guardavano lontano. – Muktananda, dimmi: gli uomini nascono o sono immortali e sempre gli stessi dai tempi più remoti? – Ovviamente nascono, Kavita. – E muoiono o sono immortali? – Muoiono. Non ho mai sentito parlare di uomini immortali. – E dimmi ancora: la tua nascita è dipesa da te o da qualcun altro? – Non è dipesa da me, bensì da mio padre e da mia madre. – E tu sei nato quando hai voluto oppure no? – No. Né prima, né durante, né subito dopo la nascita mi rendevo conto di ciò che accadeva. – Dunque la tua nascita è qualcosa che non è dipeso da te e della quale tu non sei responsabile? – E’ così. – Ed il comportamento dei tuoi genitori è stato un comportamento naturale oppure no? – Sì, è stato un comportamento naturale, poiché è secondo natura avere figli. – E non avere figli è un comportamento secondo natura oppure contro natura? – Anche non avere figli è un comportamento secondo natura, giacché avere figli non è qualcosa in nostro esclusivo potere, e la natura stessa genera individui irrimediabilmente sterili. – Hai detto benissimo, Muktananda. Ed ora dimmi: gli uomini muoiono per una causa di morte sola o per molte? – Per moltissime cause: chi di vecchiaia, chi per una malattia, chi per un incidente qualunque, chi di propria mano si suicida. – Tralasciando per ora il caso dei suicidi, dimmi: il permanere tu in vita è cosa che dipende esclusivamente da te oppure no? – Capisco ora chiaramente che non dipende esclusivamente da me, ma che è alla mercé di moltissimi accidenti. – E coloro che muoiono compiono forse, morendo, qualche male? – No, non compiono alcun male, giacché nessuno desidera per sé il male. – E se il morire è inevitabile, non diremo forse che morire è secondo natura? – Vedo chiaramente che lo è. – Dunque l’accettare la morte da parte del morente è un comportamento secondo natura o contro natura? – Secondo natura. – Così come sarebbe anche secondo natura rifiutare la morte e immaginare di poterla vincere grazie ad un’altra esistenza, questa volta immortale, in una vita ultraterrena. Ed ora riassumiamo: non dipendono esclusivamente da noi né la nostra nascita né la nostra morte. Noi siamo creature della natura, la quale prima ci organizza alla vita e poi ci destruttura e disorganizza con la morte. Cosa c’è di strano o di malvagio in ciò? Non facciamo noi la stessa cosa in ogni opera di edificazione? Adesso dimmi: in quanto creature della natura, noi siamo contenuti in essa oppure la conteniamo? – Kavita, e come potrebbe il contenuto contenere il contenitore? E’ evidente che noi siamo parte della natura e non la natura parte di noi. – Dunque comunque si viva si vive secondo natura. E però capisci che si può vivere secondo la natura delle cose oppure contro la natura delle cose? – Cosa intendi per natura delle cose? – Per natura delle cose intendo la loro bipartizione empirica, constatabile, evidente, in cose che dipendono esclusivamente da noi, come i nostri giudizi e i nostri desideri, e in cose che non dipendono esclusivamente da noi, come la vita e la morte. – Hai ragione: mi rendo ora conto sempre meglio che vivere contro la natura delle cose significa giudicare dipendente esclusivamente da noi ciò che non lo è, ed indipendente da noi ciò che invece dipende esclusivamente da noi. – Ed il vivere secondo la natura delle cose, cosa significa? – L’opposto. – Ora dimmi: non abbiamo noi un criterio semplice e allo stesso tempo aureo, certissimo per riconoscere in ogni momento, in noi stessi e tra gli altri esseri umani, chi vive secondo la natura delle cose e chi vive contro la natura delle cose? – Kavita, questa è una domanda di fronte alla quale mi tremano le gambe! – Tranquillizzati! A patto di saper riconoscere la felicità distinguendola, per esempio, dalla semplice allegria o dalla mera contentezza per avere conseguito un qualche successo; e di saper discriminare la libertà dal semplice arbitrio, dall’estemporaneo capriccio o dalla banale assenza di apparenti costrizioni esteriori, ripensa a quanto abbiamo detto e vedrai che i frutti del vivere secondo la natura delle cose sono proprio felicità e libertà, mentre i frutti del vivere contro la natura delle cose sono infelicità e schiavitù. Possiamo, dunque, essere certi che chi è felice è un virtuoso e sta vivendo secondo la natura delle cose; mentre chi è infelice, al contrario, sta vivendo contro la natura delle cose ed è un vizioso. Non ti pare? – Sì, pensandoci bene devo ammettere che è proprio così.
USS 032 – Denmark, Helsingor
– Ophelia, come hai potuto vedere, qualche città è ancora governata secondo questo principio: ‘Fa questo, non fare quello; se no, ti getterò in prigione’. Non è così che si governano degli esseri ragionevoli. – Anders Kjaersgaard, mio principe, e come si governano degli esseri ragionevoli? – Gli esseri ragionevoli, qui a Helsingor, si governano secondo questo principio: ‘Faccio così come la natura delle cose ha stabilito. Se non farò così, sarò danneggiato e subirò una perdita’. – Quale perdita? – Nessun’altra se non il non fare quel che mi spetta; il rovinare in me l’uomo leale, rispettoso di sé e degli altri, equilibrato. Dove potrei mai cercare una perdita maggiore della perdita di questi beni? – Cos’ha stabilito la natura delle cose e quali sono i beni dell’animo? – Ophelia, Ophelia! Bene è per l’animo ottenere ciò che esso rettamente desidera e non incorrere in ciò che rettamente avversa; accettare ciò che è secondo la natura delle cose e rifiutare ciò che non lo è; assentire al vero e dissentire dal falso. Si presentino all’animo libertà, nobiltà, rispetto di sé e degli altri, equilibrio e l’animo non potrà non riconoscerli come suoi beni e gioirne.
USS 033 – Iceland, Reykjavik
La Laguna blu è incastonata in un frastagliatissimo campo di lava nera della penisola di Reykjanes, ad una cinquantina di chilometri da Reykjavik. Nelle vasche naturali in cui Hlynur Gudnason e Gudrun Vilhjalmsdottir sono placidamente immersi, l’acqua ha un colore azzurrino latteo e una temperatura di 38° C mentre la temperatura esterna dell’aria si aggira a stento intorno ai 2°C sopra lo zero. – Secondo te, Hlynur, l’essere umano è per natura buono o malvagio? – Gudrun, questa è un’impostazione illuminista. Rousseau ed altri affermano che l’essere umano è buono per natura, mentre i loro oppositori affermano il contrario. Così posto, il confronto non può portare che all’insulto reciproco. – Tu rifiuti questa impostazione? – La trovo fuorviante e la rifiuto. – Ne proponi una alternativa? – Io suggerisco di impostare il discorso in quest’altro modo. Diremo che esiste una natura umana se troveremo qualcosa rispetto a cui tutti i comportamenti degli esseri umani di qualunque cultura sono invarianti, così come la velocità della luce nel vuoto è indipendente dal moto della sorgente luminosa e riflette la natura del campo elettromagnetico naturale. – Tu credi che questo qualcosa esista? – Ne sono certo. – Me ne puoi parlare? – Ti interessa davvero? – Sì, moltissimo. – Questo qualcosa si può sintetizzare così: qualunque individuo di qualunque cultura intende ottenere ciò che desidera e non incappare in ciò che avversa. Conosci qualcuno che intende vivere provando dolore, provando paura, invidia, compassione? – Ho girato tutto il mondo e non conosco alcun individuo simile. – Chi aspira a vivere come ha deliberato, senza essere costretto né impedito né forzato? – Hlynur, proprio questo è il sogno di tutti. – È così, Gudrun. Davvero di tutti noi, a qualunque cultura antropologica apparteniamo. Se ne deduce, dunque, che tutti gli esseri umani aspirano per natura delle cose alla libertà, ossia che è la natura umana a disporre che noi siamo ed agiamo da uomini liberi. – E allora, la differenza tra i buoni e i cattivi dove sta? – È semplice: buoni saranno coloro che sanno conservarsi liberi e felici, cattivi saranno tutti gli infelici e gli schiavi. – E si può essere felici anche se si vive a Reykjavik, dove abbiamo soltanto quattro ore di luce al giorno in inverno e, d’estate, notti chiare quasi come il giorno? – Hai la forza di immaginarlo?
USS 034 – United Republic of Tanzania, Dar es Salaam
– Pertanto, Diotima, negli uomini lo stimolo sessuale è proairetico o aproairetico? – Aproairetico. – In argomento, allora, cos’è proairetico? – Il giudizio che si ha di questo stimolo e che lo trasforma in un impulso. Che esso sia conveniente o sconveniente, gradevole o sgradevole, utile o inutile. E quindi il progetto di come soddisferemo o non soddisferemo questo stimolo naturale. – Nella cultura in cui io sono nato e cresciuto, quando si parla di sensi umani se ne elencano cinque soltanto. I nostri cinque sensi sarebbero: gusto, tatto, udito, olfatto e vista. – Ridley, e le sensazioni legate al sesso? L’orgasmo sessuale non è una sensazione? – Sì, Diotima. Ed è anche gradevolissima, quando il sesso sia fatto come si deve. – Ma forse voi ne avete paura e vergogna; e per questo la annoverate tacitamente tra le sensazioni delle quali non si può parlare. Se ne avessimo saputo parlare, forse non avremmo avuto né psicanalisi né pornografia. – Hai accennato allo stimolo e all’impulso sessuale. Dimmi ancora, Diotima: le sensazioni sessuali sono proairetiche o aproairetiche? – Aproairetiche. – Anche a questo riguardo, allora, cos’è proairetico? – Ridley, non posso che ripeterti quello che ho già detto. Proairetico è il giudizio che si ha di queste sensazioni: convenienti o sconvenienti, gradevoli o sgradevoli, utili o inutili e così via. – E l’orgasmo stesso è un’entità proairetica o aproairetica? – Aproairetica. Tant’è vero che nel rapporto sessuale molto spesso non è raggiunto. Possiamo semplificare il tutto in questo modo: lo stimolo sessuale che, in un certo senso, rappresenta l’inizio di questo percorso, è aproairetico. L’orgasmo, che qui assumiamo rappresentare il culmine del rapporto sessuale, è aproairetico. Ad essere proairetico è, seppur detto alquanto impropriamente, tutto ciò che sta nel mezzo. Come nella vita: la nascita è aproairetica; la morte è aproairetica e nel mezzo vi è la nostra esistenza. – Dimmi ancora, Diotima: vi è differenza tra rapporto eterosessuale e rapporto omosessuale al riguardo? – Non vi è assolutamente alcuna differenza. Salvo l’ovvia e naturale differenza della possibile procreazione, la quale tuttavia non ha alcuna rilevanza per il discorso che stiamo facendo. – Dove stanno allora il bene e il male? – Siccome bene e male sono entità proairetiche, esse non possono stare né nello stimolo né nelle sensazioni sessuali, allo stesso modo che bene e male stanno nella nostra esistenza e non nella nostra nascita né nella nostra morte. – E dove stanno allora? – Stanno in ciò che è proairetico ossia, parlando di sesso, nei giudizi e nei progetti che abbiamo riguardo al sesso. Ed è a questo proposito che dobbiamo essere particolarmente e virtuosamente cauti giacché, dovunque si tratta di ciò che è proairetico, qui sono in gioco la nostra libertà e la nostra felicità. – Fammi capire meglio. Cosa sono, allora, lo stimolo e le sensazioni sessuali? – Stimolo e sensazioni sessuali sono entità che possono essere definite come ‘né bene né male’, come entità ‘indifferenti’. – E cosa succede se io faccio dello stimolo sessuale e dell’orgasmo, insomma del sesso, un ‘bene’? – Ridley, se tu fai dello stimolo e dell’orgasmo sessuale un ‘bene’ sei mosso da un errato giudizio, giacché poni il bene in qualcosa di aproairetico. Questo significa che tu rifiuti la diairesi ed usi la controdiairesi. L’uso permanente della controdiairesi ti porterà inevitabilmente alla schiavitù e all’infelicità, in quanto il ‘bene’ sesso diventerà certamente per te, prima o poi, irraggiungibile o ripugnante. – E se invece io facessi del sesso un ‘male’? – Anche in questo caso saresti mosso da un giudizio scorretto, speculare al precedente. Saresti infatti certamente, prima o poi, perseguitato da immonde e atroci fantasie o sogni che chiamerai, come già accadeva in tempi remoti, le ‘Tentazioni di Sant’Antonio’. – Bene è il giudizio: il sesso è né bene né male. Male è il giudizio che ci fa smaniare per esso come se fosse un bene o fosse un male. Diotima, si può allora dire cosi? – Esattamente, Ridley: ti sei espresso perfettamente. Dunque il piacere sessuale va sottomesso ai doveri umani di libertà, di nobiltà, di rispetto di sé e degli altri. Esso va usato secondo la sua natura, che è quella di servitore, di ministro; affinché promuova il nostro slancio al bene, ci tenga in accordo con la natura delle cose, stimoli il coraggio di diventare quello che siamo: uomini liberi, nobilmente generosi, rispettosi di sé e degli altri. Vedi, il piacere sessuale non ha natura di signore e padrone: come il denaro, come il nostro aspetto esteriore, esso è un ottimo servitore ma un pessimo padrone. Ci serve per vivere, ma noi non viviamo per lui. Era divina la serenità che emanava dalla bellissima Diotima Karume distesa lì nuda, in pieno sole, su un coloratissimo Kanga, sulla spiaggia di Amans. Accanto a lei, lo sguardo di Ridley Pitt si era perso su grosse navi che entravano e uscivano dal porto di Dar es Salaam.
USS 035 – Eritrea, Badme
In quel tempo, la compagnia di soldati eritrei comandata dal capitano Aradom era stata inviata nei dintorni di Badme per il recupero di munizioni abbandonate da truppe etiopiche. L’imperizia nel prelievo delle munizioni aveva causato un’esplosione, con la conseguente morte dell’inesperto soldato eritreo e il ferimento di altri. Si era trattato di un incidente, e tutta la compagnia ne era al corrente. Tuttavia il capitano, per evitare di assumersi le proprie responsabilità, decise di attribuire la colpa dell’accaduto ad anonimi attentatori locali e fece catturare dieci civili etiopici scelti a caso. Nel corso di un sommario interrogatorio tutti gli ostaggi si dichiararono, come effettivamente erano, innocenti. Insultati e malmenati nonostante la mancanza di qualunque prova a loro carico, gli ostaggi furono quindi costretti a scavare una fossa comune per la loro ormai imminente fucilazione. Concluso lo scavo, gli ostaggi etiopici furono schierati con le spalle alla fossa e i soldati eritrei si posizionarono in fila davanti a loro con i fucili puntati. A questo punto, tra la sorpresa generale, il soldato eritreo Iyob Afworki fece due passi innanzi e, uscito dalla fila, affermò ad alta voce di essere il solo responsabile dell’accaduto, che gli ostaggi erano innocenti e che dovevano perciò essere immediatamente liberati. Il capitano Aradom non poté fare altro che liberare i prigionieri etiopici e procedere alla fucilazione di Iyob. Davanti al plotone di esecuzione il capitano, con fare marziale, inveiva: – Iyob, non lotti più per la liberazione del tuo popolo? E Iyob, con voce ferma rispose: – E come siamo nati per farlo, mio capitano? Siamo nati per farlo da uomini liberi, generosi, rispettosi di sé e degli altri. Giacché, come voi stessi ci avete insegnato, quale altra creatura arrossisce? Quale altra creatura, se non l’uomo, ha la rappresentazione di cos’è ‘vergognoso’? Il cadavere di Iyob Afworki giacque a lungo insepolto, là, tra i sassi sulle alture di Badme.
USS 036 – Suriname, Paramaribo
A Paramaribo, ospite in un’elegante casa ottocentesca della Waterkrant Straat affacciata sul fiume, Amadou Ouedraogo ha chiesto un giorno a Lygia Kraag-Keteldijk: – Se nessuno degli oggetti esterni e nessuna entità aproairetica è bene o male, esiste per l’uomo il ‘Bene-in-sé’? – Certamente esso esiste – è stata la risposta di Lygia – E come possiamo definirlo? – ‘Bene-in-sé’ è per l’uomo il retto uso delle rappresentazioni. Sono i retti giudizi della proairesi che gli permettono di tragittarsela in armonia con la natura delle cose. E’ il possesso della scienza del vivere bene.
USS 037 – Cameroon, Douala
Le acque del lago Nyos occupano il cratere di un antico vulcano e sono sature di anidride carbonica che fuoriesce, per lenta e continua attività, dalle rocce alla base del cratere. Il lago è profondo più di duecento metri e l’acqua degli strati inferiori, a causa della pressione cui è sottoposta, è supersatura di anidride carbonica. Una notte, un improvviso e non ancora del tutto chiarito fenomeno ha innescato la rapida risalita in superficie di acque profonde supersature di gas, con conseguente rilascio nell’atmosfera di milioni di tonnellate di anidride carbonica. Essendo questo gas più denso dell’aria, esso ha formato uno strato spesso circa cinquanta metri che è sceso lungo le pareti del cratere ad una velocità compresa tra i venti e i cinquanta chilometri all’ora. Nel raggio di ventitrè chilometri molte migliaia di persone e di animali non hanno più avuto sufficiente ossigeno da respirare e sono morte per asfissia. Partito da Monrovia, Varney Brumskine è giunto nella città portuale di Douala espressamente per incontrare Dakole Daissala. Con lui è poi salito fino a Wum e di qui fino al lago Nyos. – Allora, Dakole, cos’è successo quella notte? – Era notte fonda, con pioggia e forte vento. Tutti dormivano. Improvvisamente io sono stato risvegliato da uno strano boato. Poco tempo dopo ho sentito mia figlia sbuffare in modo anomalo, terribile. Mi sono alzato per andare verso il suo letto, ma sono caduto svenuto. Quando ho riaperto gli occhi era giorno e ho visto con sorpresa i miei pantaloni macchiati di rosso. Sono riuscito a stento ad entrare nella stanza di mia figlia e vedendola ancora nel letto ho pensato che stesse dormendo. Invece era già morta da parecchio tempo. Nel mio villaggio di Subum non c’era più traccia di vita. Uomini e animali sono stati colti nel sonno e sono tutti morti dov’erano. La stessa sorte era toccata ai villaggi di Kam, di Cha e di Nyos. Non so proprio come ho fatto ad arrivare fino a Wum. – E poi? – E poi col cuore pieno e le lacrime agli occhi devo ammettere che l’esistenza, considerata semplicemente come tale, è un’entità aproairetica; che essa è né un bene né un male, giacché non è in mio esclusivo potere. La mia, come quella di mia figlia, come qualunque altra esistenza, è nelle mani di un passante pazzo, di un accidente qualunque. È vero che gli esseri umani si danno, entro certi limiti, garanzie reciproche di non aggressione e provvedono, mediante istituzioni opportune, alla giustizia scambievole. Ma ciò non cambia la natura delle cose. La mia esistenza dipende da eventi naturali quali la pioggia, il raccolto, il cibo, un’eruzione vulcanica, un modesto terremoto…
USS 038 – Algeria, Djémila
Non è facile arrivarci, ma il risultato vale la fatica spesa. Le strade della piccola Kabilia sono in cattive condizioni, i ponti sono stretti, le indicazioni quasi inesistenti. Lasciata Jijel si giunge a Texenna. Da Texenna, si sale al colle di Tibahirane e successivamente si attraversano Ferjioua ed El Eulma. Gli ultimi venti chilometri di percorso sono molto dissestati e i ponti senza spallette. Situata a ridosso del Gebel Ghorf Aissa ben Zir, a circa novecento metri di altezza, ecco finalmente Djémila. Djémila è il nome moderno di un’antica colonia romana per veterani, fondata verso la fine del I° secolo d.C. sotto l’impero di Nerva. I resti della città sono monumentali ed ancora oggi eccezionalmente ben conservati. Qui, ripulendo delicatamente certi vecchi marmi abbandonati nei pressi dello stupendo Teatro, con grandissima difficoltà Rasul Quliyev ha comunque potuto leggere una iscrizione latina che ha tradotto come segue: – La libertà non è una condizione sociale ma uno stato del nostro animo e consiste precisamente nel non essere nell’errore, nel rispettare la natura delle cose. Che senso ha il parlare di ‘società libera’? Soltanto quello di maleducare dei sudditi. Ha senso invece, e senso pieno, il parlare di ‘uomo libero’, di ‘uomini liberi’, di ‘popolo della libertà’. L’iscrizione, cosa molto rara, porta il nome del dedicatario: un veterano romano di nome Alleius Nigidius Sura.
USS 039 – Lao People’s Democratic Republic, Luang Prabang
Nel biglietto che Kim Kook-hwan aveva ricevuto dal suo amico Phan Thong Phonnahaxay, era scritto soltanto questo: – ‘Trovati dopodomani a mezzogiorno a Luang Prabang, nei pressi dello Haw Kham e sta’ con il naso per aria. Aspettati sorpresa. Phan’. Kim, in provenienza da Seoul, già si trovava a Vientiane e non ha avuto difficoltà a raggiungere Luang Prabang. Luang Prabang è una cittadina molto piccola alla confluenza dei fiumi Mekong e Ou. Ricca di templi, ha rappresentato a lungo un’eccezionale fusione di architettura tradizionale e strutture urbane realizzate dai coloni europei di molti secoli addietro. Ci è arrivato la mattina molto presto e ha avuto agio di assistere anche alla quotidiana questua dei monaci buddhisti che, vestiti con le loro tuniche arancione e a piedi scalzi, percorrono le vie ricevendo in dono dalla popolazione del riso ed altri cibi. Fidandosi della promessa di Phan, a mezzogiorno era, con il naso all’insù, nei pressi dell’ex Palazzo Reale. Ad un certo punto si è sentito nell’aria un leggero ronzio e poi si è visto un piccolo aereo avvicinarsi seguendo il percorso del Mekong. L’aereo ha fatto alcuni giri a bassa quota e poi ha sganciato qualcosa che svolazzando lentamente nell’aria si è rivelato essere una nuvola di manifestini. Uno di questi è venuto a posarsi proprio davanti ai suoi piedi. Come tante altre persone, Kim l’ha raccolto e l’ha letto. Senza recare altre indicazioni esso diceva così: ‘Uomini felici, salve! La libertà dell’uomo coincide con i suoi retti giudizi; ‘è’ i suoi retti giudizi sulla natura delle cose e la sua invarianza’. Kim ha sorriso e ha levato le braccia in segno di saluto, ma ormai il piccolo aereo aveva preso la direzione sud ed era quasi sparito alla sua vista. Si è allora guardato intorno e ha notato che tutti coloro che avevano raccolto il manifestino, dopo averlo letto lo ripiegavano con cura e poi lo mettevano in tasca.
USS 040 – Ethiopia, Addis Abeba
È imminente la pubblicazione, ad Addis Abeba, un nuovo giornale intitolato ‘AddisTimes’. La redazione e la proprietà hanno molto civilmente discusso sul motto da inserire nella testata del giornale. Alla fine è prevalsa la proposta di Iyasu Hailé Selassié. L’AddisTimes uscirà così con questo motto: ‘Essere uomini liberi significa avere retti giudizi sulla natura delle cose’.
USS 041 – Norway, Nordkapp
– Kristina, ci troviamo in capo al mondo e se non capiamo qui certe cose e certi particolari, allora non li capiremo mai. – Sii più preciso, Torstein. Cosa intendi dire? – Ti faccio un esempio. Mi è difficile, se non impossibile, capire cosa significhi l’espressione: ‘desiderare secondo natura’ ed ‘avversare secondo natura’ e perché alcuni pochi continuino ad usarla. – Ecco, questa è una domanda ottima e adatta al luogo in cui troviamo. Se prima non si è in grado di definire in modo univoco il termine ‘natura’, le espressioni: ‘vivere secondo natura’, ‘fare qualcosa secondo natura’ non hanno alcun significato, sono del tutto prive di contenuto. Rimane il generico ‘fare’, ma allora qualunque ‘fare’ è ‘secondo natura’ per il semplice fatto che qualunque ‘fare’ è contenuto nella ‘natura’. – – E i filosofi di un tempo si erano fermati lì? – Si, tutti ad eccezione degli Stoici. Secondo gli Stoici non esiste alcun comportamento umano che possa essere definito più o meno ‘naturale’ di un altro; così come non esistono, nell’ambito dei fenomeni fisici, degli spazi né dei tempi più ‘naturali’ di altri. – Tu mi spaventi, Krista. Siamo stati davvero, per tanti secoli, in balia di pazzi e di assassini? – Certo, Torstein. La miseria della filosofia ci metterebbe proprio in balia di costoro, se non ci fossero stati gli Stoici. – E cos’hanno detto di tanto importante? – Gli Stoici sono stati i soli ad abbandonare il concetto di ‘natura’ e a chiedersi se esista davvero un’entità invariante rispetto alla quale tutti i comportamenti umani sono relativi. – E l’hanno trovata? – Sì, l’hanno trovata. – Questa entità ha un nome? – Sì, il suo nome è ‘natura delle cose’. – Mio Dio, ne avevo sentito parlare dalla mia amica Kavita Krishnamurthy, ma non avevo mai dato troppa importanza alla cosa. Soltanto adesso mi rendo conto del mio sbaglio. – Ripetiamolo. Il termine ‘natura’, come abusato da taluni, è un semplice sinonimo di ‘insieme’, di ‘tutto’, e non ci fa fare un solo passo avanti nella comprensione dei nostri comportamenti. Facendo così si spacciano come ‘naturali’ quelli che invece sono dei semplici ‘modelli culturali’. Se è privo di senso parlare di ‘natura’, soltanto gli Stoici, e tra di essi Epitteto in particolare, hanno affermato e affermano con estrema decisione che però esiste una ‘natura delle cose’ e che questa è invariante, inviolabile e valida per tutti senza eccezioni. La ‘natura delle cose’ è la loro essenziale bipartizione in cose che sono in nostro esclusivo potere e cose che non sono in nostro esclusivo potere. Dunque ciò che è fondamentale imparare è quale sia la natura delle cose. – E qual è la natura delle cose? Voglio sentirlo dire da te. – La natura delle coseè tale che alcune di esse sono in nostro esclusivo potere mentre altre non sono in nostro esclusivo potere. In nostro esclusivo potere sono concezione, impulso, desiderio, avversione e, in una parola, quanto è opera nostra. Non sono in nostro esclusivo potere il corpo, il denaro, la reputazione, il lavoro e, in una parola, quanto non è opera nostra. Le cose in nostro esclusivo potere sono libere, non soggette ad impedimenti, non soggette ad impacci; mentre le cose non in nostro esclusivo potere sono deboli, serve, soggette ad impedimenti, allotrie. – Kristina, ripetimi cosa succede a chi impara e rispetta la natura delle cose. – Ne ottiene in premio la felicità. – E cosa succede ai pochi di noi che si ostinano ancora ad ignorare la natura delle cose? – Torstein, ne ottengono quello che hanno già in abbondanza: l’infelicità. La mezzanotte era passata da parecchio. Dalla collinetta del Nordkapp, Kristina Halvorsen e Torstein Sannhet vedevano il sole stagliarsi ancora intero all’orizzonte e scintillare intramontato sull’oceano. Un vecchio signore con una fluente barba bianca, alla sinistra di Torstein e non lontano da lui, stava togliendosi un sassolino dalla scarpa sinistra. Allora Torstein pensò a qualcosa che non disse, e ne fu sopraffatto, e gli vennero le lacrime agli occhi.
USS 042 – Gabon, Libreville
A Libreville, Divingui Ogouliguende e Ivindo Mamboundou, dopo essersi incontrati nei pressi dell’Università, stanno camminando in direzione della non lontana Chiesa di S. Anna. – Divingui, ho provato tante volte ma senza successo. Come posso persuadere mio fratello Lolo a non avercela più con me? – Ivindo, cos’è materiale del falegname? – Il legno. – E dello scultore? – Il marmo, ad esempio; o il bronzo. – E materiale dell’arte di vivere è per te la tua vita oppure la vita di qualcun altro? – Divingui, quello che io ti chiedo è di insegnarmi come fare per convincere mio fratello Lolo a non essere più adirato con me. – Tu vuoi fare di una cosa per te aproairetica, ossia l’ira di tuo fratello, qualcosa che sia in tuo esclusivo potere, qualcosa di proairetico. Questo nessuno al mondo può farlo, poiché è vietato dalla natura delle cose. Ti ripeto la domanda: materiale dell’arte di vivere è per te la tua vita oppure la vita di qualcun altro? – Mi piacerebbe tanto che fosse anche la vita di mio fratello e non solo la mia. Cos’è dunque quella di Lolo? – Cos’è la vita di Lolo? È materiale dell’arte di vivere per lui, ma per te è un oggetto esterno simile ad un albero, alla salute, alla celebrità. Io non prometto a nessuno di procacciargli alberi, salute o celebrità. – A cosa mi servi, allora? – Io prometto di procacciarti l’arte di vivere bene; e se non lo credi oppure non ti basta, vai da qualcun altro. – Divingui, aiutami in qualche modo! – Ivindo, portami qui tuo fratello Lolo e io gli parlerò. Ma a te non ho più nulla da dire sulla sua ira. Anche Annikki Kuosmanen è a Libreville e sta spingendo la carrozzina nella quale dorme beata la sua piccola Elina. Svoltato un angolo, ed ormai nei pressi della Chiesa di S. Anna, qualcuno riesce a sottrarre il portafoglio contenuto nella borsa che Annikki porta su una spalla. Se l’abile manovra non sfugge all’occhio attento di Ivindo, il ladro è però così maldestro da farsi sfuggire di mano la sua preda. Nel tentativo di raccoglierla a terra, Lolo è fulminato dallo sguardo di suo fratello Ivindo. Ivindo volge allora lo sguardo a Divingui. Divingui si arresta di colpo e batte con vigore il piede destro per terra. Lolo consegna allora il portafoglio a Ivindo e, mentre Ivindo lo rimette nella borsa dalla quale era stato sottratto Lolo si avvicina a Divingui. Tutto è stato così rapido che Annikki non s’è accorta di nulla e la piccola Elina continua a dormire beata.
USS 043 – Haiti, Citadelle Laferrière
– Marie-Denise, la mia fidanzata Eloise non ha voluto riconciliarsi con me. Io non riesco più a mantenere la mia proairesi in accordo con la natura delle cose, e temo che rimarrò in questo stato penoso fino a che lei non si sarà riconciliata con me. – Mantenere la propria proairesi in accordo con la natura delle cose è impresa non da poco. Luc, non sottovalutare il fatto che, intanto, sei cosciente di avere una proairesi e che sai cosa dici quando parli di natura delle cose. Ricorda, poi, che nessuna cosa grande diventa tale in breve tempo. Neppure un grappolo d’uva matura in una notte. Se ora mi dirai: ‘Voglio un grappolo d’uva’, ti risponderò: ‘C’è bisogno di tempo’. Lascia che la vite dapprima fiorisca, poi fruttifichi, poi maturi. Il frutto di una vite non si perfeziona improvvisamente o in un’ora, e tu vuoi acquisire in pochissimo tempo e come se niente fosse il frutto dell’intelligenza di un uomo? Non aspettartelo neppure se fossi io a promettertelo. Dalla sommità della Cittadella Laferrière si vedeva bene la non lontana cittadina di Cap-Haitien e l’immensa distesa blu del Mare dei Caraibi. Quel giorno, una leggera coltre di foschia impediva però a Marie-Denise Fleurinord e a Luc Mesadieu di scorgere in lontananza il profilo di Cuba.
USS 044 – Egypt, Luxor
Com’è noto, le pietre parlano. La più celebre di esse è il colosso di Memnone, una delle due statue colossali del faraone Amenofi III che si trovano non lontano da Luxor, nella zona delle Necropoli Tebane. Il colosso è muto da ormai innumerabili secoli, eppure quel giorno, davanti a Iyasu Hailé Selassié, cantava. ‘Queste soltanto sono le opere della Materia Immortale? E quale canto è adeguato a lodarle o ad enumerarle? Se vi ponessimo mente, che altro dovremmo fare, insieme e singolarmente, se non inneggiare alla Materialità, dirne bene e ripercorrerne le grazie? Mentre zappiamo, ariamo, mangiamo, non bisognerebbe cantare l’inno alla Materia Immortale? ‘Grande è la Materia Immortale perché ci procurò questi strumenti coi quali lavoreremo la terra; grande è la Materia Immortale che ci ha dato le mani, l’ingestione dei cibi, i visceri, di crescere a nostra insaputa, di respirare dormendo’. Questo bisognerebbe inneggiare per ciascuno dei suoi doni e poi inneggiare l’inno più grande e più divino, perché ci diede la proairesi, la facoltà atta alla comprensione e all’uso metodico di questi doni. E dunque? Dacché alcuni sono ancora ciechi, non deve esserci qualcuno ad assolvere questo ufficio ed a cantare per tutti quest’inno alla Materia Immortale? Che altro posso io, vecchio zoppo, se non inneggiare alla Materia Immortale? Se fossi un usignolo farei quel che fa un usignolo; se cigno, un cigno. Ora, sono una creatura logica: bisogna che inneggi alla Materia Immortale. Questa è l’opera mia. La svolgo e, per quanto mi sarà dato, non diserterò questo posizionamento. E prego anche voi a questo medesimo canto’. Alle spalle del colosso, nella poca ombra che essa gli regalava, appoggiato ad un bastone, Gamal el-Husayn, zoppo e cieco, cantava.
USS 045 – Latvia, Riga
A Riga, il locale preferito da Tatiana Dolgopolovs e Indulis Vike-Freibergas è la Kafeinjca Balta Roze, situato nella città vecchia, all’angolo delle vie Meistaru e Kalku. – Indulis, stavamo dicendo che siccome quanto articola il discorso è la ragione, potrebbe la ragione stessa essere o rimanere disarticolata? – Non può, Tatiana. – Dunque deve essere articolata da qualcosa. – Chiediamoci da cosa. – È evidente che questo qualcosa che ricerchiamo sarà o la ragione stessa oppure qualcos’altro. – Sono d’accordo. – Ammettiamo che sia qualcos’altro. Allora questo qualcos’altro capace di articolare la ragione o è una seconda ragione oppure qualcosa che sta al di fuori della ragione. Se è una seconda ragione, diventa inevitabile chiederci che cosa articola questa seconda ragione, giacché se questa seconda ragione si autoarticola, allora significa che anche la prima ragione può autoarticolarsi. Diversamente, se ci fosse bisogno del continuo rimando ad una ragione di ordine superiore, ci troveremmo davanti ad un processo incessante e senza fine che non ci darebbe mai la ragione articolatrice ultima. Ecco perché io affermo che la ragione umana è autoteoretica. – Tatiana, e se fosse invece qualcosa che sta al di fuori della ragione? – Devi innanzitutto dare uno o più nomi a questa entità. – Alcuni, ancora oggi, lo chiamano ‘amore’ o ‘sentimento’ o ‘volontà’ o ‘rivelazione divina’ e ne fanno qualcosa di superiore alla ragione. – Se così fosse, Indulis, la prima conseguenza è che la ragione non può più essere considerata un’entità autoteoretica ma deve essere considerata un’entità eteroteoretica. – Ragione autoteoretica non significa ragione onnipotente? – Al contrario; significa ragione capace di cogliere i propri limiti e quindi di operare soltanto in quell’ambito nel quale è regina assoluta. – Cosa intendi per ragione eteroteoretica? – Indulis, beviamo intanto questo caffè. Poi, per semplicità, pensa alla proairesi. Affermare che la ragione è eteroteoretica equivale a sfumare la distinzione tra ciò che è proairetico e ciò che è aproairetico fino a farla sparire. Noi non saremmo più padroni dei nostri giudizi, impulsi, desideri, ma dovremmo chiedere all’amore, al sentimento, alla volontà o alla rivelazione divina cosa giudicare buono o cattivo, cosa desiderare e cosa avversare. Sparirebbe la diairesi e qualcos’altro dominerebbe incontrastato. Bene e male diventerebbero entità al di fuori di noi, aproairetiche. Il premio e il castigo, ossia felicità e infelicità, libertà e schiavitù, cesserebbero di essere incorporati nei giudizi e nelle conseguenti azioni che compiamo e sarebbero rimandati ad un futuro in cui un giudice supremo, in un giudizio finale, premierebbe o castigherebbe. Mi fermo qui e non vado oltre. – Non ti è piaciuto il caffè? Vuoi ordinare qualcos’altro? – No, il caffè mi è piaciuto e non desidero altro. Il resto lo lascio alla tua capacità di deduzione. – A cosa pensi? – Al comando che Dio, secondo un’antichissima leggenda riportata in un libro ebraico che, se non sbaglio si chiama Bibbia, diede ad Abramo di uccidere il figlio Isacco. – Parliamo di oggi, di Riga, delle persone che conosciamo. Credi prevalente in loro, consciamente o inconsciamente, il giudizio che la ragione è autoteoretica oppure che la ragione è eteroteoretica? – Io non lo dirò. Guardati intorno.
USS 046 – Armenia, Haghpat
Partiti da Yerevan, Andranik Khachaturyan e Mara Geghamyan si sono fermati nel villaggio di Haghpat. Il monastero Haghpatavank è il più grande e importante complesso architettonico del medioevo armeno giunto fino a noi. Esso sorge ad una decina di chilometri dalla cittadina di Alaverdi, nel nord del paese. Sulla facciata orientale della cattedrale della Santa Croce, un altorilievo scolpito nel basalto ritrae il re Smbat e il fratello Gurgen, uno di fronte all’altro, nell’atto di donare un modellino del tempio. Il primo ha in capo un turbante regale mentre il secondo ha il capo coperto da una sorta di elmetto. – Andranik, secondo te cosa starà dicendo il re Smbat a suo fratello Gurgen nell’atto di donare un modellino della Cattedrale? – Mara, mi sembra chiarissimo che Smbat sta dicendo: ‘La logica è criterio e condizione del retto pensare’. Sapresti dirmi tu, adesso, cosa gli risponde Gurgen- – Gurgen gli risponde: ‘Sarà come dici, ma la cosa più urgente è avere un lavoro, avere da mangiare e queste cose qua’. – ‘Vuoi dunque sentir parlare di questo?’ sento Smbat dire. ‘Parliamone. Ma poi non dirmi: ‘Non so se fai discorsi veri o falsi’. A quel punto io ti risponderò: ‘Vero o falso quel che dico? Lascia stare. La cosa più urgente è avere un lavoro, avere da mangiare e queste cose qua’. Per questo, credo, bisogna dare il giusto posto alla logica; appunto come sempre si preordina alla misurazione di qualcosa l’esame dell’unità di misura. Se non definiremo innanzitutto cos’è un modio e cos’è una bilancia, come potremo ancora pesare qualcosa?’. – ‘Ma tu stavi parlando della logica’, sento Gurgen protestare. – ‘Tanto più nel caso della logica’, rincara Smbat. ‘Potremo mai esprimere con precisione un pensiero senza che prima la nostra ragione abbia esatta conoscenza delle parti del discorso che userà per tradurlo in linguaggio? Come sarebbe possibile? Il proposito di andare al lavoro lo esprimi forse dicendo: ‘Non voglio venire dal tonsore’? E se hai fame dici forse: ‘Mi duole un callo del piede’? Così, da queste parti, fu un tempo costruita la Torre di Babele’. – Gurgen non è convinto e ribatte: ‘Sì, ma la bilancia è uno strumento che non posso né mangiare né bere’. – ‘Ma è atta a misurare quanto mangi e quanto bevi’, incalza il re. – ‘Anche la logica è infruttuosa, perché non posso né berla né mangiarla’, sta dicendo trionfante il fratello. – ‘Se io pur ti concedessi questo’, ammette con calma Smbat, ‘bastevole è il fatto che la logica è atta a distinguere e ad esaminare il giudizio che ti spinge a dire quanto dici e, si può ben dire, a misurare e pesare qualunque discorso’. – ‘Mi viene adesso in mente che qualcuno ha detto: ‘Inizio dell’educazione è l’esame dei nomi’, ma non mi ricordo più chi sia stato. Tu te lo ricordi?’ sento Gurgen sospirare con un lampo negli occhi. E poi, Andranik? Non farmi perdere l’ultima battuta. – Mara, l’ultima battuta è del re, che non può che concludere dicendo: ‘Anch’io l’ho dimenticato’.
USS 047 – Uganda, Jinja
Yoweri Kyenjojo e Kiribige Ssebaana vivono a Jinja, sulle rive del Lago Vittoria e si guadagnano il pane offrendo gite in barca ai turisti che vogliono vedere da vicino le mitiche sorgenti del Nilo, là dove secoli fa sorgevano le Rippon Falls. Quel giorno i turisti erano pochi. – Kibirige, molti pensano che l’impresa grande e stupefacente sia questa: capire la natura delle cose e poi diffonderne la conoscenza. – Yoweri, se non è questa, qual è allora l’impresa grande e stupefacente? – Capire la natura delle cose, dire grazie a chi ci ha aiutato a capirla e seguirla in ogni situazione. – Si può capire la natura delle cose e poi non seguirla? – Si può dire di avere capito la natura delle cose e poi non seguirla. Tra il dire di avere capito e l’avere capito, non pare anche a te, Kiribige, che sia grande la differenza? Se invece si è capita la natura delle cose, non si può non seguirla. – Devo ammetterlo, Yoweri. Si può dire di avere capito, ma in realtà si giudica più utile per se stessi ben altro da quanto si dice di avere capito. – La natura delle cose è tale per cui la sua comprensione incorpora in sé il giudizio che il seguirla in ogni circostanza ci procura il massimo bene. Dunque, una volta capita, è impossibile non seguirla. – Cos’ha capito, allora, chi non la segue? – Chi non la segue, si comporta come si comporta perché la ignora; anche se afferma di averla capita. – Qualunque sia il nostro comportamento, non si può non essere guidati da un giudizio. Yoweri, se non si segue la natura delle cose, da cosa ci si fa allora guidare? – Ci si fa guidare, come i bambini, dalle rappresentazioni immediate, irriflesse, non analizzate. Il bambino, standosene a bocca aperta, incespica su un sasso, cade e piange. Chi è con il bambino non censura lui ma percuote il sasso e lo chiama ‘cattivo’. Eppure quale colpa ha il sasso? Avrebbe dovuto spostarsi per impedire al bambino di inciampare? – Intendi dire che chi non rispetta la natura delle cose si fa guidare dalla controdiairesi? – Sì, è esattamente così. Giacché bamboccio in musica è il digiuno di musica, in algebra il digiuno di algebra; bamboccio in vivere è chi non è educato ad usare la diairesi.
USS 048 – Niger, Timia
Da Niamey, Mamadou Issoufou è salito fino ad Agadez e di qui fino all’oasi di Timia per vedere Fatima Djermakoye. Circondata da un paesaggio vulcanico e desolato, Timia è verde e fresca: un luogo dove i pomodori seccano al sole e dove cresce il melograno. Mamadou le ha chiesto: – Esaminami la mano, dimmi chi sono. Fatima, dimmi cosa è scritto nel DNA umano. Fatima gli ha preso la mano, lo ha guardato negli occhi e poi gli ha detto: – Mamadou, tu hai una proairesi per natura non soggetta ad impedimenti e non soggetta a costrizioni. Qui, nel DNA umano, questo è scritto. Te lo mostrerò innanzitutto nell’ambito dell’assenso. Può qualcuno impedirti di annuire al vero? – Nessuno lo può. – Può qualcuno costringerti ad accettare il falso? – Nessuno lo può. – Vedi che in questo ambito ciò che è proairetico l’hai non soggetto ad impedimenti, non soggetto a costrizioni, disimpacciato? Orsù, è diverso nell’ambito del desiderio e dell’impulso? Chi può vincere un impulso se non un altro impulso? Chi un desiderio e un’avversione se non un altro desiderio e un’altra avversione? Mamadou ha obiettato: – Ma se qualcuno minaccia di uccidermi, mi costringe a fare quello che chiede. – A costringerti, gli ha risposto Fatima, non è la minaccia, ma è il fatto che tu reputi meglio fare quanto ti viene richiesto che morire. Di nuovo, dunque, a costringerti è stato il tuo giudizio; ossia proairesi ha costretto proairesi. Questo trovo nella tua mano. Questo è scritto nel DNA umano. Mamadou, se lo disporrai sei libero. Se lo disporrai non biasimerai nessuno, non incolperai nessuno, tutto sarà secondo l’intelligenza tua e secondo la natura delle cose.
USS 049 – Albania, Durazzo
– Mani, il tempo che ci resta è poco. Lascia stare i discorsi insensati e parliamo seriamente. Ti ripeto che per tutti gli esseri umani unico è il fondamento dell’assentire, del dissentire e del sospendere il giudizio sull’esistenza di qualcosa. – Di quale fondamento parli? – Se è vero quel che dicono i filosofi, chi dice di sì all’esistenza di qualcosa lo fa perché sperimenta che quel qualcosa esiste; chi dice di no, sperimenta che quel qualcosa non esiste; e chi sospende il giudizio sta sperimentando che l’esistenza di quel qualcosa è dubbia. Lo stesso si può dire dell’impellere e del repellere a qualcosa. – Idayet Gjinushi, cosa significa ‘impellere’ e cosa significa ‘repellere’? – Significa muoversi praticamente verso qualcosa oppure allontanarsi praticamente da qualcosa. Chi impelle a qualcosa lo fa perché sperimenta che quel qualcosa gli è utile; chi repelle qualcosa lo fa perché sperimenta che quel qualcosa gli è non-utile. – È possibile ritenere una cosa utile e farne un’altra? – No, Mani, non è possibile. La natura delle cose vieta in modo assoluto di giudicare una cosa utile e di desiderarne un’altra, di giudicare una cosa doverosa e di impellere ad un’altra. – Idayet, eppure io vado. I muretti di recinzione in pietra che so costruire mi faranno ricco. – Buona fortuna, Mani. Io resto. In partenza dal porto di Durazzo, la ‘Argjirokaster’ è una vecchia carretta mercantile di duemila tonnellate che ormai tiene il mare a fatica. Ha le murate color blu stinto e sporco di ruggine. Perde visibilmente nafta da una falla del sottochiglia. Il ponte nereggia di passeggeri che si accalcano fin sulle strutture del cassero di poppa. Una radio diffonde a volume altissimo, da chissà dove, la canzone ‘O’ sole mio’.
USS 050 – Singapore, Changi
– Hanno rubato e ucciso. Sellapan, ti ripeto che sono ladri e assassini. – E cosa vorresti fare loro, Chee Soon? – Non bisognerebbe che ladri e assassini fossero soppressi? – La loro esistenza ti esaspera, vero? Li odi e vorresti ucciderli tutti. – Sì. – Vorresti uccidere anche tutti i ciechi e i sordi? – No, se non rubano e non uccidono. – E ti esasperi con loro? – Sellapan, e perché dovrei? Non mi fanno alcun male. – Sei capace di paragonare ciechi e sordi a ladri e assassini? – Cosa intendi dire? Non ti capisco. – Sai rispondere alla domanda: chi è cieco? – Sicuro. Tutti lo sanno: chi è totalmente privo della vista. – Dunque, Chee Soon, costui non ha esperienza di cosa siano la luce e i colori, giacché vive nelle tenebre. – Così è. – E un sordo? – Chi è totalmente privo dell’udito. – E dunque costui non ha esperienza alcuna di cosa sia la musica, giacché vive nel silenzio. – Esatto. – E un ladro, chi è? – Ladro è chi ruba, chi vive di furti. – E un assassino? – Chi uccide altri esseri umani. – Ladri e assassini sono ciechi e sordi di qualcosa? – Sellapan, non ti capisco. – Se io ti dicessi che ladri e assassini sono ciechi e sordi quanto all’intelligenza atta a distinguere ciò che è loro e ciò che non è loro, cosa mi risponderesti? – Che sono d’accordo con te. – E se aggiungessi che, rubando e uccidendo, si dimostrano incapaci di distinguere il bene dal male? – Anche qui sarei d’accordo con te. – Chee Soon, se il danno più grande deriva all’uomo dalla perdita delle cose più grandi, ad essere maggiormente danneggiati sono i ciechi e i sordi oppure i ladri e gli assassini? – Dove vuoi arrivare? – Ti ripeto la domanda sotto questa forma: cos’è più grande nell’uomo: la vista e l’udito o la proairesi? – La proairesi, giacché è essa che comanda alla vista e all’udito. – Un cieco e un sordo sono forse privi della proairesi? Certamente no, ed essa può benissimo operare in modo conforme alla natura delle cose. E cosa accade a ladri e assassini? – Neppure essi sono certo privi della proairesi, tant’è vero che io li ritengo pienamente responsabili delle loro azioni e per questo li ucciderei tutti. – A me basta che tu li ritenga non privi di proairesi e responsabili delle loro azioni. – Ma allora ci deve essere qualcosa di sbagliato nella loro proairesi se essi si comportano come si comportano. – Dici bene. Cosa significa dunque ladri e assassini? Significa che hanno errato nel giudizio su ciò che è loro e ciò che non è loro, su ciò che è bene e ciò che è male. Essere privo della vista o dell’udito è danno maggiore o minore di quello di defraudarsi del retto uso della proairesi? Chi è malato più gravemente: un cieco e un sordo oppure un ladro e un assassino? – Devo ammettere che ad essere malato più gravemente è il ladro e l’assassino. – Dunque chi erra sui beni e sui mali ha già subito la più dannosa delle perdite. Se è così, perché esasperarsi ancora con loro? Commiserali piuttosto. Mostra loro l’errore che hanno commesso e forse se ne allontaneranno! Ma se non lo scorgeranno, continueranno a farsi guidare dalla controdiairesi e ad essere ladri e assassini. Chee Soon, siamo arrivati. Ogni mattina, Sellapan Jayakumar e Chee Soon Lee lasciano il villaggio di Changi, nei pressi dell’aeroporto internazionale che porta lo stesso nome, salgono sulla metropolitana e scendono alla fermata di Raffles Place. Sellapan lavora alla manutenzione del grattacielo che si trova in UOB Plaza Two e là si sta dirigendo. Fino a quando Chee Soon andrà, invece, verso Chinatown a caccia di portafogli di turisti?
USS 051 – Afghanistan, Kabul
A Kabul, nel quartiere residenziale di Wazir Akbar Khan, Masood Pedram gestisce, con discreto successo nonostante le condizioni in cui la città vive, un commercio di tappeti di produzione locale. In compagnia di Yunus Dostan, Masood sta sorseggiando una tazza di tè e parla con l’amico. – Masood, se proprio intendi disporti contro la natura delle cose circa i mali altrui, commisera gli esseri umani piuttosto che odiarli. Questa facoltà di offenderti e di odiare che ti è tanto cara, lasciala stare, trascurala almeno per un po’ di tempo. Non ripetere in continuazione ‘…questi maledetti e abominevoli stupidi…’ Sei diventato improvvisamente tanto sapiente da esasperarti con altri stupidi? – Yunus, ma io non posso farne a meno; non ci riesco proprio a non esasperarmi. Mi piacerebbe riuscirci, ma non ci riesco. Perché, dunque, mi esaspero? Perché sono un temperamento così focoso? – Perché ti identifichi con gli oggetti materiali che possiedi e dimentichi che essi sono presso di te soltanto in deposito temporaneo. Perciò sei irragionevolmente infatuato di ciò che ti è sottratto. Dunque non essere infatuato dei magnifici tappeti che vendi e non ti esaspererai con il ladro. – Mi stai dicendo che non devo chiudere a chiave il mio magazzino? – Nient’affatto, Masood. La prudenza è una virtù, e avere la massima cura di ciò che la sorte ci affida temporaneamente in deposito è appunto prudenza. – Anche la giustizia è una virtù. – Dici bene. Ma la giustizia non è esasperazione né furore e neppure trascuratezza o accidia. Chi non è giusto ma si esaspera ed è crudele con ladri, assassini, politicanti e altra siffatta gente in miseria di diairesi, mostra di traboccare al loro stesso modo di controdiairesi. – Yunus, ma io non sono né ladro né assassino né politicante; io vendo soltanto tappeti! – Masood, considera: tu hai splendidi tappeti, il tuo vicino non ne ha. Tu hai un grande cortile e vuoi farli asciugare all’aperto. Quello non sa cos’è il bene dell’uomo e immagina che sia avere splendidi tappeti, che è ciò che immagini anche tu. E poi pretendi che non venga e te li rubi? Tu mostri una focaccia a dei ghiottoni, la ingoi da solo, e non vuoi che quelli tentino di ghermirla? Fin quando non sarai capace di usare la diairesi, cerca di non stuzzicarli ed evita di asciugare all’aperto i tuoi tappeti in un grande cortile.
USS 052 – Qatar, Doha
Nella sua poverissima casa in Rayyan Road a Doha, Mohamed Bin al-Tani tiene sempre accesa una lucerna di ferro accanto alle immagini di suo padre e sua madre, defunti da molti anni. L’altro giorno, sentito un rumore alla finestra, è accorso e ha scoperto che la sua lucerna era sparita. Dopo un attimo di smarrimento, ha riflettuto sul fatto che la proairesi di chi l’aveva rubata era viziata da giudizi tragicamente erronei ma certamente molto persuasivi. E dunque? Domani, si è detto, ne troverò una di terracotta. Giacché si perde quanto si ha. ‘Ho perso il mio caffetano’. Giacché avevo un caffetano. ‘Ho mal di testa’. Ho forse mal di corna? Perché dunque fremere? Perdite e dolori sono, infatti, di quanto è anche patrimonio.
USS 053 – Australia, Darwin
– Winston, ma se io resisto alle sue minacce, chi ha potere m’incatenerà. – Cosa incatenerà, Jodeen? La gamba. – Ma chi ha potere staccherà. – Cosa staccherà? Il collo. Cosa non ha potere di incatenare né di staccare? – Dimmelo tu, Winston. – La tua proairesi. Per questo gli antichi prescrivevano il celebre ‘Riconosci te stesso’. – E come si fa a riconoscere se stessi, a riconoscere chi si è? – Si riconosce chi si è, soprattutto quando si è posti di fronte a scelte ultimative. Jodeen, sceglierai di essere la tua gamba e il tuo collo e di svilire la tua proairesi, oppure sceglierai di perdere la tua gamba e il tuo collo e di conservare il giusto valore alla tua proairesi? – Proprio così ultimative? – Fortunatamente non è quasi mai così. Ci si riconosce per chi si è anche su piccoli fatti e piccole scelte, come il gettare una cartaccia in mare oppure nel cestino dei rifiuti, il rispettare o non rispettare la distanza da un faro, il continuare a fumare o smettere di fumare in presenza d’altri. La scelta in questione è piccola, ma la proairesi è la stessa delle grandi scelte. – È di qui che si può cominciare? – Proprio di qui. Se hai mal di testa, non dire ‘Povero me!’. Se hai mal d’orecchi, non dire ‘Ohimè!’. E non dico che non è concesso talvolta di sospirare, ma non di sospirare dal di dentro. Orbene, fiducioso in questi giudizi cammina ritto, libero; non confidando nella stazza del corpo, ma nella stazza della tua proairesi. Dopo un viaggio di tremila miglia, il supertanker ‘Krone’ è ormai in vista del porto di Darwin e tutti i marinai si preparano alle manovre per l’attracco. Winston Howard e Jodeen Carney non hanno più tempo per discutere.
USS 054 – Canada, Lunenburg
La cittadina di Lunenburg, in Nova Scotia, è un tipico insediamento coloniale ed è il meglio conservato al mondo. Fondato nel 1753, ha mantenuto la sua pianta a griglia rettangolare e l’aspetto originale delle case in legno, alcune delle quali risalgono alla fine di quel secolo. Una di queste è il Lewis A. Hirtle Building, situato tra la Fox Street e la Duke Street. Oggi è in riparazione, e il falegname Gilles Harper parla sorridendo con l’architetto Melanie Layton. – Ti rispondo subito Gilles. Nell’ambito di ciò che è aproairetico nessuno è invincibile. Un atleta può vincere molte gare, ma nessun atleta è invincibile. Questo l’ha spuntata di forza sul primo avversario assegnatogli dalla sorte. E sul secondo? Cosa accadrà se il giorno della gara egli non è al massimo della forma? Cosa accadrà se le condizioni atmosferiche gli saranno avverse? E se subirà un incidente qualunque nel corso della gara? E alle Olimpiadi? – Melanie, chi è dunque invincibile? – Chi gareggia unicamente nell’ambito di ciò che è proairetico e non si lascia frastornare da ciò che è aproairetico. D’improvviso Gilles e Melanie tacciono, col cuore sospeso. Le pareti, le travi, i soffitti della vecchia casa, muti testimoni di centinaia di vicende, hanno cominciato lentamente a parlare: – Io le metto davanti del denaro. – Io lo faccio corteggiare da una formosa e avvenente ragazza. – Io le metto nel letto un muscoloso giovanotto e poi spengo il lume. – Io gli offro la celebrità. – Io la ingiurierò volgarmente. – Io gli farò elogi sperticati. – Io mi presenterò a braccetto con la morte. – Ecco Gilles, mormora in un soffio Melanie, se la sua proairesi può vincere tutto ciò, questo è per me l’atleta invincibile.
USS 055 – El Salvador, San Salvador
– Ramon, se una persona che non è educata ad usare la diairesi crede, anche se così non è, di avere una superiorità su altri in qualche ambito, è del tutto necessario che sia boriosa per causa sua. – Una persona come chi, Ana? – Dalla più comune alla più rara, dal manovale in su; passando attraverso portaborse, professori, politicanti, presidenti e dittatori. – Come un tiranno? – Ecco, un tiranno. Ramon, cosa dice un tiranno? – A tutte le ore il tiranno dice: ‘Io sono il più potente di tutti’. – E io gli chiedo: caro tiranno, cosa puoi procurarmi? Puoi procurarmi un desiderio non soggetto ad impedimenti? E come potresti, giacché tu non l’hai? Puoi procurarmi un’avversione che non incappa in quanto avversa? E come potresti, giacché tu non l’hai? Puoi procurarmi un impulso al riparo dalle aberrazioni? E come potresti, giacché neppure questo tu hai? Che cosa puoi dunque procurarmi? Dove sta il tuo potere? – ‘Tanti hanno paura di me, tremano alle mie parole e mi accudiscono!’. – Anch’io accudisco il piatto in cui mangio, lo lavo, lo asciugo e metto il vino in una fiaschetta. E con ciò? Il piatto e la fiaschetta sono oggetti migliori di me? No, ma mi procurano un’utilità. Per questo li accudisco. E che? Non accudisco il mio cane? Non gli netto le zampe? Non lo striglio? Non sai che ogni uomo accudisce se stesso, e te come un cane? – ‘Bada a quello che dici!’. – Ci sto badando. Tu, gonfio di controdiairesi e di boria, credi di avere il potere di dare e di togliere chissà cosa e di essere corteggiato per questo. Fammi vedere chi ti accudisce come uomo. Mostrami chi vuole diventare simile a te. – ‘Te ne mostro folle oceaniche, piazze piene!’. – Bravo, tiranno. Piene di individui protervi come te, come te gonfi di controdiairesi. – ‘Se non la smetti, ti faccio troncare il collo!’. – Dici bene. Avevo scordato che bisogna accudirti come si accudiscono la febbre e il colera, ed innalzarti un altare; come a Roma, dove anticamente la Dea Febbre aveva un tempio sul colle Palatino. A questo punto Ramon ha un soprassalto e, ridendo, bisbiglia qualcosa all’orecchio di Ana. Ana Vilma Escobar e Ramon Zamora convivono assai felicemente in un appartamento di Avenida Las Camelias a San Salvador e ormai da molti anni non possiedono più un televisore.
USS 056 – Democratic Republic of the Congo, Kinshasa
Quantunque Kinshasa offra ancora molte attrazioni, la sicurezza non è una di esse. Soldati armati e polizia, comuni in città, sono poco addestrati, saltuariamente pagati e indisciplinati. Spesso queste forze operano con arbitrio e possono rappresentare una minaccia per la popolazione, più che una protezione. A volte esse sono autrici di crimini, soprattutto rapine a mano armata. Sempre sono a caccia di bustarelle. In caso di furto o rapina, le possibilità di rivalsa legale per i danneggiati sono limitate e la certezza della legge è assente. – Catherine, cos’è dunque a sconcertare ed atterrire i più? – Lokambo, sono i soldati armati, i criminali che rubano e rapinano. – Tu dici che criminali e soldati armati sono più potenti della proairesi? Non è così. È impossibile che quanto è per natura libero, ossia la proairesi, sia sconcertata o impedita da qualcos’altro eccetto che da se stessa. Sono dunque i suoi stessi giudizi a sconcertarla. Giacché quando il dittatore Mobutu diceva a qualcuno ‘Ti farò incatenare la gamba’, chi teneva in onore la gamba rispondeva: ‘No, misericordia’; mentre chi invece teneva in onore la propria proairesi diceva: ‘Se a te pare più vantaggioso, incatenala’. – Ma come, Lokambo, non ti dai pensiero della tua gamba? – Quando è necessario, mi do più pensiero della mia proairesi. – E quando è necessario darsi più pensiero della proairesi che della gamba? – A questa domanda è impossibile dare una risposta univoca, poiché ogni situazione concreta è diversa. Quello che tu stai chiedendo è, in pratica, una ricetta sempre valida che ti sgravi dalla fatica di dover pensare e scegliere personalmente. Ma questa ricetta non esiste. Proairesi e gamba non sono elementi necessariamente contrapposti ed uno non esclude l’altro. Quasi sempre si possono salvare insieme, ma a volte la scelta è inevitabile. – E cosa accade se il tiranno rincara la dose e grida: ’Ti mostrerò che sono io il tuo signore!’? – Catherine, accade che gli risponderò: ‘Tu mio signore? Che dici? La natura mi ha generato libero e tale io devo restare. O reputi che io sia venuto al mondo per essere tuo schiavo? Del mio patrimonio e del mio cadavere, invece, ti riconosco signore: prendili’. – ’Sicché quando ti avvicini a me’, bercia il tiranno, ‘non è per riverirmi e accudirmi?’. – No, io devo innanzi tutto rispetto a me stesso. Se poi vuoi che dica di dovere rispetto anche a te, ebbene dico che ti riverirò e accudirò come accudisco e riverisco una certa parte del mio corpo che non intendo adesso nominare. In Avenue des Aviateurs un posto di blocco ha appena intimato l’alt all’auto sulla quale Lokambo Omokoko e Catherine Lumumba stanno viaggiando. Mantenendo la calma e con modi cortesi, Lokambo mostra i documenti. Catherine, seppure alquanto in ansia, è certa che la scelta di Lokambo sarà la scelta giusta.
USS 057 – Iraq, Baghdad
Raccontano i giornali che a Baghdad la situazione è catastrofica, forse peggiore di quella del Libano durante la guerra civile dei lontani inizi del terzo millennio. Attentati, esplosioni, sequestri di persona, eccidi di massa sono all’ordine del giorno. Chi ha dei bambini li manda a scuola nonostante i rischi ma, una volta a casa, non li lascia più uscire se non accompagnati. Nessun quartiere è sicuro. Il passatempo preferito dai ragazzi è diventato quello di sparare con pistole giocattolo. Chi ha parenti o amici fuori di Baghdad non può far loro visita, a causa della pericolosità di qualunque viaggio. Chi non ha più speranza e ritiene non esserci più futuro per l’Iraq, ha cominciato a lasciare il paese per sfuggire alla violenza. Ma non tutti sono desiderosi di finire in un altro paese arabo, con un regime simile a quello che fu di Saddam Hussein. D’altra parte, andare in un paese occidentale è difficile e vi sono ancora enormi differenze di cultura e di tradizioni. Samir Hammoudi trasporta derrate alimentari ai mercati di Baghdad. Egli non s’interessa di politologia, non si ritiene capace di risolvere i problemi dell’Iraq e conosce a stento i nomi di alcuni ministri dell’attuale governo. Comunque, pensa, nessuno dei ministri conosce il suo nome. Oggi il suo furgone è diretto al mercato di Adhamiya, e una nuvola in cielo copre il sole e lo fa apparire bianco come la luna. Samir lo guarda attraverso il parabrezza e sa bene che si tratta di una stella la quale trasforma, ogni secondo, 564 milioni di tonnellate di idrogeno in 560 milioni di tonnellate di elio, mentre i 4 milioni di tonnellate mancanti sono trasformate in energia e generano direttamente la luce che riscalda, e riscalderà, i buoni e i cattivi di questo pianeta per altri cinque miliardi di anni circa. Cosa dovrebbe fare il sole? Riscaldare soltanto i buoni e non i cattivi? Se il sole non lo fa, diremo che è ingiusto? E se non è ingiusto, che è egoista? Fare quello che si è nati per fare è egoismo? Mentre il furgone sobbalza, Samir ride dentro di sé di questi interrogativi e pensa che il sole nulla ha da rimproverarsi a proposito dell’insipienza umana. Quello del sole non è egoismo. Il sole è semplicemente il sole, mentre danno e giovamento non sono che giudizi umani. Anche per l’uomo è così. Diventare chi davvero siamo significa fare l’azione più socialmente utile che si possa fare. Samir sa mostrare un desiderio che non fallisce; un’avversione che non incappa in quanto intende evitare; un impulso conveniente, che si accorda abilmente con ciò che è doveroso; una repulsione secondo la natura delle cose, libera dall’errore; un assenso non precipitoso né sconsiderato; un dissenso meditato e fermo. Questo è anche ciò che Samir insegna pazientemente ogni giorno a suo figlio, secondo i tempi e i modi che gli sono concessi dalle circostanze esterne. Che sia questa la grande politica della quale un tempo i giornali non parlavano mai?
USS 058 – Liberia, Monrovia
– I comuni e preponderanti giudizi controdiairetici di cui è bulimica la loro proairesi costringono, per forza di cose, i pochi tiranni grandi e il loro codazzo di piccoli tiranni, a stabilire una catena magica di merda con la quale tra di loro si riconoscono e si pascono reciprocamente. – E con ciò? Varney, a cosa intendi riferirti? – Baakai, al fatto che quando si giudica che bene e male sono entità aproairetiche, allora è del tutto necessario mostrarsi servili verso chi ha potere. – Cosa significa ‘entità aproairetiche’? – Significa qualunque cosa non sia in nostro esclusivo potere. Il denaro è in tuo esclusivo potere? – No. – E tu lo ritieni un bene? – Sì. – Eccoti su quella strada! E magari fosse necessario mostrarsi servili soltanto verso chi ha potere e non anche verso i suoi camerieri! – Attento a te, Varney! Bada bene che se continui così, io ti do un pugno in testa, poi arriva gente e finisci male. – Oh, come una persona diventa istantaneamente addirittura saggia qualora il Cesare di turno la faccia capo del suo cesso! Come subito diciamo: ‘Ellen ha parlato con tanta saggezza!’ Io disporrei invece che fosse buttata fuori dal merdaio, affinché di nuovo la reputassi stolta. – Guarda che ti ho avvertito! – D’accordo, Baakai. Siccome non reputi elegante parlare del presente, ti racconterò una storiella antica antica. – Così va meglio. – Epafrodito era un intimo dell’imperatore Nerone. – Nerone, quello dell’incendio di Roma? – Sì, proprio quello. Epafrodito era ricchissimo e aveva tra i suoi schiavi un certo calzolaio di nome Felicione, che un giorno decise di vendere perché lo giudicava un poltrone e un incapace. Il caso volle che quel calzolaio, tempo dopo, fosse comprato da un tale appartenente anche lui alla cerchia dell’imperatore e che in seguito diventasse addirittura calzolaio di Nerone. Da un giorno all’altro Epafrodito cambiò opinione. Cominciò ad onorarlo e a rivolgersi a lui con ogni deferenza: ‘Prego, cosa fa il mio buon Felicione?’. Se qualcuno cercava di sapere cosa stesse facendo Epafrodito, si sentiva immancabilmente rispondere: ‘Si consiglia con Felicione su una certa faccenda’. – Varney, ma Epafrodito non lo aveva venduto perché lo riteneva un buono a nulla? – Certamente. Chi dunque aveva fatto improvvisamente di Felicione una persona saggia? Ecco, questo significa avere in onore qualcos’altro che ciò che è proairetico. Finita la pausa pranzo, Baakai Weah e Varney Brumskine si avviano a riprendere il lavoro di installazione di un nuovo e più potente radar all’aeroporto Spriggs Payne di Monrovia.
USS 059 – Italy, Roma
Silvano Prosconi è stato nominato Senatore a vita per alti meriti scientifici! Tutti coloro che lo incontrano si congratulano con lui. Uno gli bacia gli occhi, un altro le guance, i portaborse gli baciano le mani. Arriva a casa e trova tutte le luci accese. Sale alla Chiesa dell’Ara Coeli per far dire da Don Ignazio Turturro una Messa di ringraziamento. Andrea della Laura conosce bene tutta questa gente e si chiede: ‘Chi di costoro ha mai offerto un giorno di digiuno o un sacrificio qualunque per ringraziare di avere avuto un desiderio da uomo virtuoso, per avere soddisfatto un impulso secondo la natura delle cose? Giacché dove poniamo il bene, là pure rendiamo grazie per averlo conseguito’. Andrea ricorda anche che proprio Silvano Prosconi gli parlava, molti anni addietro, del proposito di farsi cooptare in un certo collegio della Corte dei Conti. Andrea gli aveva detto: – O uomo, lascia stare la faccenda; dilapiderai molto denaro per nulla. – Ma coloro che scrivono contratti, aveva replicato Prosconi, scriveranno il mio nome! – Dunque tu sarai presente ad ogni scrittura contrattuale e ti farai avanti dicendo: state scrivendo il mio nome, state scrivendo me!? E se pure potessi essere presente a tutte, quando morirai che succederà? – Beh, rimarrà il mio nome! – Scrivilo su un sasso e rimarrà. Orsù, fuori di Roma che menzione sopravviverà di te? – Ma avrò il diritto di vestire una toga e di portare un tocco bordato d’oro! – Silvano, se a volte smani per una corona, prendine una di rose e cingitene: apparirai più elegante.
USS 060 – Argentina, Buenos Aires
Elisa Gutierrez e Ruben Carrio vivono a Buenos Aires e, per recarsi al lavoro, devono attraversare almeno due volte al giorno la Avenida 9 de Julio all’incrocio con la Avenida Indipendencia. Larga 127 metri, la Avenida 9 de Julio è ancor oggi la più grande del mondo, con tre marciapiedi centrali attrezzati a giardino e 18 linee di scorrimento del traffico automobilistico raggruppate in 4 sezioni. Se si rispettano i semafori, per attraversarla ci vuole il tempo di questo dialogo. – Ruben, ogni arte o facoltà è conoscitiva dei principi generali di certi oggetti specifici. E qualora essa sia conforme agli oggetti conosciuti, necessariamente diventa conoscitiva dei principi generali di se stessa, ossia autoteoretica. Qualora invece ne sia difforme, non può essere conoscitiva di se stessa. – Elisa, fammi un esempio perché non sono sicuro di capire bene. – Per esempio, l’arte della calzoleria si rivolge alla lavorazione di certe pelli, ma essa è totalmente altro dal materiale ‘pelli’: per questo non è conoscitiva dei principi generali di se stessa. La metallurgia, se vuoi un altro esempio, si rivolge alla lavorazione dei metalli. Ma è forse anch’essa ‘metallo’? – Nient’affatto! – Per questo non può essere conoscitiva di se stessa. – Elisa, e cosa dici circa la ragione? La ragione non è necessaria né per vivere né per riprodursi. Dunque, per quale scopo ci è stata data dalla natura? – Per l’uso quale si deve delle rappresentazioni. Ed essa ragione cos’è? Un insieme di rappresentazioni d’un certo modo. Vedi che così essa è per natura delle cose anche conoscitiva dei principi generali di se stessa? – Autoteoretica? – Sì. Di nuovo, la saggezza è conoscitiva di cosa? – Beni, mali e di ciò che è né bene né male. – Ed essa cos’è? – Un bene. – La stoltezza cos’è? – Un male. – Vedi dunque che la saggezza, nome che diamo alla ragione che opera rettamente, diventa di necessità conoscitiva dei principi generali e di se stessa e dell’opposto? Per questo, la più grande e prima opera dell’uomo è quella di valutare le rappresentazioni, distinguerle e non accettarne alcuna senza adeguata valutazione. – Come siamo soliti fare con le monete, laddove siamo attenti a non accettare monete false? – Proprio così dovremmo fare, Ruben. Invece, quanto alla ragione, siamo soliti dormire a bocca aperta, accettando scriteriatamente la prima rappresentazione che ci salta in mente. Attento, Ruben…
USS 061 – Dominican Republic, Santo Domingo
In pieno centro di Santo Domingo, nella Avenida Maximo Gomez, un’auto fa una inversione a U. È sera e piove. L’irregolare e azzardata manovra causa un incidente nel quale sono coinvolte altre vetture. Il parabrezza di quella su cui viaggiano Leonel Albuquerque e Martina Estrella va in frantumi e i frammenti di vetro feriscono Martina al viso e alla gola. La ferita più seria è però quella all’occhio sinistro, causata da una scheggia che sembra essersi infissa nella pupilla. Fortunatamente il Centro Medico ‘Universidad Central del Este’ è situato non lontano, sulla stessa Avenida, poco oltre il Teatro Nacional. Adesso Martina è distesa nel suo letto d’ospedale. Ha la gola fasciata e gli occhi bendati. Leonel, il quale non ha riportato che una piccola contusione alla gamba, è seduto accanto al letto e le stringe una mano. – Ti ho portato il tuo Ipod. Martina, come stai? – Io sto benissimo, Leonel. Sto benissimo anche al buio. E tu? – La mia contusione è una sciocchezza. Sono preoccupato per il tuo occhio. – Il mio occhio mi è stato fedele compagno per tanti anni. Oggi, forse, lo devo restituire a chi me lo diede. – Non stai male per questo? – Leonel, la parziale cecità è un intralcio del corpo, non della proairesi; se la proairesi non lo disporrà. Una contusione è un intralcio di gamba, non di proairesi. Se vogliamo riconoscere quanto siamo sciatti circa beni e mali e invece diligenti circa ciò che è né bene né male, riflettiamo insieme sul come ci atteggiamo di fronte all’essere accecati e di fronte all’ingannarci su dove stiano il bene e il male. – Martina, ma farai tutto il possibile per non perdere l’occhio? – Certo che lo farò. Avrò la massima cura del mio caro e fedele compagno di tanti anni. Ma se sarò costretta a restituirlo, lo restituirò rendendo grazie per le meravigliose cose che mi ha regalato. – E poi? – E poi brillerò in questa nuova circostanza. Bene la salute e l’integrità del corpo, male la parziale cecità? No, Leonel- – E cosa allora? – Cosa? Vivere in salute da virtuosi è bene, vivere in salute da viziosi è male. – Sicché è possibile trarre giovamento anche dalla parziale cecità? – Per la Materia Immortale, e dalla morte non è possibile? Da una storpiatura non è possibile? Sostanza del bene è l’uso quale si deve delle rappresentazioni. – Facile a dirsi, Martina. Meno facile a comprendersi e a praticarsi. Ciò ha bisogno di molta preparazione, molta fatica e molte lezioni. – E dunque? Speri possibile apprendere la più grande delle arti in poco tempo?
USS 062 – Azerbaijan, Baku
– I preconcetti, Ilham Achundov, sono comuni a tutti gli esseri umani e tutti gli esseri umani, senza eccezione alcuna, giudicano che il bene è utile e da scegliersi in ogni circostanza. Quale essere umano non concorda sul fatto che ciò che è giusto è anche bello e confacente? – Nessuno, Rasul Quliyev. Quando nasce dunque la contrapposizione tra di noi? – La contrapposizione nasce quando si passa all’adattamento dei preconcetti alle situazioni specifiche, concrete. A quel punto uno dice: ‘Il petrolio di cui è ricca la regione di Baku è mio’, mentre un altro lo contesta e afferma: ‘No, il petrolio di Baku è una risorsa che deve appartenere a me’. Così nasce la contrapposizione degli individui e degli Stati gli uni gli altri. Questa fu un tempo la contrapposizione di Cristiani, Musulmani ed Ebrei, non sul fatto che quanto è sacrosanto sia da anteporre a tutto e da perseguire in ogni circostanza, ma se sia sacrosanto o sacrilego mangiare carne di maiale e bere del vino. – Mi piacerebbe, Rasul, che tu facessi un altro esempio, come dire, meno petrolifero e meno religioso. – Più chiaro non so; ma un esempio più nobile e adatto al palazzo degli Shirvanshahs di fronte al quale ci troviamo, certamente. – Quale? – Quello di Agamennone e Achille, che è all’origine dell’Iliade. Ilham, chiamali un po’ qui in mezzo a noi…Che dici tu, Agamennone? Non deve accadere quel che è giusto e sta bene? – ‘Certamente deve accadere’. – E che dici tu Achille? Non gradisci che accada quel che è giusto? – ‘Io certo sono il primo a gradirlo’. – Adattate dunque i preconcetti! E qui inizia la contrapposizione, perché Agamennone dice: – ‘Non è giusto che io restituisca Criseide a suo padre’. – E Achille risponde: – ‘È giusto che Agamennone restituisca Criseide a suo padre, sacerdote di Apollo. – È evidente che uno dei due o tutti e due stanno adattando male il preconcetto di ‘giusto’ alla situazione concreta. Agamennone cerca di superare la contrapposizione e propone: – ‘Sono disposto a restituire Criseide a suo padre, ma in quel caso, dal bottino di Achille devo prendere per me Briseide’. – E Achille risentito ribatte: ‘Tu sottrarmi Briseide, la mia innamorata?’. – ‘Sì, proprio la tua’. – ‘Dunque io solo, Achille, l’eroe più forte, devo rimanere….’. – ‘Ed io solo, il re Agamennone, non avere….’. – Ecco, Ilham, così nasce la contrapposizione. – Che tutti e due abbiano ragione, ossia applichino correttamente il preconcetto di giusto alla situazione concreta, è impossibile; giacché allora non vi sarebbe contrapposizione. Rimangono soltanto due possibilità: o uno dei due ha ragione, oppure tutti e due hanno torto. Rasul, tu cosa pensi? – Ilham, dove pone Agamennone il suo bene? – Nel possesso di Criseide o, in alternativa, di Briseide. – E dove lo pone Achille? – Nel possesso di Briseide. – Briseide e Criseide sono, tanto per Achille che per Agamennone, entità proairetiche o aproairetiche? – Aproairetiche, evidentemente. – Ne consegue che Agamennone e Achille identificano il loro bene e il loro male nel possesso, o meno, di entità aproairetiche. Ilham, la risposta alla tua domanda è già tutta contenuta qui. Manca soltanto un piccolo passaggio. – Accidenti a te, Rasul! Spero di avere capito.
USS 063 – Vanuatu, Port Vila
Sul lungomare di Port Vila, nell’isola di Efate, Noemi Malampa e Sylvius Kelekele sono comodamente seduti ai tavoli del Jill’s Café. Noemi, che porta al collo una treccina d’argento con una perla nera, ha scelto per sé un cocktail ‘American way’, mentre Sylvius ha preferito un Martini on the rocks. Davanti a loro, grandi girasoli e mazzi di fiori tropicali sotto alberi di papaya. – Sylvius, cosa significa educarsi ad usare la diairesi? – Significa, Noemi, imparare ad adattare i naturali preconcetti di bene e di male alle situazioni particolari in modo consono alla natura delle cose. – E qual è il modo consono alla natura delle cose? – La natura delle cose è tale per cui alcune di esse sono in nostro esclusivo potere mentre altre non sono in nostro esclusivo potere. Sono in nostro esclusivo potere la proairesi e tutte le opere della proairesi, ossia desideri e avversioni, impulsi e repulsioni, assensi e dissensi. Non sono in nostro esclusivo potere il corpo, le parti del corpo, il patrimonio, i genitori, i fratelli, i figli, la patria, e via dicendo. – Dove porremo dunque il bene? A quali cose lo adatteremo? – Noemi, a quelle in nostro esclusivo potere ed esclusivamente a quelle. – Già, ma così facendo non sono più beni la salute del corpo, l’integrità fisica, la vita e neppure i figli, i genitori, la patria! Sylvius, sono tollerabili delle affermazioni simili? – Va bene. Torniamo allora a porre il bene in ciò che è aproairetico. Ti chiedo: è fattibile che sia felice chi subisce danno e fallisce il bene? – Non è fattibile. – E che serbi verso chi ha intorno la condotta che si deve? – Non è possibile. – Noemi, dici bene che è impossibile, giacché ogni individuo è nato per conseguire il proprio utile. Se mi è utile avere un’industria, farò di tutto per ingrandirla e dunque mi sarà utile anche impadronirmi di quella del vicino e poi raggiungere, nel mercato, una posizione di monopolio. Se mi è utile avere un’automobile e non ne posseggo una, mi sarà utile anche rubarla. Di qua le insidie, le tirannie, i conflitti civili, le guerre di un tempo. Se noi poniamo la sostanza dell’utile, e dunque del bene, in ciò che è aproairetico, tutto questo inevitabilmente consegue. – Che fare, allora? – Noemi, questa è ricerca degna di chi fa effettivamente filosofia ed è in travaglio di pensiero. – Sylvius, dopo quello che mi hai detto finalmente vedo con chiarezza cos’è il bene e cos’è il male. Non sono pazza? – No, non sei pazza. Eppure molti secoli fa, chi poneva il bene qui, in ciò che è proairetico, veniva spesso deriso. Prima o poi arrivava sempre un vecchio coi capelli bianchi e con molti anelli d’oro alle dita il quale, dopo aver scosso la testa, ti diceva: ‘Ascoltami, figliola: si deve anche fare filosofia, ma si deve anche avere cervello: queste sono stupidaggini. Tu dai filosofi impari il sillogismo, ma cosa si debba fare, lo sai meglio tu dei filosofi’. – E io cosa potrei rispondergli, Sylvius? – Digli: ‘Vecchio, perché dunque mi rimproveri se lo so?’. – E se il vecchio bercia? – Digli: ‘Perdonami come perdoni gli innamorati: non sono padrona di me, sono pazza’.
USS 064 – Ireland, Dublino
– Stephen, sono le circostanze difficili a mostrare gli uomini. Dunque quando t’imbatterai in una circostanza difficile ricorda che sei stato messo alle prese, come per opera di un maestro di ginnastica, con uno scabroso giovanotto. – A quale scopo, Gerry Farrard? – Affinché tu possa diventare un vincitore olimpico. E, senza sudore, questo non accade. Ripeto che sarà per te una grande fortuna quella di incontrare delle circostanze difficili, a patto che tu disponga di usarle come un atleta usa quel giovanotto. Ora noi mandiamo esploratore a Dublino proprio te, Stephen. Nessuno manda come esploratore un vile. Un vile, se soltanto sente un rumore e vede un’ombra da qualche parte, viene di corsa sconcertato a dirci che i nemici sono già alle porte. Così ora anche tu, se verrai a dirci: ‘Paurose sono le faccende a Dublino: terribile è la morte, terribile è il carcere, terribile è il discredito, terribile è la povertà di denaro: fuggite uomini, i nemici sono già qui’; ti diremo: ‘Vai via, queste paure tienile per te. Noi abbiamo sbagliato soltanto in questo: nel mandare te come esploratore’. Trevor Godkin, inviato come esploratore prima di te in un altro paese, ci ha dato notizie ben diverse. Egli dice che la morte non è un male, giacché neppure è una vergogna e afferma che il discredito è baccano di individui pazzi. E sul dolore, sul piacere fisico, sulla povertà di denaro, quali parole ci ha detto questo esploratore! Dice che la nudità è il migliore degli abiti. Dice che la nuda terra è il più morbido dei giacigli su cui dormire. E ne porta a dimostrazione il suo coraggio, l’assenza di sconcerto, la libertà e poi il corpo splendido e scattante. ‘Nessun nemico,’ dice, ‘è vicino; tutto trabocca pace’. Come? ‘Ecco,’ dice Trevor, ‘guardatemi: sono forse stato trafitto, sono stato forse ferito, ho forse fuggito qualcuno?’ Questo è un esploratore quale si deve! Invece James, il tuo predecessore a Dublino, dimostrandosi incapace di prescindere dalla viltà nel guardare le cose, è venuto a darci notizie diverse, dopo avere visto soltanto delle ombre. – Gerry, come devo dunque comportarmi? – Stephen, cosa fai quando sbarchi da un bastimento? Rimuovi forse il timone, rimuovi forse l’ancora? Che cosa rimuovi? – Le mie cose: la valigia, la sacca. – Se sai quanto è tuo, non pretenderai mai quanto è d’altri. A Dublino qualcuno ti dirà: ‘Togliti la giacca’. Tu rispondi: ecco la camicia. ‘Togliti la camicia’: ecco la maglia. ‘Togliti la maglia’: eccomi nudo. ‘Ma mi muovi invidia’. Prendi dunque l’intero corpo. Avrai ancora paura di colui contro il quale puoi scagliare il tuo corpo? – Gerry, ma mio padre mi lascerà erede di nulla! – E con ciò? Dimentichi che niente di questo è tuo? – In quale senso diciamo allora che queste cose sono nostre? – Come il letto dell’albergo se l’albergatore, morendo, ti lascerà il letto. Ma se lo lascerà ad un altro, l’avrà quello e tu cercherai un altro giaciglio. – E se non lo troverò? – Se non lo troverai, ti coricherai per terra. E fallo con fiducia, russando; memore che le tragedie hanno luogo tra i ricchi di denaro, i re, i tiranni. I re iniziano sempre dal benessere: ‘Inghirlandate i palazzi’. Poi, al terzo o al quarto atto, ecco che guaiscono: ‘Ah, Citerone, perché m’accoglievi?’. Schiavo! dove sono le corone, dov’è il tuo diadema? Non ti giovano a nulla le tue guardie del corpo? Quando a Dublino ti avvicinerai ad uno di quelli, ricordati di questi. Ricorda che ti sta davanti un personaggio tragico, non un attore ma Edipo in persona. – Beato lui, che ha tante persone intorno con le quali passeggiare! – Méscolati anche tu alla folla e sarai a passeggio con molti. Ricordati comunque che la porta è sempre aperta. Non essere più vile dei bambini ma come essi, quando non gradiscono più un gioco dicono: ‘Non giocherò più’; anche tu, quando certe cose ti paiono sgradevoli, dopo avere detto: ‘Non giocherò più’, allontanati. Se però rimani, non lamentarti.
USS 065 – Djibouti, Gibuti
– Moumin Guelleh, da dove arrivi? È un po’ di tempo che ti aspetto! – Ero poco lontano da qui, ad Ambouli. Tu sei giovane, Gouled, e non puoi ricordare quel tempo in cui, verso sera, da Gibuti si andava a fare una passeggiata in calesse fino ad Ambouli per sentire il profumo di gelsomino dei suoi giardini. – E tu sai chi, in piazza Mahamoud Harbi, ancora prima di quel tempo, commerciava le sue partite di armi? – Chi? – Un giovane francese che ormai batteva la fiacca come poeta e faceva il contrabbandiere di armi. – Come si chiamava? – Arthur Rimbaud- – Bravo Gouled! La piazza Mahamoud Harbi è proprio qui a due passi. Voglio sedermi fuori della grande Moschea, all’ombra del minareto che la domina. Vieni con me? – Certo, Moumin. Devi concludere il discorso che avevi cominciato ieri. – Mantengo fede alla mia promessa e lo faccio subito, Gouled; dicendoti che se tu non batti la fiacca né reciti una parte quando dici che il bene e il male dell’uomo stanno nella proairesi, mentre tutto il resto è nulla per te; perché sei ancora sconcertato, perché hai ancora paura? – Non riesco a farne a meno, almeno così mi pare. – Rifletti. Su quanto noi ci industriamo, ossia sulla nostra proairesi, nessuno ha potestà; e di ciò su cui gli altri hanno potestà, di questo noi non ci impensieriamo. Che fastidi hai ancora? – Ma dammi istruzioni! Io vorrei delle ricette. A me succede questo: quando parlo con te, tutto mi sembra chiaro; ma quando sono solo e ho la responsabilità di scegliere, sono pieno di dubbi e scelgo sempre la cosa sbagliata. – Che istruzioni ti devo dare, Gouled? La Materia Immortale non te le ha date? Non ti ha dato quanto è tuo non soggetto ad impedimenti e disimpacciato e le cose non tue, invece, soggette ad impedimenti e impacciate? – Con quale istruzione, con quale costituzione sono dunque venuto di là? – Questa: serba quanto è tuo in ogni modo e non prendere di mira quanto è altrui. La lealtà è tua, l’onestà intellettuale è tua, il rispetto di sé e degli altri è tuo: chi può sottrarti ciò? Chi altro t’impedirà di usarli se non tu stesso? – E io come me lo impedisco? – Quando t’industrii per quanto non è tuo come se fosse tuo, ecco che te lo impedisci, ecco che perdi quanto è tuo. Avendo siffatti suggerimenti e istruzioni, quali altri vuoi da me? Sono io migliore o più degno di fede della Materia Immortale? – Se rispetto la natura delle cose e mi tengo fedele ad essa non ho bisogno di altre istruzioni? – Non hai bisogno d’altro. Ne siano prova le dimostrazioni dei filosofi, ciò che spesso hai sentito dire, ciò che hai letto e studiato.
USS 066 – Equatorial Guinea, Malabo
A Malabo, sull’isola di Bioko, Nguemo Ntutumu e Oyono Mbasogo sono seduti sul bordo della fontana che troneggia davanti al Municipio, in Plaza del Ayuntamiento. – Nguemo, il nostro paese ha poco più di mezzo milione di abitanti e, grazie al petrolio che esporta, può vantare il secondo reddito pro-capite più alto del mondo, essendo ormai preceduto soltanto dal Lussemburgo. Ti chiedo, e mi chiedo: fino a che punto sta bene giocare con ciò che è aproairetico e non sciogliere il gioco? – Oyono, finché è possibile tragittarsela graziosamente, ossia finché si è attenti a non confondere il piano di ciò che è proairetico con il piano di ciò che è aproairetico. Quando si salvaguarda questa distinzione, allora il gioco è ben giocato e non vi è alcun motivo di non giocare più. – Facciamo un esempio? – A Carnevale è stato sorteggiato un re, giacché è stato deciso di giocare a questo gioco. Il re comanda: ‘Tu bevi, tu mesci il vino, tu canta, tu parti, tu vieni’. Cosa gli rispondi, Oyono? – Nguemo, non so se giocare o non giocare. Mi vergogno. – Non vergognarti e gioca sereno. Esegui pure quanto ti è comandato, così che il gioco non sia interrotto per colpa tua. – Va bene, gioco. – Adesso, mentre stai giocando, il re ti comanda: ‘Vergognati di giocare’. Cosa gli rispondi? – Non mi vergogno di giocare. Chi può costringermi a vergognarmi di qualcosa che non giudico vergognoso? – Esattamente, Oyono. Anche nei riguardi della vita dobbiamo comportarci come ci comportiamo con i ragionamenti ipotetici, quando diciamo ‘Ammettiamo che adesso sia notte’. – Sia notte. – E dunque? E’ giorno, adesso? – No, giacché abbiamo ammesso l’ipotesi che sia notte. – Allora adesso è notte. – Si, adesso è notte. – Ma io voglio che tu concepisca che adesso è davvero notte. – No, non posso farlo perché non consegue all’ipotesi che abbiamo fatto. – Esatto. Anche nella vita è così. ‘Ammettiamo che il tuo paese sia ricco di petrolio e che tu, come tutti gli altri cittadini, ne goda la quota pro-capite matematica’. – Sia così. – Dunque sei ricco grazie al petrolio? – Sì, sono ricco grazie al petrolio. – Adesso devi concepire di essere davvero ricco grazie al petrolio. – No, non consegue all’ipotesi che abbiamo fatto. – Dici bene. Non consegue all’ipotesi, non è vero nei fatti e una retta proairesi t’impedisce di farlo.
USS 067 – Pakistan, Islamabad
– Imran, il gioco non è più ben giocato quando non si rispettano più le regole ossia quando, per continuarlo, ti è chiesto di rinunciare a ciò che è esclusivamente tuo. – Nawaz Hussain, per quanto tempo, allora, è lecito e consentito giocare con ciò che è aproairetico? – Finché è vantaggioso giocarci. Ti ripeto, Imran, finché salvaguardi ciò che ti è confacente e consono: retta proairesi e retti giudizi. – Vi sono persone permalose e deboli di stomaco le quali dicono: ‘Io non posso pranzare da Fazlur perché non lo sopporto quando racconta, e lo fa ogni volta, come fece la guerra in Libia contro gli Italiani: ‘Ti esposi, fratello, come salii sulla cresta…; e inizio di nuovo ad essere assediato’. – Lo so, capita. – Altre dicono: ‘Io invece voglio pranzare da Fazlur e lasciarlo ciarlare quanto vuole’. Qual è l’atteggiamento giusto? Cosa devo scegliere? Andare o non andare a pranzo? – Imran, paragona le due stime, sapendo che entrambe le scelte sono equivalenti nella loro indifferenza. – Sceglierò comunque bene qualunque delle due alternative io scelga? – Sì, è così. Bada soltanto a non fare nulla da individuo appesantito od oppresso, e non giudicare di avere scelto male, giacché a questo nessuno ti costringe. – E se nella casa in cui sono invitato, qualcuno fa fumo nella stanza? – Se il fumo a te pare essere in quantità equilibrata, rimani. – Nawaz, e se è troppo? – Se per te il fumo è troppo, esci; vattene. Giacché devi ricordare e tenere ben fermo che la porta di qualunque casa è sempre aperta. – E se mi viene comandato: ‘Non abitare a Islamabad’? – Non abitarci. – ‘Non abitare a Karachi’. – Non abitarci. – ‘Non abitare a Lahore’. – Non abitarci. – ‘Abita a Quetta!’. – Abitaci! – Ma abitare a Quetta mi sembra come abitare in una stanza con troppo fumo. – Allora ritirati là dove nessuno mai può impedirti di abitare, giacché quella è la dimora aperta a tutti. Quanto all’ultima tunica, cioè il corpo, superiormente a questo nessuno ha potestà alcuna su di te. Se però sei infatuato del tuo corpo, hai già consegnato te stesso, come servo, al tuo dittatore. Se sei infatuato delle tue coserelle, sei già parimenti servo. Giacché subito manifesti con cosa sei catturabile. Memore di ciò, chi ancora adulerai o di chi avrai paura?
USS 068 – Paraguay, Asuncion
Ad Asuncion, lo Stadio Manuel Ferreira, detto anche ‘El Estadio de Para Uno’, è il tempio del Football Club Olimpia. – Nicanor, ma io voglio sedere in tribuna, dove siedono le autorità! – Paga il biglietto per le tribune e accomodati. – Ma io non ho tanti soldi e poi, comunque, non sai che una cosa è la tribuna e un’altra la tribuna delle autorità? – Vedi che sei tu stesso a procurarti angustie, che ti opprimi? – E come posso, altrimenti, vedere bene le partite di calcio del mio Olimpia? – Blas, non andare alle partite di calcio e non sarai certo oppresso. – Non dire bestemmie, Nicanor! – Perché ti crei fastidi con le tue stesse mani? Oppure aspetta un poco e, una volta terminata la partita, cerca di sederti nei posti riservati alle autorità e lì prendi il sole. In generale, ricorda che siamo noi ad opprimere e angustiare noi stessi, cioè che sono i nostri giudizi ad opprimerci e angustiarci. – Nicanor, ma gli uomini della sicurezza, per prima cosa non mi lasciano passare e poi, se io insisto, mi ingiuriano. – Cos’è l’essere ingiuriato? Prendi un sasso, mettitelo accanto e ingiurialo. Vedi che non accade proprio nulla? – Sì, ma io non sono un sasso! – Ma puoi, Blas, se così la tua proairesi decide, ascoltare come se fossi un sasso. E se tu starai ad ascoltare chi ti ingiuria come se fossi un sasso, che vantaggio ne avrà chi ingiuria? Ma se chi ingiuria ha per passerella la tua debolezza, allora conclude qualcosa. – E se quello mi prende in giro e mi dice: ‘Non ti accorgi neanche che ti sto oltraggiando?’ Cosa devo rispondere? – Rispondi: ‘Ben ti sia!’. Questo era ciò che Socrate studiava ogni giorno, e grazie a questo era la personalità che era. Noi invece tutto vogliamo esercitare e studiare piuttosto che sforzarci di essere non soggetti a impacci e liberi. – Chi? Di chi parli? Socrates, quel centrocampista della Nazionale del Brasile ai Campionati del Mondo di calcio di secoli fa, in Spagna? – No, quello aveva una esse finale di troppo. – Nicanor Oviedo Silva, tu mi deludi; fai finta di non capire o continui proprio a non capire. Io, Blas Gonzalez Quintana, tifoso da legare della pluricampione quadra di calcio ‘Olimpia’ di Asuncion, dalla filosofia voglio sapere come si fa a sedere nella tribuna delle autorità per assistere, gratis naturalmente, alle partite della mia squadra del cuore. Se la filosofia non serve a questo, a cosa mi serve?
USS 069 – Portugal, Lisbona
Dei leggeri fruscii sul vetro hanno fatto voltare Tristan verso la finestra. Grossi fiocchi argentei cadono obliquamente, illuminati dalla luce di un lampione. Le previsioni dei giornali, per quanto incredibili, si sono avverate: nevica a Lisbona. – Non ho affatto piacere che Tristan abbia a che fare con la filosofia e in particolare, poi, con lo stoicismo. Figuriamoci, uno studio del genere…’. sta ripetendo Anibal da Cunha a suo fratello Josè – Che vuoi dire, Anibal? – Quello che voglio dire, Josè, è che fa male ai giovani. La mia opinione è che un giovane deve giocare e correre con i giovani della sua età e non sia… Ho ragione? – Il mio principio – gli risponde Josè – è lo stesso: che impari a difendersi facendo a pugni. È quello che gli dico sempre: fai del moto. Quando ero giovane io, facevo un bagno freddo tutte le mattine, estate e inverno. Ed è quello che mi tiene su adesso. La cultura è una gran bella cosa, ma…E come mai pensi che faccia male ai giovani? – Fa malissimo ai giovani perché i giovani hanno le menti così impressionabili. Quando i giovani sentono cose del genere, sai, ha un effetto… In casa da Cunha, la cena di stasera non si compone che di una minestra d’avena e di una fetta di pane. Invece di riempirsi la bocca di minestra per paura di dare sfogo alla sua rabbia, invece di rimuginare che lo zio Josè è un noioso vecchio imbecille, questa sera Tristan da Cunha ha trovato il coraggio di rivolgersi ad Anibal e gli ha detto: – Dunque io sbaglio, padre, e non so quel che mi spetta e conviene. Ma se è né imparabile né insegnabile, perché m’incolpi? Se è insegnabile, insegnamelo; e se tu non puoi, lascia che io l’impari da coloro che dicono di sapere. Peraltro, cosa pensi? Che di proposito io incappi nel male e fallisca il bene? Non è così! Qual è dunque la causa del mio aberrare? L’ignoranza. Non desideri che io abbandoni l’ignoranza? A chi mai l’ira insegnò l’arte di pilotare una nave o la musica? E tu reputi che io imparerò l’arte di vivere grazie alla tua ira?
USS 070 – Panama, Panama City
Nel Casco Viejo di Panama City, in Plaza de la Catedral, Guillermo Endara ha aperto una ‘Escuela de Estoicismo’ e l’ha voluta chiamare con il nome del più recente traduttore italiano dell’opera omnia di Epitteto. L’iniziativa di Guillermo sta avendo un grande e alquanto sorprendente successo. L’amicizia pluridecennale che ci lega gli ha poi suggerito di mandarmi copia di alcuni dei testi dei quali egli si serve. Del primo di essi, posso qui pubblicare soltanto i primi paragrafi. ‘Io direi che la prima legge del vivere è questa: effettuare quanto consegue alla natura delle cose. Giacché se su ogni materiale e in ogni circostanza noi decidiamo di serbare quanto è secondo la natura delle cose, è manifesto che dobbiamo avere come bersaglio il non rifuggire quanto consegue e il non accettare quanto contraddice la natura delle cose. Pertanto, una volta saldamente posseduti i principi generali, ci alleneremo dapprima con casi semplici, per poi passare gradualmente a confrontarci con i casi più ardui. Vi faccio un esempio. Io so di un tale che, avvinghiato alle ginocchia di uno dei Rockfeller, singhiozzava e diceva di essere un disgraziato perché non gli era avanzato più nulla se non un milione e mezzo di dollari. E dunque quel Rockfeller, cosa fece? Lo derise come state facendo voi? No, ma trasalendo dice: ‘Oh povero sciagurato, come hai fatto a tacere finora; come hai potuto farti tanta forza?’ Là infatti, a New York, ci sono effettivamente i grandi cespiti; e i tesori di qua, di Panama, là sembrano giocattoli. Questo serve a ribadire che è difficile padroneggiare le proprie rappresentazioni là dove grandi sono gli scrolloni. E mentre qui, a scuola, nulla vi trascina a non seguire quanto vi è insegnato, nei casi della vita sono molti i motivi che possono distrarvene. Non inizieremo dunque da questi ultimi, essendo insensato iniziare dai casi più ostici e complessi. Soltanto chi è venuto qui con la piena coscienza di un simile progetto può a buon diritto essere soddisfatto della propria scelta. Chi invece è venuto da me soltanto perché ha intenzione di sfoggiare le conoscenze che acquisirà sui sillogismi ipotetici sia in un convegno, oppure quando è a cena con qualche senatore, ebbene costui avrebbe fatto meglio a non venire qui’.
USS 071 – Philippines, Manila
Sono le quattro del pomeriggio e un trafelato Aquilino Zambales è riuscito a prendere per la coda il treno in partenza dalla Stazione Tutuban di Manila e diretto a Legazpi. Sul treno, Aquilino ha rivisto per caso, dopo tanto tempo, la sua amica Aurora Leyte. – Senti Aurora, devo darti una brutta notizia: Frisco è morto! E pensa cos’è successo a quel povero sciagurato di Manuel: gli sono morti il padre e la madre! Aurora, faccio fatica persino a dirtelo: Ernesto è stato stroncato da un infarto, prematuramente e mentre si trovava all’estero! – Aquilino, e dove sono le brutte notizie? – Ma come? Non sono brutte notizie quelle che ti ho dato? – Per me, le brutte notizie sono altre. – E allora cos’è la morte? Una bella cosa? – No, è né una bella cosa né una bella notizia. È spiacevole e dolorosa ma non è brutta. – Se è né bella né brutta, cos’è la morte? – Tu chiami brutto ciò che ti appare un male e bello ciò che ritieni un bene. È così? – Sì, è così. Tu non usi le parole come le uso io? – Anch’io uso le parole come le usi tu, Aquilino; ma non chiamo bene ciò che tu chiami bene e non chiamo male ciò che tu chiami male. Secondo te, cosa sono la nascita e quindi la vita? – Un bene, un bene che merita di essere festeggiato. – E la morte? – Un male che merita lacrime e disperazione. – E se io ti dicessi che la semplice vita, la vita in quanto tale, è né un bene né un male; tu cosa mi risponderesti? – Che sei solo tu a pensarlo e che tutti gli altri la pensano come me. – E se aggiungessi che anche la morte, la morte in quanto tale, è né un bene né un male? – Aurora, ti direi che sei insensibile, egoista e forse matta. – Grazie per il complimento! Lo accetto. Aquilino, è doveroso avversare i mali e perseguire i beni, ma chiameremo male qualcosa che è inevitabile, necessario, che non dipende da noi, al quale tutti dobbiamo andare incontro? Come posso sfuggire la morte? Svelami il nome del paese verso cui partire, svelami il nome delle genti che la morte non assale, svelami la formula magica. Tu la conosci? – Nessuno ce l’ha. – E allora cosa vuoi che faccia? Posso sfuggire la morte? – No. – Posso però evitare di averne paura, posso evitare di piangere e di tremare davanti alla morte. Questo dipende esclusivamente da me. Questo lo posso. – Aurora, non ti riconosco più. Dopo avere mormorato questa frase, Aquilino si è allontanato e ha cambiato scompartimento senza più dire una parola, convinto che ad Aurora deve essere accaduto qualcosa di grave.
USS 072 – Peru, Lima
Le cicale cantano nel campo sottostante e quando tacciono tutto è silenzio. Ritti sulla grande roccia, Ollanta Ayacucho e Valentin Ucayali vedono distendersi ai loro piedi, per chilometri e chilometri, tutta Lima. Di tanto in tanto qualche sparviero, dopo essersi staccato dalle grandi rocce, descrive nel cielo arroventato immensi cerchi. L’occhio di Ollanta segue quel volo potente e tranquillo. Ne sente la forza, ne ammira l’isolamento. – Valentin, cos’è causa dell’assentire a qualcosa? – Il parere che quel qualcosa c’è. – A quanto pare non esserci è dunque impossibile assentire. – Perché, Ollanta? – Valentin, perché questa è la natura dell’intelletto umano: dire di sì al vero, di no al falso e sospendere il giudizio nel dubbio. – Cosa ne fa fede? – Sperimenta, se puoi, che ora è notte. – Non è possibile, giacché adesso è giorno. – Non sperimentare che è giorno. – Non è possibile, ti ho appena detto che è giorno. – Adesso sperimenta che le stelle sono in numero pari. – Non è possibile, Ollanta. Devo sospendere il giudizio, perché non so se le stelle siano in numero pari o dispari. – Qualora dunque un individuo assenta al falso, sappi che non disponeva di assentire al falso; giacché ogni animo si defrauda della verità suo malgrado, come ci ha insegnato anche Andrea della Laura; ma che reputò il falso essere vero. – E nelle nostre azioni cos’abbiamo di equivalente a quanto abbiamo adesso chiamato il vero o il falso? – Valentin, abbiamo il doveroso e il non doveroso, l’utile e l’inutile, il secondo me e il non secondo me e tutti gli altri criteri simili a questi. – Può un individuo reputare che qualcosa gli è utile e non sceglierla? – No, non può. Quando Medea dice: ’Capisco quali mali sto per fare, ma il rancore è più forte delle mie risoluzioni’, lo dice proprio per questo, perché ritiene più utile gratificare il suo rancore e vendicarsi del marito Giasone che salvare i figli. – Sì, ma Medea si è ingannata. – Mostrale con evidenza che si è ingannata ed ella non ucciderà i suoi figli. Ma finché non glielo mostrerai, cos’ha da seguire se non il suo parere? – Niente. – Perché dunque ti esasperi con lei? – La disgraziata erra sulle questioni fondamentali e da essere umano si sta trasformando una vipera! – Valentin, Medea è una persona con una proairesi accecata e azzoppata. Se proprio lo si deve, allora, commiseriamola come commiseriamo i ciechi e gli zoppi.
USS 073 – Madagascar, Antananarivo
Ad Antananarivo – dove la terra è rossiccia, le case sono rossicce, i vestiti si ricoprono di polvere rossiccia, dove tutto è rossiccio – l’amore porta, in certi casi, ad una intimità così assoluta che non c’è posto per gli scrupoli della vanità. Così, è stato in tutta semplicità che Nadine ha potuto chiedere ad Herizo Fahafahana: – Herizo, qual è la sostanza del bene? – Sostanza del bene è un certo modo di essere della proairesi. – E la sostanza del male? – Nadine, anche quella del male è un certo modo di essere della proairesi. – Cosa sono, allora, gli oggetti esterni? – Gli oggetti esterni alla proairesi, gli oggetti aproairetici, sono materiali per la proairesi. Materiali rivolgendosi sui quali essa centrerà il proprio bene o il proprio male. – Come farà la proairesi a centrare il proprio bene? – Se non s’infatuerà dei materiali. Giacché i giudizi sui materiali, se sono retti fanno la proairesi buona; se scorretti e pervertiti, cattiva. – Herizo, questo è valido per tutti noi senza distinzione alcuna? – Sì, nella Materia Immortale è scritta questa legge che dice: ‘Se disponi qualche bene, trailo da te stesso’. – Io invece dico: ‘No, voglio poterlo trarre da un altro; da te, in particolare’. – Nadine, lo puoi volere, lo puoi dire, ma non potrai mai realizzarlo: il bene puoi trarlo unicamente da te stessa. – E a proposito di male; se un prepotente ti minaccerà e ti chiamerà in giudizio, cosa gli dirai? – Gli chiederò: cosa minacci? – Quello ti risponderà: ti faccio incatenare! – Bene, significa che minacci le mie mani e i miei piedi. – Ma io ti faccio tagliare il collo! – Stai minacciando il mio collo? – Ti butto in fondo a una prigione! – Adesso minacci il mio corpo intero. – Herizo, dunque niente minaccia proprio te? – Se io giudico che queste minacce siano niente per me proprio, niente. Se invece ho paura di qualcuna di queste, esse minacciano me, Nadine. Dunque, chi temo? Chi è signore di che cosa? Di quanto è in mio esclusivo potere? Ma nessuna persona al mondo lo è. Di quanto non è in mio esclusivo potere? E che m’importa, ora, di esso?
USS 074 – Maldives, Malé
Malé è ancora oggi una capitale dove tutti passano dappertutto almeno una volta al giorno, giacché la si può attraversare a piedi, da Nord a Sud o da Est a Ovest, in meno di mezz’ora. In Piazza della Repubblica, davanti alla grande Moschea del Venerdì, Abdul Nasheed e i suoi seguaci oggi hanno improvvisato una sorta di processo a Maumoon Thakurufaan. – Dunque, Maumoon, tu insegni a spregiare i libri sacri e chi ha potere. È questo ciò che insegni? – Non sia mai, Abdul! Io insegno qual è la natura delle cose e quindi i criteri in base ai quali distinguere i retti giudizi dai giudizi non retti. – Non prendermi in giro. Io ti accuso di ritenerti superiore ai libri sacri e rivelati e di pretendere di conoscere la Verità. – Io non parlo di Verità. Invece che nei libri sacri, io leggo nel libro della natura delle cose e indico dove cercare quella felicità che chi mi ascolta deve poi, però, trovare da sé. Piuttosto, Abdul, tu che credi di avere potere e sei qui per giudicarmi, dimmi: tu sei per me qualcosa di proairetico o di aproairetico? – ‘Di aproairetico’, ha risposto uno dei compagni di Abdul. – Esattamente, come la sedia su cui siedi o il caffettano che indossi. Adesso dimmi: qualcosa di aproairetico può mai essere bene o male? – ‘Non può; soltanto ciò che è proairetico può essere bene o male’, ha replicato un altro dei compagni di Abdul. – Dunque se tu non sei né bene né male, perché dovrei spregiarti? Ti considero per quello che sei e non ti spregio affatto, come non spregio la sedia su cui siedi o il caffettano che indossi. – Allora che razza di sciocchezze insegni? – Te lo ripeto: io insegno qual è la natura delle cose e i criteri utili a distinguere i retti giudizi dai giudizi non retti. Ammettiamo che tu effettivamente abbia avuto dalla sorte una qualche potestà su un certo numero di oggetti aproairetici. Io non insegno affatto a pretendere ciò su cui tu hai potestà. Al limite, per essere chiaro ti dico: Abdul, prendi il mio corpo, prendi il mio patrimonio, prendi la mia reputazione, prendi chi ho intorno. Ecco, se io insegnassi a pretendere queste cose come mie, come ‘proairetiche’, allora sarei come te, allora effettivamente sarei colpevole. – Sì, ma io voglio comandare anche sui tuoi giudizi. Voglio che tu riconosca a me, come interprete dei libri sacri e rivelati, l’esclusivo potere di stabilire cos’è che devi adorare e cos’è che devi esecrare. – E chi ti ha dato questo potere? La natura delle cose non dà a nessuno questo potere. Come puoi tu vincere un giudizio altrui? – Facendoti paura, Maumoon; facendoti paura vincerò! – Fai finta di ignorare o ignori davvero che il giudizio altrui vinse se stesso e non fu vinto dal tuo? Nient’altro può vincere la proairesi eccetto che essa se stessa. Per questo, la legge scritta nella natura delle cose è la più possente e la più giusta: ‘Il migliore abbia sempre il sopravvento sul peggiore’. – Ecco, io Abdul sono il migliore e valgo come dieci. Cosa dico: dieci? Io, con il libro sacro in mano, valgo mille milioni di miliardi di….di voi. – Bastano dieci. Dieci sono migliori di uno. – Siete dei vili, Maumoon. Ve ne bastano dieci. – I dieci vincono l’uno per ciò in cui sono migliori. – E per cosa sono migliori? – Per incatenare, per uccidere, per trascinare dove vogliono, per sottrarre gli averi…- – E possono essere peggiori in qualcosa? – Sì, Abdul: se uno avrà retti giudizi, e i dieci no. Possono vincere in questo? E com’è possibile? Se li pesassimo sulla bilancia dei retti giudizi, peserebbero di più l’uno o i dieci? O preferisci usare un’altra bilancia? – Te lo faremo vedere…- Improvvisamente nella piazza c’è trambusto e l’attenzione dei presenti, per un istante, si sposta. Reggendolo per gli arti, quattro uomini stanno trasportando a braccia il cadavere livido, gonfio, di una turista appena annegata.
USS 075 – Lithuania, Vilnius
– Gediminas, senti che musica! Le tue, invece, sono soltanto belle parole. Guarda quello che è successo a Socrate; guarda ciò che egli ha dovuto subire degli Ateniesi! – Schiavo! Perché dici ‘Socrate’? – Cosa devo dire, ‘Gintautas’? – Andrius, dì come sta davvero la faccenda: affinché il corpo di Socrate fosse trascinato via e buttato in carcere dai democratici Ateniesi. Affinchè qualcuno desse al corpo di Socrate della cicuta ed esso venisse meno. Questo ti pare stupefacente, ingiusto, per questo m’incolpi? Dunque Socrate non otteneva nulla in cambio di tutto ciò? – Non vedo proprio cosa ottenesse, anzi mi pare che abbia perso tutto. – Dov’era per Socrate la sostanza del bene? A chi fare attenzione? A te, Andrius, o a lui? Cosa dice lui? – Socrate dice: ‘Anito e Meleto possono farmi uccidere ma non farmi danno’. – E poi ancora? – ‘Se così è caro a Zeus, così sia’. – Andrius, dimostrami che chi ha giudizi peggiori padroneggia chi ha giudizi migliori. Non lo dimostrerai mai e non riuscirai neppure ad andarci vicino. Giacché la legge della natura delle cose è questa: il migliore abbia sempre il sopravvento sul peggiore. – Migliore in cosa? – In ciò in cui è migliore. Un corpo è più potente di un altro corpo; i più dell’uno; il ladro del non ladro. E per questo motivo il mio amico Mohamed Bin al-Tani, a Doha, ha perso la sua lucerna di ferro: perché il ladro era stato migliore di lui nel vegliare. Ma il ladro ha comperato quella lucerna a carissimo prezzo. – Ma cosa dici, Gediminas? Non gli è costata nulla! – In cambio di una lucerna è diventato un ladro, in cambio di una lucerna è diventato un individuo sleale e belluino. E quel disgraziato ha reputato questo essere un commercio per lui vantaggioso! E tu, Andrius, ripeti che non gli è costato nulla?! – Ma Socrate cos’ha ottenuto? – Se fossi in vena di scherzare ti risponderei così: ha ottenuto che tu, decine di migliaia di anni dopo, mi facessi questa domanda. Socrate ha salvaguardato fino alla fine una retta proairesi. E l’esempio di quanto disse e fece da vivo ha attraversato intatto i millenni, risultando non meno giovevole oggi di allora. Ieri sera a Vilnius, alla Galerija Langas, Gediminas Paulaskas e Andrius Kirkilas hanno ballato moltissimo. La serata Jazz, dominata dal sassofono di Petras Vysniauskas e dal pianoforte di Gintautas Abarius, è stata senza alcun dubbio la migliore degli ultimi anni.
USS 076 – Lebanon, Beirut
Sotto le bombe che piovevano dal cielo e i sibili strazianti degli aerei da caccia, Fuad Jumblatt ed Emile Siniora avevano trovato rifugio in un ricovero di fortuna. – Sia pure come dici tu, Fuad. Ma adesso uno ti prende per la giacca e ti trascina verso piazza Nejmeh, dove poi altri berciano: ‘Filosofo, a che t’hanno giovato tutti quei retti giudizi? Ecco che sei trascinato in carcere, ecco che stanno per fucilarti!’. – Emile, e quale ‘Introduzione alla filosofia’ avrei dovuto imparare a memoria per non essere trascinato via se uno, insipiente e ingiusto ma più robusto di me, mi abbrancherà per la giacca? Per non essere sbattuto in carcere se in dieci, viziosi e stolti, mi solleveranno di peso e mi ci sbatteranno? – Dunque non hai imparato nient’altro? – Ho imparato a riconoscere che tutto quel che accade, se è aproairetico, è nulla per me. – E per il caso presente non te ne giovi? – Certamente me ne giovo e non vado a cercare giovamento in altro. Seduto in prigione mi dico: ‘Costoro che gracchiano contro di me queste accuse, non sanno quel che fanno e non è mai loro importato nulla di cosa pensano i filosofi. Lasciamoli stare!’. – Adesso, Fuad, faccio accadere un miracolo. Arriva qualcuno e ti dice: ’Esci dalla prigione’. – Se non avete più bisogno di me in prigione, esco. Quando l’avrete di nuovo, vi rientrerò. – Fino a quando? – Fino a quando la mia ragione sceglierà che io stia col corpo. Quando non lo sceglierà più, prendetelo e tanti auguri. – Quando? – Non lo so, Emile. So soltanto che non accadrà irragionevolmente, per mollezza o per un pretesto casuale. – E dunque? – E dunque, si devono dire queste cose a sproposito? A che scopo? Non basta praticarle? Quando dei bambini ci vengono vicino battendo le mani e ci augurano: ‘Buon Natale!’ cosa rispondiamo loro? Rispondiamo forse: ‘Questi non sono beni’? – Buon Natale! – Ecco, rispondiamo così e battiamo le mani anche noi. Quindi tu pure, qualora non riesca a persuadere qualcuno a modificare avviso e ad abbracciare retti giudizi, riconosci che è un bambino e battigli le mani. Se però disponi di non battere le mani, allora taci. Le esplosioni si susseguivano e Beirut pareva davvero ritornata, per l’ennesima volta, nella morsa della guerra civile.
USS 077 – Kenya, Nariokotome
– Wangari, qui a Nariokotome la Materia Immortale ti ha chiamato alla vita. – Sì, sono nato qui. – Non sei più un fanciullo e hai avuto la fortuna di raggiungere l’età adulta. – Sì, mi chiamo Wangari e sono un giovane Homo sapiens– – Vieni allora qui e mostrami se meriti di essere stato promosso da lei, dalla Materia Immortale, come suo testimone. Ti chiedo: è forse qualcuno degli oggetti esterni alla proairesi, bene o male? – Fammi pensare. Mah, non saprei…- – Danneggia ella qualcuno o qualcosa? – Cosa? Non capisco…- – Quanto a ciascuno di noi uomini giova, la Materia Immortale l’ha fatto in esclusivo potere d’altri o di noi stessi? – Non puoi farmi un’altra domanda…? A questo punto Wangari Kibaki ha cominciato a tremare, mentre dai suoi occhi scendono fredde lacrime di paura. Poi china il capo e miagola: – Sono in difficoltà terribili, Jomo, e ho cattiva fortuna. Nessuno si dà pensiero di me, nessuno mi dà nulla, tutti mi denigrano e parlano male di me. – Wangari, questa è la tua testimonianza? Questa è la vergogna che getti sulla chiamata che la Materia Immortale ti ha fatto? Questo rispondi a chi ti ritenne degno di una testimonianza così rilevante? È a tutti noto che alcune centinaia di chilometri a nord di Nairobi, proprio a Nariokotome, nei pressi del lago Turkana, fu scoperto nel lontanissimo 1984 lo scheletro quasi intero di un giovane appartenente alla specie Homo erectus e risalente a circa 1,6 milioni di anni fa. Si può allora affermare con fiducia che Jomo Maathai, nella stessa località, abbia appena scoperto un individuo, giovane e vivente, appartenente alla specie Homo insipiens.
USS 078 – Republic of Korea, Seoul
A Seoul, il giudice di primo grado Shin Jae-tae ha appena emesso questa sentenza: ‘Kim Kook-hwan è condannato per empietà e sacrilegio’. – Nelle condizioni in cui mi trovo, mi è stato impossibile assistere al processo. Cos’è accaduto in tribunale, Kang? – Kim, sei stato giudicato empio e sacrilego. – Sulla base di quale sentenza? – Empio, perché il giudice ritiene che con i tuoi discorsi tu corrompa la gioventù. Sacrilego perché t’incolpa di reputare immortale soltanto la Materia e di non legittimare gli dei che questo paese legittima. – Nient’altro? – No. Kim, come fai ad essere così tranquillo? Non hai paura di finire in prigione? – Kang, se quel giudice avesse condannato la proposizione ipotetica ‘Se è giorno c’è luce’ come falsa, cosa sarebbe accaduto alla proposizione ipotetica? – Nulla. – Ecco, chi è stato qui giudicato? Chi è stato condannato? La proposizione ipotetica o chi si è ingannato su di essa? Come si chiama il giudice che mi ha condannato? – Shin Jae-tae. – Lo conosco bene. Sa egli cos’è pio e cos’è empio? L’ha studiato? Ha imparato? Dove? Da chi? Io so che un musicista non si dà pensiero di chi afferma che la corda più bassa dà il suono più alto; né uno studioso di geometria si dà pensiero di chi afferma che i raggi di una circonferenza non sono tutti di pari lunghezza. E chi davvero è stato educato ad usare la diairesi si darà pensiero di un individuo non educatovi, il quale decreta qualcosa sul sacrosanto e sul sacrilego, sul pio e sull’empio? – Ma ti metteranno in prigione! – Buon pro gli faccia!
USS 079 – Kyrgyzstan, Bishkek
Situata nella valle del fiume Chu, Bishkek ha alle spalle uno straordinario scenario di montagne. Nel cuore della città, in piazza Ala-Too, aleggia la musica di un komutz mentre Klara Bakiyev dice quietamente a Kurmanbek Bakir-Uulu: – Sono pronta. – Quando sarai introdotta a questa persona ritenuta eminente, ricorda dunque che dall’alto anche un altro scorge gli avvenimenti e che tu devi essere gradita a questo piuttosto che a quella. – Kurmanbek, quest’altro che dall’alto scorge gli avvenimenti è la mia proairesi? – Sì, Klara, è la tua proairesi. Ed essa ti chiede: ‘A scuola cosa dicevi essere esilio, prigione, catene, morte, discredito?’. – Io li dicevo essere né bene né male, cose indifferenti. – Ed ora cosa le dici essere? Hanno forse cambiato natura? – No. – Hai cambiato tu natura? – No. – Dì dunque cos’è indifferente. – Indifferente è ciò che è aproairetico. – Dì anche il seguito. – Ciò che è aproairetico è nulla per me. – Dì anche quali cose reputavate beni. – Kurmanbek, la retta proairesi e l’uso quale si deve delle rappresentazioni. – A quale scopo? – Per seguire in tutto la natura delle cose. – Dici questo anche ora? – Dico anche ora lo stesso. – Orbene, entra pure con fiducia. Ricordatene, e vedrai cos’è una giovane che ha studiato ciò che si deve fra gente che non ha studiato. Ed immagino anche che quando uscirai dirai a te stessa: ‘Perché ci prepariamo così tanto e così a lungo per il niente? Il potere era questo? Questo erano le anticamere, i camerieri, le guardie del corpo? Per questo ho ascoltato tanti discorsi? Il potere era niente, e io mi preparavo ad esso come a grandi cose!’.
USS 080 – Micronesia, Kolonia
Pochi chilometri a nord-est della capitale Palikir, Kolonia è la sola vera città dell’isola di Pohnpei. Piove spesso e abbondantemente, qui. Per ripararsi dalla fitta pioggia, Joseph Ponape e Redley Urusemal si sono infilati di corsa nel ‘PCR Restaurant’ gestito da un tale Karl Mullis il quale, insieme ad un variato menu, si vanta di offrire il miglior sushi dell’isola. Nell’attesa che spiova, i due si sono accomodati ad un tavolo e hanno ordinato del tonno fritto, del riso, del sashimi e un’insalata. – Redley, ad alcuni appare paradossale l’affermazione che l’uomo deve fare tutto con cautela e insieme con coraggio. – Anch’io, Joseph, ritengo l’affermazione paradossale. Infatti la cautela è l’opposto del coraggio, e gli opposti non possono coesistere. – In effetti, se noi pretendessimo di usare per le medesime cose sia cautela che coraggio, giustamente saremmo accusati di voler combinare l’incombinabile. Ma se diamo a quell’affermazione il suo giusto valore, la contraddizione sparisce. Non sembra così anche a te? – Joseph, io non vedo ancora come possa sparire. – Seguimi. Se è corretto quanto abbiamo spesso detto e dimostrato, ossia che tanto la sostanza del bene quanto quella del male sta nell’uso delle rappresentazioni, mentre ciò che è aproairetico accoglie in sé natura né di bene né di male, quale paradosso affermiamo ancora quando diciamo: ‘Uomo, dove si tratta di ciò che è aproairetico, là abbi coraggio; e dove si tratta di ciò che è proairetico, là sii cauto’? – Adesso capisco quello che vuoi dire. – Se infatti il male è una proairesi cattiva, a questo riguardo soltanto merita usare cautela; e se quanto è aproairetico e non in nostro esclusivo potere è nulla per noi, verso di esso dobbiamo usare coraggio. – Così saremo cauti e insieme coraggiosi e, se lo si può dire, coraggiosi grazie alla cautela. – Proprio così, Redley. Giacché essendo cauti con i mali reali, ci avverrà di essere coraggiosi davanti a ciò che male non è e non può essere. – Dunque si può concludere così: essere uomo significa conoscere l’artedi combinare coraggio e cautela. Cautela nello scegliere per noi il nostro vero bene e coraggio di fronte a ciò da cui non può venirci alcun male. Al tavolo accanto sono seduti due distinti signori giapponesi con le loro consorti. I signori stanno accesamente dibattendo su quale sia stata in un lontano passato, per numero di vetture prodotte, la prima industria automobilistica al mondo, la Toyota o la General Motors. Le signore, nel frattempo, ingannano la noia scambiandosi opinioni su chi fossero Dior, Armani e Fabergé.
USS 081 – Morocco, Zagora
La valle del fiume Draa costituisce ancora oggi la naturale via di collegamento fra Ouarzazate, Agdz e Zagora. Oltre Agdz le coltivazioni, rese possibili dalla presenza del corso d’acqua, si distribuiscono su tre livelli, secondo la sistemazione tipica dell’agricoltura della zona: cereali, legumi e henné sugli argini; alberi da frutta sulle terrazze intermedie; palme da dattero e tamerici sui terrazzamenti più alti. Nei pressi di Zagora il letto del Draa è ammantato di oleandri, mentre gli scheletri delle prime acacie gommifere annunciano il grande Sud. Mahmoud El-Idrissi, suo figlio Chakir e sua figlia Miriam abitano qui, nel villaggio di Zagora. La loro modesta casa si trova in fondo alla via principale, non lontano da un cartello sul quale è scritto: ‘Per Timbuctu: 52 giorni di cammello’. – Orbene figli miei, sta dicendo Mahmoud, noi sperimentiamo quello che sperimentano i cervi nei boschi. Quando i cervi hanno paura e cercano di sfuggire i cacciatori, dove si girano e verso cosa arretrano come sicuro? – Verso le reti, risponde Chakir- – E così si perdono, per avere scambiato ciò di cui si deve avere paura e ciò di fronte a cui si deve avere coraggio. – Così accade anche a noi? domanda Miriam – Certo. Di fronte a cosa proviamo paura? Di fronte a ciò che è aproairetico. – Già! annuiscono i ragazzi – Di nuovo, di fronte a cosa ci conduciamo con coraggio come se non ci fosse nulla di terribile? – Padre – scatta Chakir – di fronte a ciò che è proairetico. – Proprio così, Chakir. Ingannarsi o essere precipitosi o fare qualcosa di sfacciato o desiderare qualcosa con brutta smania non fa per noi alcuna differenza, se soltanto la imbrocchiamo in ciò che è aproairetico. Dove invece ci sono morte o esilio o dolore o discredito, là c’è arretramento, là c’è agitazione. Perciò com’è verosimile che accada a coloro che sbagliano nelle questioni più grandi, ciò che in noi è naturalmente coraggioso lo strutturiamo sfrontato, demenziale, protervo, sfacciato; mentre ciò che in noi è naturalmente cauto e rispettoso di sé e degli altri, lo strutturiamo vile e miserabile e pieno di paure e di sconcerti. – Padre mio, come posso imparare a non sbagliare in queste grandi questioni della mia vita? chiede Miriam con le lacrime agli occhi – Miriam cara, dobbiamo imparare a mettere la nostra cautela là dove sono proairesi e le opere della proairesi. Se imparerai questo, insieme con l’essere cauta a volere qualcosa di aproairetico, avrai anche l’avversione rivolta a cose che sono in tuo esclusivo potere. Se invece avrai l’avversione rivolta a cose che sono in potere d’altri, necessariamente avrai paura, sarai instabile e sconcertata. Non credi?
USS 082 – Slovenia, Lubiana
– Barbara, qual è il frutto di questi giudizi? – Il frutto più bello e appropriato per coloro che davvero usano la diairesi: dominio sullo sconcerto e sulla paura, la libertà. Ti pare poco, Zmago? – No, anzi: è qualcosa di grandioso! – Dunque ha ragione chi afferma che soltanto chi è educato ad usare la diairesi è un uomo libero. – Puoi spiegarti meglio, Barbara? – Seguimi e rispondi alle mie domande. Ora, la libertà è qualcos’altro dalla potestà di tragittarcela come decidiamo? – Non è nient’altro. Libero è colui cui tutto accade secondo proairesi. – Adesso dimmi, Zmago: conosci tu qualcuno che decide di vivere aberrando, ossia sistematicamente non ottenendo ciò che desidera e sistematicamente incappando in ciò che avversa? – Un individuo del genere non esiste. – Quindi nessuno che aberri è libero. Conosci qualcuno che decida di vivere avendo paura, di vivere nell’afflizione e nello sconcerto? – Che dici mai? Chi sarebbe così pazzo da decidere una cosa del genere? – Dunque nessuno che abbia paura, sia afflitto, sia sconcertato è libero; mentre chiunque si è allontanato da afflizioni, paure e sconcerti ebbene costui, per la stessa strada, si è allontanato anche dall’essere servo. – Ma per essere uomini liberi non basta vivere, come viviamo noi a Lubiana; in una nazione finalmente democratica, dove la libertà è garantita da una Costituzione? – La Costituzione garantisce forse i cittadini dalle aberrazioni, dall’afflizione, dalla paura, dallo sconcerto, dalla servitù a tiranni di fuori e tiranni di dentro, dall’infelicità? – Non li garantisce, ma ne favorisce la libertà. – Non lo nego in assoluto, ma la tua affermazione implicava che fosse sufficiente la Costituzione. E questa, da sola, non basta. La nostra libertà riposa, in ultima analisi, nella nostra proairesi e dunque nella nostra conoscenza della natura delle cose. – Devo ammettere che è così. È una bella sfida ed io mi sento pronto ad essa. Il piccolo Darko, che trotterella dando la mano al suo papà, improvvisamente è inciampato, è caduto sul marciapiede di via Miklosiceva e ha cominciato a piangere. Zmago lo solleva da terra, lo stringe amorevolmente tra le braccia e lo accarezza. Darko smette di lamentarsi e abbandona fiducioso il capo sulla spalla del suo papà. Barbara Jelincic guarda il bambino chiudere gli occhietti e si sente stringere il cuore al pensiero che il destino di Darko è purtroppo ormai quello di non trovare mai più, a confortarlo, anche le braccia di sua madre.
USS 083 – Sri Lanka, Nakulgamuwa
Nel primo pomeriggio Arumugam Rajapakse si è messo in cammino e ha raggiunto Nakulgamuwa, dove la sorte gli ha fatto riincontrare Ranil, da lui conosciuto casualmente, alcuni mesi prima, al mercato di Tangalla. Abbandonato il Tibet, dove aveva soggiornato due anni in un monastero Buddista, Ranil vive ora in una grossa capanna sulla spiaggia di Nakulgamuwa e, avendo di mira la fama letteraria, ha fatto della scrittura la sua unica occupazione. – Ranil, perciò io dico spesso: studiate l’argomento e abbiate a portata di mano la conoscenza di ciò verso cui bisogna essere coraggiosi e di ciò verso cui bisogna disporsi con cautela, giacché di fronte a ciò che è aproairetico bisogna essere coraggiosi mentre quando si tratta di ciò che è proairetico bisogna essere molto cauti. – Arumugam, ma non ti ho appena letto alcuni miei testi? Non hai capito a cosa lavoro? – A cosa lavori? Ad elocuzioni. Abbi le tue elocuzioni. Riconosco che sei una volpe dello stile. Ti basta questo? – Non mi basta. Voglio altri riconoscimenti, e anche denaro e fama. – Sei sulla strada sbagliata, Ranil, per quanto riguarda desiderio e avversione. Mostri di fallire le mete che ti sei posto, e di incappare in quanto non vuoi. Altri riconoscimenti, denaro, fama, sono forse in tuo esclusivo potere? Ai giri di parole sui quali ti assilli devi attribuire meno importanza, rimuoverli dalle tue priorità e in qualche modo cancellarli. Lasciali ad altri, agli incoscienti o ai beati, a coloro che ne hanno agio grazie al loro dominio sullo sconcerto o a coloro che, per stupidaggine, nulla computano del seguito. Ecco, prendi questo. – Cos’è? – Una mangostina. È il frutto tropicale più squisito che esista. – E come si mangia? – Apri la spessa buccia violacea. All’interno troverai un cuore tondeggiante formato da alcuni spicchi bianchi come neve. Questa è la parte deliziosa del frutto. È morbida, delicata e ha un sapore che io paragono a quello di fragole, miele e champagne ben fusi insieme. – Da dove viene? – L’ho raccolta io stesso da un albero, venendo qui. – Qual è il nome dell’albero? – Tutti lo chiamano mangostano, ma io lo chiamo ‘l’albero della diairesi’. Sempre a piedi, Arumugam è poi ritornato a Tangalla camminando con felicità infinita. Quando ha avuto fame, si è fermato a mangiare un avocado in una bettola. Poco prima di Mawella ha incrociato un colorato funerale di povera gente.
USS 084 – Bahamas, Nassau
– Cynthia Acklins, prometti di dire la verità? – Lo prometto. – È per tua libera scelta e di tua spontanea volontà che sei qui? – No. – Cynthia Acklins, prometti a Dio castità, povertà e obbedienza? – No, Monsignore. Fingendo di non aver sentito bene, Monsignor Pratt ha ripetuto: – Cynthia Acklins, prometti a Dio castità, povertà e obbedienza? Con voce ancora più decisa, Cynthia ha ripetuto: – No, Monsignore. Allora Monsignor Pratt si è interrotto e ha detto: – Figliola mia, riprenditi e ascoltami. – Monsignore, ha risposto Cynthia, voi mi chiedete se prometto a Dio castità, povertà e obbedienza. Vi ho sentito bene e vi rispondo di no. Poi Cynthia si è voltata verso i presenti, tra i quali si era levato un gran mormorio, e ha fatto cenno di voler parlare. Il mormorio è cessato, ma Cynthia ha potuto soltanto dire: – Signori, vi chiamo tutti a testimoni…- A questo punto alcune monache hanno strattonato e trascinato via Cynthia così da impedirle di proseguire. Monsignor Pratt, bianco in volto, si accascia sul seggio dorato alle sue spalle. La testa gli si riversa all’indietro, lo sguardo si perde nel vuoto, la bocca rimane semiaperta. A torturarlo è il ricordo di quando lasciò Freeport e Grand Bahama per cercare fortuna nella capitale Nassau. – Perry Pratt, nipote mio, e ora che è venuto il momento della tua partenza, partirai per mostrare quella roba, per leggerla e fare il frivolo? – Perché la chiami ‘quella roba’, zio Ferdinand? Guarda, guarda come sono diventato bravo a comporre discorsi! – No, Perry. Dovresti piuttosto dirmi: guarda come desiderando non fallisco; guarda come avversando non incappo in quanto avverso. Porta morte e lo riconoscerai. Porta dolori, porta carcere, porta discredito, porta una sentenza di condanna. Questo è lo sfoggio che vorrei da un giovane come te. Il resto lascialo ad altri. Altri studino processi, altri eccellano in questioni teologiche o matematiche. Tu nel morire, tu nell’essere messo in catene, torturato, confinato. E tutto questo con coraggio, confidando in chi ti ha giudicato degno di questo ufficio, assegnato al quale sfoggerai cosa può un egemonico che pratica la diairesi schierato dinanzi a forze aproairetiche. Ogni soccorso e ogni sforzo di rianimare Monsignore è stato vano.
USS 085 – Belgium, Charleroi
– Dove stai andando, Bart? gli ha chiesto Vera Javaux – Vera, devo andare a Bruxelles per un processo. – Che ti riguarda direttamente? – Sì, purtroppo. È una vecchia e maledetta storia, troppo complicata da raccontare adesso. Sappi soltanto che sono innocente. – Ti credo, ma pensi che questo ti basterà per essere assolto? – Tu hai dei dubbi? – Bart, non saresti il primo innocente ad essere condannato. Dunque, vedi cosa vuoi serbare e dove vuoi concludere. – Io voglio soltanto che sia riconosciuta la mia innocenza! – Il riconoscimento della tua innocenza non dipende da te, ma dal giudizio che avrà di te la Corte. – E se la Corte mi condannasse? Ciò sarebbe talmente assurdo che non voglio neanche pensare a questa eventualità. – Purtroppo non è così assurdo come immagini. Dinanzi a qualunque imputato vi sono due percorsi possibili e alternativi. Il primo è quello di fare qualunque cosa pur di essere assolto. Il secondo è quello di serbare la propria proairesi in accordo con la natura delle cose, qualunque sia l’andamento del processo. – Spiegati meglio, Vera. – Bart, se disponi di serbare la tua proairesi in accordo con la natura delle cose, hai ogni sicurezza, ogni facilitazione e non hai fastidi. Disponendo infatti di serbare incondizionato quanto è in tuo esclusivo potere e quanto è libero per natura e di questo accontentandoti, di cosa ti impensierisci ancora? Se disponi di essere rispettoso di te e degli altri e leale, chi non te lo permetterà? Se disponi di non essere impedito né costretto, chi ti costringerà a desiderare ciò che non reputi; chi ti costringerà ad avversare ciò che non ti pare? Se invece sei disposto a fare qualunque cosa pur di essere assolto, ti dico: fa’ subito tutti i preparativi possibili e analizza bene la natura del giudice e del tuo avversario. Se bisognerà avvinghiare ginocchia, avvinghia le ginocchia; se bisognerà singhiozzare, singhiozza; se mugugnare, mugugna. Giacché se tu assoggetti la tua proairesi agli oggetti esterni, allora sii servo fino in fondo e non tirarti indietro. – Suggeriscimi cosa devo fare, Vera! – Cosa devo suggerirti? – Suggeriscimi cosa devo fare per essere sicuro di essere assolto senza che ne scapiti la mia dignità! – Il solo suggerimento che posso darti è questo: quando sarai a Bruxelles davanti al giudice, fa in modo che il tuo intelletto, qualunque cosa accada, a questo si adatti. – No, Vera. Questo che dici non mi serve a nulla. Io voglio essere sicuro del riconoscimento della mia innocenza! – Bart, la tua richiesta è simile a quella di un analfabeta che viene da te e ti chiede: ‘Dimmi cosa scrivere quando mi verrà dettato qualche nome’. Se infatti tu gli insegnerai come si scrive ‘Charleroi’’ e poi invece gli viene dettato il nome ‘Mechelen’, cosa accadrà? Cosa scriverà quell’analfabeta? Se invece tu hai studiato a scrivere, sei anche preparato a scrivere qualunque parola ti venga dettata.
USS 086 – Bolivia, Cochabamba
– Jaime, ho bisogno di una lettera di raccomandazione. – Che novità è questa, Gonzalo? – Ho bisogno di una lettera di raccomandazione, che devi indirizzare al Capo Ufficio del Personale del Ministero dell’Interno a La Paz- – Non una semplice lettera di referenze? – Quella l’ho già scritta io stesso. – Ma non eri tu a giurare e spergiurare che non avresti mai fatto a nessuno una richiesta del genere? – Jaime, si tratta di un posto di lavoro, e qui a Cochabamba non c’è nessuno più conosciuto di te sul cui giudizio quelli del Ministero potrebbero basarsi. – Tu mi sopravvaluti, Gonzalo. A parte il fatto che a La Paz nessuno conosce Jaime Quiroga Huanca, cosa dovrei scrivere? Che sei un ottimo elemento? – Beh, qualcosa del genere. – Che tu sia un essere umano, il Capo Ufficio del Personale lo riconoscerà semplicemente vedendoti. Che tu sia un buon elemento o un cattivo elemento lo riconoscerà man mano, se è esperto nel vagliare gli uni e gli altri. Se invece è inesperto, non lo riconoscerà neppure se io gli scrivessi non una ma cento lettere di raccomandazione.
USS 087 – Belarus, Vitebsk
– Se tu, Serghei, qui a Vitebsk, lasciata cadere la lealtà per la quale siamo nati, rubi una cosa qualunque al tuo vicino, che fai? – Faccio quello che mi pare. – Su questo non c’è dubbio. Ma mandi anche in malora e levi di mezzo qualcosa. – Cosa? – L’uomo leale, rispettoso di sé e degli altri, il sacrosanto che siamo! – Ma che dici? Io sono pieno di difetti, sono un poveraccio, una nullità. – Capace però di rubare qualcosa al tuo vicino. – Uffà, Valentina! Mica è colpa mia se chi ho vicino non fa buona guardia alle sue cose. – Quando ti fa comodo, non esiti a sottovalutarti, Serghei. Questo è il modo che usi per discolparti e dare sempre la colpa a qualcun altro. – Solo questo? Bere buoni vini, rimpinzarsi di cibi delicati, rotolarsi sulle belle donne, riposare in letti morbidi; eccettuato questo, il resto non è nient’altro che stupidità. – Complimenti, Serghei! E pensi di fare ancora più strada? – Certamente. Lascerò presto Vitebsk e andrò a vivere a Minsk. Essere un uomo leale, rispettoso di sé e degli altri, il ‘sacrosanto che siamo’, come dici tu: paroloni! A cosa porterebbe? – Lo lascio dire a te. – Alla gelosia, ai dissapori, alla persecuzione. Invece, bisogna fare la corte, perdiana! Fare la corte ai grandi, studiarne i gusti, prestarsi alle loro fantasie, servirne i vizi e approvarne le ingiustizie: ecco il segreto! – Ti ringrazio per avermelo svelato. – Cara la mia Valentina Lukashenko! Tutti lodano la virtù, ma poi l’odiano e la fuggono perché trovano che t’agghiaccia di freddo e, a questo mondo, bisogna avere i piedi caldi. – Credono di conoscerla, Serghei; ma in realtà ignorano di cosa si tratti e forse, ma vorrei sbagliarmi, non sono neppure fatti per impararlo. Tu per primo.
USS 088 – Brazil, Rio de Janeiro
Quando c’è troppo vento o il tempo è piovoso, Luis Marques Carneiro si rifugia nel Café de Paris e qui si diverte a veder giocare agli scacchi. Rio de Janeiro è il luogo del mondo e il Café de Paris il luogo di Rio dove si gioca meglio a questo gioco. È qui che assaltano Alencar il profondo, Rabelo il sottile, il solido Campos, e che si vedono le mosse più straordinarie. – Luis, perché sei affascinato dal gioco degli scacchi? – Henrique, perché è l’unico gioco che io conosca nel quale la sorte non ha alcun peso. – Nella vita invece non è così. Qui la sorte ha un grande peso. – Evidentemente. La sorte ha un grandissimo peso nella nostra vita e siamo da essa condizionati continuamente. – Dobbiamo dare un nome a questa dimensione della nostra vita che è condizionata dalla sorte. Che io sappia, Luis, nessuno finora l’ha fatto. – Sono d’accordo, Henrique: è tempo che l’abbia. Oggi qui, a Rio de Janeiro, in una giornata piovosa, la battezziamo chiamandola dimensione ‘aproairetica’ della nostra vita. In questo ambito nulla è in nostro esclusivo potere. – La nostra vita è tutta qui? – Sarebbe tutta qui se non ci fosse il gioco degli scacchi e quelli che ne sono diretti congeneri, come la dama. Vedi, Henrique, i pezzi degli scacchi sono gli stessi per i due giocatori e le regole sono precise. La sorte decide soltanto il colore dei pezzi che ti toccheranno e quindi chi deve fare la prima mossa, ma poi non ha più alcun peso. – Fammi capire meglio. – Per capire meglio, devi riconoscere che nella nostra vita esiste anche una dimensione che non è condizionata dalla sorte. – Sono pronto a riconoscerlo, Luis, e dobbiamo dare un nome anche ad essa. – La chiameremo dimensione ‘proairetica’ della nostra vita. – Torniamo agli scacchi. – Sì, torniamo agli scacchi. Cos’è aproairetico nel gioco degli scacchi? Ripetiamolo. Aproairetico nel gioco degli scacchi è il colore, bianco o nero, dei pezzi con i quali dovrai giocare. – Da questo momento in poi nulla è più aproairetico? – Se volessimo analizzare con finezza tutti i particolari, vedremmo che vi è ancora un aspetto in cui la dimensione aproairetica ha un ruolo, ma si tratta di un dettaglio che per ora possiamo tranquillamente trascurare. Dunque una partita a scacchi è essenzialmente e unicamente un esercizio di proairesi. – Non sono sicuro di capire bene quel che intendi dire. – Parlo di esercizio di proairesi per dire che la concezione di ogni singola mossa è in nostro esclusivo potere e che il risultato finale del gioco dipende unicamente dall’abilità delle due proairesi che vi si sono applicate. – Vale lo stesso discorso anche per il gioco della dama? – Sì, anche per la dama vale il discorso che ho fatto per gli scacchi. – Vale anche per i comuni giochi di carte a due o più giocatori? – No. In questo caso la sorte può condizionare in modo determinante l’esito della partita. Infatti ti possono capitare delle smazzate con le quali, indipendentemente dalla tua abilità, non puoi che perdere. – Il che equivale a dire che qui la dimensione aproairetica è prevalente. – Esattamente. Vediamo in quali altri giochi la dimensione aproairetica è prevalente. Henrique, citane qualcuno a caso ed io ti risponderò. – Il calcio. – Aproairetica prevalente. – La pallacanestro. – Aproairetica prevalente. – Il biliardo. – Aproairetica prevalente. – Il tennis- – Aproairetica prevalente. Potremmo continuare così all’infinito senza trovare mai un gioco della classe degli scacchi e dei suoi congeneri.
USS 089 – Poland, Varsavia
– Roman, quando ti sento parlare del gioco degli scacchi, mi sembra quasi che tu stia parlando della nostra vita. – Non sei lontano dal vero, Jaroslaw. Come ci ha insegnato Luis Marques Carneiro, ‘aproairetico’, nel gioco degli scacchi, è soltanto il colore dei pezzi che ti toccheranno, mentre lo sviluppo del gioco è interamente un esercizio di proairesi. La vita degli esseri umani, invece, è un gioco nel quale la sorte ha un peso importante, già a partire dalla nostra nascita. Infatti, a differenza che nel gioco degli scacchi, nessuno di noi ha in sorte gli stessi identici pezzi di tutti gli altri. Ciascuno di noi ne ha una combinazione differente. Uno ha più torri e meno alfieri, un altro meno pedoni e più di una regina, e così via. – Tutti però abbiamo un solo re! – Sì, ecco: il re rappresenta proprio la nostra proairesi, ossia ciò che dobbiamo assolutamente salvaguardare e difendere in ogni circostanza. Una volta riconosciuto che, nascendo, abbiamo tutti ricevuto un re, possiamo parlare della dimensione ‘aproairetica’ della nostra vita come dei ‘materiali’ dell’esistenza. Se misuriamo la nostra felicità e la nostra infelicità unicamente in base al numero e alla qualità dei pezzi che abbiamo ricevuto in sorte, noi diamo ai ‘materiali’ rilievo cento e alla dimensione proairetica, ossia al nostro ‘uso’ di quei materiali rilievo zero. Ne conseguono, nel nostro comportamento, instabilità, sconcerto, avventatezza, negligenza. – Vedo queste conseguenze, Roman Piesiewicz. E cosa accade se invertiamo l’ordine dei fattori? – Bada che se moltiplichi qualunque numero per zero, il risultato sarà sempre zero. – Non importa, proviamo lo stesso. – Invertiamo l’ordine dei fattori e diamo allora alla dimensione proairetica, ossia al nostro ‘uso’ rilievo cento e ai ‘materiali’ rilievo zero. Jaroslaw, questo rilievo zero ai materiali, cosa significa per te? – Significa che dei ‘materiali’ posso del tutto fare a meno. Significa che mi rifiuto di usarli e che, quando non mi rifiuto di usarli, li uso con negligenza e trascuratezza. – Il rifiuto di cui parli è impossibile, giacché la tua semplice sopravvivenza è indissolubilmente legata alla disponibilità dei ‘materiali’. In questo caso, è come se tu rifiutassi di giocare la partita a scacchi! Se poi tu usi i pezzi che hai avuto in sorte con negligenza e trascuratezza, come potrai salvaguardare e difendere il tuo re? Dando in modo irrazionale rilievo zero ai ‘materiali’, hai in effetti dato rilievo zero al tuo ’uso’ dei materiali, mentre è soltanto il corretto ‘uso’ dei materiali che può farti considerare un buon giocatore di scacchi. – Se non è questo il modo di affrontare la questione, come bisogna allora affrontarla? – I ‘materiali’ sono indifferenti per la nostra felicità o infelicità ma, a questo fine, il loro ‘uso’ non è indifferente. Come si serberanno stabilità di giudizio, dominio sullo sconcerto, ed insieme la solerzia che ci evita di essere avventati e negligenti nella vita? – Imitando i bravi giocatori di scacchi. – Esattamente, Jaroslaw. I pezzi degli scacchi ci sono stati dati dalla sorte e noi non abbiamo, in ciò, alcuna colpa né alcun merito. Usare con solerzia e arte quelli che abbiamo: ecco quale dev’essere l’opera nostra. Dunque nessun rifiuto dei materiali è in accordo con la natura delle cose, come pure nessun uso di essi che sia negligente e trascurato. Il solo modo di comportarci che sia in accordo con la natura delle cose è quello di giocare e di giocare con solerzia. – Ma poi tanto la partita finisce sempre con la nostra morte! – Perché parli così? Tu parli così perché, implicitamente, consideri la nascita una vittoria e la morte una sconfitta. Prova a giudicarla invece rettamente, ossia come il termine naturale di qualcosa che ha avuto un inizio. Cosa c’è di strano in questo? La partita deve comunque finire. Se proprio non vuoi considerarti un vincitore, considera la partita patta! Vorresti, di nuovo in modo contrario alla natura delle cose, essere tu a stabilire le regole, a fissare le leggi della Materia Immortale, ad essere il Tutto, quando non ne sei invece che una parte? Varsavia oggi è fredda e piovosa. Nel Café de la Régence, a Jaroslaw Giertych questa volta è toccato il bianco.
USS 090 – Saint Lucia, Castries
– Martinus, bene e male sono dentro di te e non fuori di te. – Dentro di me, Sonia? E dove? – Nella tua proairesi, ossia in quella facoltà libera, infinita, inasservibile e insubordinabile che la natura ti ha dato e che scaturisce da ciò che è scritto nel tuo DNA. – E cosa sono bene e male? – Sono giudizi della tua proairesi. Quando essa si atteggia secondo la natura delle cose, quando sceglie la diairesi, concepisce i giudizi che sono ‘il bene’ e che in quella determinata circostanza faranno di te un uomo felice. Quando, al contrario, essa sceglie la controdiairesi, quando si atteggia contro la natura delle cose, concepisce i giudizi che sono ‘il male’ e che fanno di te un essere umano infelice. – Questo che dici vale soltanto per me oppure per tutti gli uomini? – Vale indistintamente per tutti gli esseri umani e tutti gli uomini. – Tu fai differenza tra gli esseri umani e gli uomini? – Sì. Io chiamo esseri umani tutti noi, giacché tutti noi siamo dotati di proairesi. Chiamo però ‘uomini’ soltanto gli esseri umani felici, ossia coloro che usano correttamente la diairesi. E invito anche te, Martinus, a tenere presente questa distinzione, ad usare un nuovo linguaggio. – Sonia, se bene e male sono dentro di me e non fuori di me, significa forse che essi esistono unicamente in me? – No. Bene e male non esistono unicamente in te. Ciò che vale per te vale anche indistintamente per tutti gli altri esseri umani. Bene e male sono dentro di te, ma tu non sei l’unico essere umano al mondo. Bene e male sono dunque anche fuori di te, nel senso che esistono nella proairesi di tutti gli altri esseri umani attualmente viventi. – Allora, se sparisse il genere umano non vi sarebbero più, nell’Universo, né bene né male? – È esattamente così. L’Universo è esistito per miliardi di anni senza che esistessero né bene né male. Soltanto la comparsa di esseri umani come noi, negli ultimi centomila anni circa, ha fatto sorgere questa aurora. – Che può anche tramontare? – Certamente. E anche se così fosse, la Materia Immortale continuerà a procedere lungo il suo maestoso e inarrestabile cammino, la comprensione delle cui origini e dei cui scopi – se pure ci fossero – ci rimarrà per sempre impossibile. – Ma allora posso dire che bene e male esistono anche fuori di me? – Sì, se intendiamo parlare – com’è corretto parlare – del bene e del male che sono la proairesi di chi incontri e di chi non incontrerai mai, di chi conosci e di chi non conoscerai mai. Poco oltre il porto di Castries, la baia di La Toc oggi è una semiluna di sabbia luccicante al sole dei Caraibi. Quand’anche Martinus si fosse innamorato di Sonia Louisy, ci sarebbe qualcosa da ridire?
USS 091 – Nauru, Yaren
– Angelita, se la mia proairesi può essere bene o male, cosa devo pensare della proairesi di chi non sono io, di quella di un’altra persona qualunque, la quale so poter essere bene o male, come la mia? Il bene o il male di essa possono riversarsi su di me? Può un’altra proairesi farmi del bene o farmi del male? – Kennan, chiediti innanzitutto cos’è per te la proairesi di un’altra persona. Rispondi a questa domanda: la proairesi altrui è qualcosa in tuo esclusivo potere oppure no? – È chiarissimo che non è in mio esclusivo potere. – Tutte le entità che non sono in nostro esclusivo potere vanno chiamate entità aproairetiche e quelle che invece sono in nostro esclusivo potere vanno chiamate entità proairetiche. Dunque…- – Dunque la proairesi altrui è per me un’entità aproairetica. – Soltanto le entità proairetiche possono essere bene o male. Tutte le entità aproairetiche devono essere correttamente indicate come ‘né bene né male’ oppure ‘indifferenti’ oppure ancora ‘udeteri’. – Ecco perché la proairesi altrui è per me né un bene né un male! – Kennan, può qualcosa che è per te né bene né male, che è per te indifferente, esserti causa di bene o di male? – Non può. Giacché soltanto la mia proairesi può essere per me, ossia per se stessa, causa di bene o di male. – Hai detto perfettamente. Nessuno al mondo potrà mai farti del bene o del male. Questa è la natura delle cose. Soltanto tu puoi fare a te stesso del bene o del male. – Lo ammetto, Angelita Eijebong. Capisco che è così. Ma adesso ascolta. Noi viviamo nell’unica repubblica che non ha una capitale ufficiale, che è la più piccola nazione-isola ed insieme la più piccola repubblica indipendente al mondo, sì e no mezzo grado a sud dell’equatore nell’oceano Pacifico. Qui è difficile che accadano certe cose. Ma che cosa è successo se io, totalmente incolpevole ed estraneo ai fatti, al termine di una catena di eventi che originano dalla proairesi di un terrorista, quando sono – poniamo per ipotesi – a Sidney mi ritrovo a terra sanguinante e con una gamba spezzata? Non è successo nulla? Questo non è male? – Nell’esempio che tu fai c’è del male, ma dubito che tu sappia dove sta. Ti manca il linguaggio per descrivere correttamente l’accaduto. – Ti prego, aiutami ad acquisirlo. – A te pare di avere subito un male e che il terrorista che te l’ha fatto se ne stia, felice e contento, nel bene perché l’attentato ha raggiunto il suo scopo. – Accidenti, non è così? – No, non è così. Cominciamo da te. L’accaduto è per te qualcosa di proairetico o di aproairetico? – Aproairetico. – E dunque? – E dunque devo giudicarlo come qualcosa che per me è né bene né male. – Ottimamente. È avvenuta un’esplosione. Tu ti trovavi casualmente nei paraggi. L’esplosione ti ha investito, causandoti ferite che sanguinano e una gamba spezzata. Puoi affermare senza tema di smentite che il tuo corpo incolpevole sta provando dolore. – Sto provando un fortissimo dolore. Non posso dire che sto male? – Useresti un linguaggio del tutto fuorviante, un linguaggio che devi abbandonare, Kennan! È natura delle cose che il dolore fisico, in quanto entità aproairetica, non sia un male e neppure un bene. Chiamalo qualcosa di sgradevole, antipatico, trova l’aggettivo che ti pare ma il dolore fisico diventa ‘male’ soltanto quando la nostra proairesi lo trasforma in servile lamentosità, in afflizione. Diventa invece ‘bene’ quando la nostra proairesi lo trasforma in virile sopportazione, in fortezza. Kennan, cos’ha spezzato l’esplosione di Sidney? La tua gamba o la tua proairesi? – Angelita, mi piacerebbe rispondere: tutte e due. Ma capisco che la mia vera risposta è: la gamba. – Soltanto la gamba, giacché nulla può spezzare la proairesi se non essa se stessa. La proairesi spezzerebbe se stessa se si ritenesse inferiore all’esplosione e dunque ad essa asservibile e da essa subordinabile. – Se la mia proairesi si mantiene superiore all’esplosione, superiore al dolore che provo nel corpo, posso dire di stare bene? – Sì. Puoi dire di stare bene e di non avere subito alcun male. Il terrorista ha completamente fallito il suo attentato. Anche se non era la tua quella che il terrorista ha di mira, egli vuole sempre spezzare una proairesi, asservirla e subordinarla. Mentre non è riuscito ad altro che a far scorrere del sangue, a spezzare una gamba. – Angelita, dov’è allora il ‘male’? – Il male, come ti dicevo, nell’accaduto c’è, ed è tutto nella proairesi del terrorista. Kennan, male è una proairesi che vede il bene ed il male unicamente fuori di sé, che si nutre di controdiairesi, che va ciecamente contro la natura delle cose, illudendosi di poterla violare ed adattare ai propri maligni e perversi giudizi di falsa liberazione.
USS 092 – Bangladesh, Paharpur
– Iajuddin Nizami, perché si dice degli oggetti e degli eventi esterni ed aproairetici che alcuni sono secondo natura ed altri contro natura? – Lo si dice nel linguaggio comune, ma è un modo di parlare del tutto improprio e scorretto. – Perché è scorretto? – Perché tutto ciò che di aproairetico esiste ed accade non può mai essere contro natura. – Neppure le guerre, le malattie, la morte; insomma tutto ciò che il linguaggio comune considera essere ‘male’? – Naziur, nessuna di esse è ‘male’ – e neppure ‘bene’ – poiché nessuna di esse infrange le leggi della Materia Immortale di cui siamo fatti. Nulla di aproairetico può partecipare della sostanza del ‘bene’ o del ‘male’. Fatta questa precisazione torniamo pure alla tua domanda e diamo momentaneamente per accettabile quel modo scorretto e banale di esprimersi. Un conto, allora, è parlare degli oggetti esterni e aproairetici come se essi non avessero relazione alcuna tra di loro e con noi, e un conto è parlarne tenendo invece conto di queste relazioni. – Puoi farmi degli esempi, affinché io possa capire meglio? – Dirò, ad esempio, che per il piede è secondo natura tanto essere pulito quanto essere sporco. Se infatti lo considererai come piede e non come un’entità assoluta, sarà doveroso per il piede ficcarsi anche nel fango, calpestare delle spine e, all’occorrenza, essere amputato a favore dell’intero corpo. – Altrimenti? – Altrimenti non sarebbe più un piede. – Si deve concepire qualcosa di simile anche a nostro riguardo? – Credo proprio di sì. Cosa sono io? – Un essere umano. – Se mi consideri come assoluto, è secondo natura che io viva fino alla vecchiaia, che sia benestante, che sia in buona salute. Ma se mi consideri come individuo che è parte di un certo intero, a causa di quell’intero è doveroso che io ora sia ammalato, ora navighi e corra dei pericoli, ora difetti di mezzi di sussistenza e, all’occorrenza, muoia anzitempo. – E per questo non fremi? Non ritieni questa un’ingiustizia? – Naziur, non capisci che, come quello non sarebbe più un piede, così neppure io sarei più un uomo? – Già, cos’è un uomo? – L’uomo è anch’egli parte di un intero. – Iajuddin, dunque proprio a te tocca domani essere processato a Dacca? – Si, Naziur, proprio a me tocca domani lasciare Paharpur. Come ad un altro è toccato ieri di avere la febbre, ad un altro tocca ora di viaggiare e ad un altro ancora tocca proprio domani di morire. Giacché a coloro che vivono con un corpo, in questo contesto, insieme a queste creature, è impossibile non accadano contemporaneamente, ora all’uno ora all’altro, cose simili.
USS 093 – Botswana, Gaborone
– Otswoletse, il semplice fatto di essere in vita è dunque né un bene né un male? – Sì, Otlaadisa: il vivere è indifferente. A non essere indifferente è l’uso che facciamo di questo vivere. – Quando sento dire che qualcosa è ‘indifferente’, io tendo subito a trarne la conclusione che quella cosa non vale nulla e che non merita il mio interesse. – La tua è una conclusione sbagliata, Otlaadisa. Sbagliata, perché non analizzi le rappresentazioni e te ne fai trascinare come un cane al guinzaglio. Quando uno ti abbia detto che una cosa qualunque è indifferente, tu subito diventi sciatto e trascurato nei suoi confronti. – Mi capita proprio questo. – E se invece uno t’invita a mostrare solerzia per qualcosa, tu subito perdi le distanze e te ne infatui, diventandone servo nell’animo. – Accidenti, è proprio così! Ma come fai a saperlo? – Tranquillizzati Otlaadisa. Non sei il solo a comportarti in questo modo. – Per togliermi il guinzaglio dal collo, allora, cosa mi manca? – Ti manca la diairesi; ti manca l’uso quotidiano, metodico, della diairesi. – Della diairesi? – Sì, della diairesi. Non ricordi le parole di Eva Strache-Nowotny quando venne qui a Gaborone e ce ne parlò? – Hai ragione, adesso ricordo! Eva faceva l’esempio di una persona alla quale è stato chiesto di recarsi a salutare un certo personaggio importante: ‘Parti ed ossequia il tale’ ‘Lo ossequio’ ‘Come?’ ‘Senza servilismo’ ‘Ma non ti ha ricevuto’ ‘Chi trova la porta chiusa, è necessario o che si ritiri o che entri dalla finestra, ed io non ho mai imparato ad entrare in casa della gente passando dalla finestra’ ‘Parlagli anche’ ‘Gli parlo’ ‘In che modo?’ ‘Senza servilismo’ ‘Ma non hai ottenuto ascolto alle tue parole’ ‘Questo sarebbe forse opera mia? No, è opera di quello. Perché dunque dovrei pretendere quanto è allotrio, quanto non è affatto in mio potere?’ Queste erano le parole di Eva. – Ecco, Otlaadisa, la diairesi all’opera. Ricordando sempre cos’è tuo e cos’è allotrio non cadrai mai più preda dello sconcerto e della disistima per te stesso. – Otswoletse Setshwaelo, Eva faceva anche un altro esempio che in questo momento non ricordo. Lo ricordi tu? – Sì, Otlaadisa. L’esempio era quello di un ministro dell’imperatore nell’antica Roma, ministro che sta parlando con un filosofo stoico: ‘Al cospetto di Cesare, la mia testa è in pericolo!’ ‘Ed io non sono in pericolo, io che abito a Nicopoli dove ci sono così forti terremoti? Proprio tu, quando solchi l’Adriatico, che pericoli corri? Non è in pericolo la tua testa?’ ‘Ma anche le mie concezioni, al cospetto di Cesare, sono in pericolo!’ ‘Le tue? E come? Chi può costringerti a concepire qualcosa che non vuoi? In pericolo per quelle di un altro? E quale pericolo corri tu che altri concepiscano delle falsità?’ ‘Ma corro il pericolo di essere licenziato e poi confinato!’ ‘Cosa significa essere confinato? Non significa forse essere altrove che a Roma?’ ‘Sì, significa questo’ ‘E allora? Cosa c’è di tanto strano nell’essere altrove che a Roma?’ ‘E se sarò mandato a Giaro?’ ‘Se la cosa farà per te, partirai. Se no, hai per dove partire invece che per Giaro; un luogo dove anche quello che ti manda a Giaro verrà, lo voglia o no’. Ecco, Otlaadisa, le altre parole di Eva. Tu soltanto ricordati di quella diairesi grazie alla quale si definisce quanto è in tuo esclusivo potere e quanto non lo è. Non pretendere mai alcunché di allotrio. Tribuna e prigione sono, l’una e l’altra, un posto; la tribuna, elevato; la prigione, miserabile. Ma la proairesi dell’uomo può essere custodita pari, se pari disporrai di custodirla, nell’uno e nell’altro posto.
USS 094 – Andorra, Andorra la Vella
– Jelena Pintat, perché gli esseri umani sono infelici? – Jaume, perché sono deboli. – Ma come, deboli? Anche dei marcantoni forzuti, con dei bicipiti da palestra, sono infelici! Dunque deboli in cosa? – Deboli nella comprensione e nell’uso della diairesi, Jaume. – Chi è debole nella diairesi non ha altri punti di forza? – Come no? È fortissimo nell’uso della controdiairesi. Come sai bene, la controdiairesi è il supergiudizio, contrario alla diairesi, che afferma in mio esclusivo potere quanto non è in mio esclusivo potere oppure non essere in mio esclusivo potere quanto invece è in mio esclusivo potere. – Perché prima parlavi di comprensione e uso della diairesi e un momento fa, a proposito di controdiairesi, hai parlato solo di uso? – Bravo, vedo che hai fatto attenzione alle mie parole! Chi usa la controdiairesi non ha la comprensione dello strumento che sta usando giacché, se ne avesse la comprensione, sarebbe cosciente di essere egli stesso la causa della propria infelicità, la quale è male. – E se invece se ne rendesse conto? – Il rendersene conto equivale al passaggio dalla controdiairesi alla diairesi, da un atteggiamento che è contrario alla natura delle cose ad un atteggiamento che è in armonia con la natura delle cose. – Jelena, perché questo passaggio è così raro e difficile? – Gli esseri umani nascono deboli, in uno stato di naturale e inevitabile dipendenza da chi li ha messi al mondo. – Sono assolutamente d’accordo con te. – Il neonato succhia la controdiairesi insieme con il latte materno, e fino all’adolescenza la controdiairesi gli è essenziale per sopravvivere. In questo stato egli vede il bene e il male unicamente fuori di sé e fa i capricci sia per l’uno che per l’altro. – E poi? – E poi, nella prima gioventù, scopre che c’è qualcosa che non quadra, poiché comincia ad essere ripetutamente frustrato nei propri desideri e ad incappare continuamente in cose che avversa. – Le prime pene d’amore, per esempio? – Ecco, proprio quelle, per esempio; ma anche per eventi concernenti lo studio, il sesso o il lavoro. Anche se la vera scoperta di avere una proairesi e un, per ora, oscuro sentore della diairesi, coincidono generalmente con la scoperta della possibilità del suicidio. – Jelena, a me è successo di scoprirlo anni fa, proprio qui dove siamo, ad Andorra, camminando lungo il muraglione che ripara la strada dal precipizio che vedi. E poi? – E poi se il giovane continua la sua sincera ricerca e ha la fortuna di trovare dei buoni maestri, diventa padrone della chiave della propria felicità, rappresentata dalla diairesi. – Quello che dici vale per tutti noi o soltanto per alcuni? – Per tutti indistintamente, Jaume. La natura delle cose è inviolabile, non ha pietà per nessuno e il più forte prevarrà sempre sul più debole. Chi usa la diairesi non ha bisogno di sollevare neanche un dito per essere felice. – E chi usa la controdiairesi? – Chi usa la controdiairesi permane indefinitamente nel suo stato infantile di schiavitù e non potrà essere felice neppure se riuscisse a mettere tutto il mondo ai suoi piedi! – Dunque tu dici che le guerre furono cercate, dichiarate e combattute a causa di masse di individui che erano rimasti allo stato di bambocci? – Sì, Jaume; e non farti ingannare dalle loro cariche di onorevoli o di senatori, dalle loro divise, dalle loro armi, dalle loro barbe, dai loro soldi né dalle loro parole.
USS 095 – Dominica, Roseau
– Phyllis, secondo te è possibile mangiare in un modo che renda evidente l’uso della diairesi? – Judith, se è possibile fare una cosa qualunque con giustezza, buona intelligenza e insieme con padronanza di sé e compostezza, non è anche secondo diairesi? – Che fare, quando si chiede dell’acqua fredda e invece il cameriere o non ti dà retta oppure te la porta tiepida? – Non esasperarsi per questo, non berciare: non è anche questo comportarsi secondo diairesi? – È vero, Phyllis; giacché ciò che il cameriere farà non è in mio esclusivo potere. Però però, come si fa a sopportare cose del genere? – Judith, non tollererai un tuo fratello; qualcuno nato con i tuoi medesimi geni e della tua stessa discendenza? Se tu fossi assegnata ad un ufficio eminente, subito diventeresti una tiranna? Dimenticheresti subito chi sei e su chi comandi? Che comandi su tuoi congeneri e fratelli? – Sì, ma io li pago ed essi mi devono ubbidire! – Vedi dove miri? Ti rendi conto che miri a terra, al baratro, a quelle disgraziate leggi da cadaveri di una volta, e non miri alla diairesi? Phyllis Rhys e la sua amica Judith Skerrit hanno appena lasciato l’appartamentino che affittano in Munro Street, nel centro di Roseau. Insieme ad alcune decine di altri passeggeri, stanno per imbarcarsi sulla ‘Princess Star’ in crociera nei Carabi.
USS 096 – China, Badaling
A Badaling, a sessanta chilometri da Pechino, la grande muraglia cinese ha una base di lastroni di pietra, sormontata da una copertura e da spalti in mattoni. Proprio ora nel cielo verso nord, verso la Mongolia, dove Hsin-fa Huang e Zhou Hung-er guardano, si sta disegnando un immenso, doppio arcobaleno. – Hsin-fa, secondo te qual è la sostanza del bene? – Zhou, dobbiamo rifarci agli antichi, eterni e veri maestri che ce l’hanno insegnato. – E cosa hanno detto questi maestri? – Ti porrò le domande che, a suo tempo, furono poste a me. Innanzitutto dobbiamo stabilire dove cercare la sostanza del bene. Zhou, la sostanza del bene va ricercata in un minerale? – No, Hsin-fa. – In un vegetale o in qualunque altro essere sprovvisto di ragione? – In nessuno di questi. La sostanza del bene esige la presenza della ragione e non può essere associata che ad essa. – Dunque dobbiamo cercarla in ciò che fa la differenza tra un essere sprovvisto di ragione e un essere provvisto di ragione. Minerali e vegetali sono atti all’uso delle rappresentazioni? – No, né una pietra né un filo d’erba possiedono organi capaci di produrre delle rappresentazioni. – Per questo non parliamo mai di ‘bene’ a loro proposito. Ne consegue che il bene ha, come minimo, bisogno dell’uso delle rappresentazioni. Proprio soltanto dell’uso? – Sono interdetto nel risponderti. – Se ci fosse bisogno soltanto dell’uso delle rappresentazioni, allora potremmo parlare di bene e di male, di libertà, di felicità e infelicità anche a proposito della maggior parte degli animali, i quali usano certamente le rappresentazioni. – Se penso alle api o ai cani da caccia sono sicuro di non sbagliare quando li dico abilissimi nell’uso delle rappresentazioni. – E lo stesso vale per moltissimi altri animali, i quali hanno una raffinata capacità di uso delle rappresentazioni. Eppure non parliamo a loro proposito di ‘beni’ poiché manca loro qualcosa che soltanto l’uomo possiede. – Capisco adesso dove non si può non arrivare. – Alla conclusione, appunto, che nessun animale, salvo l’uomo, ha la ‘comprensione dell’uso’ delle rappresentazioni. Comprensione dell’uso delle rappresentazioni è un altro nome che possiamo dare alla ragione umana. Minerali, vegetali, animali; tutti siamo fatti degli stessi atomi, della stessa Materia Immortale. Ma l’aurora del bene, della retta ragione, spunta dalla Materia Immortale esclusivamente attraverso la carne dell’uomo, come un arcobaleno dall’atmosfera. – E anche quella del male? – Ovviamente, Zhou.
USS 097 – Namibia, Deserto del Kalahari
Partiti da Windhoeck, Hifikepunye Ohangwena e Kuaima Okavango sono diretti al lago Ngami e stanno attraversando il deserto del Kalahari. Il percorso che seguono è quello tracciato, in anni lontanissimi, da David Livingstone e William C. Oswell. – Kuaima, dunque la proairesi è per natura superiore a qualunque altra facoltà umana ed a qualunque evento aproairetico. – Su quale base fai quest’affermazione? Hifikepunye, lo affermi per semplice definizione? – No, lo affermo per conoscenza empirica, per esperienza pratica. Guardati intorno e riconoscerai che la più cieca ostinazione nell’errore e la più sublime perseveranza nella rettitudine sono due modi opposti di manifestarsi di una sola e identica facoltà. – Chi o che cosa rende dunque serva la proairesi e la induce nell’errore e nel male? – Nulla di aproairetico ha questa capacità. È la proairesi stessa ad operare su se stessa una simile perversione. – E perché accade questo, che a prima vista sembra un’assurdità? – Non è più un’assurdità, appena prendi le giuste distanze dal fenomeno e lo guardi nell’insieme dall’alto, nel suo contesto complessivo. Se infatti la proairesi è libertà infinita ed è per natura superiore a tutto, è necessario ed imprescindibile che essa abbia anche la libertà di negare questa sua libertà, dichiarandola fittizia e illusoria. Se la proairesi non avesse questa capacità non sarebbe più libertà infinita. Dunque vedi quanto l’errore sia necessario all’esistenza della rettitudine e quanto la rettitudine lo sia a quella dell’errore, il bene al male e il male al bene. – Se mi guardo intorno, mi sembra di stare camminando sul filo di un rasoio. – Poiché questa è la natura delle cose, è qui che dobbiamo camminare, e camminare senza paura. – Dispiace però vedere che alcuni soccombono. – Può certo dispiacere, ma è male soltanto per chi soccombe, non per chi lo vede purtroppo soccombere. E sappiamo anche di più, ossia che ciò è inevitabile e che chi soccombe è unico responsabile della propria sorte.
USS 098 – Papua New Guinea, Port Moresby
Mekere Sandaun è nato e vive a Port Moresby. È tornato da poco da Apia, nelle Samoa Occidentali, dove ha trascorso alcuni mesi come allievo di Pou Tagaloa. Le parole con le quali Pou ha congedato lui ed altri allievi che venivano da ogni parte del mondo, sono per Mekere indimenticabili ed egli non riesce a fare a meno di ripeterle continuamente tra sé e sé. *Noi portiamo dentro noi stessi una facoltà, la proairesi, che è libertà infinita e non lo riconosciamo e non lo accettiamo? La stessa insormontabile ostinazione di chi non lo accetta, a dispetto di ogni prova e ogni dimostrazione, è segno e conferma della infinita libertà della proairesi umana. La Materia Immortale ci ha strutturato come esseri infinitamente liberi e ha affidato e commesso questa caratteristica a noi soli. Se ci avesse affidato un orfano, lo trascureremmo? Ne disconosceremmo la natura e i bisogni? La Materia Immortale ci parla così: ‘Non avevo un altro più leale di te. Custodiscimelo siffatto qual è per natura e salvaguardamelo in armonia con la natura delle cose: libero, rispettoso di sé e degli altri, leale, d’elevato sentire, capace di dominare la gioia, le passioni, lo sconcerto’. E noi non lo custodiamo?* Passeggiando a Paga Hill, Ekis Moranta e Byron Chimbu si sono imbattuti in Mekere e gli hanno chiesto: ‘Mekere, ci è mancata la tua compagnia in questi mesi. Dove sei stato?’ – Ad Apia, amici miei. – È di lì che ti vengono quel cipiglio e quel portamento così solenni? – Cipiglio, voi dite? Portamento solenne? Ekis, Byron, amici miei, solenne non ancora secondo il merito. Giacché non ho ancora completa fiducia in quanto ho imparato ad Apia. Ho ancora paura della mia debolezza. Peraltro lasciatemi prendere fiducia ed allora vedrete lo sguardo che si deve e l’atteggiamento che si deve. Cipiglio? Lo Zeus di Olimpia aveva forse le sopracciglia inarcate? No; ma fitto era il suo sguardo, quale deve essere quello di chi sta dicendo: ‘Né revocarsi, né fallir, né vana esser può cosa che il mio capo accenna’. Tale mi mostrerò a voi: leale, rispettoso di me e degli altri, generoso, al riparo dallo sconcerto. Forse anche immortale, al riparo dalla vecchiaia e dalle malattie? No, ma un uomo che muore divinamente, che è malato divinamente. Questo ho, questo posso: il resto non ho né posso. Vi mostrerò il nerbo di un filosofo. – Quale nerbo, Mekere? – Un desiderio che non fallisce il segno, un’avversione che non incappa in quanto avversa, un impulso doveroso, un proposito solerte, un assenso non precipitoso. Questo vedrete.
USS 099 – Barbados, Bridgetown
– Il nostro mero adempiere la professione di uomo non è un risultato che possa essere raggiunto casualmente. Seymour, come tratteggeresti un uomo? – Mia, lo tratteggerei come una creatura mortale e dotata di capacità logica, razionale. – Nella logicità da chi ci separiamo? – Dalle belve. – E da quali altri esseri? – Dalle pecore e simili creature. – Chi fa qualcosa da belva o da pecora manda dunque in malora l’uomo, non ne adempie la professione. Che cosa facciamo da pecore? – Quando perdiamo la razionalità, la logicità e facciamo qualcosa per la pura pancia, per i coglioni, a casaccio, in gregge, servilmente, direi che incliniamo alle pecore. – E da belve? – Quando facciamo qualcosa rissosamente, dannosamente, rancorosamente ed impetuosamente, direi che incliniamo alle belve. – È vero, Seymour. E possiamo tranquillamente affermare che, come il carpentiere è salvaguardato dalle opere di carpenteria e il musicista da quelle di musica, così anche l’uomo è salvaguardato dalle opere da uomo ed è mandato in malora dalle opere da pecora o da belva. – Quali opere da uomo, Mia? – Le opere che rispettano sé e gli altri salvaguardano l’uomo rispettoso di sé e degli altri, mentre quelle che non rispettano né sé né gli altri lo mandano in malora. Le opere leali salvaguardano l’uomo leale, mentre quelle sleali lo mandano in malora. Le opere opposte, invece, accresceranno le creature opposte: la sfacciataggine accrescerà lo sfacciato; l’ingiuria l’ingiurioso; l’ira, l’iracondo; le entrate e le uscite tra loro non consone, l’avido di denaro. – Basta sapere questo, per essere uomo? – Seymour, un conto è dire di sapere queste cose e un altro conto è saperle davvero, perché saperle davvero equivale a praticarle. Non vi è mai scissione possibile tra la nostra teoria e la nostra pratica. Noi siamo i nostri giudizi, e la nostra vita non è altro che la pratica dei nostri giudizi. – Mia, stai dicendo una cosa tremenda! – Me ne rendo conto, Seymour; è terribile e non mi fa paura dirlo. Noi siamo stati educati a credere di avere una volontà che può contrastare e prevalere sulla nostra intelligenza. Questa è una concezione contraria alla natura delle cose, una concezione esiziale. Se non la abbandoniamo e non ci dotiamo della concezione corretta, null’altro saremo che pecore o belve interpreti di giudizi altrui. – È vero. Siamo stati educati a credere di poter essere scissi interiormente tra ‘chi pensa’ e ‘chi opera’; a credere di poter essere ‘intelligenti’ ma mancare di ‘volontà’. – Chi di noi non può parlare a regola d’arte di beni e di mali? Dire che delle cose che sono alcune sono beni, altre mali, altre indifferenti; che beni sono le virtù e quanto partecipa delle virtù; mali, le cose opposte; indifferenti, la ricchezza di denaro, la salute del corpo, la reputazione e così via? E poi se, mentre parliamo, gli astanti cominciano a rumoreggiare o uno di loro ci deride, ecco che ci sbigottiamo. Dov’è quel che dicevamo? Lo dicevamo proferendolo da dove? – Dalle labbra, dalle labbra e solo dalle labbra. – Perché scherzare col fuoco e giocare a dadi con le cose più grandi? Un conto è riporre dei pani e del vino in dispensa, per mostrarli ad altri; e un altro è mangiare. Soltanto ciò che è ingerito e digerito, assimilato, diventa nerbo, carne, ossa, sangue, buon colorito, buona respirazione. Per Mia Sealy Comissiong e Seymour Mottley, la vista della flottiglia da pesca che, al tramonto, torna a Bathsheba carica di pesci volanti, mentre ogni imbarcazione fa a gara ad attraversare per prima la barriera corallina che protegge il porto, rimane uno spettacolo indimenticabile. Domani i cuochi di Bridgetown, esperti come sono, sapranno preparare al meglio questo delicato e gustosissimo pesce.
USS 100 – Benin, Cotonou
– Signor Yoruba Houngbedji, io non chiedo mai a chi si presenta qui per la prima volta di parlarmi dei lavori che ha fatto o che fa. Gli chiedo invece di dirmi chi è. – Innanzitutto sono un essere umano, ossia una creatura che nulla ha di più dominante della proairesi e tutto il resto subordinato ad essa; mentre la proairesi è inasservibile ed insubordinabile. – Da quali creature lei ritiene che la proairesi ci separi? – Dalle belve e dalle pecore. Sono cittadino del mondo e parte di esso. Non una parte serva ma una parte cardinale, giacché sono in grado di comprendere il governo della Materia Immortale e di comportarmi in conseguenza. – Se invece di uomo, creatura mansueta e socievole, lei diventa una belva dannosa, insidiosa, mordace, non ha mandato in malora nulla? – Se mando in malora il rispetto di me e degli altri, la moderazione, la mansuetudine, non sono più un uomo. Nessun essere umano che viva nel male, ossia che pratichi la controdiairesi, è senza perdita e punizione. – Se noi giudicassimo essere punizione unicamente la perdita di denaro, anche gli esseri umani che vivono nel male sarebbero indenni, senza punizione e, caso mai, trarrebbero giovamento e guadagno dal male, qualora attraverso qualcuna delle loro opere maligne guadagnassero del denaro. – Tuttavia, signor Kerekou, lei vede bene che se noi riconducessimo tutto al denaro, neppure chi perde il naso sarebbe danneggiato. – Lei pensa così? Alcuni pensano invece che, in un simile caso, la persona sia danneggiata, giacché il suo corpo è stato mutilato. – Scusi, e chi ha perso l’odorato stesso, non perde nulla? Non v’è alcuna facoltà dell’animo tale che chi l’acquisisce se ne giova e chi la perde è punito? – Di quali facoltà parla, signor Houngbedji? – Gli esseri umani non hanno alcuna attitudine naturale al rispetto di sé e degli altri? – Direi che l’hanno. – Dunque chi perde ciò non è punito, non è defraudato di nulla, non butta via nulla di quanto gli appartiene? Non abbiamo in noi una naturale attitudine alla lealtà, una naturale attitudine all’affettuosità, ad essere giovevoli e tolleranti gli uni degli altri? Chiunque dunque sbadatamente punisce se stesso al riguardo, che costui sia indenne e senza punizione? Place des Martyres è una grande piazza triangolare situata nel centro di Cotonou, circa a metà strada tra il porto e l’aeroporto. È qui che Yayi Kerekou ha i suoi uffici e che ha appena offerto un contratto di lavoro a tempo indeterminato a Yoruba Houngbedji.
USS 101 – Lesotho, Maseru
Kingsway è la lunga arteria che attraversa tutta la città di Maseru. Poche sere fa, nei suoi pressi, Ntsukunyane Moshoeshoe è stato oggetto di ripetuti insulti e sputi da parte di Pakalitha Mosisili il quale, del tutto a torto e senza fondamento alcuno, riteneva di essere stato da lui danneggiato nell’acquisto di un terreno fabbricabile. Ntsukunyane ha saputo mantenersi calmo e non ha reagito, mentre Pakalitha, a stento trattenuto dai suoi compari, dava in escandescenze. Il fatto non è passato inosservato e Khauhelo Ralitapole oggi ne ha chiesto conto a Ntsukunyane. – Ntsukunyane, perché non hai reagito al suo stesso livello? Perché non hai cercato di danneggiare chi ti danneggiava? – Khauhelo, tu ritieni che egli danneggiasse me? – E che? Danneggiava forse qualcun altro? – Danneggiava se stesso, credendo qualcosa di assolutamente falso e sul quale sarà costretto a ricredersi. – Non ti ha chiesto nessuna spiegazione prima di insultarti? – Nessuna. – E gli sputi? – Un po’ d’acqua che ti sia tirata in faccia da un individuo preda di momentanea follia è qualcosa che può compromettere il tuo autocontrollo? – Io mi sentirei ribollire il sangue e comincerei subito a rispondere a suon di pugni! – Dopo un attimo di sorpresa, io mi sono invece ricordato di quello che, a proposito di cosa sia ‘danno’, ho sentito dire da Maumoon Thakurufaan quando sono stato a Malé. – E cosa diceva Maumoon Thakurufaan? – Diceva che se il bene è nella proairesi e il male allo stesso modo nella proairesi, allora ne discende che il ragionamento corretto da fare in situazioni specifiche è questo: ‘Quel tale ha commesso un’ingiustizia contro di me e ha danneggiato se stesso. Cosa mi tocca fare? Devo forse cercare anch’io di danneggiare me stesso, scendendo al suo livello e commettendo un’ingiustizia, pari e contraria, contro di lui?’. – Vuoi dire che, se qualcuno ti schiaffeggia, bisogna sempre porgere l’altra guancia? – Non sempre, Khauhelo. E non chiedermi ciò che è impossibile sapere, giacché ogni situazione è diversa dall’altra e va valutata nella sua concreta specificità. – Ntsukunyane, sono d’accordo con te. Perché dunque alcuni, ancora oggi non la pensano quasi mai così ed invece, laddove vi è qualche menomazione corporale o patrimoniale, là giudicano esservi danno; mentre quando la menomazione riguarda la proairesi, giudicano non esservi danno alcuno? – Perché a chi s’inganna o commette un’ingiustizia non viene il mal di testa o il mal d’occhi o la sciatica e neppure perde la casa di cui è proprietario. – Ed essi null’altro vogliono che questo! Se poi hanno la proairesi rispettosa di sé e degli altri e leale oppure sfacciata e sleale, su questo non sono neppur vicini a litigare eccetto che al bar e soltanto finché si tratta di discorsetti. – Perciò fanno profitto finché si tratta di discorsetti ed al di fuori di essi non ne fanno neppure il minimo.
USS 102 – Luxembourg, Luxembourg
– Jean-Claude, il volume totale dell’idrosfera è noto? – Paulette, se per idrosfera intendi la totalità dell’acqua presente sul nostro pianeta in oceani e mari, nei ghiacciai, nelle falde acquifere, in laghi, fiumi, nell’atmosfera, ecc.; ebbene il suo volume è noto. – E qual è? – Si tratta di 1,4 miliardi di chilometri cubi d’acqua, di cui oltre il 97% è acqua salata localizzata negli oceani. Questa quantità di acqua dell’idrosfera è fissa e costante. Per nostra fortuna, quella potente macchina desalinizzatrice e purificatrice che è il sole ne preleva circa 500.000 chilometri cubi l’anno, che ricadono poi sulla terra sotto forma di pioggia e di neve. – E conosci anche qual è il volume di acqua dolce annualmente disponibile per i normali usi umani? – Sì, si tratta di circa 14.000 chilometri cubi. – Che vuol dire, a testa…- – Se assumiamo una popolazione mondiale attuale di circa 7 miliardi di individui e trascuriamo le differenze di distribuzione, si tratta di 2.000 metri cubi pro capite all’anno. – Non è poco! Credevo che la disponibilità pro capite fosse molto inferiore. Ma da dove le prendi tu tutte queste cifre? – Me le dà un mio amico che si chiama John McNeill. – Jean-Claude, adesso avrei bisogno di sapere quanti litri di acqua ingerisce ed elimina mediamente un essere umano nel corso di una vita di 70 anni. – Questo calcolo è semplice. Se assumiamo un consumo medio di 1,5 litri di acqua al giorno, si tratta di un po’ meno di 40.000 litri d’acqua. Siccome l’energia del sole fa continuamente circolare l’acqua dell’idrosfera e la riserva di acqua degli oceani è 2.800 volte maggiore della quantità di acqua che evapora annualmente, possiamo ammettere che quell’individuo non beva mai la stessa acqua, giacché una determinata molecola d’acqua, prima di evaporare una seconda volta, può rimanere mediamente negli oceani per 2.800 anni. – Ammettiamolo; ed ammettiamo anche come ragionevole che se una persona è vissuta 2.000 anni fa quei 40.000 litri di acqua siano tutti ritornati negli oceani e lì ancora si trovino. – Assumiamo che sia così. – Sai dirmi adesso da quante molecole d’acqua sono formati 40.000 litri? – Anche questo calcolo è molto semplice. Si tratta di 1,3 volte il numero 1 seguito da 30 zeri. – Questo è il numero totale di molecole che sono passate mediamente nel corpo di Epitteto, il quale è morto settantenne circa 2.000 anni fa. Se tutte queste molecole, come abbiamo assunto, si trovano oggi uniformemente distribuite nei mari; in qualunque luogo io mi bagni verrò a contatto con alcune di esse oppure no? – Dobbiamo calcolare quante di esse sono presenti in ogni metro cubo di acqua marina. Assumiamo pure, cosa del tutto accettabile, che mari e idrosfera coincidano. Allora il risultato è questo: 8,6 volte il numero 1 seguito da 11 zeri. Il che significa che in ogni metro cubo di acqua marina sono contenuti mediamente 866 miliardi di molecole che sono comunque passate nel corpo di Epitteto. – E in un litro solo di acqua marina? – 866 milioni. – Dunque, se io prendessi un bicchiere da cento centimetri cubi di quell’acqua marina e la trattassi opportunamente per dissalarla, otterrei un bicchiere di acqua potabile in cui sono presenti circa 86 milioni di molecole di acqua che condividerei con Epitteto! – Cara la mia Paulette Giberyen! La conclusione mi sembra inoppugnabile. Devi però sapere che nel tuo bicchiere ci sono anche, in quantità simile, molecole che sono state nel corpo di tutti gli ominidi, buoni o cattivi, vissuti negli ultimi 4 milioni di anni! – La cosa non mi spaventa. Epitteto merita di essere festeggiato proprio qui dove siamo, a Lussemburgo, in Boulevard du Prince Henri, di fronte alla Villa Louvigny? – Io credo di sì. – Senti, Jean-Claude Asselborn; l’Atlantico non è lontano. Hai voglia di venire con me?
USS 103 – Malawi, Lilongwe
Nella confortevole casa di Likuni Road, Gwandaguluwe Mpinganjira e Chakufwa Chakuamba sono rimasti a parlare finché si è fatta sera, finché nella stanza buia, divisi da quel tavolo, sono stati divisi anche dall’ombra; ma non propriamente divisi, poiché le loro voci hanno acquistato un diverso afflato, il loro parlarsi una nuova fraternità. – E come accade, Gwandaguluwe Mpinganjira, che ci si avvicina alla diairesi? – L’inizio di questo avvicinamento, almeno per coloro che si accostano alla diairesi come si deve, è la consapevolezza della propria debolezza ed incapacità in questioni di necessità vitale. – Cosa intendi per questioni di necessità vitale? – Chakufwa, sono le questioni che hanno a che fare con ricchezza e povertà, bene e male, bello e brutto, felicità e infelicità, giusto e ingiusto, libertà e schiavitù, quel che si deve fare e quel che non si deve fare, e così via. Quando sei nato avevi già naturalmente innato in te il concetto di transistor? – No, certamente. E quel concetto non sono neppure sicuro di averlo adesso. – E di sol diesis? – Aiuto! Faccio fatica con gli intervalli musicali! – Chi non ha queste conoscenze ed intende acquisirle, cerca qualcuno che gliele insegni; e, finché non le conosce, neppure crede di conoscerle. – Invece tutti noi parliamo a proposito e a sproposito di bene e di male, di bello e di brutto…- – …come se ne avessimo un concetto innato; e non ci viene neppure il dubbio che si dovrebbe prima imparare di cosa esattamente si tratta, come appunto fanno coloro che non sanno di transistor e di intervalli musicali. – Invece di concetti, noi abbiamo in realtà dei preconcetti di bene e di male! È un bel guaio. – Aggravato dal fatto che noi applichiamo questi preconcetti ai casi particolari della vita e siamo certi che il nostro modo di farlo sia corretto. Ti chiedo: da dove ti viene questa certezza? – Dal fatto che così la penso. – Ma quest’altro individuo non la pensa come te e crede anche lui che il suo modo sia corretto. – Si sbaglia. – Questo lo dici tu di lui; ma lui dice di te che invece a sbagliare sei tu. Potete avere ragione tutti due? – Non è possibile. – È dunque necessario affidarsi a qualcosa che sia superiore al tuo o al suo semplice reputare. – Gwandaguluwe, e questo qualcosa cos’è? – Ecco il primo passo verso la diairesi, Chakufwa. La coscienza della contrapposizione degli esseri umani gli uni gli altri, la ricerca di ciò da cui nasce la contrapposizione, il disconoscimento e la diffidenza verso il semplice reputare. Poi un’indagine su quanto si reputa ed il rinvenimento di un canone, equivalente alla bilancia per le masse e l’orologio per i tempi. Questo è inizio di diairesi. – Mi chiedo, però, se questo canone esista, giacché potrebbe anche non esistere. – Questa possibilità ti turba? La possibilità, cioè, che sia inintelligibile ed introvabile ciò che tra gli uomini è di più vitale necessità? – Sì, purtroppo. – Concorderai con me che questo, comunque, non è un motivo per rinunciare alla ricerca. E chi questa ricerca l’ha già fatta ti assicura che il canone tanto cercato esiste ed è rappresentato proprio dalla diairesi. – È la diairesi che allontana dalla follia coloro che usano il solo reputare come misura di tutto? – Chakufwa, perché non provi? Dopo mesi di siccità, stanotte a Lilongwe è finalmente caduta la tanto attesa pioggia. Diretta, consistente, continua, essa ha finalmente dissetato una terra che l’ha attesa a lungo con pazienza. Chakufwa è stato risvegliato nella notte dal suo ticchettio contro gli infissi di una finestra e, per la gioia, non ha più potuto riprendere sonno.
USS 104 – Belize, Belmopan
– Anche nel caso dell’ansia vi sarà certo una componente aproairetica, legata cioè ad eventi che non sono in nostro potere, ma per il momento è opportuno tralasciare del tutto la considerazione di questo aspetto. Quando vedo un individuo davvero in ansia, io semplicemente mi domando: che cosa vuole costui? Se non volesse qualcosa che non è in suo esclusivo potere, sarebbe ancora in ansia? – Colville Corozal, ti riferisci a me? – Ad un cantante che, quando si esercita da solo non è in ansia; ed invece lo è quando entra in teatro, pur se ha una voce assai buona. – Lo si potrebbe chiamare il ‘mal di scena’. – Definizione carina! Giacché egli non vuole soltanto cantare bene ma anche avere l’applauso del pubblico; e questo non è mai in suo esclusivo potere. Orbene, laddove abbiamo scienza di qualcosa, lì abbiamo fiducia. Ma dove non sappiamo e non abbiamo studiato, lì siamo in ansia. – Perchè? – Wilbert, perché quel cantante non sa cos’è il pubblico e non sa cos’è la lode del pubblico. Ha imparato a cantare le note basse e quelle alte; ma cosa sia la lode dei più e quale potere essa abbia nella vita, egli non lo sa e non l’ha studiato. Dunque, è necessario che tremi e sia pallido. – Sappi comunque che qui a Belmopan si progetta la costruzione di un grande teatro in Constitution Drive, Colvill- – Accade raramente che qui da noi si diano spettacoli lirici, giacché siamo una delle più giovani e più minuscole capitali al mondo. Comunque quando questo accade ed io vedo sulla scena un cantante che ha paura, non posso dire che non sia un cantante ma posso dire qualcos’altro, e non una cosa soltanto ma parecchie. – Cosa? – Innanzitutto lo chiamo uno straniero e dico: costui non sa dove si trova e, benché risieda qui da tempo, ignora le leggi della città, le sue abitudini, su cosa si ha potere e su cosa non lo si ha. Wilbert, se tu dovessi scrivere un testamento senza sapere come bisogna scriverlo, cosa faresti? – Mi farei aiutare da chi sa. – E tuttavia usi desiderio ed avversione, impulso, progetto e proposito come capita e come se niente fosse! – Come se niente fosse? – Anche tu Wilbert Briceno, come quel cantante, non sai di volere quanto non è dato e di non volere il necessario; e non sai né quanto è tuo peculiare né quanto è altrui. Se invece lo sapessi, non saresti mai intralciato, non saresti mai impedito, non saresti in ansia quando entri in scena per cantare.
USS 105 – Spain, Barcelona
Quella mattina, a Barcellona, il sole entrava ormai prepotente nelle stanze all’ultimo piano della casa in Traversera de Graçia. Carmen Fernandez Vega abitava qui da un anno con Jordi Solbes e si era svegliata di buon umore. – Jordi, dopo colazione approfittiamo del bel tempo e facciamo una passeggiata fino al Barrio Gotico? – Carmen, verrei volentieri a prendere un aperitivo con te al Barrio Gotico, ma devo scrivere un articolo per il quale la notte mi ha portato consiglio. Se non lo faccio stamattina, rischio di perdere la traccia che, nel dormiveglia, mi si è formata in capo. Questa risposta era arrivata allo stomaco di Carmen come un pugno, generando un dolore sordo e risentito. – Puoi scrivere l’articolo nel pomeriggio, quando io sarò al lavoro. insisté Carmen con un tono di voce un po’ stizzito. – Carmen, temo di non ricordare più ciò che ho pensato. – Certo le cose tue sono sempre più importanti! Se mi volessi davvero bene ci terresti a fare qualcosa con me, anche solo per farmi piacere! Jordi era rimasto in silenzio e Carmen, infilata la giacca, era uscita mormorando un ‘Adeu’ sottovoce. Per le Ramblas, vivaci e colorate come sempre, Carmen camminava con passo energico per scaricare la rabbia da cui si sentiva invadere. Tenendo la testa bassa, con gli occhi puntati sulle sue scarpe, non vedeva nulla di ciò che le stava intorno e andava ragionando tra sé e sé, come spesso le accadeva di fare quando si sentiva infelice. Si ripeteva che Jordi era, come sempre, un egoista; che pensava sempre alle sue cose e non si curava mai abbastanza di lei; che gli uomini sono tutti così, eccetera eccetera. Ma un’altra parte di lei oggi diceva: ‘Non puoi sempre far dipendere la tua felicità e il tuo benessere da lui o in genere dagli altri; e invece lo fai tutte le volte che non dai retta a ciò che in quel momento è il tuo vero desiderio. Perché un aperitivo deve essere per forza preso con Jordi?’. E le sembrò che il cinguettio corale proveniente da una delle numerose voliere che costeggiano le Ramblas la costringesse ad alzare lo sguardo da terra e a guardarsi intorno. Gente di tutti i tipi percorreva la via, sorridevano i banchetti di fiori, le grandi voliere diffondevano concerti. Il frastuono di voci e delle auto intasate nel traffico la distrasse dai suoi pensieri e spostò ancor di più il suo interesse su quanto le accadeva intorno. Con il sole che, alle sue spalle, filtrava attraverso le foglie dei grandi alberi, Carmen si accorse di essere giunta al Barrio Gotico. Svoltò a sinistra, osservò le vetrine dei negozietti del vicolo e si ritrovò di fronte ad un bar che conosceva bene, proprio nella piazza della Chiesa. In quel preciso istante decise di prendersi cura di sé ed entrò dicendosi: ‘L’aperitivo lo voglio lo stesso’. Era una decisione saggia che, con le ottime tapas di polipo e un buon bicchiere di vino bianco, le restituì il buonumore del risveglio. Tornata a casa, Carmen trovò Jordi ancora intento a scrivere. Più tardi egli la raggiunse in cucina, dove Carmen stava preparando una tortilla di patate. – Ti sei perso un ottimo aperitivo, Jordi. – Sono davvero contento che tu ne abbia goduto, Carmen. Non pensare che non mi sarebbe piaciuto venire con te, ma per me era urgente scrivere quest’articolo ed ora che sono a buon punto, mi sento molto meglio. Carmen riferì a Jordi ciò che aveva pensato durante la passeggiata e concluse sorridendo: – Fino a ieri ti avrei detto che sei un grande egoista, che sono sempre io che devo adeguarmi alle tue decisioni, mai viceversa. Oggi, per la prima volta, non te lo dico più. – Carmen, perché la tua passeggiata deve essere più importante del mio articolo? Tu pensi che non fare la passeggiata con te significhi che non sono interessato a te. Ma lo stesso si potrebbe dire per me e per il mio articolo. Ad esso tu non sei interessata e dunque non tieni conto di me e dell’importanza che io gli attribuisco. Vedi che in questo modo non si va da nessuna parte. Se il giudizio che tu dai su qualcosa non è mai sulla cosa in sé ma sempre su qualcosa che gli sta dietro e se fai dipendere la bellezza di una passeggiata interamente dalla mia presenza… – In effetti hai ragione, Jordi. Superato quel giudizio, ho potuto godere del mio aperitivo anche senza di te. Fino a ieri, quando mi risentivo per questioni simili ciò che stavo facendo era di non dare valore a me e a ciò che mi interessa in quel momento. Allora è più facile, anziché rendermi conto di questo, scaricare su di te la responsabilità, ritenerti colpevole di omesso sostegno, quando in realtà è proprio questo ciò che io sto facendo a me stessa. – Ma direi di più, Carmen. Sembra quasi che non sia tanto l’aperitivo con me ciò che tu vuoi. Pur senza saperlo, ciò che ti fa risentire e che ti porta fuori strada è che tu giudichi come un segno d’amore che io faccia quel che vuoi tu. Eppure, come sai, nessuno può impedire ad un altro ciò che costui ritiene buono per sé. La tortilla era ormai nei piatti. Dopo uno spuntino veloce, Carmen e Jordi si erano ritrovati per un riposo pomeridiano nel quale l’incontro fra di loro era stato caldo e pieno come tra due persone intere.
USS 106 – Ghana, Kumasi
Situati a nord-est di Kumasi, gli ultimi resti delle abitazioni del popolo Asante – fatte di terra, legno e paglia – sono gradualmente distrutti dagli effetti del tempo e degli agenti atmosferici. La casa di Agyekum Dowuona è invece una delle poche costruite in solida pietra ed oggi egli sta facendo manutenzione con l’aiuto del nipote Kyeretwie Amofa. – Kyeretwie, l’ansia è dunque generata dall’ignoranza della diairesi ed è connaturata all’uso della controdiairesi. E come potrebbe non essere così? Qualcuno ha paura di quanto non è male? – No, zio: nessuno. – E qualcuno ha paura di mali che è però in suo esclusivo potere far sì che non avvengano? – No, Agyekum; nessuno neppure in questo caso. – Se dunque ciò che è aproairetico è né bene né male, mentre tutto ciò che è proairetico è in nostro esclusivo potere e nessuno può sottrarci questo potere; vi è ancora posto per ansia e paura? – In effetti non dovrebbe più essercene, o essere trascurabile. – Siamo in ansia per il corpo, per la roba, per cosa reputerà di noi Owuraku oppure Okomfo, ma per nessuna delle cose di dentro. Sei in ansia sul non concepire qualcosa di falso? – No, giacché questo è in mio potere. – Sei in ansia sull’impellere contro la natura delle cose? – Neppure su questo, purché io non sia in errore circa la natura delle cose. – Quando dunque vedi qualcuno impallidire, come il medico dal colorito diagnostica: ‘Costui ha mal di milza; quest’altro mal di fegato’; così anche tu diagnostica: ‘Costui ha mal di desiderio e di avversione; non fluisce sereno, soffre di infiammazione della proairesi’. Kyeretwie, mi passi per favore il martello? – Eccolo qua. Zio, domani purtroppo devo tornare ad Accra.
USS 107 – Uruguay, Montevideo
– Guillermo, credi dunque di essere una nullità? – Sì, lo credo sempre; perché continuo ad avere la sensazione che in me ci sia qualcosa di sbagliato, qualcosa che gli altri sono in grado di vedere e per il quale io non posso fare nulla. – Capisci che questa sensazione è soltanto un tuo giudizio? – Ma io la sento, la vivo. – Se tu avessi su di te un giudizio opposto, la sentiresti ancora? – No, non la sentirei più. – Perché dunque continui a confermare a te stesso su di te quel giudizio negativo, e invece non muti giudizio? – Maribel Larranaga, perché ne ho quotidiane prove. – Quali prove? – Per essere degno di stima, per non essere una nullità io devo essere il figlio, il marito, il padre più bravo e altruista che ci sia mai stato. Ma mi accorgo ogni giorno di non esserlo: questi sono i fatti. – Questi tu li chiami fatti? Questi sono giudizi che tu dai su eventi che possono invece essere giudicati molto diversamente. – Molto diversamente? – Guillermo, ti sei mai chiesto se c’è e quale sia il tuo contributo al tuo malessere? – Non mi sembra che ce ne sia nessuno. – Giudicare di dover essere riconosciuto come il figlio, il marito, il padre più bravo e altruista che ci sia mai stato e giudicare che l’opinione che gli altri hanno di te come figlio, marito e padre ti debba essere indifferente, ammetterai che sono cose diverse. – Lo ammetto. – A fondamento del tuo malessere sta nella tua proairesi una proposizione del genere: ‘L’opinione che gli altri hanno su di me è decisiva per la mia felicità e la mia infelicità, giacché bene e male non sono in alcun modo in mio potere. L’altrui opinione positiva mi fa del bene e mi restituisce il benessere. L’altrui opinione negativa mi fa del male e mi getta nel malessere’. Non trovi che sia così? – È certamente così. – Dunque, tu dai un contributo attivo al tuo malessere. Non soltanto attivo, ma fondamentale. Senza saperlo, tu usi continuamente, ostinatamente la controdiairesi. – Ci rifletterò, Maribel- Guillermo Mujica tace e solleva lo sguardo al grande faro che ha dinanzi a sé. Dall’alto di Fortaleza del Cerro, la foce del Rio de la Plata e tutta Montevideo si stendono oggi in pieno sole ai suoi piedi.
USS 108 – Japan, Kyoto
Kyoto custodisce ancora oggi molti giardini nei quali ogni elemento, come isole, ponticelli, laghi, assume precise simbologie. Nel celebre giardino rettangolare di Ryoan-Ji l’acqua è sostituita dalla ghiaia e 15 rocce di forme diverse sono disposte in 5 gruppi. – Takenori Wakayama, dopo il mio viaggio in Francia e dopo avere parlato con Marguerite Amiel, mi sono sforzato seriamente di cambiare i miei giudizi. – Con quale risultato, Ichiro? – Non appena scivolo in un senso di colpa o mi sento turbato, mi chiedo immediatamente quale sia il mio contributo a questo malessere. Invariabilmente scopro che c’è, e che ha la forma di un giudizio implicito del tipo: ‘Voglio che sia in mio potere qualcosa che invece in mio potere non è’. Se esamino attentamente questo giudizio e lo faccio diventare esplicito, scopro di poterlo abolire e tutti i miei turbamenti svaniscono. Adesso non mi capita più di credere che il tale o talaltro evento siano spaventosi e terribili, perché ho scoperto dentro di me risorse adeguate ad affrontare qualunque situazione. – Ichiro, hai imparato ad usare la diairesi! – Stento a crederlo eppure, dopo avere passato tanti anni a preoccuparmi praticamente di tutto ed a considerarmi una persona non all’altezza qualunque cosa facessi, sono arrivato a capire che nulla di aproairetico è così terribile o spaventoso da gettarmi nell’infelicità. – E adesso te ne rendi conto in anticipo, invece che dopo tanto gravi turbamenti. – Takenori, che cambiamento nella mia vita! Sono ormai diventato una persona completamente diversa. – Ichiro Nagasaki, guarda con i tuoi nuovi occhi questo splendido giardino. Puoi dirmi cosa ci vedi, quale interpretazione ne dai?
USS 109 – Kiribati, Tarawa
Al centro dell’Oceano Pacifico, poco a nord dell’equatore, Tarawa – benché sia una capitale – non è il nome di una vera città ma di un gruppo di isolette circondate da un atollo corallino. – Tiberrannang Bairiki, finalmente posso dire di non fallire in ciò che desidero e non incappare in ciò che avverso. Me la spasso senza afflizione, senza paura, senza sconcerto. – Banuera, sono davvero felice per te. Sei riuscito a conciliare le tue decisioni e quel che accade? – Sì, ho messo pace là dove prima c’erano ostilità e guerra. Adesso nessun evento accade mio malgrado e nessun evento non accade quando io dispongo che accada. – Com’è possibile questo? – Intanto, avverso e desidero soltanto nell’ambito di ciò che è proairetico e non in quello di ciò che è aproairetico. Poi…- – Banuera Tabonibara, questa è l’opera di chi fa filosofia. Il falegname diventa falegname imparando certe cose e il pilota diventa pilota imparando certe altre cose. Anche per essere felici bisogna imparare certe cose specifiche. Innanzitutto bisogna imparare che soltanto la Materia Immortale è, che da essa nasce ogni intelligenza, che dall’intelligenza di chi è uomo nascono divinità leali, libere, benefiche, disinteressate come la Materia. – Sai, Tiberrannang; oggi guardo le mangrovie che abbiamo davanti a noi, le loro radici, e capisco perché mi sembra di sentirle parlare, di sentirle dire che là dove nessun’altra pianta riesce a crescere, cresceranno loro.
USS 110 – Libyan Arab Jamahiriya, Leptis Magna
Poco oltre Tripoli, i resti di Leptis Magna – un tempo città fiorente e porto di grande importanza – si stendono ancora oggi imponenti e solitari. Qui Muammar Ajdabiya, quando deve recarsi al lavoro nel suo magro campicello, costeggia il grande arco quadrifronte fatto costruire dall’imperatore Alessandro Severo nel 203 d.C. e in silenzioso raccoglimento ogni volta ripete tra sé e sé queste parole: “Ciò che si avversa, come ciò che si desidera, può appartenere soltanto a due classi di cose: cose proairetiche e cose aproairetiche. Le cose aproairetiche, materiali e immateriali, hanno tutte le normali qualità possibili, ma nessuna di esse è in mio esclusivo potere e nessuna di esse è sinonimo di bene o di male. Nessuna di esse ha a che fare direttamente con la libertà e la felicità dell’uomo né con la sua schiavitù e la sua infelicità. Le cose proairetiche, al contrario, hanno la natura di essere entità infinite, di essere in mio esclusivo potere e di essere sinonimi di bene o di male. Pertanto l’uomo virtuoso è libero e felice poiché è nel bene. L’essere umano vizioso è schiavo e infelice poiché è nel male”.
USS 111 – Mozambique, Maputo
A Maputo, Luisa Guebuza e Armando Mabote sono fermi esattamente all’incrocio tra le vie Vladimir Lenin e Mao Tse Tung, e stanno discutendo animatamente. – Armando, assumiamo che la malattia del corpo rappresenti il modello delle entità che chiamiamo aproairetiche. – Va bene, Luisa. E diremo anche che la malattia del corpo è sensibilmente sgradevole e temporalmente debilitante. Ti chiedo: la malattia è un male? – La malattia non può essere un male, giacché abbiamo appurato empiricamente che la malattia può anche uccidere la mia proairesi ma nessuna malattia può condizionarne la libertà. Vale in questo caso quello che si suole dire della morte: quando non c’è la morte ci sono io e quando c’è la morte io non ci sono più. – La malattia può rendermi direttamente schiavo e infelice? – No, Armando. Perciò ne concludiamo che è irrazionale avversare la malattia. – Allora, Luisa, la malattia è un bene? – La malattia non può essere un bene per la stessa ragione per cui non può essere un male. – Può la malattia rendermi direttamente libero e felice? – No. E anche in questo caso ne concludiamo che è irrazionale desiderare la malattia. Io non desidero e non avverso la malattia. La giudico indifferente quanto al trattarla come un bene o come un male. Questo è il solo atteggiamento razionale che dobbiamo tenere. – Questo significa forse che la malattia non ha nessun carattere? – No, hai appena notato che essa è, in generale, sensibilmente sgradevole e temporalmente debilitante. Questi non sono sinonimi di bene e di male, ma non sono caratteristiche trascurabili della malattia. – Luisa, ecco il momento in cui la malattia, indesiderata ospite, arriva. Cosa fare? – Bene, Armando; la malattia è arrivata. La riconosco senz’ombra di dubbio. Questo mio riconoscimento della malattia come evento aproairetico è concomitante, se non coincidente, con un evento che è invece proairetico. – Di quale evento si tratta? – Si tratta del mio giudizio, formatosi per precedenti esperienze empiriche, sulla malattia. Se io la giudicassi un evento piacevole e fortificante mi sentirei autorizzata ad accoglierla con piacere e le lascerei spazio. Se la giudicassi un evento neutro, potrei non darle retta e trascurarla del tutto. Si tratta invece di un evento sgradevole e debilitante che non accolgo con gioia ed al quale giudico irrazionale lasciare spazio.
USS 112 – Nepal, Kathmandu
Questa è una parte del testo della lettera che Girija Prasad Bijukchhe ha scritto da Kathmandu alla comune amica Valentina Lukashenko e che io ho ricevuto in copia, con l’autorizzazione a renderla nota. *La malattia non mi chiede: ‘Scusi, posso entrare?’, ma entra con prepotenza senza essere stata invitata. Io non ho modo di impedirglielo e devo aspettare che sia lei a decidere di andarsene. Una volta entrata e accomodatasi in casa, la malattia mi chiede: – E allora, come va? Io le rispondo: – Stavo meglio senza di lei. – Mi guardi bene. Come mi trova? – Trovo che lei è né un bene né un male. La trovo semplicemente sgradevole e debilitante. Mi auguro che lei rimanga in casa mia il minor tempo possibile. Lei non risponde, non se ne dà per intesa e ficca il naso qua e là in cerca di qualcosa che non rivela. Io le sto dietro e le dico: – Va bene, lei è qui per permettermi di esercitare il mio dominio sullo sconcerto e la mia fortezza. Farò così, e intanto la ringrazio per questo. – Quello che lei mi dice me lo sono sentito dire a volte, ma io ho poca memoria e me ne dimentico sempre il senso. Cosa significano le sue parole? – Significano che lei è un’entità aproairetica, al di fuori di qualunque mio controllo; tant’è vero che è qui come indesiderata ospite. – Questo lo so. – Significano anche che io avverso non lei, alla quale non posso impedire di entrare; ma che avverso il giudizio che lei sia un bene o sia un male. – Si spieghi meglio. – Se io avversassi lei come un male cercherei in tutti i modi di impedirle di entrare e farei di tutto per fare della mia casa un fortilizio inespugnabile, a prova di qualunque assalto. – Tentativo puerile e impresa impossibile. Se non sarò io a farle visita, sappia che ho amici e alleati dappertutto, capaci di scardinare qualunque porta e di annientare qualunque difesa. – Lo so. D’altra parte non desidero le sue visite come se lei fosse un bene, e dunque non sono mai venuto né mai verrò a cercarla per lasciarle il mio recapito. – Questo posso ammetterlo. Però quale certezza ha lei che non sarò io a scovarla comunque, in qualunque parte del mondo si trovi? – Nessuna certezza, giacché lei è qualcosa non in mio esclusivo potere. Potrei calcolare, seppure con qualche difficoltà, qual è la probabilità che ho di incappare in lei domani o dopodomani; ma questo calcolo non avrebbe importanza, giacché stiamo parlando non di eventi futuri ma di quando lei è già presente e attiva. – Lo sa che lei non mi sta dando soddisfazione e che non mi è affatto simpatico? – Lei mi fa troppo onore; sono abituato ad apprezzamenti molto peggiori. – Molti di coloro che visito hanno paura di me e fanno le cose più inverosimili per evitare di incontrarmi. Per me è un vero divertimento e una vera vittoria vedere che vanno fuori di testa, che perdono il controllo di sé. – E non le fanno pena? – Pena? E perché dovrebbero farmi pena? Io faccio il mio mestiere, sono una professionista, sa? Io lavoro seriamente. – Anche un boia sarebbe del suo parere. – Ma non della mia efficienza. Lui lavora su pochissime persone, io su milioni e milioni. Sa che comincio anche ad annoiarmi qui da lei? Mi dica che cos’ha intenzione di fare. – Io farò quel che posso per trasformare la sua venuta in un’occasione di virtù. Io non l’inviterò mai a venire qui e non le lascerò mai ingresso libero. Se lei vorrà entrare, sa che deve forzare la porta. – Questa non è una novità. Mi tocca sempre forzare le porte, per entrare; ma questo ormai lo so fare così bene che mi viene da ridere. – Ecco, lei rida pure e riderò anch’io. Non potrò fare a meno di lasciarla entrare, ma lei non potrà mai impedirmi di ridere. – Perché non piange come fanno altri? – Questo non è un segreto. Io posseggo la bacchetta di Ermete, e su questa bacchetta è incisa la parola ‘diairesi’. Ciò che la bacchetta tocca, un tempo diventava oro. – Argh…la bacchetta di Ermete! Comincio a sentire caldo e a provare una certa oppressione in petto. – Un tempo si apprezzava l’oro, ma ora non è più così. Oggi il bene, la libertà, la bellezza si apprezzano più dell’oro, e tutto ciò che la bacchetta tocca diventa un bene. – Badi che io le porterò me stessa. – Ed io farò di lei un bene. – Ma lei non diceva poco fa che io sono né un bene né un male? – E così continua ad essere, perché nulla muta la natura delle cose. Farò di lei un bene per me, mentre lei continuerà ad essere quello che è, in quanto sinonimo né di bene né di male. Che cosa sia lei per lei stessa lo sa lei e io non ci apro bocca. Bene e male per me dipendono invece dall’uso che io faccio di lei. – Ma come, lei mi usa? – Cosa vuole che faccia? Che mi faccia usare da lei? – Questa poi è proprio grossa! E io che credevo di avere un potere immenso e incontrastabile! – Lei si è sempre sbagliata. – Che farà di me? – Venga pure, e quando sarà qui farò di lei qualcosa che mi adorni, qualcosa attraverso cui mostrare nei fatti cos’è un uomo che sa usare la diairesi, che comprende la natura delle cose! – Ho capito, lei vuole di sicuro violentarmi. – Questa volta è lei che ha paura e che anche questa volta si sbaglia. Se lei è una malattia, ebbene spiccherò in essa; sarò stabile, sereno, non adulerò il medico, non auspicherò subito di morire. Tutto ciò che lei mi darà lo farò diventare beato, felicitante, solenne, da emulare. Vuole sapere ancora qualcos’altro? – Io non ho nient’altro da dirle se non che devo proprio scappare.*
USS 113 – Germany, Heidelberg
Sulle colline di Heidelberg sorgeva un tempo uno dei più grandi e importanti Laboratori Europei di Biologia Molecolare. Claudia Roth, un’embriologa, e Lothar Stoiber, un batteriologo, erano membri del suo staff. Spesso le loro discussioni originavano dalla diversa valutazione di dati sperimentali, ma poi si allargavano a temi di maggiore respiro. – Lothar, se felicità, bellezza, libertà e – in una parola – virtù, fossero attingibili soltanto nei grandi eventi, in quelli che coinvolgono migliaia o milioni di individui, allora esse sarebbero davvero una fola. Invece felicità, bellezza, libertà e, in una parola, virtù stanno già nei piccolissimi eventi, quelli che coinvolgono un solo individuo. – E da dove si dovrebbe iniziare secondo te, Claudia? – Innanzitutto devi capire il significato dei termini che usi. – Sicché io ora non li capisco? – Non li capisci. – E come ti spieghi allora il fatto che li uso? – Li usi come gli analfabeti, Lothar; i quali parlano anche se non sanno né leggere né scrivere. Li usi come una capra, la quale pure usa benissimo le rappresentazioni. – E con ciò? – Allora altro è uso, altro è comprensione dell’uso. Se credi di comprendere, prendiamo in esame un termine a tuo piacere e saggiamoci a vicenda per vedere se lo comprendiamo. – Ma l’essere confutato è fastidioso per una persona come me, già provetta e che ha alle spalle un premio Nobel e tre lauree ad honorem- – Lo so. E so anche che tu sei venuto qui ad Heidelberg come qualcuno che non ha bisogno di nulla. – E di cosa mancherei? – Proprio così. Sei ricco di denaro, hai dei figli, una moglie e molti domestici. Capi di Stato e di Governo ti conoscono, hai amici potenti in giro per il mondo. – Sì, e mi manca qualcosa? – Se dunque ti mostrerò che a mancarti sono le cose più necessarie ed importanti per la felicità; che fino a questo momento di tutto tu sei stato sollecito tranne di quel che conviene e che è più essenziale; e se aggiungerò il tocco finale, ossia che tu non sai né cos’è uomo né cos’è bene né cos’è male e, dunque, che ignori chi sei: potrai ancora tollerarmi, sostenere il controllo, stare al gioco? – Basta, Claudia, taci! – Nient’affatto! Ecco che ti allontani esasperato. Eppure, che male ti ho fatto? A meno che anche lo specchio non faccia del male a chi è laido, mostrandogli com’è. A meno che anche il medico non oltraggi l’ammalato quando gli dice: ‘Tu credi di non avere nulla e invece hai la febbre. Oggi digiuna e bevi soltanto acqua’. – Al medico nessun ammalato dice che lo sta oltraggiando, e tu non sei un medico. – Se però ti dico, come ti sto dicendo, che i tuoi desideri soffrono di infiammazione, che le tue avversioni sono da servo nell’animo, i tuoi progetti sono incoerenti, i tuoi impulsi in disarmonia con la natura delle cose, le tue concezioni avventate e mendaci, ecco che…- – Taci, perdio, non sopporto più i tuoi oltraggi. Claudia, vai ad oltraggiare qualcun altro!
USS 114 – Mauritania, Nouakchott
Fu la crescente, ventennale siccità del Sahara Occidentale a gonfiare enormemente il numero degli abitanti di Nouakchott. Tutto qui divenne carissimo, con un livello di prezzi paragonabile a quello di Parigi o Ginevra. La fiera del bestiame rimase l’unica occasione di scambio per gli abitanti più poveri della regione. Anche Mamdou Boubakar e Boullah Boulkheir erano fra i tanti. – Mamdou, ogni tanto penso che le nostre umane vicende potrebbero essere paragonate a ciò che accade in questa fiera. – Sì, Boullah. Cammelli ed altri tipi di bestiame sono condotti qui per essere venduti, e una parte della gente è qui chi per comperare, chi per vendere. Noi invece siamo venuti per il gusto dello spettacolo della sagra: come si svolge e perché si svolge; chi per primo l’abbia istituita ed a quale scopo. Lo stesso accade per quell’altra sagra, che è quella della nostra vita. In essa molti, come i mercanti, di nulla s’impicciano che del foraggio e del bestiame. – E tutto ciò che è aproairetico non è altro, in verità, che bestiame e foraggio. – Un tempo non era così, ma oggi finalmente sono davvero molti gli uomini che prendono parte alla sagra della vita per amore dello spettacolo. Cos’è mai l’ordine del mondo? Qual è la natura delle cose? Chi siamo noi e per quali opere siamo nati? Però soltanto noi che veniamo dal deserto e viviamo nel deserto, conosciamo il divino sorriso con cui la Materia Immortale, che sola tutto governa, guarda coloro che la credono inerte, amorfa, incapace di generare intelligenza. Questo è quanto sperimentiamo noi e, orbene, abbiamo agio solo per questo: partire quando è tempo di partire, dopo avere compreso il significato della sagra. – E siamo derisi dai mercanti. – Anche qui, in questo momento, gli spettatori come noi sono derisi dai mercanti. – Anche il bestiame, se avesse qualche consapevolezza, deriderebbe chi è infatuato d’altro che del foraggio.
USS 115 – United States of America, Washington
Richard Ellis è nato a New York ma vive a Washington, dove ed è attualmente Visiting Professor alla Georgetown University. Durante un seminario che egli ha tenuto qualche mese fa su Epitteto, uno studente gli ha chiesto di spiegargli cosa si dovesse intendere per ‘cattivi maestri’. Omesse le parti non direttamente rilevanti, questa che segue è la fedele registrazione della sorprendente parabola con la quale Richard ha risposto. *In quel tempo un re disse al suo figliolo: ‘Figlio, io sto diventando vecchio e le cure del potere cominciano a pesarmi troppo. Di nessuno dei principi che ho attorno mi sento di fidarmi, giacché ho avuto modo di conoscere la loro avidità di denaro e il loro sfrenato desiderio di potenza. Nessuno di loro è degno di neppure una piccola parte del mio regno. Dunque ho deciso di lasciare tutto a te. Trova una donna che faccia al caso tuo; sposala e torna da me. V’incoronerò io stesso re e regina di questo paese e farò per voi una grande festa, grande quale mai queste terre hanno visto. Pongo però una sola condizione ed è questa: che fra te e questa donna vi sia amore’. Il figlio del re dunque partì in sella al suo cavallo preferito e con la scorta di molti amici e consiglieri. Durante il viaggio egli rifletteva fra sé e sé e pure discuteva con i suoi compagni, domandandosi cosa avesse voluto dire il re con le sue parole, e cosa fosse amore, e quale fosse la prova che tra un uomo e una donna vi era amore. Ora alcuni gli dissero: ‘Vedi, è semplice. Il nostro consiglio è questo. Quando troverai una ragazza di bell’aspetto, giovane e florida, insomma del tipo che piace a te, tu le dirai: ‘Ecco io sono il figlio del re; ho visto la tua bellezza e voglio amarti. Ma tu devi darmi una prova del tuo amore facendo sesso con me’. Arrivarono dunque in un certo paese e lì il figlio del re vide una magnifica ragazza. Fece allora come gli era stato consigliato di fare e – con un po’ di sorpresa ma anche con grande suo piacere – accadde che la ragazza accettò subito di dargli la prova richiesta. Ma altri gli dissero: ‘Ecco, tu credi di aver avuto la prova del suo amore, ma ciò non è affatto vero. Ella ha fatto sesso con te non perché ti ama, ma perché vuole diventare regina. L’avere fatto sesso con te non è una prova del suo amore, ma della sua ambizione’. Infatti, ancor prima di levarsi dal letto, la ragazza aveva già a gran voce chiamato le sue serve, ordinando loro di preparare in gran fretta il corredo nelle casse di noce e dicendo che doveva subito partire con il figlio del re per diventare regina. Allora il figlio del re abbandonò quel paese e lasciò la ragazza a piangere fra le braccia della madre sua e a lamentarsi con lei del fatto che, pur avendo sempre seguito alla lettera i suoi comandi, non le era riuscito di diventare regina. Durante il cammino la discussione continuò, e altri dissero al figlio del re: ‘Tu non hai potuto ottenere la prova che ella ti amava perché le hai detto chi eri, di essere il figlio del re. Dunque questa volta fa’ come ti diciamo noi. Smetti i tuoi vestiti regali e presentati come una persona qualunque. Non dire alla ragazza chi sei e chiedile di fare sesso con te. Se ella acconsentirà non potrà farlo, questa volta, se non perché ti ama veramente’. Giunti che furono in un altro paese, così fu fatto. E la splendida ragazza non ci pensò su due volte a calarsi le mutande. Il figlio del re era convinto stavolta di avere avuto la prova d’amore che cercava, ma non si era ancora levato in piedi sull’erba del prato che la ragazza gli chiese con voce quadrata cinquanta scudi. Era il prezzo della sua prova d’amore. Il figlio del re allora la cacciò via con violenza, inveendo contro di lei e rivelandole chi era e perché le aveva chiesto di giacere con lui. Quando seppero cosa era accaduto, anche quelli della scorta rimasero sbalorditi e non sapevano più che consigli dargli. Ora, mentre silenziosi continuavano il viaggio, si avvicinò loro una carrozza e, scostate le tendine, una magnifica ragazza, riccamente vestita, si affacciò e chiese alla carovana di fermarsi. Presi da stupore, tutti si arrestarono. La ragazza scese dalla carrozza, si avvicinò al figlio del re e con piglio sicuro gli disse: ‘Io sono perdutamente innamorata di te e ti ho finora seguito in tutto il tuo viaggio senza che tu te ne accorgessi. Sei stupendo e io ti voglio amare. Ma voglio da te una prova del tuo amore. Ti prego, fa’ sesso con me. Vieni, sali nella mia carrozza e dammi la prova che anche tu mi ami’. Il figlio del re rimase a bocca aperta, perché sentiva di non amare affatto quella ragazza e purtuttavia, desiderando ciò che la ragazza gli offriva e pensando che fosse una ben piacevole prova quella che gli veniva richiesta, pur sapendo di mentire salì sulla carrozza. La ragazza allora richiuse la porta e tirò le tendine in modo che non filtrasse più luce. Il figlio del re protestò dicendo che non la conosceva e che voleva vederla bene in faccia, ma la ragazza gli rispose che la prova doveva avvenire nel buio più completo. A simile richiesta il figlio del re oppose un rifiuto, spiegando che non poteva dare in alcun modo una prova d’amore ad una persona che non aveva mai visto. Aggiunse che questo poteva anche essere un tranello per ucciderlo e che poteva aver a che fare con una donna, in realtà, malata ed immonda. Allora, fatta luce, la ragazza disse al figlio del re: ’E ti sei forse tu comportato diversamente durante il tuo viaggio, con le ragazze che hai incontrato? Non hai forse fatto dell’apparenza e del sesso l’unico criterio per giudicare dell’amore? O credi forse che il buio di questa carrozza sia più tenebroso del buio che c’è dentro il tuo cuore?’ Il figlio del re comprese il significato di queste parole e, senza neppure averle ancora sfiorato il viso con la mano, si innamorò di lei e della sua sapienza, ritenendola la sola donna di valore che gli fosse capitato di incontrare. Scese dunque dalla carrozza e i suoi accompagnatori, vedendolo tornare così presto, gli chiesero ridendo che effetto gli facesse l’essere stato lui a dover dare la prova d’amore. Ma il figlio del re si fece scuro in volto e disse loro: ‘Credevo di aver in voi degli amici, ma mi sbagliavo. Andatevene lontano dal mio regno e non fatevi mai più vedere se non volete sentire il filo della mia spada. Continuerò il cammino con questa ragazza e con lei tornerò da mio padre, poiché anche se non so ancora cosa sia l’amore, ora so bene cosa siano i cattivi maestri’*
USS 116 – Mongolia, Ulaanbaatar
Dopo avere sentito dire che la proairesi è qualcosa di libero per natura e di non soggetto a costrizioni, mentre tutto il resto è soggetto ad impedimenti, a costrizioni, è servo, è altrui; Mendsaikhan Enkhbayar ha immaginato che fosse suo dovere mantenere inviolabilmente ogni sua determinazione comunque presa. Miegombyn Enkhsaikhan, appena saputo della decisione di Mendsaikhan, si è recato a fargli visita. – Mendsaikhan, ma prima di tutto deve essere sana la determinazione. Perché, senza ragione alcuna, hai deciso di morire di inedia? – Miegombyn, così ho deciso e così farò. – Dimmi cos’è che ti ha portato a questa decisione. Giacché se essa è retta, io mi siedo accanto e te e coopero alla sua riuscita; ma se essa non è retta, allora la devi cambiare. – Una volta prese, le determinazioni vanno assolutamente mantenute. – Che dici, Mendsaikhan? Non tutte le determinazioni, ma quelle prese rettamente. Se ti fosse saltato in testa di uccidermi, dovresti mantenere questa determinazione? Tu scambi una giusta fermezza con la cieca ostinazione. Una pervicace irragionevolezza è segno di debolezza d’animo. – Io ho deciso quel che ho deciso perché voglio mostrare che la mia proairesi è superiore a tutto. – Non c’è bisogno di questa dimostrazione, Mendsaikhan. La natura delle cose non te la richiede né ora né in questa forma. Uccidendoti, tu uccidi un amico, un intimo che non ha commesso alcuna ingiustizia, sulla base del paralogismo che la dimostrazione di essere liberi si ottiene soltanto quando la libertà diventa incompatibile con la vita. – Ho determinato. Non c’è stato nulla da fare. Mendsaikhan Enkhbayar non è morto d’inedia ma si è suicidato gettandosi dalla finestra della sua casa in Big Ring Road, 11th Micro Region a Ulaanbaatar.
USS 117 – Hungary, Budapest
A Budapest, l’incrocio tra la piccola via Rakos e il viale Ulloi riposa nel buio e nel silenzio. Il vento, di tanto in tanto, sibila e fa tintinnare i vetri dei lampioni. Solo, fermo all’incrocio, Laszlo Nemeczek aspetta qualcuno o qualcosa, e intanto parla a voce molto bassa, molto lentamente, quasi bisbigliando. – Zsolt, dov’è il bene? – Nella proairesi, Laszlo. – Dov’è il male? – Nella proairesi. – Dov’è ciò che è né bene né male? – In ciò che è aproairetico, Laszlo. – E allora? Ti ricordi questi discorsi quando non siamo insieme? Nella vita di tutti i giorni? Quando ti brilla davanti del denaro, ti ricordi di dare la risposta giusta ossia che esso è né un bene né un male? E quando sei in ansia, ti chiedi se l’ansia sia proairetica o aproairetica, se sia possibile o non è possibile farla cessare? – Cerco di farlo, Laszlo. – Perché stupirsi ancora se abbiamo consumata esperienza dei materiali dell’esistenza mentre in ciò che dipende da noi siamo servi nell’animo, indecenti, di nessun valore, vili, indolenti, intere sfortune? – Cos’è dunque ad appesantirci e frastornarci? – Cos’altro se non i giudizi non retti? – Laszlo, esiste una legge che potremmo chiamare divina? E se esiste qual è? – Salvaguardare libera la nostra proairesi, Zsolt. Non pretendere ciò che è aproairetico ma usarlo rettamente quando ci sia dato, restituendolo con scioltezza e prontezza quando non ci sia più dato e mostrando riconoscenza per il tempo dell’uso. Mentre Laszlo mormorava queste parole, è passato un signore. Si è fermato e ha chiesto: – Perché lei piange? Non ha ricevuto risposta. Allora ha scrollato le spalle e si è allontanato. Poi è passata una signora con una grande cesta. Anche lei si è fermata, ma non ha detto niente. È rimasta un po’ a guardare e poi se n’è andata. Infine è arrivato zoppicando un uomo di statura bassa, che non ha domandato nulla, ma si è avvicinato, ha preso fra le mani la testa di Lazlo e ha cominciato a piangere con lui.
USS 118 – Mauritius, Port Louis
– Anerood Ramgoolam, io non sono contento della mia vita. Tutti mi dicono che non devo lamentarmi giacché, grazie alla coltivazione della canna da zucchero, mi è toccata in sorte una certa agiatezza; e invece io mi sento vuoto dentro, fragile, inquieto. È questo il primo passo verso la filosofia? – Sì, Navinchandra. Il primo, ed anche più difficile passo verso la filosofia, è quello di stracciare la presunzione di sapere, giacché è inconcepibile iniziare ad imparare quanto uno crede di sapere. Fortunatamente tu non sei uno di quelli che cianciano su e giù di quanto si deve fare e non fare, di quanto è bene e di quanto è male, di quanto è bello e di quanto è brutto; e su queste basi lodano e denigrano, incolpano e biasimano. – Anch’io lo facevo, ma non lo faccio più da quando mi sono stufato di litigare ed ho visto inutili i miei tentativi di convincere gli altri. – Tu ora vuoi ciò che ti è possibile. Perché allora continui a sentirti intralciato, a non essere sereno? Ora non ti spaventi davanti a ciò che è necessario. Perché dunque incappi ancora in ogni sorta di difficoltà, perché hai cattiva fortuna? Perché quando vuoi qualcosa, questo qualcosa non accade e quando non lo vuoi, questo qualcosa accade? – Dimmelo tu. – Quando andavi a scuola, a cosa sei stato educato? – Ho imparato la Letteratura, la Chimica, la Matematica, la Storia e altre materie simili. – Questa si chiama Erudizione o, se vuoi, Pseudocultura. Ma evidentemente non ti è stato insegnato ciò di cui oggi vivi la mancanza. – Quelle materie a me le spacciavano con il nome di Cultura. – Purtroppo, questo è l’inganno. – Ma di cosa si tratta? Io non so neppure dare un nome a questa entità misteriosa, che però sento esistente. – Si chiama ‘diairesi’; ed io te l’insegnerò, se tu lo accetterai. – È possibile anche qui, su quest’isola? Proprio a Port Louis, dove viviamo? – È possibile dappertutto. Tu sei un dio, Navinchandra Faleemeeah! Tu hai grandi progetti!
USS 119 – Sweden, Stoccolma
Johanna Eriksson possiede un medaglione che porta sempre con sé. A Stoccolma, tutti coloro che la conoscono sono convinti che Johanna sia pazza d’amore per qualcuno e giurano che quel medaglione deve contenere l’immagine dell’amato di cui ella tanto parla, che non somiglia a nessun altro e che nessuno ha ancora mai visto. Qualche tempo fa Lars Lagerkvist non ha resistito alla curiosità e, scusandosi per l’indiscrezione, le ha chiesto di aprirlo. La mano sottile di Johanna si è alzata lentamente verso il medaglione che le pendeva sul petto. È un medaglione minuscolo, liscio, semplicissimo, probabilmente d’argento. Johanna l’ha aperto, ma Lars non vi ha visto nulla. Era vuoto. Il suo vero amore non esisteva, non era mai esistito? Eppure Johanna aveva conservato quel medaglione, l’aveva custodito, non aveva mai voluto separarsene. L’aveva sempre portato con sé benché fosse vuoto? Io non ho creduto al racconto di Lars. In occasione della cerimonia in cui gli è stato conferito il premio Nobel, Johanna ed io eravamo casualmente seduti uno accanto all’altra in prima fila. Le ho accarezzato la mano e le ho sussurrato che, senza averlo mai visto aperto, io sapevo cosa contenesse il suo medaglione. Allora Johanna l’ha dischiuso per me spontaneamente, senza farsi pregare, e io vi ho visto chiaramente quello che immaginavo. Non si tratta di un ritratto, ma nel medaglione è scritta e custodita una parola. Mentre in sala scrosciavano gli applausi all’indirizzo di Lars, io leggevo quella parola. La parola era: ‘diairesi’. Devo confessare che gli occhi mi si sono inumiditi di lacrime. Johanna, soave e sorridente, me li ha baciati e mi ha sussurrato: – Tu lo sai. La pace che giustifica la nostra vita esiste. La libertà e la bellezza esistono. Ma se chiedi dove sono e le cerchi fuori di te non le troverai mai, giacché esse sono dentro di te. Questo è stato per lungo tempo un segreto tra me e lei.
USS 120 – Indonesia, Bandung
– Nella grande sala del Savoy Homann Hotel non mancano certo la luce e i fiori. Le strade di Bandung sono imbandierate e percorse da gente di ogni nazionalità, ordinata e festante. Jalan Labuanbageh, chiamato per acclamazione delle centinaia di presenti a presiedere la seduta finale, ha appena preso il posto lasciatogli da Sangay Ngedup. Jalan chiama ora alla tribuna il primo portavoce delle quattro dichiarazioni finali della conferenza mondiale ‘Non c’è Pace senza diairesi’. Kavita Krishnamurthy, con cuore puro ha sillabato: ‘La Verità è che non esistono né Brahma né Shiva né Vishnu; ma la Materia Immortale e l’uomo, quell’animale la cui proairesi mortale è capace di usare le rappresentazioni diaireticamente’. Dopo di lei, Jalal Sirajuddin, con cuore altrettanto puro, ha ripetuto: ‘La Verità è che non esiste l’Allah del Corano, e che Maometto non ne è il profeta; ma che esistono la Materia Immortale e l’uomo, quell’animale la cui proairesi mortale è capace di usare le rappresentazioni diaireticamente’. É stata poi la volta di Baruch Halevi il quale, con cuore altrettanto puro, ha ripetuto: ‘La Verità è che non esiste il Javhè della Bibbia; ma esistono la Materia Immortale e l’uomo, quell’animale la cui proairesi mortale è capace di usare le rappresentazioni diaireticamente’. Da ultima, Dora Maria Martinez, con cuore altrettanto puro, ha ripetuto: ‘La Verità è che non esiste il Dio Padre dei Vangeli, e che Gesù Cristo non ne è il figlio; ma che esistono la Materia Immortale e l’uomo, quell’animale la cui proairesi mortale è capace di usare le rappresentazioni diaireticamente’. Jalan ha chiuso la conferenza con queste parole: ‘Sulle nostre bandiere era scritto: – Ora e sempre resistenza a tutti i tiranni, quelli di fuori e quelli di dentro – . Grazie a tutti voi, oggi quella lotta può considerarsi vinta. Grazie a tutti voi oggi è dichiarata la Pace Universale. Non c’è Pace senza diairesi’. Molti dei presenti hanno le lacrime agli occhi e anch’io sono fra questi. A suo tempo ricevetti questa succinta relazione da Mekere Sandaun, che era presente a quella celebre Conferenza, e l’ho sempre conservata gelosamente tra le mie carte. Sarebbe arduo trovare un documento scritto peggio ed un testo più facilmente criticabile, eppure continuo a ritenere che esso spieghi esattamente, in una forma comprensibile a tutti, quello che successe a Bandung.
USS 121 – Palau, Koror
Si racconta che tanto tanto tempo fa, nell’isola di Koror, una donna generò un figlio cui dette nome Uab. Il bambino aveva un insaziabile appetito e cresceva così rapidamente che, per nutrirlo, gli abitanti dovevano dare a lui quasi tutto il cibo disponibile. Il bambino divenne enorme, più alto di una palma da cocco, ma un bel giorno il cibo finì. Per sopravvivere, gli abitanti dell’isola decisero allora di disfarsi di Uab e una notte appiccarono il fuoco alla casa dove egli dormiva. Uab era così gonfio che il suo corpo esplose e i frammenti si sparsero in tutte le direzioni. – Camsek Remengesan, da quale parte del corpo di Uab originarono le isole Kayangel? – Dalla testa. – E Babeldaob? – Dal corpo. – Peleliu? – Dalle sue gambe. – Angaur? – Dai piedi. – E le Rock Islands? – Dalle dita delle mani e dei piedi. – Camsek, chi racconta questa leggenda? – Hatobei Ngarchelong la racconta nel suo libro ‘I miti della creazione’. – E chi altro? – Anche Melekeok Airai ne parla, come pure Ngatpang Ngiwal. – Camsek, e qual era il nome della madre di Uab? – Esang, non lo so e non cerco di saperlo. Vuoi che m’interessi di queste fole per sbalordire gli astanti con la mia erudizione quando sono invitato a pranzo qui a Koror, al Dragon Tei? Per essere chiacchierone e importuno? Tu piuttosto, Esang, parlami dei beni e dei mali. – Delle cose, alcune sono beni; altre mali; altre indifferenti. Beni sono le virtù e quanto di essa partecipa; mali i vizi e quanto del vizio partecipa; indifferenti sono le cose che stanno tra queste: ricchezza di denaro, salute del corpo, vita, morte, piacere, dolore, eccetera’. – Come fai a saperlo? – Lo dice Ngaraard Sonsorol nei ‘Fatti di Koror’. – E con ciò? Che differenza fa dire questo o citare Aimeliik Ngardmau oppure Ngchesar o Ngeremlengui? Hai messo alla prova questi insegnamenti e te ne sei fatto un giudizio? – Ma non basta saperli ripetere? – No. Saperli ripetere non significa capirne il significato. Mostra come ne capisci il significato su una barca in pericolo. Ti ricordi della diairesi quando la vela rumoreggia e, mentre tu sbraiti, chi ti sta accanto ti dice: ‘Ripetimi, Esang, quel che dicevi l’altro giorno: forse che naufragare è un vizio, è forse qualcosa che partecipa del vizio?’. – Camsek, andiamo in malora e quello scherza? – E se sei convocato in tribunale per una accusa, ti ricordi della diairesi? Sei pallido e tremante, ed uno ti dice: ‘Perché tremi, Esang? Per quali faccende è la tua citazione? Forse che in tribunale si dispensano virtù o vizio? – Perché quello si burla di me? – E se un altro ti dice: ‘Esang, dimmi perché tremi. Il pericolo che corri è forse vizio, è forse qualcosa che partecipa del vizio’? – Che c’è fra me e costui? Mi bastano i miei mali! – E dici bene, Esang. Giacché a te bastano i tuoi mali: la grettezza, la viltà, la cialtroneria che cialtroneggi ripetendo parole che sei ben lontano dal capire.
USS 122 – Sao Tome and Principe, Sao Tome
Armindo Ferreira ha la febbre e giace a letto nella sua casa di viale Giovany. Benché ammalato di tifo, Armindo si giudica fortunato perché può curarsi, e perché la malattia gli dà l’occasione di mostrare la sua fortezza dinanzi alle avversità. Augusta Bandeira è stata costretta a rifugiarsi qui per sfuggire alle persecuzioni di cui era oggetto in Nigeria, e ha trovato casa in via Amilcar Cabral. Augusta è felice e si giudica fortunata perché le vicende della vita le stanno dando la possibilità di esercitare la sua temperanza. Manuel Neves corre il rischio di essere licenziato dalla ditta in cui lavora, la Emolve; ma si giudica ugualmente fortunato. Dice a se stesso che sarà un precario felice e che la smania di un posto fisso di lavoro nasconde sempre il desiderio di essere schiavi. In una silenziosa abitazione di via Samara Machel, un tumore ai polmoni ha lasciato a Carlos Graça poche ore di vita. Pienamente cosciente del suo stato e con animo tranquillo, Carlos si giudica mille volte fortunato perché ha avuto in regalo una lunga vita e può affermare di averla vissuta bene. Anche se condannata ingiustamente a dover lasciare la sua casa in piazza Indipendenza, Manuela dos Anjos non ha paura del futuro e si giudica fortunata perché, guardando lei e seguendo le sue vicissitudini, tutti hanno potuto vedere quale sia la differenza tra la giustizia istituzionale e l’umana, individuale virtù dell’uomo giusto. Sono al corrente di queste vicende grazie al mio amico Fradique Pinto da Costa. Tutto ciò sta accadendo proprio ora, in questo momento stesso, a Sao Tome, nella capitale del più piccolo paese africano.
USS 123 – Somalia, Mogadiscio
Recentemente Abdullah Yusuf Darod ha aperto a Mogadiscio una piccola scuola privata, prendendo a modello quella di Guillermo Endara a Panama City. Situata in un quartiere residenziale e tranquillo, alle spalle dell’Ambasciata Italiana, la scuola sta diventando celebre per il suo programma. Rivolto ad allievi di qualunque età, il programma della scuola è in sostanza questo: farli diventare uomini non soggetti a impedimenti, non soggetti a costrizioni, non soggetti ad impacci, liberi, sereni, felici: uomini, insomma, pienamente coscienti della natura delle cose. Per introdurre al primo corso gli allievi più giovani, qualche tempo fa Abdullah ha usato queste indimenticabili parole: ‘Il programma sarà portato a termine se avrete anche voi il progetto che si deve ed io la preparazione che si deve. Dunque cosa manca? Quando io vedo un falegname che ha accanto a sé il materiale adatto, mi aspetto l’opera. Anche qua c’è il falegname e c’è il materiale. Ci manca forse qualcosa? La faccenda non è insegnabile? E’ insegnabile. Non è in nostro esclusivo potere? Anzi è la sola faccenda fra tutte ad esserlo. Né la ricchezza di denaro né la salute del corpo né la reputazione né altro insomma sono in nostro esclusivo potere, eccetto il retto uso delle rappresentazioni. Soltanto questo è per natura delle cose non soggetto a impedimenti e non soggetto ad intralci. Perché non dovremmo riuscire pienamente a raggiungere il nostro scopo? Ditemi la causa. Giacché l’eventuale insuccesso originerebbe o da me o da voi o dalla natura della faccenda. La faccenda in sé è fattibile ed anzi è l’unica in nostro esclusivo potere. Orbene la causa starebbe in me o in voi oppure, ciò che è più vero, in entrambi. E dunque? Volete che iniziamo una volta a trasferire qui un simile grandioso progetto? Lasciate da parte i dubbi che avete avuto finora. Iniziamo, fidatevi di me, e vedrete’.
USS 124 – Guyana, Georgetown
Bharrat Roopnaraine è noto a Georgetown per essere pronipote di quei Bookers il cui magazzino, il lontanissimo 23 Febbraio 1945, si incendiò in modo catastrofico, dando origine al Great Fire che divorò buona parte di questa capitale sudamericana. È però ancora più conosciuto come filosofo dalle salde convinzioni, il cui motto è il seguente: ‘Riconosci che nulla è conoscibile, ma che tutto è inintelligibile’. Quando si discute su un argomento qualsiasi arriva sempre il momento in cui Bharrat esclama: “Fidati di me e ne trarrai giovamento: non bisogna mai fidarsi di nessuno!” Un’altra delle sue frasi preferite è questa: “Impara da me che imparare qualcosa è impossibile. Questo ti dico e questo t’insegnerò, se lo vorrai”. Janet Jagdeo recentemente si era sentita dire da Bharrat: – Non ingannarti, Janet. Non cadere in errore. Non vi è naturale socievolezza degli esseri umani gli uni con gli altri. Fidati di me: coloro che affermano il contrario t’ingannano e dicono paralogismi. Al che Janet aveva cortesemente risposto: – Se è così, Bharrat, che t’importa di dirmi questo? Lascia che io sia ingannata. Proprio ieri Bharrat era ospite a cena da Janet, in Bourda Street, e si è prodotto in uno dei suoi pezzi forti, che consiste nel decretare la totale inaffidabilità delle nostre sensazioni partendo dalla loro possibile fallacia. – Bharrat, ma che dici? Proprio tu confuti te stesso ogni giorno. – Chi? Io? – Ti confuti perché quando mangi, dove porti la mano? Alla bocca o all’occhio? – Alla bocca. – E ti pare che questa non sia una scelta complessa che ognuno di noi compie attivamente in frazioni di secondo grazie anche alle informazioni affidabili che ci provengono dai nostri sensi? Per fare il bagno dove ti ficchi? Nel mare o nel petrolio? Bharrat è rimasto comunque marmoreo nelle sue convinzioni e la discussione è andata avanti parecchio, fino al momento del dessert. Janet ha allora pregato gli altri due invitati, Manzoor Ramjattan e Khemraj Jagan, di preparare dei caffè espressi all’italiana. Manzoor e Khemraj hanno colto al volo l’occasione e si sono recati in cucina, tornandone poco dopo con la fumanti bevande. Bharrat ha aggiunto al suo caffè due bei cucchiaini colmi zucchero e ha portato la tazzina alla bocca. A questo punto è accaduto un fatto curioso. Bharrat ha strabuzzato gli occhi e ha avuto un colpo di tosse così forte da spruzzare tutt’intorno il liquido che aveva appena sorbito. Poi è riuscito con fatica a chiedere: – E questo cos’è? – È caffè, Bharrat. È un espresso italiano. – Ma cosa ci avete messo dentro? – Nulla. Tu hai aggiunto dello zucchero, mentre a noi piace amaro. Anzi io trovo questo caffè eccellente. – Vuoi scherzare, Janet? Questo è un caffè pieno di sale. – Sale? E come fai a dirlo? Ti ho visto zuccherarlo, e guardandoti io ho avuto un’impressione indistinguibile da quella dello zucchero. Quello che tu hai aggiunto a me è sembrato proprio zucchero. – Prendi e assaggia. – Tu mi chiedi di fare qualcosa di assolutamente inutile, Bharrat. Non sai che le sensazioni ci mentono? Mi stupisco della tua domanda! La calma era profonda e generale. Solo Bharrat ansimava.
USS 125 – Togo, Lomé
A Lomé in Boulevard de la Republique, a pochi passi dal confine con il Ghana, Zarifou ha incontrato, qualche giorno fa, Kraptcha Agboyibo. Kraptcha stava discutendo con parecchie altre persone circa le vicende legate al ritorno in Africa, nel XIX° secolo, dei discendenti di migliaia di africani che erano stato trasferiti come schiavi in Brasile a partire dal XVII° secolo. Lasciata la costa del Golfo di Guinea come schiavi, essi qui erano ritornati e si erano stabiliti, dandosi a loro volta ad un’attività molto lucrosa. – Quale attività, Kraptcha? – Vi sembrerà incredibile: proprio al commercio degli schiavi! Nel corso della lunga e animata discussione a più voci che ne è seguita, Zarifou, rispondendo a varie domande, ha fatto della sua proairesi questo ritratto. – E ammetteresti mai di essere dissennato, Zarifou? – No, Kraptcha. Magari avessi tanta fortuna quanto senno ho! – E sei timido? – A volte lo sono. Questo lo ammetto. – Tu capita mai di essere ingiusto? – Questo lo escludo in modo assoluto. Non farei del male ad una mosca. – E invidioso o indiscreto? – Io non invidio mai nessuno e non ficco il naso negli affari altrui. – Sei sempre padrone di te? – Come si fa a resistere a certe punture di stizza? Quando vado fuori di me è perché così mi spinge a fare la passione e devo essere perdonato come si perdona chi compie un atto involontario. – Anche la gelosia è involontaria? – Sì, è del tutto involontaria. – E, va da sé, sei caritatevole e generoso? – Sì, le sofferenze altrui subito mi muovono alla compassione e perdono facilmente. La mattina dopo Zarifou Gnassingbe ha aggredito a pugni e calci suo fratello Yawovi per una somma di poco conto sulla quale non soltanto il buon senso ma anche il Tribunale hanno invece già definitivamente stabilito che egli non può vantare alcun diritto. Zarifou ha messo a soqquadro la casa, gettando nel panico le sorelle e nello sconcerto i vicini. Le grida e i tonfi si sono sentiti fino in Boulevard de l’Oti; le suppellettili e i vetri rotti sono volati fino in Boulevard Houphouet-Boigny. Non contento della sua bravata, ha pensato bene di bucare le gomme dell’auto di sua madre.
USS 126 – Tunisia, Sidi Bou Said
Il villaggio di Sidi Bou Said si affaccia ancora oggi sul mare e t’incanta per le stradine lastricate, i giardini appartati, i patii, le case con bianche facciate impreziosite da stipiti scolpiti e tegole verniciate, ma soprattutto per la dovizia di gelsomini che lo caratterizza. Mounir Haddada e Ali Draham sono due tra i tanti giovani che offrono un mazzetto di quei profumatissimi fiori a tutti coloro che scendono dal treno proveniente dalla non lontana Tunisi. Così ho fatto la loro conoscenza ed è così che li ho sentiti parlare. – Ali, gli esseri umani s’industriano forse per ottenere dei mali? – Nient’affatto! – Forse per qualcosa che non li riguarda? – Neppure per questo. – È evidente che essi s’industriano per ottenere dei beni; e se per questi s’industriano, questi amano. Ne concludiamo questo: colui che è scienziato dei beni è anche l’unico che sappia amare. Chi invece non sa distinguere i beni dai mali e ciò che è né bene né male da entrambi, come potrebbe amare? L’amare è quindi proprio soltanto dell’uomo saggio. – Ma come? Mounir, io, pur essendo uno stolto, ugualmente amo il mio bambino. – Ali, mi stupisco di come immediatamente tu ammetta di essere uno stolto. Cosa ti manca? Non usi i sensi, non distingui le rappresentazioni, non fornisci al corpo i cibi idonei, un riparo, una dimora? Come fai a dire di essere stolto? – Ripeto quello che altri dicono di me. – Ecco. Lo dici e lo ripeti perché sei frastornato dalle rappresentazioni e sconfitto dalla loro persuasività. Concepisci le medesime cose una volta beni, un’altra mali e poi né beni né mali. In complesso ti affliggi, hai paura, invidi, sei sconcertato, sei mutevole. Per questo ammetti di essere uno stolto? – È così, questa è la verità. – E negli affetti non sei mutevole? Concepisci l’amicizia una volta come un bene, un’altra come un male. Le medesime persone una volta ti paiono buone e un’altra cattive, e le tratti una volta familiarmente e un’altra da nemici, una volta le lodi e un’altra le denigri. – Sì, sperimento anche questo. – E dunque? Chi è stato ingannato da qualcuno, reputi che gli sia amico? – Per niente! – E chi sceglie un amico con volubilità, può essergli benevolo? – No. – Se l’amicizia è un affetto vivo e reciproco tra due o più persone, diremo che essa è qualcosa di proairetico o di aproairetico? – Non saprei. – Proairetico è l’affetto che io provo verso qualcuno e che chiamo, in questo caso, amicizia. L’affetto che l’amico prova per me è altrettanto proairetico per lui, ma per me è qualcosa di aproairetico. Soltanto ciò che è proairetico può essere bene o male. Dunque, se io ritengo che sia un bene o un male per me l’affetto di un’altra persona nei miei confronti, io mostro di avere un giudizio scorretto e sono nel male. Per essere nel bene devo avere un retto giudizio dell’amicizia e, non essendo la proairesi dell’amico in mio esclusivo potere, devo considerare il suo eventuale affetto come qualcosa che è né bene né male per me. – Devo allora disinteressarmene e trascurarlo? – No, tutt’al contrario. Devi trattarlo con la massima cura ed attenzione per quello che è, evitando accuratamente di cadere nel pericolo di considerarlo per quello che non è, un affetto certo e garantito in ogni circostanza. Non hai mai visto dei cagnolini scodinzolare e ruzzare? – Sì, non c’è niente di più amichevole! – Ma per vedere davvero cos’è amicizia, getta in mezzo a loro un pezzo di carne e lo riconoscerai. Getta, tra coloro che si reputano amici, del denaro, un’avvenente ragazza, il successo mondano e vediamo cosa succede. Io non soltanto ho accettato con piacere il mazzetto di gelsomini che Mounir mi offriva, ma gliene ho chiesti altri dieci.
USS 127 – Yemen, Shibam
Situata nel cuore dell’antica Arabia Felix e nota per le sue case-torri in mattoni alte fino a otto piani, Shibam è architettonicamente una gemma. Posta su un rilievo in una pianura fluviale e circondata da mura fortificate, la città è stata costretta nei secoli a svilupparsi verticalmente ed è ancora oggi soprannominata la Manhattan del deserto. Invitato qui al rito del ‘Qat’, questa è la conversazione che ho colto tra i miei ospiti. – Ahmad, io non ho mai capito cosa ci sia da recriminare quando si afferma essere sacrosanto che ciascuno di noi ricerchi esclusivamente il proprio utile particolare. – Cosa dici, Rashid al-Sufan? Ricercare esclusivamente il proprio utile particolare è puro egoismo! – E’ mai possibile fare qualcosa che non sia altro che egoismo? – Se non lo sai, t’informo che è altamente apprezzato essere altruisti. – Chiedo a te cosa sia l’altruismo. – Altruismo è tenere conto delle altrui necessità, esigenze, diritti. – Soltanto tenere conto? – Sì. – Ma tutti tengono sempre conto delle altrui necessità, esigenze e diritti, se non altro per trascurarli. – Ecco il punto: non vanno trascurati! – Najib, e tu come chiami chi li ignora perché non ne è al corrente? – Di chi ignora necessità, esigenze e diritti altrui in buona fede, perché non ne è al corrente, è impossibile dire qualcosa. L’ignoranza lo pone al di là del bene e del male. – Ahmad, e come chiami chi li trascura? – Lo chiamo egoista. – Vedi dunque che sei per forza costretto a definire altruista non chi tiene conto, ma soltanto chi privilegia le altrui esigenze e diritti. – Un altruismo inefficace, un altruismo solo a parole non è degno di essere chiamato altruismo! – E non è anche questo sempre e comunque egoismo? – Cosa? L’altruismo è un egoismo? Rashid, non ti capisco. – Chi privilegia le proprie esigenze e diritti lo fa perché giudica questo il comportamento più utile per sé e dunque un bene. – Ovviamente. – E tu chiami questo egoismo. – Sì. – Ma anche chi privilegia le altrui esigenze e diritti a scapito dei propri, lo fa perché giudica più utile per sé questo comportamento che non quello di privilegiare le proprie esigenze e diritti. Il che vuol dire che per costui la più utile delle priorità, e dunque il bene per lui, è proprio quello di privilegiare le esigenze altrui. – Rashid, che ragionamento contorto! – Nient’affatto contorto ma semplice e lineare. Ahmad, continuiamo pure ad usare la tua terminologia. Comunque tu svisceri o capovolga la questione, è del tutto evidente che noi non possiamo che essere egoisti, perché sempre e comunque l’essere umano ricerca il proprio bene. Predicare una certa ‘solidarietà’, una certa ‘carità’, il ‘vogliamoci bene’, insomma l’altruismo, è soltanto un modo subdolo per dire quello che si vuole nascondere, ossia che il bene e il male sono fuori di noi, che sono entità aproairetiche. – Anche Allah è un’entità aproairetica? – Non soltanto Allah. Sappi che il precetto: ‘Ama gli altri come ami te stesso’ significa in realtà ‘Ama gli altri più di te stesso’, che esso è frutto di un cattivo giudizio e che chi lo predica vive nel male. Ammetto che questo sia l’insegnamento di qualunque religione rivelata, ma non capisco come si faccia a non vedere in esso un micidiale attentato alla nostra sanità mentale. – E in cosa consisterebbe la nostra sanità mentale? – Nel mettere in piena luce che bene e male sono entità proairetiche, sono dentro di noi ed esclusivamente dentro di noi; e non fuori di noi. Che l’uomo è un animale libero e sanamente egoista per inviolabile natura delle cose. Che l’uomo libero ed egoista fa il suo bene quando applica sistematicamente la diairesi in tutte le situazioni che quotidianamente gli si presentano. – E il proprio male? – Quando, invece della diairesi applica sistematicamente la controdiairesi, ricercando il bene e il male fuori di sé. Quando la cortesia dei miei ospiti mi ha sollecitato a porre una domanda, io ho chiesto: “Quale relazione pensate che vi sia stata, secoli fa, tra carità cristiana, solidarietà musulmana, pacifismo comunista, terrorismo internazionale e l’altruismo?”.
USS 128 – Ukraine, Cernobyl
– Viktor, ti ripeto che ogni creatura umana a nulla è così strettamente imparentata come al proprio utile; ed essa odia, vilipende, maledice qualunque cosa le parrà intralciarla al raggiungimento di questo fine, sia essa fratello, padre, figlio, innamorato o amante. – Natalya Yushchenko, guardati intorno! Io, Volodymyr, Mykola, Yuriy, quanti ingegneri e tecnici lavoriamo qui a Cernobyl, siamo gli uomini nuovi. Noi stiamo costruendo il socialismo e tu mi vieni a fare la predica reazionaria? – Io non intendo convincere nessuno, giacché in questo caso mi contraddirei. Io sottolineo soltanto che dove sono l’‘io’ e ‘il mio’, là è necessario che propenda la creatura. E se l’‘io’ e ‘il mio’ sono nella carne, che io sia nella carne; se nella proairesi, che io sia nella proairesi; se negli oggetti esterni, che io sia in questi. – E il socialismo sarebbe un oggetto esterno? – Certamente, come il capitalismo. Voi siete una chiesa; diversa, ma sempre chiesa, tutto qui. Se invece io sono la mia proairesi, solamente così sarò compagno, figlio, padre quale si deve. Giacché mi sarà utile serbare l’uomo leale, rispettoso di sé e degli altri, capace di tollerare l’intemperanza altrui, di astenersi dalla propria, capace di cooperare e di custodire correttamente le relazioni umane. – Natalya, il problema è sapere dove davvero risieda il proprio utile particolare. Noi crediamo che risieda nella costruzione del socialismo. – Siamo di nuovo a questo punto? A causa di questa ignoranza abbiamo avuto alcuni secoli fa due guerre mondiali, e continuiamo ad avere guerre non dichiarate e terrorismi di tutti i generi. La pace non è semplicemente assenza di uno stato di guerra esplicita. Quella che si crede essere pace è invece uno stato di guerra implicita, permanente, strisciante. – Perché? – A causa del vostro uso di massa della controdiairesi. Invece, la pace è attivo uso di massa della diairesi e abbandono dell’errore di trattare ciò che è aproairetico come se fosse proairetico. – Bello ma impossibile, e soprattutto sbagliato! – Vuoi sapere la novità? – Quale, Natalya? – Sono appena stata licenziata dalla Direzione. Mi hanno detto che non hanno più bisogno di me. Ebbene, mi vedi sconsolata, impaurita, tremante? – No, niente di tutto questo. Ti vedo serena. E perché l’hanno fatto? – Perché da tempo sai che critico anche il modo in cui sono stati progettati e costruiti questi reattori nucleari di Chernobyl- – Si, proprio dopodomani sera dobbiamo fare un test sul reattore numero 4 per controllare se il sistema di raffreddamento funziona anche usando elettricità generata dal reattore in stato di bassa potenza. – Ecco una prova da non fare. La ritengo estremamente rischiosa. Anzi, sono certa che la reazione a catena sfuggirà al vostro controllo e che causerete un incidente catastrofico. Inquinerete di radioattività mezza Europa. – Tu sei troppo pessimista, Natalya! – Quella sera io non ci sarò; sarò a Kiev a cercarmi un altro lavoro.
USS 129 – Zimbabwe, Harare
– Abel Murozewa, mi chiedo se una ‘Nazione’ può avere una proairesi. – E come potrebbe, Lovemore? La proairesi è una facoltà esclusivamente umana, dell’individuo concretamente vivente; mentre la nazione è un’istituzione, un’entità incorporea. – Se la nazione non è dotata di proairesi, noi dobbiamo però considerarla un’entità proairetica o aproairetica? – Rispondi alla domanda: la nazione è qualcosa in mio esclusivo potere? – No. – Dunque, si tratta di un’entità aproairetica. – Ma c’è qualcosa di proairetico, riguardo ad essa? – Sì: proairetico è il giudizio, e soltanto il giudizio, che io ho sulla nazione. Se bene e male sono unicamente i giudizi della proairesi, una nazione non può che essere né un bene né un male. L’entità incorporea ‘Nazione’ non esiste se non è pensata, ossia se non poggia sulla proairesi di masse di persone e se non s’incarna in istituzioni. – Abel, ma esiste prima il cittadino di una nazione oppure esiste prima la nazione e poi esiste il cittadino? – Ad esistere sono le persone concretamente viventi, la cui proairesi può generare questa entità incorporea che chiamiamo nazione. Dunque, esistono sempre e soltanto le persone che diventano, in un certo senso, cittadini quando la loro proairesi genera questa entità incorporea che è la nazione, ed un comune consenso intorno ad essa. – Della nazione, in quanto entità incorporea che è né bene né male, ciascuno potrà fare un uso che invece diventa bene o male per sé. Non è così, Abel? E quando diventa bene? – Diventa bene quando il cittadino mantiene la propria proairesi nel suo stato naturale: libera, infinita, inasservibile, insubordinabile; ossia quando tratta la nazione come un oggetto aproairetico qualunque, con attenzione, cura, precisione ma senza servitù e senza subordinazione. Bene, infatti, è il giudizio: la nazione è né un bene né un male. – Quando diventa male? – Ascoltami attentamente, Lovemore. Male è la coppia di giudizi: la nazione è un bene, la nazione è un male. Dunque, diventa male quando il cittadino asservisce e subordina ad essa la propria proairesi, quando identifica la propria proairesi con la Nazione. È aberrante dire, e criminale ripetere, senza altre specificazioni: la difesa della Nazione è sacro dovere del cittadino. Perché equivale a dire che il bene e il male stanno fuori di noi, stanno nelle istituzioni, qualunque esse siano. – E cosa si dovrebbe invece dire? – Qualcosa del genere: la salvaguardia della libertà, infinità, inasservibilità e insubordinabilità della propria proairesi è il sacro dovere che ogni uomo compie a difesa della patria universale. La proairesi non è un’istituzione. La proairesi è infinita, libera per natura, a tutto superiore, inasservibile, insubordinabile. – Chi è dunque il dittatore? Il dittatore è colui che incarna la contraddizione e testimonia questo: la proairesi è istituzione, il bene e il male sono dentro di me e contemporaneamente fuori di me. – Il che è impossibile. – E al suo seguito stanno le masse di individui che, come lui, vivono questa contraddizione e la risolvono continuamente giudicando che il bene e il male stiano fuori di loro, in amici e nemici. – Mi chiedo se sia possibile applicare questo ragionamento oggi, qui ad Harare e su Mugambenben, e se esso ci aiuti a capire meglio cosa sta succedendo in questo nostro disgraziato paese.
USS 130 – Liechtenstein, Vaduz
L’automobile di Ottmar Triesen è ferma, a Vaduz, all’incrocio tra la Giessenstrasse e la Kirchstrasse. Rita Schellenberg si avvicina allo sportello. Il vetro dello sportello si abbassa e Rita parla con Ottmar. – Ottmar, non fare anche tu l’errore che feci io, quando diventai Primo Ministro di questo piccolo paese. L’animo degli insipienti non è leale, non è saldo ma è spregiudicato, è vinto ora da una rappresentazione ora da un’altra. Tu indaga non quel che indagano gli altri e che allora indagavo anch’io, ma soltanto questo: dove le persone pongano il loro utile, se esternamente, in ciò che è aproairetico, oppure nella loro proairesi. Se esternamente, non chiamarle amiche; non più che persone leali o ben salde o fiduciose in se stesse o libere; anzi, per parlare rettamente, non chiamarle neppure uomini. Giacché non è un giudizio da uomo quello che fa mordere l’un l’altra le persone, ingiuriarsi, pigliare luoghi isolati o piazze come belve le montagne, né quello che le rende non padrone di sé, né di quant’altre contumelie esse si coprono vicendevolmente a causa di questo solo ed unico giudizio: il porre se stesse e quanto è loro in ciò che è aproairetico. Quando invece ti renderai conto che questi, gli uomini, davvero credono essere il bene soltanto là dov’è proairesi, dov’è il retto uso delle rappresentazioni, non impicciarti più se sono figlio e padre o fratelli o se sono andati a scuola insieme e se sono compagni. Riconosciuto questo, dichiara con fiducia che sono amici, come anche che sono leali, che sono giusti, e resta con loro. – Rita, non…- Io mi sono allontanato ed ho visto l’automobile fuggire via di gran carriera.
USS 131 – Jordan, Petra
Ziad Kayyali e Yusuf Khalayleh sono due guide che accompagnano ancora oggi i visitatori alla scoperta di quel complesso archeologico unico al mondo che risponde al nome di Petra. Io ammiravo il magico colore di Al-Khaznah al tramonto, ma devo confessare che ero più attento a quello che confabulavano i miei due accompagnatori. – Yusuf, tu parli del vino, dell’olio e del pane. E non hai anche qualcosa migliore di questo? – Cosa? – La vista, l’udito, il gusto e gli altri sensi. – Hai ragione. – E non possiedi qualcosa di ancora migliore di questo? – Ziad, mi sbalordisci. Di cosa parli? – Di quanto li valuterà e li userà. Cos’è infatti che dichiara per ciascuno di quegli oggetti e di questi sensi, quanto esso merita? Hai mai sentito la facoltà visiva dire qualcosa di se stessa? E l’udito? – No, certamente. – Ecco, tutto ciò è ministro e servo di qualcos’altro. – Dimmi di cosa. – Della proairesi, Yusuf; ossia della facoltà atta ad usare le rappresentazioni. – Se cerco di sapere quanto vale il pane o quanto merita la mia vista, da chi devo cercare di saperlo? – Da chi ti risponde. E la sola a risponderti è la proairesi. Come può dunque esserci un’altra facoltà migliore di questa che usa anche le restanti come ministre, e in prima persona le valuta e di ogni cosa dichiara il valore? Qual è la facoltà che apre e chiude i tuoi occhi e li distoglie da ciò da cui vanno distolti e ad altro li appressa? – È forse la mia vista? – No, è la tua proairesi. Grazie a quale facoltà diventi indiscreto e ficcanaso oppure rimani indifferente ad un discorso? – Grazie al mio udito. – No, grazie a null’altro che alla tua proairesi. E così quand’essa vede di trovarsi con altre facoltà tutte cieche e sorde, incapaci di notare altro eccetto quelle opere per le quali sono state posizionate a farle da ministre, mentre essa sola scorge con acutezza e vede dall’alto non solo le altre facoltà e quanto merita ciascuna, ma anche se stessa; ebbene, può la proairesi dichiarare che qualcos’altro è più possente di lei? – Devo ammettere che non può. – L’occhio aperto, che altro fa se non vedere? Ma se si deve guardare la moglie di qualcuno e come, chi lo dice? – La proairesi. – Se bisogna fidarsi delle parole udite o diffidare, chi lo dice? Non è la proairesi? Se sia meglio parlare o tacere, parlare in un modo o in un altro, se questo sia confacente o non confacente, chi altro lo dice se non la facoltà proairetica? Vuoi dunque che essa pervenga a votarsi contro? – Ed io che finora mi sono creduto tanto povero! D’ora in poi, come potrò ancora lamentarmi?
USS 132 – Kuwait, Kuwait City
Nazir al-Sabah e Ismail al-Shatti sono due anziani tessitori. Li ho incontrati nel Souk di Kuwait City, dove stavano lavorando alla riparazione di un telaio tradizionale. – Ismail, se così sta la faccenda, può quanto fa da ministro essere migliore di ciò cui fa da ministro? – Nazir, cosa intendi dire? – Intendo dire questo: può il cavallo essere migliore del cavaliere, il cane del cacciatore, lo strumento dello strumentista? – Non può. – Nel nostro caso, cos’è che usa tutte le altre nostre facoltà? – Rispondi tu stesso. – È la proairesi. Ossia la facoltà che usa le rappresentazioni. Cos’è sollecito di tutto? – La proairesi? – Esattamente. Cosa leva di mezzo l’uomo, una volta per fame, un’altra per impiccagione, un’altra giù da un precipizio? – La proairesi? – Proprio lei. E poi qualcosa è più potente di questo negli uomini? Com’è possibile che ciò che è impedito sia più potente di quanto non è soggetto ad impedimenti? Cos’è per natura capace di intralciare la nostra vista? – La proairesi, quando ci fa chiudere gli occhi, ma anche qualunque cosa aproairetica come una benda. – Dici benissimo. E lo stesso vale per l’udito o per il tatto. Ma cos’è capace di intralciare la proairesi? – Non vale più quello che ho appena detto? – No. Nulla di aproairetico può intralciare la proairesi. Poiché la proairesi e il giudizio che essa ha di se stessa coincidono, sono la stessa cosa; essa soltanto può intralciare se stessa. Per questo la proairesi diventa solo vizio o sola virtù.
USS 133 – Bahrain, Manama
– E dunque, Hamad? Vuoi dire che disprezzi le altre facoltà? – Non sia mai, Salman! Sarebbe dissennato affermare che non vi è alcun bisogno di altre facoltà oltre la proairesi. Non bisogna disprezzare l’utilità che procurano cose diverse, a causa del fatto che altre sono migliori. – Quali cose diverse intendi? – La vista, l’udito, ad esempio, non vanno trascurate né sottovalutate; ma se tu mi chiedi quale sia più possente…- – La vista o la proairesi? – Non posso dire la vista. Devo dire che la più possente è la proairesi. Io posso perdere la vista e rimanere l’uomo che sono. Ma se perdo la proairesi, Salman, io non ci sono più; anche se continuassi a restare in vita. – Hamad, anche se fossi vivo? – Sì; giacché è la proairesi quella che usa tutte le altre nostre piccole e grandi facoltà. E quando essa opera rettamente, nasce l’uomo dabbene. Quando essa fallisce, nasce l’individuo malvagio, vizioso. È rispetto a questo che noi siamo sfortunati o fortunati, felici o infelici. Hamad Hasamha e Salman al-Balushi sono discendenti di quei pescatori di perle che fecero la fortuna economica di questo paese prima che i giapponesi trovassero il modo di coltivarle. La loro gioielleria è situata in Bab al-Bahrain Avenue ed essi sono in grado di riconoscere istantaneamente una perla vera da una coltivata. È da loro, a Manama, che ho comprato delle perle.
USS 134 – Republic of the Congo, Brazzaville
– E pertanto ogni facoltà umana va coltivata secondo il suo proprio valore: la vista come vista, l’udito come udito, la proairesi come proairesi. – Denis, quando diciamo che la proairesi è autoteoretica, inasservibile, insubordinabile, capace di usare le rappresentazioni e di comprenderne l’uso, facoltà alla quale tutte le altre facoltà umane sono subordinate, intendiamo forse dire che la proairesi è al riparo dalla morte? – Nient’affatto immortale, Pascal. La proairesi dell’uomo muore con il corpo, anzi può morire la proairesi ed il nostro corpo può ancora rimanere in vita. – Quando accade ciò? – In quegli stati vegetativi irreversibili nei quali tutte le funzioni cerebrali sono annullate. – E la proairesi è forse al riparo dalle malattie? – Neanche da queste. Pensa ai numerosi processi patologici degenerativi del nostro sistema nervoso nel corso dei quali si estinguono capacità basilari della proairesi, come il riconoscimento di identità. – Denis, tra molecole e proairesi vi sono dunque delle relazioni? – Che vi siano delle relazioni è certo. Quali esse esattamente siano è un argomento ancora tutto da chiarire. Fino ad oggi è prevalso il giudizio che ‘res extensa’ ossia molecole e ‘res cogitans’ ossia proairesi non potessero avere nulla in comune. – Era quello che si pensava, in fisica, dello spazio e del tempo prima di Einstein. Poi invece si è visto che le due entità sono inseparabili. – Esattamente, Pascal. Nel prossimo futuro non mi stupirei che succedesse la stessa cosa a molecole e proairesi. Ma per il momento è impossibile dire di più. Poco oltre Brazzaville, le tremende rapide del fiume Congo rendono impossibile a chiunque la navigazione fluviale verso Pointe. Noire e la costa Atlantica. Denis Lissounguesso e Pascal Lekoumou stanno tornando verso casa e sanno comunque, per antica esperienza, come evitare i pericoli e dirigere la loro barca verso un ancoraggio sicuro.
USS 135 – Cuba, L’Avana
– Dunque cosa accade, Garcia? E’ come se uno, mentre torna a casa, si imbattesse in un magnifico albergo e, dal momento che quell’albergo gli piace, sostasse lì per sempre. Cosa ci fai lì, Garcia? – Inti, ma l’albergo è davvero grazioso! – Garcia, e quanti altri alberghi sono graziosi? E se pure questo albergo fosse sulla nostra strada, questa non è la nostra meta. – Ma io qui sto bene! – Bene? Non scambiare i mezzi con i fini, Garcia. La nostra meta è Itaca, non sono le sirene. – Però, come cantano bene! – Sì, cantano davvero bene. E altre fanno l’amore davvero bene. E altre conoscono a perfezione tutte le sottigliezze della logica formale. E altre ancora ti promettono l’immortalità. – Inti, queste sirene mi affascinano! – Garcia, dissetati da loro, se vuoi; ma poi riprendiamo il cammino! – Per andare dove, Inti? Non sono più sicuro di dove sono diretto. – A Itaca, Garcia: sei diretto a casa. – E casa mia dov’è? – Casa è imparare quale sia la natura delle cose e poi usare secondo la natura delle cose le rappresentazioni che ti incolgono. Casa è non fallire nel desiderio, non incappare in quanto avversi; mai sfortunato, mai preda di cattiva fortuna. Casa è essere libero, non soggetto ad impedimenti, non soggetto a costrizioni; conciliato al governo della Materia Immortale. E mentre sei partito con questo proponimento, poiché gradisci un orgasmo, un’elocuzioncella, certi principi filosofici generali, sosti lì per sempre, dimentichi la casa e dici: ‘Queste cose sono tanto graziose!’? – Tu non lo dici? – E chi dice che non lo siano? Ma come transito, come alberghi. Dimmi, Garcia: cosa impedisce che chi fa la Rivoluzione d’Ottobre sia un vizioso? – Beh, nulla lo impedisce. – Cosa impedisce che chi risolve problemi logici come Bertrand Russell sia meschino, pianga, invidi; insomma sia sconcertato, sia infelice? – Nulla. – Vedi dunque che questi erano alberghi di nessun valore ed altro era il proponimento. Il salone del bar ‘Floridita’ è oggi stranamente silenzioso. Quattro turisti americani siedono con aria annoiata e bevono i loro ‘daiquiri’. Al di là dei vetri, il traffico dell’Avana scorre rumoroso e caotico come al solito. Ad un certo punto, Garcia ha chiesto il conto e ha insistito per pagarlo. Una volta in strada, Inti Peredo e Garcia Montes hanno preso direzioni diverse. Non si rivedranno mai più.
USS 136 – Czech Republic, Praga
– Di cosa debbo parlarti, Vaclav? – Ti prego, Mirek Novacek, sono venuto qui con i miei collaboratori proprio per ascoltarti. Parlami di qualunque cosa tu voglia. – Di cosa puoi sentir parlare? Di beni e di mali? – Beh, se proprio vuoi…- – Di chi? Del cavallo? – No. – Del bue? – No. – E di chi allora? Dell’uomo? – Sì. – Vaclav, sai tu cos’è un uomo, qual è la sua natura, qual è il concetto di uomo? Hai su questo le orecchie aperte? Sai qual è la natura delle cose? Riesci a seguirmi mentre ne parlo? Sai distinguere il vero dal falso? Sai cos’è opposizione e cos’è contraddizione? Come faccio ad additarti il motivo per cui gli esseri umani litigano sui beni e sui mali, su quanto è utile e quanto è inutile, se non sai proprio questo, ossia cos’è una contraddizione e cos’è un’opposizione? – Ma io non voglio imparare questo. A me basta sentire che mi parli, che parli proprio a me. – Smuovimene lo slancio. Come l’erba fresca che appare alla pecora ne smuove lo slancio a mangiare, mentre essa non sarà smossa se le sistemerai accanto un sasso; così vi sono in noi certi naturali slanci anche a parlare, qualora chi ascolta ci paia qualcuno, qualora ci stuzzichi. – Mirek, perché non mi dici nulla? – Io ho da dirti soltanto questo: chi ignora chi è, per che cosa è nato, in che sorta di mondo è e con quali soci, e quali sono i beni e i mali, cos’è bello e cos’è brutto; che non comprende né un ragionamento né una dimostrazione, né cos’è vero né cos’è falso e neppure può distinguerli; che non desidera, non avversa, non impelle, non progetta, non assente, non dissente, non sospende il giudizio secondo la natura delle cose; ebbene è colui che andrà in giro sordo e cieco reputando di essere qualcuno, mentre è nessuno. – Mirek, ma ricordati che io sono ricchissimo di denaro! – Più ricco di quel tale il cui nome era, se non sbaglio, Bill Gates? – Sì, ho più denaro di lui. E poi guardami, non vedi che sono bellissimo? – Più di quel tizio che piaceva tanto e che mi pare si chiamasse Paul Newman? – Sì, anche di quel tale: lo dicono tutti. E guarda che forza hanno i miei muscoli! – A cosa ti servono i tuoi muscoli quando gemi e singhiozzi per una pupattola? – Mirek, perché? Perché? – Vaclav, questo soltanto ho da dirti, e neppure con slancio. Usciti di qua, tu e tutti i collaboratori che hai intorno attraversate la Moldava sul ponte Carlo e arrivate nella Piazza della Città Vecchia. Lì vedrete un vecchietto gobbo e quasi paralitico, che cerca con fatica di gettare una bottiglia vuota in un contenitore per i rifiuti di vetro. Aiutatelo.
USS 137 – Estonia, Tallinn
– Andrus, cosa intendi dire quando parli di aberrazione? – Taavi, chiamo aberrazione l’uso scorretto della ragione. – E per cosa abbiamo la ragione? – Per comprendere qual è la natura delle cose e per seguirla, comportandoci in conseguenza. Se io non conosco la natura delle cose e nessuno m’insegna a riconoscerla, da cosa mi farò comunque guidare? – Da nulla. – Questo è impossibile, Taavi. Qualunque azione cosciente implica comunque una teoresi, rudimentale quanto si vuole ma pur sempre teoresi. E se la teoresi non è corretta significa che si userà una teoresi scorretta, ma pur sempre tale, e non nessuna teoresi. – Hai ragione. Seguire una rotta sbagliata non vuol dire non seguire nessuna rotta. – Bene. La natura delle cose si sostanzia nella loro essenziale bipartizione in cose che sono in nostro esclusivo potere e cose che non sono in nostro esclusivo potere. La pratica di questa diairesi ci permette di vivere in accordo con la natura delle cose. Chi non pratica questa diairesi si fa guidare da nulla o pratica qualcos’altro? – Beh, deve per forza praticare qualcos’altro. Ma non so dare un nome a questo qualcos’altro. – Questo qualcos’altro si chiama controdiairesi. Se la diairesi è quello che abbiamo detto, chi si fa guidare dalla controdiairesi, anche non coscientemente, tende a giudicare che tutto sia in suo potere oppure che nulla sia in suo potere. – Da megalomane o da depresso. E così facendo cerca, anche inconsciamente, di violare la natura delle cose? – Sì. Ma siccome è impossibile violare la natura delle cose, ecco che questo coatto, reiterato ed eternamente fallito tentativo di violazione egli lo risente in se stesso come male e infelicità. Taavi, completa il controllo dei parametri di volo e prepara il carrello per l’atterraggio. – Agli ordini, comandante. – Siamo in perfetto orario. Il Boeing 737-300 della Estonian Air al comando del capitano Andrus Savisaar e copilotato da Taavi Veskimagi sta per atterrare felicemente, con 122 passeggeri a bordo, all’aeroporto Lennujaam di Tallinn.
USS 138 – Honduras, Tegucigalpa
– Patricia Rozales, perché dici che ogni aberrazione include una contraddizione? – Elvin, ogni aberrazione include una contraddizione perché chi aberra non sta facendo qualcosa con lo scopo di aberrare ma per avere successo. Ti faccio un esempio un po’ improprio ed alquanto inesatto, ma che comunque serve per capirci: se uno non si accorge che sulla strada che sta percorrendo si è aperta una profonda voragine, fa quel passo fatale che lo farà cadere in essa. Egli ha fatto qualcosa il cui risultato non aveva in mente di ottenere. – Se lo avesse saputo, se avesse visto la voragine, non avrebbe fatto quel passo. – Proprio così. – Viviamo a Tegucigalpa, e per di più nel barrio di Comayaguela: dunque applichiamo questo discorso ai ladri. – Bene, Elvin: cosa vuole effettuare il ladro? – Patricia, il proprio utile. – E dunque se rubare non gli è utile, ecco che fa qualcosa di contraddittorio. – Ma egli è convinto che rubare gli sia utile. – Su questo non c’è dubbio, ma rubare a chi? – Agli altri. – E la stessa azione di rubare fatta da altri a lui, la ritiene utile per sé? – Non sia mai! – Curioso e contraddittorio individuo è il ladro: ritiene giusto per sé ciò che ritiene non giusto per gli altri. E dimmi ancora, Elvin: quando ruba, il ladro ritiene di guadagnare qualcosa ma anche di perdere qualcosa oppure ritiene di guadagnare soltanto? – Soltanto di guadagnare. – E non si accorge che perde anche necessariamente qualcosa? – Cosa? – Ciò che, non rubando, chi non è ladro conserva. – E cos’ha chi non è ladro, e che perde quando diventa ladro? – Hai mai sentito parlare della lealtà? – Storie vecchie, Patricia; favole alle quali oggi non crede più nessuno! – Questo lo dici tu, e ti sbagli di grosso. Comunque, anche se fossi la sola al mondo, a crederci basto io. E poi tu, come il ladro, non ti rendi conto che lealtà ed onestà sono due dei tanti nomi che possiamo dare alla ‘natura delle cose’ e che non sono soltanto dei semplici modelli culturali? – Natura delle cose? – Il ladro vede quelli che giudica beni materiali e vede la sua slealtà, ne è cosciente. – Ma i beni materiali sono facili da vedere e li vedono tutti, mentre per vedere la lealtà ci vogliono altri occhi, occhi speciali. – Sei pessimista e ti sbagli, Elvin. Il ladro sa di essere sleale, vede benissimo la sua slealtà, tant’è vero che cerca in tutti i modi di nasconderla. Ecco la contraddizione. – E allora perché continua a rubare? – Perché risolve continuamente la contraddizione scegliendo il furto a scapito della lealtà. Così facendo egli mostra di dare alla lealtà un valore inferiore al valore di ciò che ruba, e si dichiara pronto a vendersi, da ultimo, a qualunque prezzo. Ecco il ladro caduto nella voragine. Ma volere in violazione della natura delle cose equivale ad ignorare di disporre così la propria infelicità. Elvis Ernesto Valladares, secondo te un ladro può essere una persona felice? – Patricia, dipende… – Vedo che hai capito davvero…
USS 139 – Israel, Haifa
– Ascoltami bene, Moshe. Impara ad usare l’aggettivo ‘bello’ unicamente in riferimento alle qualità morali dell’uomo e mai in riferimento alle sue qualità esteriori. Per riferirti a queste ultime userai altri aggettivi come ‘magnifico’, ‘stupendo’, ‘meraviglioso’ e così via. Allo stesso modo, e tanto più, eviterai di usare l’aggettivo ‘bello’ in riferimento ad animali, a luoghi o ad avvenimenti qualunque. E ora dimmi: guardando certi animali, ti è mai capitato di dirti che sono creature davvero magnifiche? – Mi è capitato spesso, Baruch. Certi cavalli o certi cani sono davvero belli. Oh, scusami, sono davvero magnifici! – E delle persone, pensi che alcune siano avvenenti ed altre laide? – Sì; ad esempio c’è oggi qui fra di noi una ragazza che vedo per la prima volta e che mi sembra stupenda. – E puoi già dirmi se sia bella o brutta? – No, Baruch. Voglio essere un tuo buon allievo e ti risponderò così: devo prima conoscere i giudizi della sua proairesi, intenderne le qualità morali. Soltanto allora potrò dirti se è bella o brutta. – Informamene, Moshe, quando lo saprai. Possiamo allora dire che ogni essere vivente è magnifico quando si trova all’eccellenza della sua natura. Cos’è dunque a fare bello l’uomo se non quanto, nel suo genere, fa magnifico il cane o il cavallo? Ehud, cosa fa magnifico un cane da caccia? – L’eccellenza nella caccia. – Tzipi, e un cavallo da corsa? – L’eccellenza nella corsa. – E l’essere umano? Non è forse la presenza in lui di quell’eccellenza propria dell’uomo che chiamiamo virtù? Chi dispone di essere bello su questo deve prodigarsi, sulla virtù dell’uomo. – E qual è la virtù dell’uomo, Baruch? – Non sapete qual è la virtù dell’uomo? Vi mostrerò che lo sapete ma che non vi rendete conto di saperlo. Chi lodate quando lodate spassionatamente? Lodate i giusti o gli ingiusti? – I giusti. – Lodate i sapienti o gli insipienti? – I sapienti. – Lodate i temperanti o gli intemperanti? – I temperanti. – Lodate i forti o i vigliacchi? – I forti. – Traetene le conseguenze. Facendovi tali sappiate che sarete belli. Ma finché tali non sarete è necessario che siate brutti, anche se escogiterete di tutto per apparire stupendi. L’esplosione ha messo in subbuglio tutto il quartiere Hadar di Haifa, ai piedi del monte Carmelo. Nel giro di pochi minuti i soccorritori sono arrivati alla Scuola situata al numero 22 di Via HaHalutz, ma non hanno potuto contare che i pezzi dei numerosi cadaveri. Una ragazza, l’unica della classe, aveva imbottito di dinamite un corpetto e si era fatta esplodere. Anche Baruch Halevi, Moshe Olmert, Ehud Livni e Tzipi Katsav sono fra i morti.
USS 140 – United Arab Emirates, Digdagga
Ras Al-Khaimah è un emirato territorialmente piccolo ma, cosa davvero rara, la sua terra è fertile e verdeggiante. La città capitale porta lo stesso nome, ed è di qui che mi sono mosso, in compagnia di Omar Bin Majid, per recarmi più a sud, a Digdagga, per assistere a una corsa di cammelli. A causa delle temperature spesso proibitive, le corse si svolgono soltanto la mattina presto, tra le sei e le nove. La pista per la corsa è ampia, diritta e lunga parecchi chilometri. Non appena dato il via, i cammelli, montati dai loro cammellieri, si lanciano nella corsa e contemporaneamente decine di Land Rover cariche di tifosi fanatici partono al loro inseguimento ai bordi della pista, tra nuvole di polvere e urla indescrivibili. Quella mattina la vittoria in una corsa era toccata ad un cammello di Faisal Al-Nakheel, il quale non è soltanto conosciuto come ricco proprietario di cammelli da corsa ma anche come persona erudita e di grande abilità oratoria. Non tutti sono però d’accordo nel ritenere che bastino erudizione ed abilità oratoria per fare di una persona un uomo degno di stima, e tanto meno che basti la vittoria di un certo cammello in una corsa di cammelli. Omar Bin Majid mi aveva spiegato più volte che l’unico uomo che poteva, secondo lui, essere definito a ragione ‘colto’ era l’uomo capace di praticare la diairesi nella vita di tutti i giorni, mentre quanti praticano esclusivamente e quotidianamente la controdiairesi vanno considerati senza rimedio insipienti, a prescindere dalla loro fama, dal denaro che possiedono o dal numero di lauree ad honorem delle quali sono stati insigniti. – Vieni, andiamo a vedere se Faisal Al-Nakheel è ancora quello che ho conosciuto e conosco da tempo. – Cosa intendi fare, Omar? – Un semplice gesto. Non ti stupire. Anche se ti sembrerà alquanto volgare, io non intendo fare altro che ripetere il gesto con il quale, ad Atene, Diogene di Sinope mise un giorno alla prova la proairesi di Demostene. – Non capisco cosa vuoi dire. – Con un semplice gesto Diogene fu in grado di mostrare a chi gli stava accanto se la proairesi di Demostene si atteggiava secondo diairesi oppure secondo controdiairesi. – Tu dici che è possibile farlo con un semplice gesto? Senza parole? La cosa m’incuriosisce. E quale gesto è? A questo punto, avvicinatosi a Faisal Al-Nakheel, Omar ha alzato verso di lui la mano destra protendendo il dito medio e chiudendo a pugno le altre dita. Faisal è immediatamente andato su tutte le furie ed è stato a stento trattenuto da alcuni presenti, mentre cercava di scagliarsi contro Omar. Prima di chiedergli scusa, Omar si è rivolto a me dicendomi: ‘Questo è Faisal, te l’ho mostrato’.
USS 141 – Democratic People’s Republic of Korea, Pyongyang
– Kim Yong Hun, se disponi di farti bello cosa devi disporre di fare bello? – Pak, sono qui da te per saperlo. – Dovrai disporre di fare bello ciò che fa di te una creatura diversa da tutti gli altri esseri viventi. Dunque devi innanzitutto riconoscere chi sei e poi adornarti in conseguenza. – Sono un essere umano. – E come potremmo definire un essere umano? – Non saprei, Pak. – Potremmo definirlo così: l’essere umano è una creatura mortale atta ad usare le rappresentazioni in modo logico. – Ma tutti gli altri esseri viventi animali e vegetali non sono anch’essi mortali? – Dici bene. Vedi dunque che questo, ossia il fatto di essere soggetto alla morte, non è una caratteristica singolare di te come essere umano. – La mia singolarità è questa: sono una creatura capace di usare le rappresentazioni. – Kim, questa caratteristica ti differenzia verosimilmente dai vegetali ma certamente non dagli altri animali. Anche un asino usa le rappresentazioni. – Davvero? – Avvicinati a lui in modo improprio e potrai provare la verità di quel che dico a suon di calci. – Dunque, dove sta la mia singolarità? – La tua singolarità sta in quel ‘in modo logico’. – Cosa significa ‘in modo logico’? – Significa in modo perfettamente ammissibile con la natura delle cose. – Vi può essere anche un modo di usare le rappresentazioni che è contrario alla natura delle cose? – Per il semplice fatto di avvenire, nessun uso delle rappresentazioni può mai essere ‘contro natura’. Infatti non diciamo di nessun animale, qualunque cosa faccia, che si comporta ‘contro natura’, perché riteniamo giustamente impossibile che esso faccia qualcosa che non sia compreso nella sua natura. La stessa verità vale per l’essere umano. Dirgli di usare le rappresentazioni ‘secondo natura’ e di evitare di usarle ‘contro natura’ è privo di significato, è puro vaniloquio. Se è senza senso parlare di ‘uso secondo natura’ e di ‘uso contro natura’ delle rappresentazioni, bisogna però imparare che esiste davvero una ‘natura delle cose’ e che è rispetto ad essa, e soltanto rispetto ad essa, che vi può essere un uso umano corretto o scorretto delle rappresentazioni. – Come faccio a conoscere qual è la natura delle cose? – La differenza fra te e l’asino è questa: tutti e due usate le rappresentazioni ma soltanto tu, e non l’asino, hai la comprensione dell’uso che fai delle rappresentazioni. Soltanto tu sei capace di rappresentazioni che hanno come oggetto altre rappresentazioni. Mi hai sentito altre volte parlare di proairesi, di diairesi come Supergiudizio, di Natura delle Cose come bipartizione delle cose in ciò che dipende esclusivamente da noi e in ciò che non dipende esclusivamente da noi? È così? – Pak, il punto è difficile e comincio a perdermi. – È su questo che devi lavorare, senza lasciarti scoraggiare dalla difficoltà. Dopotutto non sei un asino e tra te e lui c’è una differenza. Oppure no? – Ma perché faccio tanta fatica? – Perché divina è l’opera e sublime è la ricompensa. Sei disposto a pagare per avere una mela e vorresti la felicità gratis? Io sono qui per evitarti, caso mai, le cadute nei burroni; ma sei tu che devi camminare. Kim, cos’hai dunque di singolare? La creatura? – No. – Il mortale? – No. – L’uso delle rappresentazioni? – No. – Kim, ciò che ti distingue dagli altri animali è la possibilità che hai di usare in modi diversi te stesso, l’ambiente, le situazioni, le persone che ti circondano. Se sarai in grado di avere retti giudizi su ciò che è esterno a te, ossia sulla verità che non hai alcun potere su ciò che non dipende da te, non pretenderai che le cose e le persone siano come vuoi tu, ti libererai dei giudizi insipienti e, non imponendo a nessuno ciò che tu pensi, renderai libera la tua proairesi. Se questa avrai in tal modo bella, allora sarai bello. – Pak Pom Gi, adesso basta. Tutto quello che hai appena detto è stato registrato. Sono qui per arrestarti come traditore della Causa del Popolo e della Gloriosa Rivoluzione Juchen! – Kim, sapevo che prima o poi saresti arrivato a questo. Mi stupisco soltanto del ritardo. Ed ecco che ora io vado a morire e tu a vivere. Chi di noi due vada verso il destino migliore è noto a tutti fuorché a te e a quelli come te. – Non cianciare e seguimi! Senza neppure voltarsi indietro, Pak Pom Gi ha lasciato la sua casa in Changgwang Street a Pyongyang. Sa che non vi farà mai più ritorno.
USS 142 – Republic of Moldova, Chisinau
Quella sera, a Chisinau, Dumitru Grecheanu, Serafim Tarlev ed io eravamo invitati a cena a casa di Mihai Stratan. Percorrevamo a piedi la Via Mateevici quando il discorso cadde su un argomento interessante. – Sono tre i campi in cui deve esercitarsi chi intende essere virtuoso: quello dei desideri e delle avversioni, quello degli impulsi e delle repulsioni, quello degli assensi e dei dissensi. – Dumitru, qual è lo scopo dell’esercizio nell’ambito dei desideri e delle avversioni? – Serafim, è quello di ottenere ciò che si desidera e di non incappare in ciò che si avversa. – Cos’ha di mira l’esercizio nel campo degli impulsi e delle repulsioni? – Non direi genericamente delle azioni qualunque, che rientrano invece piuttosto, secondo me, nel campo del desiderio e della avversione; quanto quella classe di azioni che sono doverose, ossia razionalmente giustificate, al fine di mantenerci nelle migliori condizioni possibili in quanto esseri viventi. Tutti gli uomini provano lo stimolo della fame, della sete, del sonno, del sesso, dell’evacuazione e così via. Tutti sono figli, padri, cittadini e così via. L’esercizio nel campo degli impulsi e delle repulsioni ci aiuta a soddisfare questi stimoli e queste relazioni con razionalità, con posatezza, senza trascuratezza. – E l’esercizio nel campo degli assensi e dei dissensi? – Questi esercizi hanno di mira le rappresentazioni che si presentano alla nostra coscienza, in modo che si possa essere al riparo dalla casualità e dall’avventatezza nei nostri giudizi. – Ritieni che vi sia un ordine d’importanza tra questi tre campi di esercizio? – Ritengo personalmente di sì. Direi che il più importante è il primo, poiché in esso rientrano le nostre passioni. – Le passioni! E come nasce la passione? – La passione nasce sempre da un desiderio che fallisce o da un’avversione che incappa in ciò che avversa. Questo è l’apportatore di sconcerti, trambusti, sfortune e cattive fortune; la causa di pianti, mugugni, invidie, paure e gelosie. Secondo per importanza a me sembra il campo degli impulsi e delle repulsioni, cioè di quanto è doveroso. Il fatto è che io non posso e non devo avere il dominio che degli stimoli avrebbe una statua di marmo; ed è razionale che io serbi al meglio le relazioni sociali naturali ed acquisite nelle quali sono coinvolto. – E il terzo campo? – Il campo di esercizi negli assensi e nei dissensi, secondo me, spetta a coloro che hanno già fatto profitto nei primi due. Dico questo perché abbondano tra di noi coloro che eccellono nella soluzione di problemi logici e scientifici in senso lato, ma poi sono pochissimo attrezzati per vivere felicemente. – Ogni persona mostra in genere una rispettosa deferenza a certi suoni che lui e i suoi congeneri emettono dalla bocca. Ma non sa in realtà niente riguardo a cosa ci sia dietro il suono. Parliamo di virtù e di vizio, e non conosciamo nulla di concreto dietro le parole. Tu Dumitru, sul denaro sei al riparo dall’inganno? Se vedi una ragazza avvenente, tieni testa alla rappresentazione? Se al tuo vicino tocca in sorte una sostanziosa eredità, non ne sei morso? – Serafim, alla tua giusta domanda ritengo insensato dare una risposta a parole. Mettimi alla prova e vedrai da solo!
USS 143 – Antigua and Barbuda, Saint John’s
– Lester, camminare in Cross Street e passare davanti al Palazzo del Governo mi fa venire in mente una domanda. – Quale? – Come si chiamava quel sottosegretario alle Finanze che era noto per essere un ladro? – Ne abbiamo avuti tanti qui a Saint John’s, Deborah- – Di chi? Di sottosegretari? – No, di ladri. – Ah! Dico: scelgo l’ultimo. – Si chiamava Hugh Robinson. – Ecco un individuo che metteva il suo bene altrove che nella retta proairesi. La moneta che egli usava era il denaro. Bastava dargli del denaro e ne potevi ottenere in cambio quello che volevi. – Sì, era così. – C’era poi quel Ministro del Turismo per cui valeva un’altra moneta. – Per quello erano le prostitute. – Chi gliele procurava poteva averne in cambio quello che voleva. Un altro, un portavoce del Primo Ministro preferiva invece i maschi e i transessuali. – Sì, si chiamava Thomas Bird ed era famoso per i suoi festini ‘segreti’. – Era un mercato: dà e compra. Un altro amava la caccia. Gli davi un cavallo o un cane di razza e lui ti vendeva quello che volevi. – Tutti costoro erano incapaci di fare altrimenti. – Lester, avendo posto il loro bene fuori di loro, erano costretti a fare quello che facevano. – E se avessero posto il loro bene in una retta proairesi? – Invece di affrettarmi a chiudere qui il discorso, ne parlerei a lungo e volentieri, come di uomini felici dai quali avrei qualcosa di bello da imparare. – Deborah Mae Carlisle, hai fretta? – Devo lasciarti, Lester. Sono attesa nel pomeriggio a Codrington, sull’isola di Barbuda da Ana Vilma Escobar- – Sono troppo indiscreto se ti chiedo: per cosa? – Forse saprai già che mentre curava, con l’esattezza e la proprietà di linguaggio che tutti le riconoscono, una sua nuova traduzione dal greco dei ‘Ricordi’ di Marco Aurelio, Ana ha scoperto che nel dodicesimo frammento del XI° libro è celata una chiave che permette di proporre una nuova e semplice soluzione del cosiddetto ‘mistero’ della Pala di Brera. – Sì, me ne hanno accennato in parecchi, e se ne parla anche molto in giro. L’interpretazione del celeberrimo uovo che pende, nel dipinto di Piero della Francesca, dal catino absidale come immagine della ‘proairesi’ dell’uomo e del cosmo, unisce eleganza a semplicità ed è davvero assai convincente. – Appunto, come la formula che mostra la completa equivalenza di massa ed energia proposta da Einstein o come il teorema di Pitagora. Ana desidera discutere con me ancora alcuni dettagli, prima di scrivere l’editoriale che apparirà sul prossimo numero della sua rivista e che forse avrà per titolo ‘Fratelli nella diairesi’.
USS 144 – Uzbekistan, Bukhara
– Shavkat Toshmuhammadov, se il campo di cotone è materiale dell’agricoltore, qual è il materiale dell’uomo virtuoso? – Materiale dell’uomo virtuoso è la sua proairesi, come il corpo lo è del medico o del massaggiatore. – E qual è l’opera del virtuoso? – Adham, opera del virtuoso è usare le rappresentazioni secondo la natura delle cose. Ogni proairesi è nata per dire di sì al vero, dire di no al falso e sospendere il giudizio nel dubbio. – E non al bene? – Sì, certo: anche per muoversi con desiderio verso il bene, con avversione verso il male e in modo neutro verso ciò che è né male né bene. Come né il banchiere né il verduriere hanno la potestà di rifiutare la nostra moneta, il Soum, ma quando la mostri egli deve, lo voglia o no, cederti in cambio la merce venduta; così stanno le cose anche per la proairesi. Appena il bene appare, subito la proairesi lo muove verso di sé; il male, lontano da sé. La proairesi non rifiuta mai la rappresentazione evidente di un bene, non più che il verduriere il Soum- – Per questo il bene pregiudica ogni legame di parentela? – Adham, nessuno ama il prossimo, bensì il proprio bene. – Ma dov’è il bene? – Il bene è soltanto nella retta proairesi. Nulla vi è tra me e mio padre, ma tra me e il bene. – Sei così duro? – Sono così per natura. Questa è la moneta che mi ha dato la Materia Immortale. Per questo, se il bene è altro dal bello e dal giusto, spariscono padre, fratello, patria e tutto il resto. Se però si pone il bene in una retta proairesi, lo stesso serbare le relazioni può a volte diventare un bene, e anche recedendo da certi oggetti esterni si può centrare il bene. – Shavkat, e se tuo padre si porta via la roba di famiglia? – Così facendo, egli non danneggia che se stesso. – E se tuo fratello Islom avrà una parte di eredità maggiore della tua? – Quanta ne vuole! E dunque avrà pure una parte maggiore di rispetto di sé e degli altri, di lealtà, di fraternità? Chi può espellermi da queste cose? Nessuno; giacché esse sono in mio esclusivo potere e non sono soggette ad impedimenti né a costrizioni né ad impacci. – Shavkat; come Tashkent e Samarcanda, anche Bukhara non è più quella di una volta! – A cosa siamo, Adham Rustamov, alle banalità? Ci rimangono i nostri straordinari tappeti, ci rimangono edifici, come il Mausoleo di Ismail Samani proprio qui davanti ai nostri occhi, le cui pareti sono interamente coperte da motivi ornamentali ottenuti con mattoni disposti in infinite combinazioni che richiamano l’effetto del vimini intrecciato. – Ma non vi è più traccia di Islam, qui. – E ormai nessuno si ricorda neppure più di cosa fosse il Corano!
USS 145 – Brunei Darussalam, Bandar Seri Begawan
– Hakim Haji Hattan, stamattina, appena sei uscito da casa chi hai visto? – Una magnifica ragazza, Awang. – La conoscevi? – No. – E cosa hai fatto? – Ho applicato il mio canone, la diairesi. Mi sono cioè chiesto se questa magnifica ragazza fosse un’entità proairetica o aproairetica. – Lascia perdere la filosofia. E cosa hai fatto? – Mi sono risposto che si trattava di un’entità aproairetica, e così l’ho guardata senza desiderio e senza avversione. E tu? – Bello stupido che sei! Io, invece, ho incontrato un magnifico ragazzo e ho capito subito che posso ottenere da lui quello che voglio. – Lo consideri dunque un’entità proairetica, una cosa in tuo esclusivo potere? È così? – Io sì. – E la morte? – È il peggiore dei mali. È per questo che io ho un’anima immortale. – Guarda caso, proprio adesso il Sultano sta entrando con tutto il suo seguito nel Brunei Hotel, dopo l’inaugurazione del Brunei History Centre. – Beato lui! Hai notato che per questa occasione Bandar Seri Begawan, la nostra città, si è riempita anche di giornalisti stranieri? – E se vedi qualcuno piangere perché è stato derubato, cosa fai? – Penso che gli è successa una disgrazia e che se la passa male. – Tu poni il tuo bene e il tuo male fuori di te. Controdiairesi, sai cos’è? – No, e non m’importa di saperlo. Io mi chiamo Awang Zainal, e mi basta sapere quello che voglio io!
USS 146 – Myanmar, Yangon
Nel moderno Teatro Nazionale di Yangon, qualche tempo fa è stata allestita una rappresentazione del ‘Rigoletto’ di Verdi. La sera dopo, Aung Htay Win, importante ministro del Governo in carica, è andato a lamentarsi con Hkun Htun Kyaw. – Hkun, ieri sera sono stato pubblicamente ingiuriato da un certo numero di spettatori mentre ero all’Opera. È una cosa intollerabile che merita provvedimenti della Polizia, che del resto ho già provveduto ad attivare. – Aung, so anch’io cos’è accaduto. Tu parteggiavi scompostamente per uno dei cantanti, il famoso tenore italiano Pavacocci, mentre altri lo fischiavano. Che male ti facevano? Anch’essi parteggiavano come te. – Ma è così che si parteggia? Fischiando e insultando? – Aung, loro guardavano te, personaggio potente del Governo e Ministro in carica. E vedendoti parteggiare tutto acceso e scalmanato, non potevano imitarti? – Sì, ma io applaudivo! – E loro invece non erano d’accordo con te e fischiavano. Giacché se non si deve parteggiare, allora non parteggiare neppure tu. Se invece si deve, perché ti esasperi con chi ti imita? Chi pensano di dover imitare i più, se non voi gente eminente? Su chi devono tenere gli occhi quando vengono a teatro se non su di voi? Non li senti quando parlano? – Cosa si dicono? – ‘Guarda come il Ministro Aung Htay Win assiste allo spettacolo. Ha strillato: quindi strillerò anch’io. E’ balzato su: balzerò su anch’io. I suoi portaborse seduti qua e là stanno strillando. Io non ho dei portaborse: strillerò quanto posso da solo per tutti’. Questo dicono. – Io li faccio arrestare tutti. – Perché t’ingiuriavano? Ma tu stesso in questo momento mi dimostri che ogni persona odia quanto lo intralcia. Quelli volevano che fosse applaudito un cantante, tu un altro. Quelli intralciavano te e tu intralciavi loro. Tu, per il ruolo che ricopri, ti trovavi ad essere in una posizione di vantaggio; quelli facevano quel che potevano, ed ingiuriavano te che li intralciavi. Che vuoi, dunque? Fare tu quel che vuoi e quelli neppur dire quanto vogliono? Che c’è di stupefacente? – Sono avversari politici, sono delle carogne ed io li faccio sbattere tutti in galera! – Aung, se voi politicanti faceste incarcerare tutti coloro che vi ingiuriano non avreste più su chi comandare. – E dunque, cosa dovrei fare? – Quando assisti ad uno spettacolo o ad una gara dovresti dire questo a te stesso: ‘Orsù, facciamo di serbare, su questo materiale, la mia proairesi in accordo con la natura delle cose. È ridicolo che io danneggi me stesso per far vincere un certo atleta o un certo commediante’. – Chi dunque devo disporre che vinca? – Il vincitore; e così vincerà sempre chi disponi tu. Altrimenti tollera di essere ingiuriato.
USS 147 – Burundi, Bujumbura
– Leonce, voglio tornarmene a casa, a Muyinga. – Non hai più nulla di buono da fare qui, con noi, a Bujumbura? – Sono ammalato. – E a Muyinga sei al riparo dalla malattia? Aloys Banyaganakanda, puoi curarti anche qui; e meglio che a casa tua. – Lo so, ma voglio tornare a Muyinga. – Se la tua malattia non è una scusa, consideriamo insieme se stando qui con noi fai qualcosa che porta alla rettificazione della tua proairesi oppure no. Giacché se non hai concluso nulla finora, è superfluo che tu rimanga. – Rettificazione della mia proairesi, sempre gli stessi discorsi! Sono stufo e voglio tornare a casa! – Dunque, Aloys, benissimo: vattene. Torna a Muyinga, guarisci e sii sollecito delle faccende di casa tua. Se infatti la tua proairesi non può rettificarsi e porsi in accordo con la natura delle cose stando qui, potrà farlo a Muyinga, dove coltiverai il campicello e ti aggirerai per le piazze. Cattivo come sei, che cosa mai non farai malamente anche a Muyinga? – Ma Muyinga è casa mia e là sono qualcuno. – Non vuoi essere qualcuno anche qui a Bujumbura? Se comprendi, tra te e te, che stai vomitando via i giudizi insipienti con i quali sei venuto qui e ne apprendi altri al posto loro; che hai spostato il tuo baricentro da ciò che è aproairetico a ciò che è proairetico; che quando dici ‘Ohimè’ non lo dici per colpa di tuo padre o di tuo fratello ma ‘per colpa tua’; ebbene, terrai ancora conto della malattia? – Leonce Nkurunziza, vorrei vedere te al posto mio! – Io non sono mai stato malato? Lo sono stato e lo sarò. Malattia e morte sono inevitabili e sono tenute a prenderci mentre qualcosa stiamo facendo. L’agricoltore lo pigliano mentre coltiva il suo campo; il navigante mentre naviga sulla sua nave. E tu vuoi essere pigliato mentre fai che cosa? Giacché devi essere pigliato mentre fai qualcosa. Se puoi essere pigliato mentre fai qualcosa di meglio di quello che stai facendo qui, fallo pure.
USS 148 – Cambodia, Angkor
Kaoh Tum, figlio mio; Lu Lay, figlia mia: dolce mi è la morte mentre voi mi siete accanto e mi stringete le mani. Prima di lasciarci, ripetete lentamente con me quell’augurio tanto caro, che Norodom Sar Kheng affidò ai templi di Angkor e che ormai ci accompagna come uomini da tanti millenni: – ‘Possa a me accadere di essere pigliato mentre di null’altro sono sollecito che della mia proairesi, con lo scopo di saper dominare la passione, di non essere soggetto ad impedimenti, di non essere soggetto a costrizioni, di essere libero. Professando questo dispongo d’essere trovato, per poter dire alla Materia Immortale: ‘Violai forse le tue istruzioni? Usai forse per altri fini le risorse che mi desti? Usai forse balordamente le sensazioni e i preconcetti? T’incolpai forse mai? Biasimai forse il tuo governo? Mi ammalai quando tu lo disponesti: anche altri si ammalarono, ma io di buon grado. Divenni povero di denaro per tua disposizione, ma rallegrandomi. Non occupai cariche pubbliche perché tu non lo disponesti: e non smaniai mai per delle cariche. Mi vedesti forse per questo più cupo? Non ti venni sempre innanzi col viso raggiante, pronto ai tuoi ordini, ai tuoi significati? Ora tu disponi che io parta dalla sagra: me ne vado, e dico a te ogni grazie perché mi ritenesti degno di essere con te alla sagra, di vedere le opere tue e di comprendere il tuo governo’.
USS 149 – Cape Verde, Praia
Cinquecento chilometri a ovest della costa del Senegal, la mattinata è serena e luminosa: cielo di cobalto e mare di smeraldo. Verso Occidente, stracci di nuvole pendono una decina di braccia sopra l’orizzonte. Col favore del vento, un’imbarcazione ha lasciato il porto della capitale, Praia, sull’isola di Santiago, e si è avviata alla pesca del tonno. – Isildo Joao Alem, cos’è più possente nell’ordine del mondo? – Carlos, perché me lo chiedi? – Perché anch’io desidero andarne in cerca per conoscerlo ed osservarlo, come si farebbe con le opere più eccellenti di una città. – Quasi nessuno obietta che tre classi di cose concernono principalmente l’essere umano: le cose dell’animo, quelle del corpo, gli oggetti esterni. – Ebbene, è compito tuo rispondermi e dirmi quale sia la più possente. – Che cosa ti risponderò, Carlos? La carne? Per questo Ulisse ritornò a Itaca, per godere nella carne? – Non è così. È Ulisse stesso a dirci che Calipso, quanto ad avvenenza e capacità amatorie, valeva ben più di Penelope! – E non conviene parteggiare per quanto è più possente? – Conviene di sicuro. – Cos’abbiamo dunque più possente della carne? Gli oggetti esterni? – L’acqua, Isildo. – Un giorno qui da noi cominciò la condanna della siccità. Pioveva sempre meno, anche una sola volta l’anno. Se pioveva e quando pioveva era festa grande: bambini, ragazzi e ragazze, tutti erano in strada a manifestare gioia incontenibile con danze e giochi, sotto lo scroscio delle grondaie o nel fango dei vicoli. Anche gli adulti uscivano da casa e si scambiavano visite e parlavano con coraggio ritrovato del raccolto, del futuro. Siamo sopravvissuti anche a questo. No, Carlos, non sono gli oggetti esterni: è l’animo. – E i beni di ciò che è più possente sono migliori di quelli di ciò che è più debole? – Sì. sono migliori quelli del più possente. Ecco, fermiamoci e peschiamo qui.
USS 150 – Chad, N’Djamena
– Delwa, figlio mio, ti rispondo così: la tua vita è come un viaggio che potrà portarti in tre città diverse. – Papà, in tre città? – Chi vive ad Abéché pensa che solo gli oggetti esterni siano i beni o i mali dell’uomo. – Quali oggetti esterni? – Tutti, Delwa: il denaro, il lavoro, l’acqua, la terra, il fuoco, l’aria e così via e così via. Chi vive a Moussoro pensa invece che soltanto quanto riguarda il corpo, ad esempio l’integrità delle sue parti, la salute fisica, il piacere sessuale e così via, rappresenti il bene o il male dell’uomo. Delwa, gli oggetti esterni, la salute fisica e tutto il resto sono entità proairetiche o aproairetiche? – Papà, siccome non sono in nostro esclusivo potere, sono entità aproairetiche. – Dunque chi vive ad Abéché e a Moussoro pensa che i beni e i mali dell’uomo siano aproairetici. – E cosa succede nella terza città? – Chi vive a N’Djamena pensa invece che solo i retti giudizi sugli oggetti esterni, sul nostro corpo e su noi stessi siano i beni dell’uomo e le fonti del nostro piacere, così come i giudizi non retti siano i mali dell’uomo e le fonti del nostro dispiacere. Beni e mali dell’uomo sono qui entità proairetiche. – Papà, ma tu sei sempre vissuto a N’Djamena? – No, Delwa. Idriss Yaodimunadji ha viaggiato e vissuto sia ad Abéché che a Moussoro. Poi, un giorno, mi sono reso conto che quelle due città non facevano più per me ed ho scelto di vivere a N’Djamena. Qui ho conosciuto tua madre e sei nato tu. – Papà, voglio anch’io viaggiare, fare esperienza delle altre due città. – È sano questo tuo desiderio, figlio mio. Non si tratta di disprezzarle ma di conoscerle e di dare loro il giusto valore. Soltanto dopo avere percorso quel cammino, incontrato difficoltà e pericoli potrai capire appieno il significato di quello che ti ho appena raccontato e scegliere, se così reputerai bello e se la sorte te lo permetterà, dove vivere.
USS 151 – Comoros, Vanambwani
– Suvvia, Fatima, un po’ di coerenza! Se i beni dell’animo sono aproairetici ed il denaro è un bene, perché non rubare? Perché ti astieni dal tuo peculiare bene?Questo non è soltanto stolto, ma anche stupido! Neppure se mi dirai che te ne astieni, mi fiderò di te. Giacché com’è impossibile assentire a quanto appare falso e stornarsi dal vero, così è impossibile distornarsi da quanto ci appare un bene. Se la ricchezza di denaro è un bene e, quale che sia, certo il più fattivo di piaceri, perché non te lo procaccerai? Perché non cercherai di rubare il denaro della tua vicina, se sei certa di poter sfuggire alla scoperta? E se quella farà chiacchiere, perché non le farai rompere l’osso del collo? Così è se vuoi essere una filosofa quale si deve, una filosofa perfetta e conseguente con i tuoi giudizi. Ulfat Djaangani è stata colta dalle doglie nel villaggio di Vanambwani, sulla costa dell’isola di Grande Comore, poche ore dopo la partenza dell’amica Fatima Affraitane. Il marito di Ulfat, Ahmed, era nella capitale, a Moroni, qualche decina di chilometri più a sud e non sarebbe tornato che il giorno dopo. Pur essendo irrimediabilmente sola e al suo primo parto, Ulfat ha avuto fortuna, non si è persa d’animo e ha dato prova di straordinaria virtù. Il suo utero ha cominciato a contrarsi in modo ritmico. La membrana amniotica che circonda il feto si è rotta normalmente e si è avuta la fuoruscita del liquido nel quale finora il bambino galleggiava. Ulteriori violente contrazioni hanno espulso il bambino – un maschietto – dal grembo, spingendolo nel canale vaginale e poi nel mondo esterno. Una ripresa delle contrazioni ha fatto sì che la placenta si staccasse e venisse regolarmente espulsa. Quindi Ulfat ha reciso il cordone ombelicale che legava il bambino alla placenta come fanno tutti gli altri primati, mordendolo e rompendolo con i denti. Quando Ahmed è tornato ha trovato Ulfat che dormiva sfinita. Anche il bambino dormiva in grembo alla madre, con il capo appoggiato sul suo seno. Il moncone che è rimasto attaccato al ventre del bambino è seccato ed è caduto pochi giorni dopo.
USS 152 – Costa Rica, San José
Durante la proiezione del film, Hernan Guevara Cruz ha sentito suonare una campana, ma non ha saputo stabilire se suonasse nel film oppure fuori, nel campanile della Chiesa accanto al cinema, nel Barrio Otoya di San José. – Laura Casas Zamora, secondo te dove suonava la campana? – Hernan, te lo dirò poi. Del film che abbiamo visto, quello che mi ha interessato di più è stato l’accento posto sull’uso della diairesi e della controdiairesi. Così come ci tocca ogni giorno rispondere a domande come la tua, così bisognerebbe allenarsi ogni giorno anche con le rappresentazioni, giacché anch’esse ci pongono delle domande. Se io ti dico: ‘Hernan, è morto il figlio di Bautista. Tu cosa rispondi? – Non so cosa rispondere. – Rispondi: ‘È accaduto un fatto aproairetico sia per Bautista che per il figlio che per noi, dunque la morte del figlio di Bautista è né un bene né un male’. – Sì, ma dove suonava la campana? – Fulgencio è stato diseredato da suo padre Ramon. Che cosa rispondi? – Ah! Non lo sapevo. – Per Fulgencio si è trattato di un evento aproairetico, che dunque per lui è né bene né male. Non conosciamo le motivazioni di suo padre Ramon ma possiamo affermare che la sua scelta è stata un evento proairetico e dunque che Ramon ha fatto bene o male. – Sì, ma dove suonava la campana? – Cesar è stato condannato a sei mesi di carcere. – Davvero? – La condanna di un tribunale è sempre un evento aproairetico per il giudicato, dunque qualcosa che è né bene né male. È proairetica per il giudice e dunque è il giudice che può operare bene o male in questa occasione. Il bene o il male hanno riguardato Cesar quando ha, oppure non ha, commesso il delitto di cui è accusato. – Sì, ma dove suonava la campana? – Ignacio è stato respinto da Clara e s’è afflitto per questo. – M’insegni come fai a sapere tutte queste cose? – Il comportamento di Ignacio è un evento proairetico, e la sua afflizione è male. – Sì, ma dove suonava la campana? – Orlando ha resistito con determinazione e generosità ai tentativi di corruzione di Pablo. – Orlando è un cretino. – Orlando ha conservato la sua proairesi libera, infinita, inasservita, incondizionata. E questo è bene. – Lo sarà pure, Laura, ma dove suonava la campana?
USS 153 – San Marino, San Marino
– Loris Terenzi, amico mio, in questo momento mi sento sconfitto dalla rappresentazione di una magnifica ragazzina che ho visto a Riccione. – Fabio, e dunque? – Beh, non è gran cosa; anche l’altro ieri fui sconfitto da una simile rappresentazione. – Della stessa ragazza? – No, era un’altra. – Loris, adesso sta nascendo in me uno slancio irresistibile a denigrare qualcuno. – Non riesci a dominarlo? – Che vuoi che ti dica? Anche l’altro giorno non ho denigrato Franco Stolfi? – Fabio, tu vai cianciando come se ne fossi uscito senza punizione, come se al medico di Borgo Maggiore che ti ha vietato di esporti a lungo ai raggi solari tu rispondessi: ‘Ma l’altr’anno a Cesenatico non mi sono abbronzato senza alcun problema?’. – Hai ragione, perché il medico potrebbe dirmi: ‘Caro Francini, se lei non segue i miei consigli la sua seria dermatite potrebbe diventare presto qualcosa di irreparabile’. – E farai bene a seguire il consiglio del medico. Tu l’altro giorno, denigrando Franco Stolfi, non hai fatto opera da persona maligna, da chiacchierone? Non hai nutrito la tua riprovevole attitudine dandole in pasto le opere attinenti? Se ti lasci sconfiggere dalla rappresentazione dalla ragazzina di Riccione credi di rimanere impunito? Bisognerebbe, io credo, che tu ti ricordassi di astenerti dalle medesime aberrazioni, come gli schiavi di un tempo dalle botte. – Ma il fatto non è simile, perché io non sono uno schiavo. – Già, perché nel caso dei servi tu dici che è il dolore a formare il ricordo, mentre nel caso delle tue aberrazioni quale dolore, quale punizione forma il ricordo? Ti è mai venuto il dubbio e non hai mai riflettuto di quale schiavitù tu sia schiavo?
USS 154 – Serbia, Novi Sad
Diretto a Belgrado per una Causa Amministrativa riguardante la sua elezione a Sindaco di Sombor, Mladjan Dacic si è fermato a Novi Sad, dove ha raccontato a Vojislav Draskovic delle sue vicissitudini politiche. – Vojislav, vincerò o perderò la causa? – Mladjan, se cerchi di sapere da me cosa succederà a Belgrado, se avrai successo o fallirai, ebbene io non ho un principio generale da offrirti al riguardo. Se però cerchi di sapere da me come andrà a finire, dico che se hai retti giudizi finirà bene; se insipienti, male. Giacché causa dell’effettuare qualcosa è sempre un giudizio. Qual è, infatti, il motivo che ti ha spinto a candidarti alla carica di Sindaco di Sombor? Un certo giudizio. Qual è il motivo per cui ora vai a Belgrado? Un certo giudizio. – Ma quello che sto facendo è necessario. – Chi ti dice questo? Non è il tuo giudizio? – Devo ammettere che è così. – Se dunque all’origine di azioni come la tua vi sono sempre dei giudizi ed uno ha giudizi insipienti, qual è la causa tale sarà anche il risultato. – Ma guarda che io sono sicuro di essere dalla parte della ragione, di avere giudizi sani. – Ma anche il tuo avversario la pensa di sicuro come te. Allora come mai litigate? Sani sono i tuoi giudizi piuttosto che i suoi? E perché? – Perché lo reputo. – Anche quello lo reputa ed anche i pazzi lo reputano. Mladjan, questo è un malvagio criterio. – Vojislav, e quale criterio ti devo invece mostrare? – Mostrami di avere fatto qualche esame e prestato qualche sollecitudine ai tuoi giudizi. Tu adesso vai a Belgrado perché smani di essere Sindaco di Sombor e non ti bastano le cariche che hai avuto finora. Ebbene, quando hai smaniato così per un esame dei tuoi giudizi e, se ne hai qualcuno insipiente, per espellerlo? Davanti a chi ti sei mai proposto di comparire per questo? Cosa vuoi dunque che ti dica? – Aiutami nella faccenda di adesso. – Non ho da offrirti, al riguardo, principi generali. E se sei venuto da me per questo, non sei venuto da me come da si deve andare da un amico e da un filosofo ma come si va da un verduriere o da un calzolaio. – Ma i filosofi per cos’hanno dunque dei principi generali? – Per questo: qualunque cosa succederà, per avere la nostra proairesi in accordo con la natura delle cose. Reputi piccola cosa, questa? – No, la reputo grandissima! – E dunque? Ha bisogno di poco tempo ed è possibile acquisirla di passaggio? – Speravo altro da te, Vojislav; in nome della nostra amicizia! – E poi racconterai: ‘A Novi Sad ho parlato con Vojislav, ma è diventato un sasso, una statua’. Giacché mi hai visto e basta. Da uomo a uomo si conferisce, invece, decifrando i giudizi dell’altro, controllandosi a vicenda ed eliminando i rispettivi cattivi giudizi. Questo è conferire con un filosofo. No, invece tu pensi: ‘Sono di passaggio a Novi Sad e, mentre aspetto la coincidenza di un autobus, passo a visitare Vojislav Draskovic. Vediamo che cosa dice mai’. E poi, appena uscito di qua continui a pensare: ‘Questo Vojislav non vale proprio nulla; parla pure un serbo pieno di solecismi e di barbarismi’. – Vojislav, ma se io sto dietro alle cose che dici tu, non soltanto non sarò Sindaco di Sombor ma rischio di perdere quello che ho: la terra, la casa, i titoli. – Se io non li ho perché a me basta quello che ho, perché tu dovresti temere di perderli? – Come? Ma…- – Io non ne ho bisogno mentre tu, pur se molto già possiedi, hai bisogno d’altro e quindi, lo voglia o no, sei più povero di me. – Sentiamo: di cosa ho bisogno? – Di quanto non hai: di essere emotivamente stabile, di avere l’intelletto in accordo con la natura delle cose, di non essere sconcertato. – Ma così sarà se sarò Sindaco! – Mladjan, a tanto arriva la tua insipienza? Sindaco, non sindaco, che importa? – Importa a me! – Mladjan, chi è più ricco tra noi due? Io non sono in ansia per cosa il Giudice Amministrativo deciderà di me e non adulo nessuno per questo. Questo ho in cambio dell’argenteria e dell’oreficeria. Tu hai suppellettili d’oro, ma hai di terracotta la ragione, i giudizi, gli assensi, gli impulsi, i desideri. Le cose che hai, paiono a te tutte piccole; a me, le mie paiono tutte grandi. La tua smania è insaziabile; la mia, non essendo smania, è stata saziata.
USS 155 – Cote d’Ivoire, Abidjan
– Alassane Gbagbo, a Yamoussoukro è morto il figlio di Laurent. – Akoto, cos’è accaduto? – A Yamoussoukro è morto il figlio di Laurent. – Null’altro? – Come, null’altro? – Alassane, la nave su cui era imbarcato Charles è affondata davanti a Sassandra. – Cos’è accaduto? – È affondata la nave su cui era imbarcato Charles davanti a Sassandra. – Null’altro? – Alassane, Konan è stato messo in prigione qui, ad Abidjan. – Cos’è accaduto? – Konan è stato messo in prigione qui, ad Abidjan. – Null’altro? – No. – Akoto, il che ‘è finito male’ ciascuno lo addiziona di suo. Se ci abituiamo a non addizionarlo a sproposito, allora faremo profitto; giacché non assentiremo mai ad altro che alla rappresentazione che davvero merita il nostro assenso. – Ma questo non è naturale! – Perché non è naturale? Perché la natura ti ha fatto resistente, nobile, magnanimo? Perché ha sottratto agli eventi esterni la qualità di essere beni o mali? Perché ti ha dato la potestà di essere felice anche sperimentandoli? Perché ha lasciato la porta sempre aperta, qualora non facciano per te? Akoto Ouattara, esci da qui e non incolpare la natura.
USS 156 – United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland, Londra
Ho rivisto Nora Brown un mese fa a Londra, nella sua casa di Notting Hill. Per farmi un esempio di cosa si debba intendere per ‘rappresentazione catalettica’, Nora ha preso in mano l’ultimo volume di ‘La Seconda Guerra Mondiale’ di Winston S. Churchill e mi ha riletto questo brano, nel quale Churchill parla di sé nel 1945, subito dopo la fine della guerra e la vittoria degli Alleati: “Io passavo in mezzo agli evviva di folle plaudenti oppure sedevo a tavoli imbanditi di felicitazioni e complimenti che provenivano da ogni parte del mondo, ma il mio cuore era dolorante e la mia mente oppressa da presentimenti orribili. Proprio al culmine di un successo che appariva tanto smisurato, io vivevo invece un tempo infelicissimo”. Come è sempre stato, sempre è e sempre sarà, questa è la principale differenza tra l’animo del sapiente e quello dell’insipiente. Quest’ultimo ritiene davvero felice un individuo in base alla semplice impressione di vederlo applaudito e sorridente. Invece non basta vedere una persona sorridente ed applaudita per giudicarla felice. Bisogna prima conoscerne bene i giudizi. Solo così possiamo evitare di commettere l’errore di avere una rappresentazione e di dare il nostro assenso ad un’altra.
USS 157 – Cyprus, Paphos
– Tassos Kliridis, so che il neutrino è una particella senza carica elettrica e con massa piccolissima, che interagisce molto raramente con le altre particelle. – Sì, Alekos: ed anche praticamente indistruttibile. I neutrini che hanno origine nel sole dalla fusione dei protoni in nuclei di elio raggiungono continuamente la terra e l’attraversano più facilmente che se essa fosse trasparente. – E attraversano pure noi? – Certo: ogni secondo, giorno e notte, ogni centimetro quadrato del nostro corpo è attraversato da più di sessanta miliardi di neutrini in provenienza dal sole. – E io non sento nulla? – Non senti nulla proprio perché essi interagiscono molto raramente e molto debolmente con gli atomi di cui sei composto. – Tassos, ricordo che un tempo si parlava di un mistero a proposito dei neutrini. – Dici: ‘Il mistero dei neutrini mancanti’? – Proprio quello. Sulla base dei migliori calcoli fatti, mancava all’appello circa il settanta per cento dei neutrini previsti dalla teoria. Tu ne sai qualcosa? Che fine hanno fatto? – Alekos, il mistero non è più tale. I neutrini non mancano più, sono stati trovati. – E come? – La differenza era dovuta al fatto che i neutrini solari sono di tre tipi: neutrino-elettrone, neutrino-muone e neutrino-tau. Questi tre tipi di neutrino possono convertirsi, entro certi limiti, uno nell’altro, ma i rivelatori a disposizione fino a qualche secolo fa permettevano di misurare soltanto la quantità di neutrini-elettrone. – Tassos, allora possiamo ormai trasformare questi sassi in pane! – No, Alekos; troppo facile. Chi pur lo sapesse fare, non di questo dovrebbe vantarsi. – E di cosa allora? – Viviamo a Paphos, dal cui mare i miti raccontano che Afrodite nascesse e poi fosse regina. Per coloro che disubbidiscono al governo della Materia Immortale, qui come ovunque, vi sono castighi costituiti per inviolabile legge che dice: ‘Chiunque riterrà bene qualcosa di aproairetico sia preda dell’invidia, smani, aduli, si sconcerti. Chiunque riterrà male qualcosa di aproairetico sia preda dell’afflizione, pianga, si lamenti, abbia cattiva fortuna’. Guardati intorno: seppure così amaramente castigati, alcuni di noi non sono capaci di abbandonare i cattivi giudizi. – Quali cattivi giudizi? – Per esempio ritenere che il bene consista nel conoscere la soluzione del mistero dei neutrini mancanti e il male nella sua ignoranza. Alekos, vediamo invece se siamo capaci di trasformare l’invidia in compiacimento, la smania in calma, l’adulazione in dignità, lo sconcerto in armonia, l’afflizione in diletto, il pianto in allegrezza, il lamento in giubilo, la cattiva fortuna in buona sorte. Solo allora…- – Tassos, tu…dove…- Un repentino palpito d’ali. Un pettirosso si è posato sulla spalla destra di Tassos.
USS 158 – Timor-Leste, Dili
– Abilio, tu sei abituato ad esercitare desiderio ed avversione soltanto verso ciò che è aproairetico. Se dunque intendi vivere felice devi cambiare abitudini. – Vicente da Silva Ximenes, è difficile cambiare abitudini! – Siccome l’abitudine è un precedente potente e tu sei un principiante, devi contrapporre a quest’abitudine l’abitudine opposta. – L’abitudine opposta? Che cosa significa? – Hai inclinazione per il piacere fisico: devi oscillare all’opposto, per esercizio pratico. Hai avversione per il dolore fisico: allenerai le tue rappresentazioni a dominare l’avversione preconcetta ad esso. – Magari si trattasse soltanto di piacere o di dolore fisico! – Ancora meglio, Abilio! Se sei focoso, allenati a tollerare d’essere ingiuriato e a non adontarti d’essere disprezzato. E poi continuerai così fino a quando potrai dire a te stesso, se qualcuno penserà di poterti fare oltraggio: ’Fa conto di non avere sentito’. – Fino a quando? – Fino a quando ti sentirai forte abbastanza per riconoscere se le rappresentazioni ti sconfiggono ancora come una volta. Ma fino ad allora fuggi lontano dalle rappresentazioni più potenti. Impari è la battaglia tra una ragazza graziosa e un giovane che intraprende appena la strada della diairesi. Pentola e pietra, si dice, non vanno d’accordo. – Vicente, io non ho soltanto desideri e avversioni, ma anche impulsi e repulsioni che non possono aspettare. – Anche per essi esercitati in modo da obbedire alla ragione, per non agire fuori tempo, fuori luogo o fuori di qualche altra simile simmetria. – E quando sono tormentato da immaginazioni, paure, entusiasmi improvvisi, cosa devo fare? – Non accettare nessuna immaginazione prima di averla sottoposta a un’indagine accurata. – Cosa significa sottoporla ad indagine? – Significa dirle: ‘Aspetta, lasciami vedere chi sei e da dove vieni’. – Come fanno le sentinelle quando pretendono dagli sconosciuti la parola d’ordine? – Proprio così. Dille: ‘Hai da parte della natura il segno distintivo che deve avere la rappresentazione che sarà accettata?’. E non fare questo per sfoggio, ma per te stesso, ricordando che ciò vale qui a Dili, come vale a Baucau, a Maubisse, a Los Palos, a Decusse, ad Atauro e tanto se parlassimo in lingua Tatum o in Portoghese.
USS 159 – Gambia, Banjul
Sidia Jammeh ha lasciato la natia Kuntaur, dove coltivava arachidi, e si è trasferito a Banjul dove, da qualche anno, vive di piccolo commercio. – Yahya Darboe, sono solo. – Sidia, cosa significa ‘solo’? – Che non ho nessuno intorno a me. Vivo qui a Banjul, ma tutti mi hanno abbandonato. – E se invece avessi intorno a te molta gente affermeresti di non essere solo? – Sì, direi di non essere solo. – Ma se nessuno di costoro muovesse un dito per te e tutti ti ignorassero, non continueresti ad essere ‘solo’? – Ma è possibile una cosa del genere? – Lo sai benissimo anche tu che è possibile. Dunque vale la pena di distinguere la solitudine dall’isolamento. – Yahya, cosa intendi per isolamento? – Isolamento è la condizione di chi è senza possibili aiuti. Chi è solo non è automaticamente subito anche isolato, come neppure si può dire che basta essere fra molta gente per non essere isolati. Chi perde un fratello, un figlio, un amico nel quale trovava conforto, a volte può dire di sentirsi isolato pur trovandosi circondato da tante persone e magari avendo pure uno stuolo di servitori. – Vuoi dunque dire che la mia sofferenza non è solitudine ma isolamento? – Se la semplice solitudine nulla ha a che vedere con l’isolamento, vedi che l’isolamento di cui ti lamenti è afflizione per la mancanza di possibili aiuti. Chiediti se questi possibili aiuti siano cosa proairetica o aproairetica. – Siccome dipendono dalle decisioni e dalla presenza di altre persone, direi che sono aproairetici. – Dici bene, Sidia. Dunque tu nutri il desiderio di qualcosa che è aproairetico e ti affliggi per l’incertezza di conseguirlo o non conseguirlo o anche, il che è lo stesso, per il timore di incappare in qualche circostanza che avversi. – Hai ragione. Se ci penso bene non sarebbe la vista o la compagnia di una persona qualunque a togliermi dall’isolamento, ma quella di una persona leale, rispettosa di sé e degli altri, giovevole. – Nondimeno bisogna avere preparazione anche per questo, per poter bastare a se stessi, per poter stare con noi stessi quando la sorte ci mette in questa condizione. Noi dobbiamo poter parlare a noi stessi, non abbisognare d’altro, non difettare del modo di essere sereni anche se siamo costretti alla solitudine, riflettendo sul governo della Materia Immortale e sulla nostra relazione con tutto il resto.
USS 160 – Georgia, Tbilisi
– Qui dove abitiamo, nella favolosa Colchide, si racconta che un tempo venisse Giasone a cercare il vello d’oro. – Sbarcò tra Poti e Bitumi e gli erano compagni d’avventura, insieme a molti altri eroi, Ercole e Orfeo. – E Medea s’innamorò di lui e poi abbandonò i suoi per seguirlo. – Secoli dopo, qui sorse la grande città di Tbilisi, che fu poi distrutta e perì per mano di Mikheil, il russo. – Oggi Zviad Gamsakhurdya sembra procurarci una pace grandiosa. Su tutta la Terra oggi non ci sono più guerre, né battaglie, né grandi rapine o atti di pirateria. Si può viaggiare in sicurezza a qualunque ora del giorno e della notte, navigare da levante a ponente. Ma può forse Zviad Gamsakhurdya procurarci pace anche dalla febbre, anche da un naufragio, anche da un incendio o da un terremoto o da un fulmine? E dalla passione amorosa? Temur, può farlo? – Bachuki Usupashvili, non può. – Dal pianto? – Non può. – Dall’invidia? – Non può. – Egli non può fare nulla di ciò. Dunque vedi, Temur, che la nostra proairesi è capace di fare ben più di quel che può fare un qualunque grandissimo Zviad Gamsakhurdya.
USS 161 – Grenada, Saint George’s
Justin Mitchell ha casa nella capitale Saint George’s, nella zona del Carenage. Una sua trisavola, vissuta e morta a Hillborough, nella vicina isola di Carriacou, gli ha lasciato in eredità un fascio di vecchissime lettere, la lettura di una delle quali ha colpito Justin in modo particolare. È la lettera di una persona, che si firma Erste, vissuta certamente molti molti secoli addietro, perché parla di avvenimenti dei quali s’è persa la memoria. Questa è la parte di testo dalla quale Justin è rimasto più impressionato: “Ma tutti udirono il grido del morente, esso penetrò le grosse antiche barriere di inerzia e di remissione, percosse il centro vivo dell’uomo in ciascuno di noi. – Kameraden, ich bin der Letzte. (Compagni, io sono l’ultimo!) Vorrei poter raccontare che fra di noi, gregge abietto, una voce si fosse levata, un mormorio, un segno di assenso. Ma nulla è avvenuto. Siamo rimasti in piedi, curvi e grigi, a capo chino, e non ci siamo scoperta la testa che quando il tedesco ce l’ha ordinato. La botola si è aperta, il corpo ha guizzato atroce, la banda ha ripreso a suonare, e noi, nuovamente ordinati in colonna, abbiamo sfilato davanti agli ultimi fremiti del morente. Ai piedi della forca, le SS ci guardano passare con occhi indifferenti; la loro opera è compiuta e ben compiuta. I russi possono ormai venire: non vi sono più uomini forti fra noi, l’ultimo pende ora sui nostri capi, e per gli altri, pochi capestri sono bastati. Possono venire i russi: non troveranno che noi domati, noi spenti, degni ormai della morte inerme che ci attende. Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice. Alberto ed io siamo rientrati in baracca, e non abbiamo potuto guardarci in viso. Quell’uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo dal nostro, se questa condizione, da cui noi siamo stati rotti, non ha potuto piegarlo. Perché, anche noi siamo rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e a reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo. Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna”. – A parte la frase in tedesco, lingua che è parlata ancora oggi, si accenna a delle fantomatiche SS. Gloria Banfield, tu sai chi fossero? – Non ne ho la minima idea, Justin. La lettera parla di persone che, forse in un ovile, un grande ovile, assistono alla morte di qualcuno. – Direi per impiccagione. Cos’è, secondo te, ‘il centro vivo dell’uomo in ciascuno di noi’ di cui si parla? – Al tempo del tuo antenato Erste, non gli era ancora stato dato un nome. Il nome che oggi tutto il mondo usa per indicarlo è ‘proairesi’. – Perché Erste scrive di sentirsi abietto, di essere oppresso dalla vergogna? – Perché egli sta facendo violenza a se stesso, con il negare il carattere libero, inasservibile e insubordinabile della sua proairesi. Questa operazione che la proairesi può compiere su se stessa si chiama oggi ‘controdiairesi’. Erste giudica non essere in suo esclusivo potere ciò che invece è in suo esclusivo potere. – E come spieghi l’indifferenza di quelle fantomatiche SS? – Anch’esse usano la ‘controdiairesi’, in quanto giudicano in loro esclusivo potere ciò che invece non è in loro esclusivo potere. – A cosa alludi? – Alla proairesi di Erste e degli altri presenti. – E l’innominato che muore? – Chi muore è l’unico tra tutti che fa la figura, giacché ormai nessuno potrà mai più avere la certezza che ciò corrisponda al vero, di colui che sa conservare libera, inasservibile e insubordinabile la sua proairesi. – A costo della vita. – Certamente, Justin. Tutto il mondo oggi chiama ‘diairesi’ l’operazione che la proairesi dell’innominato ha compiuto su se stessa e, salvo aspetti che adesso non è il caso di approfondire, la loda. – Tra Erste e le SS dunque non c’era differenza? – A questo riguardo non c’era differenza; anche se altre, e molte, differenze c’erano. Ma, per ora, non indaghiamo oltre la faccenda. – Chissà che fine ha fatto Erste. Gloria, chissà se è sopravvissuto alla vergogna!
USS 162 – Mali, Timbuktu
Timbuktu è situata circa 15 chilometri a nord del fiume Niger, all’intersezione delle principali direttrici Nord-Sud ed Est-Ovest del traffico Sahariano. Quantunque oggetto di continue opere di restauro, la città è oggi preda di una forse inarrestabile desertificazione del territorio che la circonda. Choguel Konaré ha incontrato l’amico Tiebìle Traore nei pressi della moschea di Sankore. – Tiebìle, invece la ragione, la ragione dei filosofi promette di procurare pace anche da questo. – Choguel, e quali sono le parole della ragione? – Uomini! Se mi presterete attenzione, dove sarete, qualunque cosa farete non sarete afflitti, non sarete adirati, non sarete costretti, non sarete impediti ma ve la passerete sapendo dominare le passioni e liberi da tutto. Chi, avendo questa pace proclamata non da qualche politicante ma dalla Materia Immortale attraverso la ragione, ha ancora timore della desertificazione? – Sì, ma ci toccherà lasciare Timbuktu! – Quando dovremo farlo, ubbidiremo al segnale della ritirata e ce ne andremo. La porta è sempre aperta, e quando la Materia Immortale ci dice ‘Vieni’, è inutile resisterle. – Vieni dove? – Dove? A nulla di terribile, ma là onde nascesti; a quanto ti è amico e congenere, agli atomi, agli elementi. I nostri padri dicevano: ‘Quanto vi è in te di fuoco se ne va in fuoco; quanto di terra, in terra; quanto di aria in aria e quanto d’acqua, in acqua. Oggi possiamo dire qualcosa di più preciso. – Cosa? – Come tutto ciò che ci circonda, anche noi siamo costituiti da atomi, le interazioni tra i quali spiegano tutte le nostre qualità. Gli atomi sono costituiti a loro volta da particelle che qui, per semplicità riduciamo a due: protoni ed elettroni. – Ne ho sentito parlare, Choguel. – Per ulteriore semplicità, Tiebìle, lasciami trascurare gli elettroni e consideriamoci come costituiti soltanto di protoni. – Te lo concedo, e sappi che la massa del mio corpo è di 80 chili. – Bene; siccome la densità teorica di un protone si aggira intorno ai 940 milioni di tonnellate per centimetro cubo, vuoi sapere a quale volume teorico di materia corrispondi tu? – Sì, dimmelo. – Se si potessero impacchettare tutti i protoni di cui sei composto uno accanto all’altro in una sferetta, tu entri tutto in una sferetta invisibile a occhio nudo, con un diametro di circa 5 millesimi di millimetro. – Sono così piccolo? – Tutta l’umanità attualmente vivente, 7 miliardi di individui, starebbe tutta in una sferetta con un diametro di circa un centimetro. – Come le palline di vetro con le quali giocano i bambini? – Esattamente: grande come l’unghia del tuo pollice; e non intendo andare oltre, anche se potrei. Vuoi che parliamo ancora di desertificazione?
USS 163 – Malta, La Valletta
– Harry Adami, cosa ci faceva Caravaggio a La Valletta quasi mille anni fa, nel lontano 1608? – Ci dipingeva la grande tela che abbiamo davanti a noi, qui nella Cattedrale di S. Giovanni dei Cavalieri: ‘La Decollazione del Battista’. – Voglio dire, come mai era finito in un posto fuori mano come questo? – Lawrence, fuggiva dall’arresto e dalla possibile pena capitale per un assassinio che aveva commesso. – Caravaggio era un assassino? – Sì, ed anche dedito al lenocinio. A Roma, ai campi di gioco del Muro Torto, sotto Villa Medici, il 29 Maggio del 1606 ci fu una rissa, quattro contro quattro, per un fallo – almeno così si racconta – al gioco della racchetta. Spalleggiato da Onorio Longo e da Antonio Bolognese, Caravaggio fu ferito ma uccise un altro lenone, Ranuccio Tommasoni da Terni. Fuggito da Roma, si rifugiò in vari luoghi tra cui Palestrina, Mantova, Napoli e infine eccolo a Malta. – E quanto tempo rimase qui nell’isola? – Un anno circa, tra la metà del 1607 e la fine del 1608. Il 14 Luglio del 1607 era stato accolto nell’Ordine di Malta come cavaliere di Grazia, ma il 6 Ottobre 1608 su istanza del procuratore fiscale dell’Ordine stesso, il quale era venuto a conoscenza delle vere ragioni della fuga di Caravaggio da Roma, si riunì una commissione criminale incaricata di istruttoria a carico del pittore. Ma egli era già fuggito da Malta e si trovava ormai a Siracusa. – Questa tela è magnifica. Comunque la si guardi, non trovo relazione alcuna tra il pittore e un lenone assassino! – Questa tela è la più grande che Caravaggio abbia mai dipinto e la fama dell’opera fu subito così grande che molti artisti di quel periodo affrontarono il non agevole viaggio a Malta per vederla. Trascurare il lenone e l’assassino, e tenerci per un momento il pittore? Concediamocelo. Come certi cantanti non possono cantare da soli ma devono cantare in coro, così taluni non sanno e non possono camminare soli. Invece tu, uomo, se sei qualcuno cammina anche solo, parla con te stesso e non nasconderti nel coro. Sii schernito, talora. Guardati attorno e scuotiti. Riconosci chi sei.
USS 164 – Monaco, Montecarlo
– Albert Magnan, dov’è la differenza tra un uomo e un essere umano? – René, anche a Montecarlo la differenza tra uomo ed essere umano sta nell’atteggiamento diairetico o controdiairetico della sua proairesi. – Vedi, uno mi dice: ‘Io sono migliore di te perché mio padre è un principe’. Un altro mi dice: ‘Io sono migliore di te perché mio nonno è stato ambasciatore, il tuo no’. – Tu rispondigli: ‘Se io e te fossimo cavalli, tu cosa diresti?’. – Mi direbbero che sono migliori di me perché ‘Mio padre era più veloce del tuo’; oppure perché ‘Io ho molto orzo e molto foraggio mentre tu non ne hai’; oppure ancora perché ‘Io ho un’elegante gualdrappa e tu no’. – Se ti dicono questo, tu ribatti loro: ‘Sia pure così come voi dite, però adesso facciamo una corsa e vediamo chi è più veloce’. Orsù, per una persona non vi è nulla di simile a quel che la corsa è per un cavallo, e grazie a cui si potrà riconoscere chi è peggiore e chi è migliore? Non vi sono forse il rispetto di sé e degli altri, la lealtà, la giustizia? Mostrati migliore in questi, René, per essere migliore come uomo. A chi ti dirà: ‘Ma io tiro dei gran calci’; tu rispondi: ‘Bravo, fai gran pregio di un’opera da asino’.
USS 165 – Saint Vincent and the Grenadines, Kingstown
– Ralph, sei mai stato a Savan Island? – No, Arnhim Gonsalves; non ci sono mai stato, anche se so che non è lontana da Saint Vincent. Tu la conosci? – Sì. – E che isola è? – L’isola che tutti cercano. Qui tutto, infine, trova una buona spiegazione. Qui ci si può fondare su solide prove. Non ci sono percorsi diversi da quelli che vanno diritti alla meta. I cespugli si piegano sotto il peso delle risposte. Qui cresce l’albero della diairesi, le cui fronde sono sbrogliate da sempre. L’albero dei Retti Giudizi, luminosamente semplice, si eleva nei pressi di una sorgente chiamata proairesi. Più si avanza e più vasta si apre la Valle dell’Evidenza. Se sussiste un Cattivo Giudizio, subito il vento lo scaccia. L’eco prende la parola senza che vi sia bisogno di chiederglielo, e svela fervoroso gli Arcani del Mondo. A destra, vedrai la caverna dove si rispecchia l’Antidiairesi. A sinistra, la laguna della Convinzione Profonda. La Verità vi risale alla superficie senza difficoltà. Sopra il vallone, vedrai il Monte delle Certezze. Dalla sua cima la vista spazia sulla Natura delle Cose.
USS 166 – Guinea, Conakry
La Guinea possiede ancora oggi circa la metà delle riserve terrestri di bauxite ed è il secondo produttore mondiale di questo minerale. Non è dunque sorprendente che il traffico navale del grande porto di Conakry sia molto attivo. Anche Lansana Kissidougou e Pascal Nzerekore lavorano nella zona portuale ma la mattina, recandosi al lavoro, preferiscono non parlare di alluminio. – Lansana, mi sono chiesto spesso se la felicità richieda delle conoscenze che gli uomini preistorici non potevano avere. – Ovvero se sia possibile parlare di felicità al giorno d’oggi, visto che anche noi potremmo ancora mancare di quelle conoscenze che tu ti chiedi se gli antichi avessero. – Al mio villaggio si parla poco di questo argomento. – Pascal, penso che tu desideri innanzitutto intendere cosa sia la felicità. – Ecco, è proprio così! – Suggerisco però di non prendere la strada delle definizioni. Questa non è la strada buona per dei principianti. Pascal, metti invece davanti a te un uomo che giudichi felice e descrivilo. – Ecco, Lansana: un uomo felice è un uomo sereno. Lo vedo fare qualunque cosa ed esserne contento, perché tutto quel che fa gli riesce bene, e lo vedo non incontrare ostacoli. – Si potrebbe dire: una persona che ottiene tutto ciò che desidera e che non incappa in ciò che avversa. Non è così? – Proprio così. – E si potrebbe descrivere chi è felice aggiungendo che è anche un uomo libero? – Sicuramente sì, Lansana; il ‘libero’ e il ‘felice’ non possono essere separati. – Infatti non hai mai visto felice chi è costretto a fare qualcosa contro la sua volontà. Dunque se tu, Pascal, vedi una persona infelice, puoi anche affermare con sicurezza che quella persona non è libera. – É vero, non ci avevo riflettuto abbastanza e la risposta che ho dato prima mi è venuta d’istinto. – Dato per scontato che dell’infelicità umana di ogni tempo, preistorico e storico, si abbiano abbondanti prove, domandiamoci: abbiamo qualche testimonianza dell’esistenza di uomini felici in passato? – Lansana, non so nulla degli uomini preistorici ma, parlando di tempi storici, so che la Felicità aveva addirittura un tempio a Roma. – Sì, Pascal: dove era rappresentata in figura di matrona con cornucopia, moggio e caduceo. Questo ci fa dire che anche per gli antichi la felicità consisteva nell’avere ciò che si desidera e nel non incappare in ciò che si avversa. – Ma la differenza tra noi e gli antichi sta nella diversità di ciò che si desidera e si avversa. – Ciascuno di noi anche oggi desidera o avversa cose diverse, ma sono soltanto due le classi di cose che possiamo, tanto noi quanto gli antichi, desiderare o avversare: cose proairetiche e cose aproairetiche. Sai cosa sono e conosci la loro differenza? – Sì, la conosco bene. Ne parlava anche Kraptcha Agboyibo quando lo incontrai a Lomè. – Si può desiderare o avversare soltanto ciò che è proairetico con la certezza di avere successo. Per ottenere questo risultato è necessaria una conoscenza specifica che si chiama diairesi. – Sì, ecco, si chiama ‘diairesi’. – Abbiamo toccato il punto. Ieri, oggi, domani, senza diairesi non c’è felicità né libertà possibile per nessun uomo. – Lansana, ma non posso desiderare e avversare anche cosa aproairetiche? – Certo che puoi farlo, e tutti lo facciamo continuamente. – E allora a cosa mi serve la diairesi? – Pascal, quando desideri una qualunque cosa aproairetica, anche la più necessaria come il pane, la diairesi ti fa sempre accompagnare questo desiderio con quest’altro giudizio: desidero del pane ma desidero anche conservare la mia proairesi in accordo con la natura delle cose, e tale non la conserverò se per ottenere del pane dovessi negare la diairesi stessa. Giacché la felicità si nutre del giudizio di essere felici e non di pane. – É vero: il pane nutre infatti anche l’infelicità. Percorso il Boulevard Marittime e attraversato il Boulevard du Port, le mete di Lansana Kissidougou e di Pascal Nzerekore si dividono. Si rincontreranno a sera?
USS 167 – Croatia, Dubrovnik
Stipe Tudjman è tranquillamente accomodato in poltrona e sta leggendo. Sua moglie Anita e sua figlia Vera stanno riposando nelle cuccette, mentre suo figlio Josip è da qualche altra parte sulla nave. Cosa legge Stipe? – Qualora vi sia bisogno di ciascun distinto giudizio, si deve averlo a portata di mano: per colazione, i giudizi sulla colazione; alle terme, i giudizi sulle terme; a letto, i giudizi sull’essere a letto. E non accogliere il sonno sui molli occhi prima di darsi conto di ciascuna delle opere della giornata. Dove violai..? Cosa feci..? Cosa dovevo fare e invece non ho fatto..? Iniziando da questo, prosegui e censura quanto di vile hai fatto e gioisci del buono. Di nuovo, davanti alla febbre bisogna avere a portata di mano i giudizi per questo e non, se avremo la febbre, tralasciare e dimenticare tutto. A patto di poter ancora filosofare, allora accada pure quel che deve accadere. E filosofare cos’è? Non è prepararsi a quanto avviene? Cosa ci si deve dunque dire davanti a qualunque difficoltà? Per questo mi allenavo; su questo mi esercitavo. La Materia Immortale ti dice: Dammi la dimostrazione che ti sei cimentato secondo la legge, che hai mangiato quanto si deve, che ti sei allenato, che hai dato retta al maestro di ginnastica. E poi tu ti ammoscisci proprio sull’opera? Ora è tempo di avere la febbre: che questo diventi bello! Di avere sete: abbi sete da bello! Di avere fame: abbi fame da bello! Non è in tuo esclusivo potere? Chi te lo impedirà? Il medico ti vieterà di bere, ma non può impedirti di avere sete da bello. Ti vieterà anche di mangiare, ma non può impedirti di avere fame da bello. – Ma io sono un colto intellettuale ed anche un ormai famoso Biologo Molecolare! pensa Stipe – Ed a che scopo hai studiato? Non è per essere sereno? Non è per essere stabile? Non è per stare e tragittartela in accordo con la natura delle cose? Cosa impedisce che chi ha la febbre abbia la proairesi in accordo con la natura delle cose? Qua è il controllo della faccenda, la valutazione di chi fa filosofia. Giacché è parte della vita anche questo, cioè la febbre; come una passeggiata, come un viaggio per mare o per terra. Se passeggerai da bello, hai quel che deve avere chi passeggia. Se avrai la febbre da bello, avrai quel che deve avere chi ha la febbre. Cos’è avere la febbre da bello? Non biasimare né dio né uomo; non essere oppresso dagli avvenimenti; accettare bene e da bello la morte; fare quanto ci è ingiunto dalla natura delle cose. Quando entra il medico, non avere paura di quel che dice né, se ti dirà che sei in via di guarigione, esaltarsi. Giacché che bene t’ha detto? Quand’eri in salute, che bene era questo per te? Né, se dirà che stai male, scoraggiarsi. Giacché cos’è lo stare male? Un avvicinarsi alla morte. Che c’è di terribile? Se non ti avvicini ora, non ti avvicinerai più tardi? E l’ordine del mondo sta forse per essere sovvertito dalla tua morte? Giacché non è opera del filosofo serbare gelosamente gli oggetti esterni, né il vino né l’olio né il corpo ma cosa? La propria proairesi così com’è per natura: libera, infinita, inasservibile, insubordinabile. E le cose esterne, come trattarle? In modo da non condursi irragionevolmente a loro riguardo. Dov’è ancora il tempo di avere paura? Dov’è ancora il tempo dell’ira? Entrando nel porto di Dubrovnik, la nave subisce all’improvviso uno scossone molto forte e poi si arresta di colpo. Subito si avverte venire dall’esterno un rumore strano, come di acqua che scorre. Stipe posa il suo libro, si alza e apre la porta della cabina. In effetti è acqua che scorre veloce lungo il corridoio e in grande abbondanza. La nave deve avere sbattuto e strisciato contro uno scoglio sommerso e deve avere subito un danno grave alla carena, una falla attraverso la quale sta imbarcando acqua. In tutta fretta Stipe sveglia Anita e la mette al corrente del pericolo. Anita si riveste in un attimo e si precipita fuori per salire sul ponte a cercare Josip, mentre Stipe cerca di svegliare la figlia che sta dormendo. Vera impiega un po’ di tempo ad alzarsi e vestirsi, mentre Stipe cerca, senza spaventarla, di farle fretta. Nel frattempo due marinai sono scesi al piano delle cabine inferiori e vedono che l’acqua le sta allagando. Senza indagare oltre sull’eventuale presenza di passeggeri, chiudono dall’esterno le paratie stagne per impedire all’acqua di espandersi o almeno rallentare l’allagamento della nave, che si è già inclinata di alcuni gradi sulla destra, dalla parte della falla. Stipe e Vera saltano fuori dalla cabina e con l’acqua a mezza gamba raggiungono l’uscita più vicina. Ma la porta è ormai sbarrata dall’esterno. Stipe sbatte i pugni e chiama soccorso, ma nessuno risponde. Corre per cercare un’altra porta d’uscita ma tutte sono ormai chiuse per sempre. Vera lo insegue, comincia a piangere e ad urlare: ‘Papà!’. Anita e Josip, sul ponte, li aspetteranno invano.
USS 168 – Tajikistan, Dushanbe
Ieri, a Dushanbe, Emomali Iskandarov è andato all’appuntamento che aveva con Olimjon Shabdolov nella zona dell’ippodromo, all’angolo tra le vie Istravshan e Shevshenko. C’è andato con passo lento e animo sereno, tenendo in una tasca della giacca qualcosa con il quale di tanto in tanto giocherellava. – Olimjon, se accondiscendi a cianciare spesso con le persone comuni, a frequentarle, ad esserne ospite è necessario che tu finisca per assomigliare ad esse oppure che esse assomiglino a te. – Un’intesa, Emomali, una certa comunità di giudizi è indispensabile ad ogni amicizia. – Infatti, se porrai un carbone spento accanto ad uno ardente, o il primo spegnerà il secondo oppure il secondo farà ardere il primo. Che farai se l’amico comincerà a parlare di questo e di quello e a dire: ‘Il tale è cattivo; il tale è buono. Questo è stato fatto bene; questo male’? E se poi schernirà, se ridicolizzerà, se malignerà? – Lo sto ad ascoltare. – Olimjon, hai la preparazione di colui che è capace di accordare uno strumento musicale, il quale appena tocca le corde è in grado di riconoscerne le note e di acconciare lo strumento? – No, non lo so fare! – Allora sarai costretto, prima o poi, a suonare la musica, ad andare a rimorchio dei giudizi altrui, qualunque essi siano. La forza delle persone sta nella saldezza dei loro giudizi. – E con ciò, cosa vuoi dire? – Intendo dire che per molti secoli l’uso della controdiairesi è stato un uso continuo, popolare, di massa e che quei pochi che cercavano di usare la diairesi mostravano spesso di avere una diairesi di cera. – Perché quelli erano tanto più numerosi e potenti? – Perché la loro controdiairesi era d’acciaio ed essi enunciavano i loro schifosi discorsi traendoli da solidissimi giudizi, mentre quelli come te tiravano fuori i loro raffinati discorsi soltanto dalle labbra. Per questo essi erano atoni e cadaverici; ed era possibile che a chi li sentiva parlare di quella disgraziata virtù blaterata a proposito e a sproposito venisse il ribrezzo. Così le persone maligne, insipienti, perverse vincevano: giacché ovunque il giudizio è potente, il giudizio è invincibile. – Emomali, che fare, allora? – Chiediti innanzitutto: Come uso le rappresentazioni che m’incolgono? Secondo la natura delle cose o contro la natura delle cose? Come rispondo loro? Come si deve o come non si deve? Di fronte a ciò che è aproairetico, sono capace di giudicare che esso è nulla per me? So cos’è giusto e cos’è ingiusto? So cos’è bene e cos’è male? E se ancora non lo sai, fuggi le vecchie abitudini, fuggi gli insipienti, se intendi iniziare una volta ad essere qualcuno. – Emomali, ma cos’è quell’oggetto che hai in tasca e con la quale continui a giocherellare? – Oh, nulla, Olimjon: è un diamante.
USS 169 – Sierra Leone, Freetown
– Sama, quando incolpi di qualcosa la fortuna, rifletti bene e ti accorgerai che quel che è accaduto è comunque accaduto secondo ragione. – Sarà come dici tu, Ahmad Tejan Koroma, ma quello che non posso sopportare è che chi è ingiusto abbia di più di chi è giusto. – Di più in cosa? – Per esempio, in denaro. – Quanto al denaro, l’ingiusto è migliore del giusto: l’ingiusto adula, è sfacciato, veglia la notte. Perché dunque stupirsi di cosa ottiene in cambio? Ma guarda anche l’altra faccia della medaglia. – E qual è l’altra faccia della medaglia? – Se l’ingiusto abbia più lealtà, più rispetto di sé e degli altri di colui che è giusto. Troverai che non l’ha. – In effetti è così! – E dove sei migliore, là ti troverai ad avere di più. A me è capitato una volta di dire a Ben Kamara che fremeva perché Ernest Banya aveva avuto quello che molti qui, a Freetown, credevano un colpo di fortuna: ‘Vorresti essere tu a prostituirti a Sabo Makeni? – E cosa ti rispose lui? – Mi rispose: ‘Non venga mai quel giorno!’. – Ah! Credevo ti avesse risposto diversamente. – Perché dunque fremi, Sama, se l’ingiusto prende qualcosa in cambio di quanto vende? Come mai giudichi beato chi acquisisce denaro ed onori attraverso azioni contro le quali tu fai gli scongiuri? Che male fa la fortuna se dà sempre il meglio ai migliori? Non è meglio essere rispettoso di sé e degli altri che ricco di denaro? – Devo ammettere, Ahmad, che è così. – Dovendo dunque scegliere tra chi è ricco di denaro e chi è ricco di lealtà, chi scegli?
USS 170 – Slovakia, Bratislava
A Bratislava, Hviezdoslavovo Namestie è il luogo più comodo per orientarsi. La città vecchia è a Nord, il Danubio scorre placido a sud e il Castello svetta ad Ovest. – Perché dunque fremi, Ivan Dzurinda, se hai il meglio? Tieni sempre a portata di mano il giudizio che la legge alla quale l’Universo ubbidisce è questa: ‘Il migliore abbia sempre più del peggiore in ciò in cui è migliore’. Ricorda questo e non fremerai mai. – Pal Meciar, ma mia moglie mi tradisce! – Bene, Ivan. Se qualcuno cercherà di sapere da te come si comporta tua moglie, tu rispondi: ‘Mia moglie mi tradisce’. – Come? E non devo dire null’altro? – Nulla. – Pal, non soltanto mia moglie mi tradisce, ma mio padre non mi aiuta economicamente con una corona che è una! – Ivan, che tutto questo sia male per te, lo aggiungi tu traendolo dalla tua proairesi; e così facendo aggiungi una menzogna. Per questo è insensato credere di poter sbarrare per sempre le porte di questo mondo alla povertà di denaro e al tradimento. Possiamo invece individualmente sbarrare per sempre le porte ai cattivi giudizi sulla povertà di denaro, sul tradimento e su tutto ciò che è aproairetico come se essi fossero beni o mali; e soltanto così potremo essere sereni. – Pal, ma mia moglie mi tradisce con mio padre! – E perché tu vuoi che questa vergogna ricada su di te? Se i loro sono mali, cos’hai tu a che fare con essi? Chiamare ingiusta la legge dell’Universo perché dà sempre il meglio ai migliori è viversi come poveri quando invece siamo ricchi, avendo noi da esso occhi per vedere, mani per lavorare, ragione per essere felici.
USS 171 – Guinea Bissau, Bissau
Visto dalla capitale Bissau, il tramonto avviene sempre nell’Oceano Atlantico dietro le isole Bijagos. Proprio ieri una leggera foschia nell’aria permetteva di distinguere nettamente i contorni del sole senza esserne accecati. Jorge Nambeia e Joao Mandinga, che stavano camminando verso casa, si sono fermati ad osservare il maestoso spettacolo. – Jorge, il sole che adesso vediamo così bene di qui è davvero tanto grande? – Joao, il sole è una stella di dimensioni modeste, se ci si riferisce alla dimensione media delle stelle che popolano l’universo. Comunque è abbastanza grande rispetto alla nostra Terra. – E quanto è più grande della Terra? – Visto stagliarsi così nettamente sull’orizzonte, qual è secondo te il suo diametro? Sappi che la distanza tra noi e lui è di circa centocinquanta milioni di chilometri. – Non saprei proprio cosa rispondere. – Ebbene, il diametro della sfera lucente che vedi è di 1,4 milioni di chilometri ossia circa centodieci volte il diametro della nostra Terra. – La Terra è proprio così piccola? Dopo un lungo silenzio, Joao ha chiesto ancora: – Jorge, ma cosa ci stiamo noi a fare su questa Terra? – Noi siamo i soli animali proairetici che abitano questa Terra e dunque siamo su questo pianeta per arrivare alla conoscenza dei principi generali ai quali l’Universo obbedisce, per giungere al retto uso delle nostre rappresentazioni e per tragittarcela serenamente in armonia con la natura delle cose.
USS 172 – Jamaica, Kingston
– E allora, Hyacinth, cosa scrivono oggi i giornali? – Brenda Golding, ho qui con me il Jamaica Gleaner e il Jamaica Star. Le notizie sono sempre le stesse. Tizio ha ammazzato Caio. Il politicante Tale ha accusato di corruzione il politicante Talaltro. Il Governo ha promesso di fare Questo e Questaltro e non ha mantenuto le sue promesse. È deprimente. – Vorresti che la lettura dei giornali, qui a Kingston come in qualunque altra parte del mondo, ti mettesse di buon umore, influisse positivamente sulla tua proairesi? – A deprimermi è la banalità e la ripetitività di quello che trovo scritto. – Insomma vorresti che parlassero di te. In quel caso li troveresti interessanti? – Mi fai una domanda maligna, Brenda. – Molte persone, a differenza di te, trovano altamente interessanti quelle che per te sono banalità, sciocchezze, pettegolezzi o falsità. Dunque se tu non rientri direttamente o indirettamente in questa schiera, cosa pretendi? – Almeno mi piacerebbe poter ridere qualche volta. – E chi te lo impedisce? Dove sta scritto che è reato leggere un giornale e mettersi a ridere di quello che si legge? Se un giornale stampasse la notizia che tu, Hyacinth Bennet abitante a Kingston in Oxford Road, hai avuto un cattivo desiderio di qualcosa, vorrebbe questo davvero dire che tu hai avuto un cattivo desiderio di qualcosa? – Nient’affatto! – E se i giornali scrivono che qualcuno è morto, cos’è questo per te? – Nulla. – Che qualcuno parla male di qualcun altro. Cos’è questo per te? – Nulla. – Se il padre Tale ha diseredato il figlio Talaltro, ha forse egli commesso qualcosa contro la tua proairesi? – Contro la mia no di certo. E come potrebbe? Bensì quel padre avrà commesso qualcosa contro l’eredità del figlio. – Vedi che tu sei salvo; non è contro di te. Ma appunto se non è contro di te, perché deprimerti e lamentarti? Sembra quasi che tu voglia dalle notizie dei giornali quello che non sei capace di trarre da te stesso. Vuoi che apriamo il Jamaica Observer oppure il Sunday Herald per vedere se le cose migliorano? – No, no, per carità, Brenda. Visto che tutte le notizie sono indifferenti e che soltanto io sono padrone del mio bene e del mio male, oggi non commetterò l’errore di credere di poter aberrare in qualcosa e di non esserne danneggiato. – Finché i giornali sono quello che sono oggi, penso che la tua scelta sia saggia.
USS 173 – Kazakhstan, Alma Ata
– Daniyal Nazarbayev, qual è la differenza tra lo scienziato e il saggio? – Tamara Kaleyeva, la prima differenza tra uno scienziato ed un saggio è questa. Il primo dice: ‘Ahimè! Colpa di Tizio, colpa di Caio; Ahimè! colpa di Sempronio’. Il secondo, se proprio fosse costretto a dire ‘Ahimè!’ direbbe: ‘colpa mia’. – Perché questo? – Perchè nulla di aproairetico può impedire o danneggiare la proairesi, se non essa se stessa. – Soltanto la proairesi è autodeterminativa? – Sì, soltanto la proairesi. Se dunque a questo propenderemo anche noi, così da accusare noi stessi quando siamo fuori strada e da ricordarci che null’altro se non un giudizio è causa per tutti di sconcerto e instabilità, ebbene ti giuro, Tamara, che abbiamo fatto profitto. – Daniyal, tu parli dello scienziato come se costui fosse un uomo comune. – E non è forse così? Cosa lo distingue da un individuo comune se non la conoscenza di certi particolari argomenti che sono definiti ‘scientifici’, come la fisica, la biologia, la medicina, eccetera? – Ma si tratta di argomenti importanti! – Importanti certamente per tutto ciò che riguarda quanto è aproairetico, ma di nessun valore nell’ambito di ciò che invece è proairetico. Lo scienziato è una persona che conosce perfettamente, ad esempio, la fisica; ma che quanto a vivere bene ne sa quanto potrebbe saperne il più ignorante dei contadini di qui, di Alma Ata. – Ma allora, tutta l’ammirazione e il rispetto di cui è circondato, a cosa valgono? – A nulla. Anche lo scienziato è, a tutti gli effetti, un bamboccio che, quando incespica continua ad accusare il sasso. – Accusare il sasso? – Tamara, quando siamo bambini la balia, se mai incespichiamo standocene a bocca aperta, non sgrida noi ma picchia il sasso. Eppure che colpa ha il sasso? Avrebbe dovuto spostarsi così da non farci inciampare? E così, anche se cresciuti, noi rimaniamo profondamente bambocci. – Ma lo scienziato non è un bamboccio! – Non sarà certo un bamboccio in fisica o in biologia; ma in fatto di felicità e di libertà soltanto il saggio non è rimasto un bamboccio. – Daniyal, qual è allora la differenza decisiva tra lo scienziato e il saggio? – Se bamboccio in musica è il digiuno di musica; in fisica il digiuno di fisica; bamboccio in vita è chi non è educato ad usare la diairesi. – E l’essere scienziato esclude l’essere saggio? Oppure l’essere saggio esclude l’essere scienziato? – L’essere individuo comune ossia insipiente, esclude l’essere saggio e viceversa. Ma nulla esclude che la saggezza vada a braccetto con l’avere scienza anche di qualcosa di aproairetico.
USS 174 – The former Yugoslav Republic of Macedonia, Skopje
– Branko Stoiljkovic, ma è davvero possibile trarre giovamento da tutti gli oggetti esterni e aproairetici? – Chi te l’ha detto non ti ha mentito. – Sì, ma Ljubisan Andov non ha aggiunto altro e così io ho finito per non capire come ciò sia possibile. – Ivan Tupurkovskij, se tu sbagli un’addizione e dici che tre più quattro fa otto, ammetti che questo errore è dipeso esclusivamente da te e da nessun altro? – Certo che lo ammetto e sono anche disposto a correggermi subito, se qualcuno mi fa notare l’errore. – E sei disposto ad ammettere che il tuo bene e il tuo male dipendano esclusivamente da te? – Questo non sono disposto ad ammetterlo, perché ci sono beni e mali che non dipendono esclusivamente da me. – Quali sono? – Essi riguardano il corpo, la nascita e la condizione sociale. Avere un corpo sano ed integro è un bene; un corpo malato e menomato è un male. Nascere da genitori nobili e colti è un bene; nascere da genitori ignobili e ignoranti è un male. Essere ricchi e onorati è un bene, essere poveri e reietti è un male. – Vedo che non ti mancano le idee chiare sull’argomento. Da dove ti vengono? – Quel che ti ho detto è quel che pensa una moltitudine di uomini, e io faccio parte di questa moltitudine. – Ammettiamo che le cose stiano come dice la tua moltitudine. In questo caso potrà mai essere chiamato felice chi è malato, di famiglia ignobile e povero? – No! Possa non venire mai il giorno in cui io mi trovi in simili mali! – Ed essere chiamato libero? – Neppure. – Siccome il corpo, la nascita e la condizione sociale sono entità aproairetiche, la nostra felicità e la nostra libertà sono dunque alla mercé della fortuna. – Sì, è così! È proprio e assolutamente così! – Dunque, per quanti sforzi faccia, qualcuno non arriverà mai ad ottenere i beni di cui parli e sarà destinato a sguazzare miseramente in mali di cui non ha colpa. Da questi mali egli non può trarre giovamento alcuno? – Branko, giovamento si trae dai beni e non dai mali. – Ivan, e come definisci la vita? – Un bene. – E la morte? – Un male. – Dunque la vita, che è un bene, può essere riempita da mali e nient’altro che mali. E la morte, che tu chiami un male, potrebbe diventare, in certe circostanze, un bene? – E come sarebbe possibile? La morte è, ed è stata sempre considerata, il supremo dei mali! – Ivan, anch’io mi arrendo e non aggiungo altro. Se non ti sei reso conto finora delle contraddizioni nelle quali si contorce il tuo pensiero, io non mi avventurerò più oltre e tantomeno m’azzarderò a spiegarti come sia possibile trarre giovamento da tutti gli oggetti esterni e aproairetici. – Branko, dove vai? – Ivan, qui a Skopje ci sarà pure qualcuno più bravo di me nello spiegarti quello che io non riesco a spiegarti. Vado a cercarlo.
USS 175 – Sudan, Khartoum
– Khidir Haroun, siccome non stanno in nulla di ciò che è aproairetico, in cosa stanno dunque il bene e il male? – Umar, non credere che qui a Khartoum bene e male stiano altrove da dove stanno in tutte le altre parti del mondo. Essi stanno dove tu e i tuoi compagni non reputate e dove vi ostinate a non cercarli giacché, se lo faceste, avreste trovato che bene e male sono in voi. Ponete mente alla vostra proairesi, decifrate i preconcetti che avete. Quale cosa vi rappresentate essere il bene? – Ciò che è rasserenante, sorgente di felicità, non soggetto ad impacci. – E questo non ve lo rappresentate naturalmente grande? Non ve lo rappresentate rimarchevole? Non ve lo rappresentate inoffensivo? – Certamente, Khidir – Dove, in quale materiale bisogna dunque cercare ciò che rasserena e non è soggetto ad impacci? In ciò che è servo o in ciò che è libero? – In ciò che è libero. – E il corpo l’avete libero o servo? – Non lo sappiamo. – Non sapete che il corpo è servo del cancro, della febbre, delle infezioni, della dissenteria, di un tiranno, del fuoco, del ferro, di qualunque cosa più potente di lui? – Sì, è servo di tutto questo. – Come possono dunque essere non soggetti ad intralci il corpo e le sue parti? Come può essere grande o rimarchevole ciò che per natura delle cose è cadavere? – E dunque? – Non avete niente di libero? – Non lo sappiamo. Forse niente. – Umar, chi può costringervi ad assentire a quanto vi appare falso? – Nessuno. – Chi può costringervi a non assentire a quanto vi appare vero? – Nessuno. – Qua, dunque, vedete che vi è in voi qualcosa di libero per natura. Chi di voi può desiderare o avversare, impellere o repellere, prepararsi o proporsi qualcosa senza prenderne rappresentazione di cosa vantaggiosa o doverosa? – Nessuno lo può. – Dunque ecco che avete in voi qualcosa che non è soggetto ad impedimenti e che è libero per natura. Questo qualcosa si chiama proairesi. Disgraziato Umar Taha, e disgraziati tutti quelli come te! Questo elaborate, di questo siate solleciti; qui cercate il bene e il male.
USS 176 – Tuvalu, Funafuti
– Apisai Telito, guarda Funafuti; guarda i nostri altri otto atolli corallini. Siamo un piccolissimo paese sperduto in mezzo all’Oceano Pacifico e il punto più alto del nostro territorio è appena cinque metri sopra il livello del mare. A causa dell’effetto serra e del conseguente aumento del livello marino, rischiamo di dover abbandonare le nostre case ed emigrare tutti in Australia o in Nuova Zelanda. – Filoimea Ielemia, se altri individui operano contro la natura delle cose, questo non deve diventare un male per noi. Noi non siamo nati per rendere serva la nostra proairesi né per avere sfortuna in compagnia, ma per avervi fortuna. Se qualcuno di noi è sfortunato, ricorda che è sfortunato per se stesso, non per gli altri. Siamo nati per essere felici, per essere liberi. Ed a questo scopo la natura ci ha dato delle ottime risorse, fornendo a ciascuno di noi qualcosa che gli è peculiare e stabilendo che tutto il resto ci è allotrio. Quanto è soggetto ad impedimenti, ad essere sottratto e costretto, non ci è peculiare; peculiare ci è invece quanto non è soggetto ad impedimenti. La sostanza del bene e del male, poi, sta interamente in quanto ci è peculiare. – Dunque Apisai, saremo capaci di fare fronte anche all’effetto serra nel migliore dei modi? – Se usiamo ed useremo saggiamente diairesi e antidiairesi, io sono certo di sì. – Ma il livello marino sale e qui tutti se ne dolgono! – E perché hanno ritenuto e continuano a ritenere loro peculiare ciò che invece è allotrio? Perché, quando si rallegravano guardando i nostri magnifici atolli, non tenevano conto dei pericoli che correvano, che potevano anche essere sommersi dalle acque? Perciò pagano adesso il fio della loro stupidità ed imprevidenza. – Apisai, ma nessuno di noi vuole lasciare questi posti! – Filoimea, perché ti singhiozzi addosso? O neppure tu hai studiato a dovere queste faccende, ma come quegli omiciattoli che non valgono nulla, sei stati finora a gingillarti con l’idea che avresti potuto stare qui per sempre? Ed ora ti siedi a singhiozzare perché immagini che non vedrai più le stesse persone e non ti trastullerai più nei medesimi luoghi? È questo che giudichi di meritare: di essere più meschino dei corvi e dei gabbiani, che possono spiccare il volo dove vogliono, edificare i nidi altrove, trapassare oceani senza gemere né bramare i luoghi che lasciano? – Sì, ma loro sperimentano questo perché sono animali sprovvisti di ragione. – Dunque la natura ci ha dato la ragione affinché noi uomini siamo sfortunati ed infelici, affinché siamo dei meschini e piangiamo di continuo? Oppure vorresti che tutti fossimo immortali, che nessuno mai si ammalasse né si mettesse in viaggio, e che rimanessimo inradicati come vegetali? Oppure ancora, se qualche nostro conoscente si mettesse in viaggio, che sediamo a singhiozzare e, quando ritornerà, che balliamo ed applaudiamo come dei bambini?
USS 177 – South Africa, Johannesburg
– Thabo Mogoba, mia madre è in grande angoscia perché non mi vede da ormai più di due mesi. – Perché non ha imparato in vita sua ad usare la diairesi? Non dico che tu non debba essere sollecito che ella non mugugni, bensì che non si deve volere ad ogni costo ciò che allotrio. – L’afflizione di un altro è cosa allotria? – Phumzile, l’afflizione di un altro è cosa di un altro; unicamente la mia afflizione è mia. Io dunque farò cessare ad ogni costo la mia, giacché questo è in mio esclusivo potere. L’afflizione di un altro proverò a farla cessare al mio meglio, ma non proverò ad ogni costo. Altrimenti, combatterei contro la distinzione tra ciò che è altrui e ciò che è mio, contro la natura delle cose. E il prezzo di questa battaglia alla natura delle cose non lo sborserebbero i figli dei miei figli ma io in persona, sobbalzando di notte tra le visioni dei sogni e di giorno, preda dello sconcerto, tremante dinanzi ad ogni annuncio, con il mio dominio sulle passioni dipendente da lettere scritte da altri. – Me ne è giunta una proprio ieri da Pretoria, scrittami da Mangosuthu Holomisa. – E tu cos’hai subito pensato? – Speriamo soltanto che non si tratti di qualche male! – Ma che male ti può mai accadere là dove non sei? – Thabo, ne aspetto un’altra da Cape Town e questa volta ho proprio paura che si tratti di cattive notizie. – Se continui così, Phumzile Nzimande, qualunque posto può essere per te causa di cattiva fortuna. Non è sufficiente che tu sia sfortunato là dove sei; devi esserlo anche oltremare e per lettera? Le tue faccende sono sicure così? – E se mi recasse la notizia che sono morti i miei amici di Malmesbury? – Cos’altro sarebbe accaduto se non che sono morte delle persone mortali? – Ma come, dovrei reagire così alla morte dei miei amici? – Vuoi invecchiare ed insieme non vedere la morte di qualcuno di coloro per cui hai affetto? Nei tempi lunghi, è inevitabile che succedano molti e svariati avvenimenti: un’infezione deve avere la meglio su uno, un rapinatore su di un altro, un tiranno su un altro ancora. Tale è il contesto, tale la natura dei nostri cari. E poi freddi e calure, cibi non ben regolati, viaggi per terra, per mare e per aria, venti e svariate circostanze uno lo fanno andare in malora, un altro confinare, un altro sbattere in una prigione, un altro in una campagna militare. Phumzile, vuoi davvero sederti terrorizzato da tutte queste possibilità, piangente, sfortunato, preda della cattiva sorte, dipendente da altro, anzi non da una sola cosa, non da due, ma da miriadi sopra miriadi?
USS 178 – Trinidad and Tobago, Arima
– Patrick Sankersingh, si può vincere combattendo contro la natura delle cose? – Hochoy Panday, questo è del tutto impossibile. La natura delle cose è potente, è ineluttabile e si fa pagare i massimi castighi da coloro che massimamente aberrano. – E che cosa dice la natura delle cose? – Essa dice: ‘Chi si arroga quanto non è per lui, sia un cialtrone, sia un vanaglorioso. Chi mi disubbidisce sia servo nell’animo, sia schiavo, si affligga, invidi, provi pietà e, punto capitale, abbia cattiva fortuna e si lamenti’. Questo dice la natura delle cose. – Ma la vita di tutti i giorni ci richiede continuamente dei compromessi. – Intendi dire l’uso dell’antidiairesi? – Sì, questo intendo. – E dunque? Vuoi che chieda per te un favore a Ramesh Maharaj? Che vada da lui a Port of Spain? – Patrick, lo faresti per me? – Hochoy, se quello che mi chiedi è ragionevole perché non dovrei partire? Nessuno si vergogna di andare dal calzolaio quando ha bisogno di scarpe, né dall’ortolano quando ha bisogno di verdura. Perché dovrei vergognarmi di andare dal ricco Ramesh Maharaj a Port of Spain a chiedere per te un favore del tutto ragionevole? – Sì, è vero. Quando ho bisogno di scarpe e vado dal calzolaio, e non mi chiedo se così facendo io lo aduli o ne sia servo. – Fa’ così anche nei confronti di chi è ricco di denaro. – Però io vorrei essere sicuro di ottenere da Ramesh quel favore di cui ho bisogno. – Questo, Hochoy, non te lo posso assicurare. Non ti dico che tornerò sicuramente da Port of Spain con quello che mi chiedi. – Parti anche se non hai la certezza di centrare l’obiettivo? – Io parto soltanto per effettuare quanto mi si confà nei tuoi confronti. – Parti per questo? – Sì, per onorare la mia qualità di cittadino di quest’isola, di fratello, di amico. È come se mi recassi da un calzolaio, da un ortolano, da qualcuno che non ha potere su qualcosa di grande o di solenne, anche se vorrebbe venderlo a caro prezzo. La tua faccenda merita che io vada a Port of Spain. E sia: mi ci recherò. Così pure che parli a Ramesh Maharaj. E sia: parlerò con lui. – Patrick, e se sarai costretto anche a baciargli la mano e a lusingarlo con lodi? – Costretto? Nessuno potrà costringermi a questo e questo non farò mai. Questo sarebbe un prezzo troppo alto. Non sarebbe vantaggioso né per me, né per la città né per te che io andassi in malora come buon cittadino e come amico.
USS 179 – Saudi Arabia, Riyadh
– Al Hudud Makkah, ma sembrerai non averlo fatto con slancio, se vai a Medina per parlare con Muhammad e poi non concludi niente e torni qui a mani vuote! – Abdallah Ash Qasim, di nuovo mostri di dimenticare perché ci vado? Non sai che l’uomo virtuoso non fa nulla per il sembrare bensì per il puro effettuarlo come si deve? – Ma quale vantaggio ne ha chi effettua le cose come si deve? Spesso è più vantaggioso non effettuarle come si deve. Qui a Riyadh l’arte dell’inganno è molto raffinata. – E quale vantaggio ne trae chi scrive il nome ‘diairesi’ come va scritto? Lo stesso scriverlo. – Dunque nessuna ricompensa? – Abdallah, tu cerchi per l’uomo dabbene una ricompensa maggiore di quella di effettuare cose belle e giuste? Alle Olimpiadi nessuno cerca altro, e chi è sano di mente ritiene sufficiente per il vincitore l’essere incoronato tale. Essere virtuoso e felice ti pare invece cosa piccola e di nessun valore? – Io voglio essere ricompensato dagli altri per quello che faccio, altrimenti non sono felice. – Non credi che la ricompensa o il castigo siano già incorporati nei giudizi e nei conseguenti atti che tu compi? – No, io mi aspetto i castighi e le ricompense promesse dagli altri. – Promesse da quali altri? – Ma, per esempio… dal Profeta. – Per questo, povero Abdallah, quando sei ormai tenuto ad accostarti ad opere da uomo, brami le balie e le mamme, ed i singhiozzi di stupide femminette ti piegano e ti rammolliscono? Così non cesserai mai di essere un bamboccio. E chi agisce da bamboccio è tanto più ridicolo quanto più è anziano.
USS 180 – Thailand, Bangkok
A un certo punto, Chungrungruankit Surakiat ha sospeso il lavoro al tornio e si è rivolto al suo vicino di macchina, Virasakdi Chitchai. – Virasakdi, se dunque togli il valore di bene o di male a ciò che è aproairetico, perché ne trai la conseguenza che non potrai più mostrare sentimenti? – Chungrungruankit, perché mi sembra di non poter più desiderare nulla che valga la pena di essere desiderato. Come essere, dunque, affettuoso? – Sii affettuoso come lo è un uomo generoso, un uomo fortunato. Giacché la ragione non sceglierà mai che tu sia servo nell’animo né di svigorirti né che tu penzoli da un altro né che biasimi dio o uomo. Siimi affettuoso così, con l’intenzione di serbare questo. Se invece a causa di quest’affettuosità, qualunque cosa sia quello che tu chiami affettuosità, stai per essere servo e diventare una persona meschina, non è vantaggioso che tu sia affettuoso. – Chi è saggio ed usa la diairesi, può dunque essere anche affettuoso? – Lo dubiti? Andrea della Laura non amava i suoi figli? Cosa impedisce di amare qualcuno come un essere mortale, come un essere che può mettersi in viaggio? Il saggio ama da uomo libero, come chi ricorda che innanzitutto si deve essere in armonia con la natura delle cose. – Noi invece abbondiamo di ogni sorta di pretesti per essere gretti. Alcuni accampano i figli, altri la madre, altri ancora la famiglia o il lavoro. – Invece a causa di nessuno ci conviene avere cattiva fortuna bensì buona fortuna a causa di tutti. Così nasce la libertà. Per questo Wetchachiva Futrakal soleva dire: ‘Da quando Chinnawat Suriya mi liberò, non fui mai più servo’. – E come lo liberò? – Ascolta le parole di Chinnawat: ‘Mi insegnò a distinguere cos’è mio e cosa non è mio. Il patrimonio non è mio; congeneri, familiari, amici, fama, posti consueti, trastulli: che tutto questo è allotrio. – Cos’è dunque nostro? – L’uso delle rappresentazioni. E continua: ‘Mi mostrò che quest’uso io l’ho non soggetto ad impedimenti, non soggetto a costrizioni; che nessuno può intralciarmi, nessuno violentarmi ad usare le rappresentazioni altrimenti da come dispongo io. Chi dunque ha ancora potere su di me?’. – Nessuno. – Colui dunque su cui non hanno la meglio il piacere fisico, il dolore, la reputazione, la ricchezza di denaro e che può, qualora la ragione così disponga, partirsene dopo avere rinunciato all’intero suo corpo, ebbene costui di chi è ancora servo, a chi può essere ancora subordinato? Bangkok è una città sull’acqua e Chungrungruankit Surakiat è titolare di una piccola torneria non lontano dal fiume Chao Phraya, in una viuzza adiacente al Wat Pho.
USS 181 – Swaziland, Mbabane
– Obed Masuku, cosa sei venuto a fare a Mbabane? – Mandla, a perfezionare la mia conoscenza dei sillogismi. – Nessuno ti ha indirizzato da Thabo Mogoba? Per questo ti sei messo in viaggio? Per questo mi hai cercato? – Sì, affinché tu mi giovassi. – Quale giovamento? – Per risolvere sillogismi più abilmente e per perlustrare con te i ragionamenti ipotetici. – E per questa ragione hai lasciato il Sud Africa, hai abbandonato familiari ed amici? Per ritornare a Johannesburg dopo avere imparato questo? – Sì. – Sicché non ti sei messo in viaggio per conseguire qui da me, a Mbabane, la stabilità di giudizio, per ottenere il dominio sullo sconcerto, per diventare capace di non biasimare più nessuno, non incolpare più nessuno e così per imparare a salvaguardare senza impacci le tue relazioni sociali? – Io neppure sapevo che fosse possibile darsi simili obiettivi. Dove sono vissuto sinora tutto si riduce a sillogismi e ragionamenti ipotetici. – Magnifica questa mercanzia che apparecchiano in Sud Africa! Sillogismi, ragionamenti equivoci, ragionamenti ipotetici. Non ti pare il caso di sederti in piazza e metterti davanti un’insegna, come fanno i farmacisti? Obed, ti sei mai chiesto cosa vivi a fare? – Mandla Dlamini, a Johannesburg nessuno crede più di poter rispondere a una domanda del genere e tutta la filosofia ruota intorno ad aride formule. – Non negherai di sapere anche quanto hai imparato, per non calunniare come improficui i principi generali della filosofia? Che male ti ha fatto la filosofia? Che ingiustizia ha commesso contro di te Luisa Guebuza perché di fatto tu confuti come improficue le sue fatiche? Non ti bastavano i mali di laggiù, tutte le cause che avevi per affliggerti e piangere anche se non ti fossi messo in viaggio per Mbabane? Dovevi aggiungere altre cause? Perché dunque vivi? Per cingerti di afflizioni una dopo l’altra, grazie alle quali essere sfortunato? – Mandla, se tralascio l’arida filosofia i miei maestri non mi hanno insegnato altro che a tuffarmi e perdermi nelle passioni, nei sentimenti, nell’affettuosità. – E tu chiami questo qualcos’altro affettuosità? Obed, quale affettuosità? Se l’affettuosità è un bene, non diventa causa di alcun male. Se è un male, nulla vi deve essere tra te ed essa. Tu sei nato per conseguire beni, non sei nato per vivere di mali.
USS 182 – Turkey, Denizli
– Necdet, qui nei dintorni di Denizli, non lontano da dove abitiamo, sorgeva un tempo una grande città che si chiamava Ierapoli. – Lo so, Pamuk Erbakan. Ne sono ancora visibili imponenti rovine e ci si può ancora bagnare, oggi come allora, nelle acque delle sorgenti calde che sgorgano dal Cal Dagi. Ma i tempi sono mutati. Gli abitanti di Ierapoli vivevano in una società che si reggeva sulla servitù. – Necdet, quanto all’essere servo, tu non differisci in nulla da quelli! – Ma come, io un servo? Mio padre e mia madre erano uomini liberi e io sono un libero cittadino. Anzi sono pure senatore, sono amico del ministro Recep Mumen, sono stato sottosegretario al Ministero del Commercio Estero ed ho molti camerieri. – Innanzitutto, o ottimo senatore, probabilmente pure tuo padre era servo della medesima servitù, e tua madre, e tuo nonno e di seguito tutti i tuoi avi. E se pure loro erano liberissimi, che riguardo ha questo con te? Che riguardo ha, se loro erano generosi e tu sei gretto; se loro sapevano dominare la paura e tu invece sei un vile; se loro erano padroni di sé e tu invece sei un impudente. – Che c’entra questo con l’essere servo? – Fare qualcosa nostro malgrado, per costrizione, gemendo, non ti pare nulla riguardo all’essere servo? – Questo lo ammetto. Ma chi può costringere uno come me se non la suprema autorità del paese, colui che è Signore di tutti? – Dunque tu ammetti di avere un padrone. Il fatto poi, come dici, che sia un padrone comune a tutti, non ti consoli. Riconosci piuttosto di essere servo di una grande casata. Ma tralasciamo colui che tu dici essere Signore di tutti e invece dimmi: fosti mai innamorato di qualcuna? – Che c’entra questo con l’essere servo o libero? – Dall’innamorata non ti fu mai ordinato nulla che non volevi? Non la adulasti mai? Non le baciasti mai i piedi? Eppure, se qualcuno ti costringesse a baciare quelli di Recep Mumen, lo riterresti un oltraggio ed il colmo della tirannia. – È questo la servitù? – Cos’altro è la servitù? Non partisti mai di notte per andare dove non volevi? A spendere quanto non volevi? Hai mai detto qualcosa mugugnando e gemendo perché venivi ingiuriato, perché ti venivano sbattute le porte in faccia? – Mi vergogno di ammetterlo, ma è vero che una ragazzina da quattro soldi è riuscita a farmi piangere, strappandomi improperi che non ho l’audacia di ripetere. – Sciagurato Necdet, che sei servo di una ragazzina, e di una ragazzina da quattro soldi! Perché dunque ti dici ancora libero? Perché blateri dei tuoi incarichi ministeriali? Come potresti essere libero se non hai ancora disimparato a smaniare e ad avere paura?
USS 183 – Tonga, Nuku’alofa
– Bekitamoeloa Utoikomanu, poiché tra non molto ci lascerai, desideriamo tutti insieme salutarti e ringraziarti per la tua lunga presenza qui a Nuku’alofa. – Meleti Tangi, l’uomo virtuoso, memore di chi è e donde è venuto e da chi è nato, sta al mondo soltanto per questo: per assolvere il proprio ufficio disciplinatamente, con obbedienza alla Materia Immortale e rispetto della natura delle cose. ‘Disponi che io rimanga? Rimarrò da uomo libero, generoso, come tu disponesti; giacché mi facesti non soggetto ad impedimenti in ciò ch’è mio. Non hai più bisogno di me? Benissimo! Finora sono rimasto grazie a te e non ad altri; adesso parto ubbidendoti’. ‘E come parti?’ ‘Di nuovo, come tu disponesti: da libero, da tuo servitore, come chi è stato appieno cosciente delle tue ingiunzioni e dei tuoi divieti. E finché mi sarà dato di trastullarmi con cose tue, chi disponi che io sia? Un magistrato o un privato cittadino, un senatore o un popolano, un pescatore o un contadino, uno che educa alla diairesi o un padrone di casa? L’ufficio ed il posizionamento che mi porrai in mano, come ci ha insegnato Viliami Sevele, morirò diecimila volte prima di disertarli. E dove disponi che io stia? A Nuku’alofa, a Tofua, a Late, ad Ata? Solo, là ricordati di me. Se mi manderai là dove non è possibile tragittarsela da uomini secondo la natura delle cose, andrò via non per disubbidirti, ma perché mi avrai significato la ritirata. Non ti abbandono: non sia mai! Ma mi accorgo che non hai più bisogno di me. Se invece mi sarà concesso di tragittarmela secondo la natura delle cose, non cercherò altro posto che quello in cui sono, né altra gente che quella con cui sto. – Bekitamoeloa, che grande fortuna hai, che gran cosa è quella di poter dire a se stessi: ‘Ciò di cui ora gli altri parlano solennemente nelle scuole reputando di dire paradossi, io lo realizzo. Seduti, essi spiegano le mie virtù e ricercano su di me, inneggiano a me’. – Di questo la Materia Immortale dispose di prendere proprio me a dimostrazione, per riconoscere se ha un seguace quale si deve e promuovermi testimone del valore di ciò che è aproairetico: ‘Vedete, esseri umani, che a casaccio avete paura, da matti smaniate per ciò per cui smaniate. Non cercate i beni fuori di voi, cercateli in voi stessi; altrimenti non li troverete mai’. – Ci ricorderemo sempre delle tue parole. – Se le terrete a portata di mano non avrete bisogno di chi vi rinforzi, di chi vi consoli. Ricordate che vergognoso non è non avere di che mangiare, bensì avere una ragione incapace di liberarci dall’afflizione e dalla paura di non avere di che mangiare. Se vi procaccerete il dominio sull’afflizione e sulla paura e lo mostrerete nei fatti, è come se io fossi sempre qui con voi.
USS 184 – Montenegro, Podgorica
– Milo, libero è chi vive come decide di vivere, colui che è impossibile costringere o impedire; colui i cui impulsi non sono soggetti ad intralci, i cui desideri vanno a segno, le cui avversioni non incappano in quanto avversano. Dimmi, Milo: chi vuole vivere aberrando? – Andrija Zivkovic, nessuno vuole questo! – Chi vuole vivere ingannandosi, essendo precipitoso, ingiusto, impudente, lagnoso sulla propria sorte, servo nell’animo? – Nessuno. – Proprio nessuno degli insipienti vive quindi come decide e, dunque, neppure è libero. Chi vuole vivere affliggendosi, avendo paura, invidiando, commiserando, desiderando e fallendo nel desiderio, avversando ed incappando in quanto avversa? – Un simile essere umano non esiste. – Conosci qui a Podgorica qualche insipiente che viva senza afflizione, senza paura, che non incappi in ciò che avversa, che non fallisca il segno? – Non lo conosco. – Pertanto, proprio nessuno di essi è libero. – Possiamo affermare con certezza che nessun insipiente è libero? – Soltanto chi è educato ad usare la diairesi, ossia il saggio, è un uomo libero. E ciò che vale a Podgorica, mio caro Milo Djukanovic, vale in qualunque altra parte del mondo.
USS 185 – Bosnia and Herzegovina, Sarajevo
– Mirko, ricorda che non è soltanto la smania di cariche e della ricchezza di denaro a farci servi nell’animo e subordinati ad altri, ma anche la smania di quiete, di agio, di viaggiare, di erudizione. Insomma qualunque sia l’oggetto esterno per il quale smanii, il suo prezzo ti subordina ad un altro. – Dragan Dzihanovic, allora non fa differenza smaniare per essere eletto alla Skupstina qui a Sarajevo oppure per non esserlo? – Che differenza fa smaniare per avere una carica o per non avere una carica? Che differenza fa dire: ‘Sto male, non ho nulla da fare ma sono legato ai libri come un cadavere’; oppure dire: ‘Sto male, non ho alcuna possibilità di leggere?’ Come denaro e cariche pubbliche sono oggetti esterni ed aproairetici, così lo è anche un libro. – Ma come, non devo leggere? – Perché vuoi leggere? Dimmelo. Se infatti ti rovesci nella lettura per mero passatempo oppure per informarti di pettegolezzi, sei freddo ed indolente. Se invece lo riferisci a ciò che si deve, che altro è questo se non la serenità? E se leggere non ti procaccia serenità, che pro ti viene dal leggere? – Me la procaccia, Dragan, e per questo fremo dovendola abbandonare. – E che razza di serenità è mai questa? Una serenità che chiunque capiti è in grado di intralciare? E non dico Milosevic o un amico di Milosevic, ma un corvo, una flautista, la febbre e trentamila altre cose? Alla serenità nulla appartiene tanto, quanto la continuità e il non essere soggetta ad intralci.
USS 186 – Marshall Islands, Majuro
– Kessaihesa, cosa fare per non abbandonarsi ad immaginazioni insensate né a sogni di immortalità personale? – Litowka Kabua, fa quello che soleva fare Maloelap Jabat il quale, qui a Majuro, partiva da Uliga e si metteva in cammino verso il villaggio di Laura, all’altra estremità dell’atollo. Riflettere camminando è il miglior esercizio che posso suggerirti. – Ma è sulle riflessioni che ho bisogno del tuo aiuto. – Qualora ti strugga per qualcosa di aproairetico, l’esercizio principale che devi fare è quello di dirti che si tratta di nulla d’intoglibile ma di qualcosa del genere di una pentola, di una tazza di vetro; affinché, se si rompe, tu non ne rimanga sconcertato. – Devo considerare anche un altro essere umano come un oggetto aproairetico? – Non può essere che così. Se bacerai il tuo bambino, un fratello, un amico, non darti appieno alla rappresentazione e non permettere che l’effusione gioiosa avanzi quant’essa vuole ma tirala indietro, frenala come fanno coloro che stanno a tergo dei condottieri in trionfo e richiamano alla loro memoria che sono esseri umani. Anche tu, richiamati alla memoria qualcosa di siffatto: che ami un mortale, che non ami nulla di tuo. Per il presente ti è dato, non intoglibile né appieno; ma come un fico, un grappolo d’uva nella stagione dell’anno che gli è propria. Se lo bramerai d’inverno, sei uno stupido. Orbene, nel momento stesso in cui ti rallegri di qualcosa, mettiti davanti le rappresentazioni opposte. Mentre baci il tuo bambino, che male c’è a dirsi riflettendo: ‘Domani morirai?’ Allo stesso modo, ad un amico: ‘Domani ti metterai in viaggio tu, o io; e non ci vedremo mai più?’. – Ma queste, Kessaihesa Tomeing, sono parole di malaugurio! – Tu chiami di malugurio altro da quanto significa qualche male? Di malaugurio è la viltà; di malaugurio sono la grettezza, il pianto, l’afflizione, la sfacciataggine. Tu invece giudichi di malaugurio chiamare le cose con il loro nome! – Ma parlare di morte come e nelle circostanze in cui ne parli tu, tutti lo giudicano di malaugurio! – Una parola che significa una faccenda del tutto naturale è di malaugurio? Allora dì che è di malaugurio anche la caduta delle foglie, il diventare secco di un fico fresco ed uva passa di un grappolo d’uva, la mietitura delle spighe, giacché significa scomparsa delle spighe. – Ma comparsa dei chicchi di grano. – Ecco, scomparsa delle spighe ma non dell’ordine del mondo. Tutte queste sono trasformazioni di entità aproairetiche in altre entità aproairetiche: non perdita dunque, bensì una amministrazione ed un governo naturale ben ordinati. Questo significa mettersi in viaggio: una piccola trasformazione. Questo significa la morte: una trasformazione più grande da quanto adesso esiste, non in quanto non esiste ma in quanto adesso non esiste. – Dunque io non esisterò più? – Non esisterai più, ma esisterà qualcos’altro di cui allora l’ordine del mondo avrà bisogno. Giacché tu sei nato non quando lo disponesti tu, ma quando l’ordine del mondo ne ebbe bisogno.
USS 187 – Saint Kitts and Nevis, Basseterre
– E ricorda che a Basseterre, noi siamo quasi tutti discendenti degli schiavi che furono portati qui dall’Africa Occidentale nei secoli scorsi. – Lindesy Amery, se dunque non vivono come vogliono né i re né gli amici dei re, chi è ancora libero? – Cerca e troverai, Denzil. Giacché la natura ti ha dato risorse per il rinvenimento della verità. E se non sei capace di trovarla procedendo con queste mere risorse, ascolta coloro che hanno cercato e che hanno trovato. – Cosa dicono? – Giudichi la libertà un bene? – Sì, la giudico il sommo dei beni. – Chi centra il sommo bene può mai essere infelice o finire male? – No, non può. – Quanti vedrai dunque essere infelici, non essere sereni, piangere, dichiara pure con fiducia che non sono liberi. – Su questo sono d’accordo con te. – Rispondi ancora a questo: reputi la libertà qualcosa di grande e generoso, di rinomato? – Certamente, Lindsey. – E’ possibile che chi centra un bene così grande e rinomato e generoso sia servo nell’animo? – Non è possibile. – Qualora dunque tu veda qualcuno che si prostra davanti ad un altro o che lo adula contro il proprio parere, dì con fiducia che anche costui non è libero. – E se lo fa per guadagnarne un pranzetto? – Allora chiama microservi quanti lo fanno per piccoli fini e gli altri, come meritano, megaservi. Denzil, reputi la libertà qualcosa di incondizionato ed autonomo? – E come no? – Dunque quando è in potere di un altro impedire o costringere qualcuno, dì con fiducia che costui non è libero. E non indagarne i nonni e i bisnonni, la provenienza africana o non africana, non cercare le testimonianze di una compravendita. Appena lo sentirai dire dal di dentro e con passione ‘Signore!’, anche se dodici Ministeri lo annoverassero Ministro, dillo servo. Se lo sentirai dire ‘Sciagurato me, cosa non sperimento!’ dillo servo. Se insomma lo vedrai singhiozzare, lagnarsi, non essere sereno: dillo un servo che porta, tutt’al più, un cappello a cilindro.
USS 188 – Senegal, Dakar
– Moustapha Dansokho, cos’è dunque a fare l’uomo incondizionato, non soggetto ad impedimenti? Giacché non lo fa la ricchezza di denaro, non lo fanno né la politica né la religione né la scienza, bisogna che a farlo sia qualcos’altro. – Abdoulaye, cos’è che ci fa non soggetti ad impedimenti e ad impacci nello scrivere? – La scienza dello scrivere. – E nel suonare il pianoforte? – La scienza del suonare il pianoforte. – Dunque ciò che rende l’uomo non soggetto ad impedimenti ed impacci nel vivere, sarà il possesso della scienza del vivere. Analizzalo anche nei particolari. E’ possibile che non sia soggetto ad impedimenti chi prende di mira qualcuna delle cose che sono in potere d’altri? – No, questo è impossibile. – È possibile che costui non sia soggetto ad impacci? – No. – Dunque costui neppure è libero. Adesso chiediamoci, Abdulaye: abbiamo noi qualcosa in nostro esclusivo potere, oppure nulla è in nostro esclusivo potere, oppure alcune cose sono in nostro esclusivo potere ed altre in potere d’altri? – Non capisco bene la tua domanda. – Se tu vuoi che il tuo corpo sia integro in tutte le sue parti, è questo in tuo esclusivo potere oppure no? – Non è in mio esclusivo potere. – E che sia sempre in salute? – Neppure questo è in mio potere. – Che viva o che muoia? – Neppure questo. – Dunque dobbiamo concluderne che il corpo è qualcosa di allotrio, soggetto a tutto ciò che è più potente di lui. – Capisco che è così. – E il lavoro, è in tuo esclusivo potere averlo quando lo vuoi, per quanto tempo lo vuoi e quale lo vuoi? – No. – E la tua casa a Dakar? – No. – I vestiti? – No, nessuna di queste cose è in mio esclusivo potere. – E se vorrai che i tuoi figli o tua moglie o tuo fratello o i tuoi amici di Tivaouane vivano ad ogni costo, questo è in tuo esclusivo potere? – Neppure questo. – Abdulaye, non hai nulla hai di incondizionato, in tuo esclusivo potere, oppure hai qualcosa del genere? – Non lo so. – Analizza la faccenda in questo modo e rispondimi. Può qualcuno farti assentire a ciò che ti appare falso? – Nessuno lo può. – Dunque, nell’ambito dell’assenso non sei soggetto ad impedimenti e ad intralci. – Lo riconosco. – Può qualcuno costringerti ad impellere a ciò che non vuoi? – Sì, può; giacché se minaccia di uccidermi o di mettermi in carcere mi costringe a fare quello che mi comanda. – Ma se tu spregi il morire o l’essere messo in carcere, hai ancora paura delle sue minacce? – No. – Dunque lo spregiare la morte e il carcere è opera tua oppure non è opera tua? – È opera soltanto mia. – Tuo è anche il giudicare doverosi certi atti oppure no? – Questo è mio. – E il giudicarli non doverosi? – Anche questo è mio. Ma se io decido, per esempio, di camminare e qualcuno me lo impedisce? Ecco che non sono più libero. – Cosa viene impedito di te in questo caso? Forse la tua decisione di camminare? No, ma viene impedito al tuo corpo di camminare. – Sia pure, Moustapha, ma io non cammino più. – E chi ti ha mai detto che camminare è opera tua non soggetta ad impedimenti? Giacché io dicevo non soggetta ad impedimenti soltanto la tua decisione di camminare. Dove c’è bisogno del corpo e della sua cooperazione, devi sapere che nulla è in tuo esclusivo potere. – Non posso che essere d’accordo su questo. – E può qualcuno costringerti a desiderare ciò che non vuoi? – Nessuno lo può. – Qualcuno può costringerti a proporti o progettare qualcosa o, insomma, ad usare le rappresentazioni che ti incolgono in un modo che tu rifiuti? – Neppure questo è possibile. Ma se desidero qualcosa, qualcuno può impedirmi di centrare ciò che desidero. – Se però tu desideri qualcosa che è in tuo esclusivo potere e non è soggetta ad impedimenti, come potrà costui impedirti? – Non potrà impedirmelo in nessun modo. – Chi ti ha mai detto che chi desidera ciò che è allotrio non è soggetto ad impedimenti?
USS 189 – Turkmenistan, Ashgabat
– Saparmurat Berdymukhamedov, dunque non devo smaniare per la salute del corpo? – Assolutamente no, né per null’altro di allotrio. – Allotrio? Cosa significa ‘allotrio’? – Kurbanguly, allotrio significa qualunque cosa che non sia in tuo esclusivo avere o non avere, apprestare o serbare come, quando e dove disponi tu. Questo è allotrio. – La salute del corpo è cosa allotria? – Certamente, giacché non è in tuo esclusivo potere. Augurati pure di stare in salute e fa tutto ciò che è ragionevole e doveroso fare per conservarla, ma sappi che se la desideri ad ogni costo, questo tuo desiderio può andare incontro al fallimento. – Nessuno può garantirmi la salute? – Nessuno. Dunque, tieniti lontano dallo smaniare per essa a qualunque costo. Infatuandoti di qualcosa di allotrio, rendi serva la tua proairesi, perdi la tua libertà. – La mano non è mia? – E’ un tuo membro, ma per natura delle cose è atomi e molecole soggette ad impedimenti, soggette a costrizioni, serve di tutto quanto è più potente di loro. Ma perché dici ‘mano’? – Il corpo non è mio? – Il corpo intero va trattato come un fedele asinello che ci è dato in uso per un certo tempo e del quale dobbiamo avere la massima cura, ma che inevitabilmente dovremo restituire. E se qui ad Ashgabat vi sarà una requisizione ed un soldato lo abbrancherà, non potendo fare altro lascialo andare, non contendere, non brontolare. Se no, dopo avere preso botte nondimeno perderai anche l’asinello. – Non devo difendermi da chi vuole uccidermi? – Non dico affatto questo, Kurbanguly. Dico che soltanto tu sarai responsabile della scelta che farai e che quella scelta sarà comunque e sempre la migliore per te. Se il corpo va trattato così, vedi cosa avanza del resto, di quanto si appresta per il corpo. Se il corpo è un asinello, tutto il resto diventa briglie dell’asinello, basto, ferri, orzo, foraggio. Fornito della diairesi, preparato di questa preparazione, esercitato nell’esercizio di distinguere ciò che è allotrio da ciò che è tuo peculiare, quanto è soggetto ad impedimenti da quanto non lo è, e a ritenere che questo è tuo mentre il primo non lo è, ad avere qui il desiderio, qui l’avversione: hai forse ancora paura di qualcuno?
USS 190 – Zambia, Lusaka
– Lupando Mwanawasa, perché dici ‘porsi al seguito’? Porsi al seguito di chi? – Tilyenji Mwila, tu sei il miglior panettiere di Lusaka e meriti di saperlo. Porsi al seguito della natura delle cose significa questo: affinché ciò che essa dispone, anche tu lo disponga; e ciò che essa non dispone, neppure tu lo disponga. – Come può accadere una cosa simile? – Non in altro modo che esaminando gli impulsi ed il governo della Materia Immortale. Essa cosa mi ha dato mio ed incondizionato? – Non saprei. – Mi ha dato ciò che è proairetico: questo ha fatto in mio esclusivo potere, non soggetto ad intralci, non soggetto ad impedimenti o costrizioni. E cosa ha lasciato per sé? – Dimmelo tu. – Tutto ciò che è aproairetico. Il corpo fatto di atomi e di molecole, come poteva essa farlo non soggetto ad impedimenti? Dunque insieme con esso, il patrimonio, le suppellettili, la casa, i figli, la moglie sono subordinati al ciclo regolare dell’intero. Perché combattere contro le inviolabili leggi della Materia Immortale? Perché volere quanto non posso disporre? Perché voler avere ad ogni costo quanto non mi è dato? – E come, allora? – Com’è dato e per quanto è dato. – Ma chi dà, può anche sottrarre! – E te ne stupisci e lo trovi ingiusto? Tilyenji, non dico soltanto che è sciocco usare violenza contro chi è più potente di me, ma ancor prima che è ingiusto. Tu sei venuto al mondo avendo questo dono da chi? – Da mio padre e mia madre. – E chi ha fatto quel dono a tuo padre e tua madre? – Chi ha fatto il sole, i frutti, le stagioni, la sessualità e la socievolezza degli uomini gli uni per gli altri. – E dopo avere ricevuto in dono tutto questo da un altro, compreso te stesso, fremi e biasimi il datore, se ti sottrarrà qualcosa? Chi sei tu e per cosa sei venuto al mondo? Non è stata la Materia Immortale ad introdurtici? Non ti mostrò lei la luce? Non ti ha dato lei dei cooperatori, delle sensazioni, la ragione? Come creatura di qual genere ti introdusse a Lusaka? Non t’introdusse qui come un essere mortale? Non fu per farti vivere sulla terra con un po’ di carne, per osservare il suo governo, far parte del suo corteo e fare festa insieme per un poco? Non vuoi dunque, finché ti è concesso, osservare il corteo e la sagra e poi, quando è l’ora di sloggiare, andartene riverendo e ringraziando per quanto udisti e vedesti? – Lupando, ma è naturale voler fare ancora festa. – Dimentichi che la sagra ha un termine? Esci, allontanati da uomo grato, rispettoso, felice. Fa posto ad altri. Anche altri devono nascere appunto come nascesti tu e, una volta nati, avere terre e case e provviste. Perché essere insaziabili? Perché angustiare l’ordine del mondo? – Sì, ma io voglio che la mia panetteria prosperi e che i miei figli e mia moglie siano sempre con me. – Perché pensi che siano tuoi? Non sono di chi te li ha dati? Non sono di chi ha fatto anche te? – Perché la Materia Immortale mi introdusse nel mondo a questo patto? – Se il patto non fa per te, esci. Essa non ha bisogno di uno spettatore lagnoso. Ha bisogno di quelli che con lei fanno festa e danzano, battono le mani ed inneggiano alla sagra. Gli indolenti ed i vili essa li vedrà, non spiacevolmente, lasciati indietro; giacché, da astanti, non se la passavano come in una festa né assolvevano l’ufficio loro confacente ma si dolevano, biasimavano i loro geni, la fortuna, i compagni; incoscienti di quanto ottennero e delle facoltà stesse che da essa ricevettero per fare fronte alle contrarietà. – Quali facoltà? – La magnanimità, Tilyenji; la generosità, la virilità, la tanto ricercata libertà. – Lupando, a quale scopo, allora, ho ricevuto da essa le cose aproairetiche? – Per usarle secondo la natura delle cose. – Fino a quando? – Finché essa lo disporrà. – E se mi sono indispensabili? – Non struggerti per esse e non lo saranno; non dire a te stesso che sono indispensabili ed esse non lo saranno.
USS 191 – Solomon Islands, Honiara
– Orsù, Snyder; veniamo ai punti ammessi. Libero è l’uomo non soggetto ad impedimenti, cui le faccende sono a portata di mano come decide. Invece, chi è possibile impedire o costringere o intralciare o sbattere in qualcosa suo malgrado, ebbene costui è servo. – Manasseh Makarakomburu, e chi non è soggetto ad impedimenti? – Chi non prende di mira nulla di allotrio. – E cos’è allotrio? – Allotrio è ciò che non è in nostro esclusivo potere avere o non avere o avere con certe qualità o in un certo stato. Pertanto allotrio è il corpo, allotrie sono le parti del corpo, allotrio è il patrimonio. Se dunque ti struggerai per qualcuna di queste cose come tua peculiare, pagherai il fio che merita chi prende di mira l’allotrio. Soltanto questa strada conduce alla libertà, questa sola è scampo dalla servitù. Snyder, supponiamo che qui ad Honiara ci sia un tiranno il quale ti chiama a fare una di quelle cose che non si confanno a chi usa la diairesi. La fai o non la fai? Rispondi. – Uhm…lasciami analizzare. – Adesso la analizzi? Quand’eri a scuola da Tiberrannang Bairiki, a Tarawa, cosa analizzavi? Non studiavi cos’è bene, cos’è male e cos’è udetero, ossia né bene né male? – Sì, studiavo questo. – Ed a quali conclusioni siete giunti? – Che il giusto e il bello sono beni; l’ingiusto e il brutto, mali. – E dimmi: vivere è di per sé un bene? – No. – E morire è di per sé un male? – No. – Lo è forse la prigione? – No. – Invece, un discorso gretto e sleale, il tradimento di un amico, l’adulazione di un tiranno, cosa vi apparivano? – Mali. – E dunque? Hai ancora bisogno di analizzare se fare o non fare quello che ti chiede il tiranno? Sta in guardia, Snyder, come senti dire – non dico: che è morto tuo figlio; come reagiresti? ma che ti hanno rubato l’automobile, che hai subito una truffa. Qualcuno, standoti accanto mentre sei furibondo, potrebbe dirti così: ‘Snyder, a scuola dicevi altro. Perché ci inganni? Perché dici di essere un uomo mentre sei un verme?’.
USS 192 – Seychelles, Felicité
In pieno Oceano Indiano, un braccio di mare largo poco più di tre chilometri separa l’isola di La Digue da una piccola isola alla quale è stato dato, non si sa da chi, il nome di ‘Felicité’. L’isola è rocciosa quanto basta e ha magnifiche spiagge. Potete averla tutta per voi, beninteso per un numero limitato di giorni. Il numero minimo degli ospiti è due e il numero massimo è otto. Ma deve trattarsi di coppie, di famiglie o gruppi di persone che intendono conviverci. Wavel Ramkalawan vi ha soggiornato recentemente, con i suoi due fratelli, un cugino di secondo grado e quattro cugine di primo grado. Ed è proprio il suo carissimo cugino di secondo grado che un giorno, su una delle più stupende spiagge dell’isola, quella di Pinomar, sollecitato da tutti i presenti ha raccontato questa celebre favola: – Quando Eracle imprendeva il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza, età nella quale i giovani, mentre stanno diventando padroni di se stessi, mostrano se nella vita prenderanno la strada della virtù o quella del vizio, uscitosene un giorno e trovato un posto tranquillo, se ne stava seduto incerto su quale delle due strade prendere. Parve allora ad Eracle che gli si avvicinassero due donne adulte. Una era d’aspetto bello e nobile ed appariva adornata al naturale: pulito il corpo, il rispetto di sé e degli altri negli occhi, la compostezza nel portamento, la veste bianca. L’altra era ben pasciuta e di morbide carni, imbellettata in modo da apparire di colorito più bianco e più roseo del vero, con un portamento che la faceva sembrare più dritta e alta del naturale. Teneva gli occhi spalancati e portava un vestito dal quale potesse trasparire tutta la sua avvenenza. Si guardava intorno di frequente, sorvegliava se qualcun altro la osservasse e spesso volgeva lo sguardo anche alla propria ombra. Quando gli si furono fatte più vicino, la prima continuò a camminare con lo stesso passo mentre la seconda, volendo precederla, corse verso Eracle e gli disse: “Ti vedo, Eracle, incerto su quale strada prendere nella vita. Se mi farai amica tua, io ti guiderò per la strada più piacevole e più facile di tutte, non rimarrai inesperto di alcuna delle delizie della vita e vivrai immune da ogni molestia. In primo luogo, infatti, non dovrai preoccuparti né di guerre né di affari ma soltanto di considerare quale gradito cibo o bevanda potresti trovare; quale spettacolo o quale musica potrebbe deliziarti; il profumo o il tatto di che cosa darti godimento; la conversazione con quali amanti allietarti di più; e come potresti dormire il più mollemente possibile e il modo per centrare tutto ciò con la minore fatica. E se mai sorgesse il sospetto di una scarsità dei mezzi grazie ai quali queste cose si ottengono, non temere che io ti conduca a provvederli con fatiche e travagli di corpo e d’animo; ma tu farai uso dei frutti del lavoro altrui perché non ti asterrai da nulla da cui sia possibile trarre un qualche lucro. Io, infatti, procuro ai miei sodali la potestà di ricavare guadagno da qualunque attività”. Udite queste parole, Eracle le disse: “Donna, come ti chiami?” E quella rispose: “I miei amici mi chiamano Felicità, ma coloro che mi odiano mi denominano spregiativamente Vizio”. Nel frattempo era sopraggiunta l’altra donna, la quale disse: “Io sono giunta da te, Eracle, sapendo anche chi sono i tuoi genitori e dopo avere decifrato a fondo, durante il periodo della tua educazione, la tua indole. Per questo, se prendessi la strada che porta da me, spero proprio che tu possa diventare un eccellente operatore di tutto ciò che è bello e solenne, e che io possa apparire ancor più onorevole ed illustre per i benefici che reco. Non ti ingannerò con preamboli sul piacere fisico, ma esporrò con verità il modo in cui gli immortali hanno disposto la realtà delle cose. Nulla di ciò che è bello e nobile gli immortali danno agli uomini senza fatica e studio. Se tu disponi che gli dei ti siano benigni, devi accudire gli dei; se vuoi essere amato dagli amici, devi beneficare gli amici; se smani di essere onorato da una qualche città, devi giovare a quella città; se solleciti di essere ammirato per valore da tutta la Grecia, devi provare a far bene per la Grecia; se disponi che la terra ti porti frutti abbondanti, devi accudire la terra; se credi di doverti arricchire con il bestiame, devi avere sollecitudine per il bestiame; se impelli a farti grande con la guerra e disponi di poter liberare gli amici e soggiogare i nemici, devi imparare la tecnica militare da coloro che ne hanno scienza ed esercitarti nei modi in cui essa deve essere usata; se disponi di essere forte fisicamente, devi abituare il corpo ad essere servitore dell’intelligenza ed allenarlo con fatiche e sudore”. Allora il Vizio prese la parola e disse: “Eracle, hai il concetto di come sia esasperante e lunga la strada verso la Letizia che questa donna ti espone? Io invece ti condurrò alla Felicità per una strada facile e corta”. E la Virtù ribatté: “Sciagurata, che bene possiedi tu? Che piacere conosci tu, se per ottenerli non vuoi fare nulla? Proprio tu, che neppure aspetti di desiderare le cose piacevoli ma prima ancora di averne desiderio ti riempi di tutte: mangi prima di avere fame; bevi prima di avere sete; e per il piacere di mangiare, escogiti stuzzichini; per il piacere di bere procuri vini costosi e d’estate corri qual e là a cercare la neve; per il piacere di dormire profondamente, ti procuri non soltanto molli coperte ma anche sostegni per i letti, giacché desideri il sonno non perché sei affaticata ma perché non hai niente da fare. Ti costringi al piacere sessuale prima del bisogno, escogitandone d’ogni sorta e usando i maschi da femmine. Così, infatti, tu educhi i tuoi amici: perpetrando azioni oltraggiose di notte e passando la parte più proficua del giorno a dormire. Pur essendo tu immortale, sei stata cacciata via dal consorzio degli dei e sei spregiata dagli uomini buoni. La lode di te stessa, il suono più dolce di tutti, tu non l’hai mai sentito e non hai visto lo spettacolo più dolce di tutti, giacché non hai mai visto una tua opera bella. Chi si fiderebbe di qualcosa che tu dici? Chi ti soccorrerebbe se avessi bisogno di qualcosa? Chi, sano di mente, ardirebbe far parte della tua brigata? I membri della quale sono, da giovani, invalidi di corpo e, da anziani, dissennati d’animo. Infatti, grassi e panciuti come sono, passano la gioventù da sfaticati e trapasseranno penosamente la vecchiaia nello squallore, vergognandosi di quello che hanno fatto ed oppressi da quello che fanno. Giacché hanno trascorso la gioventù fra le dolcezze e messo da parte tutto l’amaro per la vecchiaia. Io invece sto con gli dei e con gli uomini virtuosi; e nessuna bella opera, né divina né umana, si realizza senza di me. Sono poi onorata sia presso gli dei che presso gli uomini, con i nomi che più di tutti convengono: ‘amata collaboratrice’ presso gli artigiani; ‘leale custode’ presso i padroni di casa; ‘paziente assistente’ presso i domestici; ‘valente alleviatrice’ delle fatiche nella pace; ‘salda alleata’ delle operazioni nella guerra; ‘eccelsa compagna’ d’amicizia. I miei amici gustano cibi e bevande con piacere e spensieratezza, poiché aspettano di averne desiderio. Il sonno è per loro più dolce che per gli scioperati, ed essi non si adontano nel lasciarlo né trascurano di fare il loro dovere per causa sua. I giovani si rallegrano delle lodi dei più anziani; i più vecchi gongolano per l’onore in cui sono tenuti dai giovani e ricordano con piacere le loro faccende d’antica data mentre godono di bene operare le presenti, essendo grazie a me cari agli dei, amati dagli amici e onorati nelle loro patrie. E quando venga la fatale fine, non giacciono in oblio senza onori, ma la loro memoria verdeggia e sono inneggiati per l’eternità. Eracle, figlio di eccelsi genitori, dandoti da fare a questo modo tu hai la potestà di possedere la più invidiabile felicità”. Quando è giunto il momento di lasciare l’isola, il ricordo che gli era richiesto e che Wavel ha scritto sul libro degli ospiti è stato questo: ‘Avviene agli insipienti la stessa cosa che avviene ai bambini che fanno scendere la mano in un vaso di coccio dal collo stretto e vogliono portarne fuori fichi secchi e noci. Se riempie troppo la mano, il bambino non può più cavarla e poi singhiozza. Lasciane un po’ e la caverai! Anche tu che mi leggi, abbandona ogni desiderio improprio; non smaniare per molte cose, e te la caverai’.
‘E laddove neppure c’è bisogno di mettersi in viaggio, ma dove Zeus è già e presenzia con le opere, ebbene queste non smanierete di osservare e di capire? Quindi non vi accorgerete né di chi siete, né del per cosa siete nati, né di cos’è quest’opera alla cui visione siete stati invitati?’
Epitteto
8/11/98 Torino, Domenica -Allora Zeus, la cui parola è legge, chiamò Atena e le disse: “Va da lui, o figlia diletta, e guidane i passi”. -Venne allora da me Atena occhi-azzurri e mi disse: “Seguimi”.
10/11/98 Delhi, Martedì -A Delhi, quella Nuova, vedrete scimmie che circolano liberamente e ragazzini che si divertono a prenderle a sassate. -Le mucche ci sono, sono sacre e le noterete in giro dappertutto. Ma come gli asini, i cani, addirittura le mosche, hanno movimenti così torpidi e distaccati da sembrare animali in preda a depressione grave piuttosto che animali tranquilli. -Che dire, invece, del topolino con cui condivido la stanza nell’Hotel Namaskar di Paharganj? Lui non è così. Fugge veloce, quasi invisibile, non appena si accende la luce e si entra nella stanza, per poi tornarvi furtivo non appena la si lascia. -Sulla luce rossa dei semafori di Delhi non c’è scritto STOP ma RELAX. -Il traffico caotico del Cairo o la folla del souk di Tunisi sono un paesaggio idilliaco od un semi-deserto, se paragonati a quel che accade nelle strade di Delhi. -Qui non c’è autunno. Qui intorno splende la luce, si suda sotto il sole. Le erbe, gli arbusti, le piante sono in fiore e immenso è il verde. -Le donne di Delhi vestono sari di colori smaglianti, stupendi. -Al Ristorante Nirula’s, in un angolo del blocco L di Connaught Place, non si mangia affatto male. E’ gustoso il Tandoori sample, per esempio. Ma sono gustosi anche l’umile Dhal od il Chicken Curry. Non ordinate però una birra Kingfisher: ve la farebbero pagare a peso d’oro. E’ qui che ho incontrato Pànkalos, un greco di Olimpia che è in India da qualche mese.
11/11/98 Delhi, Mercoledì -Stamattina nell’ampio e verdissimo prato del Raj Ghat, lungo la sponda occidentale del fiume Yamuna ho camminato da solo, con le lacrime agli occhi, alcuni dei più bei passi della mia vita intorno alla semplice piattaforma quadrata di marmo nero che segna il luogo dove Gandhi fu cremato nel 1948.
14/11/98 Jaipur e Pushkar, Sabato -Imponenti, splendidi animali sono i cammelli del Rajasthan. Anche quando semplicemente masticano, ogni loro movimento rende una impressione di calma maestà e di elegante vigore.
-Quanto a ‘verità rivelata’ il Cristianesimo, l’Islam e l’Ebraismo non valgono certo più dell’Hinduismo. -Il caos delle città indiane, anche quando non è quello di Delhi, è sempre troppo. -L’India è stipata. -Le mucche vaganti nelle strade, ma anche i maiali ed i cani fanno, in parte, quel che dovrebbero fare gli spazzini che non ci sono. Così i rifiuti organici sono mangiati ed il letame raccolto, seccato ed usato, tra l’altro, come combustibile.
-Vivo l’intera giornata nelle strade e fotografo volti.
15/11/98 Jaipur, Domenica -In India vedrete davvero le masse. -Poche auto private, tantissime biciclette e motorette Bajaj. -Per urinare, moltissimi indiani usano piegare le gambe ed accucciarsi, come fanno le donne. Nessuno di loro è un Sikh.
-A Jaipur, e non solo a Jaipur, è praticamente impossibile camminare sui marciapiedi giacché essi non sono che orinatoi pubblici.
-In questa città capitale del Rajasthan molto, anzi moltissimo è sporcizia, degrado, fatiscenza; eppure gli occhi di un intelletto esercitato sapranno cogliere qua e là degli improvvisi, inattesi lampi di bellezza.
-Sulla riva del lago santissimo di Pushkar frequentata dai pellegrini e piena di Hindu, ho sentito Pànkalos parlare a voce alta, con fortissima gioia, le parole di Socrate che chiudono il “Fedro” e che dicono ὦ φίλε Πάν τε καὶ ἄλλοι ὅσοι …ò fìle Pàn te kài àlloi òsoi… , quelle di Epitteto nel secondo libro delle “Diatribe” che dicono τὰ ἴδια τηρεῖν, τῶν ἀλλοτρίων μὴ ἀντιποιεῖσθαι …tà ìdia térein, tòn allotrìon mé antipoièisthai… e poi di nuovo quelle di Socrate. -L’ho poi visto benedire lui Ramish-o-Ananda, il “prete” Hindu; non il prete lui.
-Dall’ampio cortile porticato della Devi Niwas Guest House di Jaipur, dove di nuovo condivido l’alloggio con un topolino, si vedono volare lontani, nell’aria aprica, un aquilone nero ed uno rosso.
17/11/98 Udaipur, Martedì -Alle tre del pomeriggio nel cielo di Udaipur, punteggiato di nubi biancheggianti, volano lentamente in circolo, altissimi, in gran numero, falchi.
-La luce ed il calore del sole, insieme ad uno squisito thè al ginger e miele, aiutano sempre a superare un piccolo raffreddore. -I cammelli del Rajasthan sono davvero elegantissimi, anche nell’urinare.
18/11/98 Udaipur, Mercoledì -Pànkalos, con una sfavillante camicia gialla, e Connie, un’americana del New Mexico, mi hanno raggiunto in bicicletta sulla riva occidentale del lago Fateh Sagar. Qui nerissimi bufali brucano tranquilli tra alberelli e magnifici prati verdi semisommersi, mentre altri ruminano placidamente affondati fino al collo in una pozza. Connie, con la mano incerta della principiante, ritrae la scena ad acquerello e vi inserisce anche una macchiolina gialla a forma di camicia. Quando Pànkalos l’ha notata, gli si è spalancato il volto in un beato sorriso.
-I giacigli sui quali vedrete gli Indiani riposare nelle abitazioni di campagna, sono identici a quelli degli Egizi di 5000 anni fa, ossia a quelli che noi ammiriamo nei Musei come reperti archeologici.
Ahmedabad, Rajkot
24/11/98 Diu, Martedì -Un bambino di Diu sta osservando con stupore Dor, un giovane israeliano di Tel Aviv, scrivere in caratteri che non conosce. Dor mi ha manifestato l’intenzione di imparare un po’ di lingua Gujarati. -Diu è cosparsa, di tanto in tanto, di un profumo nient’affatto sgradevole di pesce in essiccazione. -Dor mi giura di avere visto, a Rajkot, un cammello che non stava masticando. -La pulizia delle strade indiane è, in genere, tale che i fidanzati Vandna e Atul possono tranquillamente dirsi: “Pensa caro, pensa cara, siamo separati soltanto da una merda di vacca”. -Anche gli Hindu credono fermamente l’essere umano dotato di un’anima immortale. Quale più grande disgrazia poteva pure ad essi capitare? -Geert ha candidamente ammesso di trovare gli Indiani, contrariamente a quel che si aspettava, tanto infelici quanto gli Olandesi. -Nel vano tentativo di parare le assillanti ed indiscrete domande di molta gente, Geert ha detto di chiamarsi Paulo, Joao, Pasquale… La prossima volta dice che proverà a chiamarsi Shiva. -Onnipresenti sono gli schifosi, enormi sputacchi rossi dei consumatori di “pan”. Addirittura sono pieni delle tracce di questi schizzi i muri delle camere d’albergo. Il fatto è che consumatori di “pan” sono, oltre a moltissime donne, praticamente tutti i maschi indiani adulti.
25/11/98 Diu, Mercoledì -In India si guida tenendo la sinistra. -Lo sport preferito e più praticato dagli Indiani è il cricket. -La mattina, tutte le mosche di Diu si danno appuntamento al mercato del pesce.
26/11/98 Diu, Giovedì -Le Indiane, come le Arabe, fanno il bagno di mare rigorosamente vestite -Il 9 Novembre, verso mezzanotte, all’aeroporto di Kuwait City alcuni altoparlanti diffondevano la cara musica del Concerto per Clarinetto e orchestra di Mozart.
28/11/98 Diu, Sabato -A Diu capita spesso di incontrare degli ubriachi giacché qui, a differenza che nel resto del Gujarat, la vendita ed il consumo di alcoolici sono permessi. -Armin, un pittore di Berlino, mi raccontava di avere visto qualche giorno fa a Jaipur, verso le nove di sera, un giovane di una trentina d’anni giacere stramazzato su un marciapiede di Mazir Ismail Road, supino, incosciente, sbavando orribilmente dalla bocca socchiusa una schiuma marrone che gonfiava gorgogliando. A pochi passi dal primo, un altro giovane giaceva stramazzato per metà sulla strada e per metà sul marciapiede, in una posa da marionetta, e pareva morto. Non lontano, il vecchio conduttore di un baracchino di arachidi continuava a tostare e rimestare i suoi frutti. -Chissà, forse la coscienza è come uno specchio e l’autocoscienza è come una coppia di specchi che si specchiano l’uno nell’altro.
-E’ incredibile ma sulla sabbia di Nàgoa, la spiaggia di Diu orlata di palme, oltre a vari cuori trafitti ho trovato scritto il quoziente di Newton della funzione y = x al quadrato.
29/11/98 Diu, Domenica -A Diu si vedono circolare scrofe magrissime. -Sul bastione di S. Filippo dell’antico Forte portoghese, bastione che sporge sul mare Arabico, decine di verdi pappagalli che qui hanno il nido, fanno questo verso: …dìu, dìu, dìu, dìu…
-Il primo serpente non l’ho visto strisciare in terra bensì nuotare veloce nel lago di Udaipur. -Appoggiato ad un antico cannone portoghese, sto scrivendo che la attuale prigione di Diu si trova entro le mura dell’antico Forte. – La bandiera federale indiana è formata da tre strisce orizzontali: la superiore arancione; l’intermedia bianca, con al centro la ruota della colonna di Ashoka; l’inferiore verde.
30/11/98 Diu, Lunedì -Gli studenti sono riconoscibili dalla loro divisa: pantaloni blu e camicia bianca per i maschi; gonna lunga blu e camicia bianca per le ragazze. -Soltanto ieri ho notato per la prima volta una donna incinta. -A Ghoghla la spiaggia è usata da tutti come cacatoio pubblico. -Le donne qui faranno pure il bagno vestitissime, ma sventolano tranquillamente i culi quando fanno i loro bisogni in riva al mare. -Pravin viene da Gondal ma ha trovato un lavoro qui a Diu nella fabbrica Suzlon, ed assembla generatori eolici di energia elettrica. Un lavoratore generico guadagna circa 3.000 rupie al mese. Un ingegnere, tra le 10.000 e le 15.000 rupie. Una famiglia vive con circa 7.000 rupie al mese. -Tanto al mercato ortofrutticolo che a quello del pesce la stragrande maggioranza dei venditori è donna.
-Sono donne anche coloro che fanno i lavori di manovalanza pesante in edilizia. -E’ molto, molto piacevole cenare, anche solo, sulla terrazza dell’Hotel Sanman. Stasera, poi, c’è una particolare calma di vento.
2/12/98 Diu, Mercoledì -La luna è quasi piena. La marea è al minimo. Il braccio di mare che le separa è sparito quasi del tutto, e Ghoghla e Diu diventano come una cosa sola. -La luna sarà piena domani, 3 Dicembre. -Il primo sguardo che diedi all’India, sul bus che la mattina del 9 Novembre mi portava dall’aeroporto a Connaught Place, ricordo mi restituì all’istante una fortissima impressione di familiarità con i luoghi, di “qui io ci sono già stato”. -Nulla, in questa India, splende. Nulla è magico. -Ieri Romeo ha affittato una bicicletta per 10 rupie ed è andato dalle parti di Fudam a cercare il tempio Hindu di Gangeswhar. Mi ha detto di averlo trovato, di averlo osservato ben bene ma che il “lingam”, ossia “la sacraminchia” (come la chiama lui) di Shiva, lui non l’ha vista. -Che bisogno c’è di parlare? Spesso, cosa si può dire meglio di quel che dica il silenzio? -Un improvviso litigio tra cani si risolve in un diluvio di guaiti e latrati di breve durata.
3/12/98 Diu, Giovedì -Su tutte queste spiagge i cani, per trovare un po’ di refrigerio, scavano una fossetta nella sabbia e poi vi si accucciano dentro. -Noterete ben presto come qui la cultura assolutamente imperante preveda che qualunque scarto o rifiuto venga gettato per terra.
4/12/98 Diu, Venerdì -Prakash è un indiano di casta elevata che abita ad Una e che qui gestisce un bar. Si dichiara un Hindu moderato ed ammette tranquillamente che l’immane congerie di tabù e di superstizioni Hindu, man mano che le si conosce più da vicino, si rivelano spesso identiche ma sempre altrettanto orribili di quelle cristiane, musulmane, ebraiche, ecc…ecc… -Pravin mi assicura di non potersi recare all’estero a meno di non depositare una somma spropositata di rupie in garanzia del suo rientro in India.
5/12/98 Diu, Sabato -Il Cafè Bela Vista e la Pizzeria “Artistic Root” affacciano sull’ampio prato che circonda il Museo. Di qui si scorgono bene le barche uscire in mare per la pesca nel primissimo pomeriggio. Sono tutte di piccola stazza ed hanno tutte una minuscola vela bianca triangolare a prua, gonfia di vento.
-Non appena sbarcherete all’aeroporto di Delhi potrete subito percepire quel certo sudicio, quel certo così caratteristico appiccicaticcio, già nel salone del controllo dei visti. -Eppure qui il sole spinge, spinge, e spingerà meravigliosamente anche in pieno inverno.
6/12/98 Diu, Domenica -Verso le cinque del pomeriggio hanno lentamente attraversato la spiaggia di Jallandhar tre donne tutte vestite di bianco che portavano una garza rettangolare salvabocca ed un lungo pennello bianco sottobraccio. Camminavano scalze. Così vanno abbigliate le donne Jainiste. -All’interno della chiesa di S. Paolo volano liberamente colombi. -Una decina di nerissime cornacchie hanno spolpato in un batter d’occhio una grossa murena finita, non so come, sulla spiaggia di Jallandhar. -Bunder Road, la lunga strada a ridosso del mare che passa davanti al Marwar Memorial e finisce al Forte, è stata ribattezzata da Cesia Philosophy Road, perché è diventata la passeggiata delle riflessioni filosofiche. Cesia viene da Malta, dove insegna matematica. Ieri si discuteva di Aristotele e lei, ad un certo punto, ha affermato con determinazione: “Finiamola una buona volta con le fole di Aristotele e con il suo fraintendimento della “politica”. L’uomo, prima di essere un animale politico è e resta un animale “logico”“. -Oggi Cesia, con la quale riesce sempre interessante discutere, ha proposto una distinzione e dato due definizioni che mi hanno colpito. Dunque Cesia proponeva di distinguere tra “politica” e “politicheria” (che, per quanto ho capito, è un termine che particolarmente le piace perché fa rima con “porcheria”, ma della quale si affretta a dire che può essere anche onesta e generosa quando onesto e generoso è chi la pratica). Definiva poi la prima, cioè la politica, come “l’arte di essere felici” e la seconda, ossia la politicheria, come “l’arte di illudersi di poter fare felici gli altri”. Ne conseguiva e ne consegue, per esempio, che a fare politica era Socrate mentre a fare politicheria era, per esempio, Pericle. Non è affatto un paradosso, anche se ne ha l’apparenza. Che dire allora di Gandhi? Siamo giunti alla conclusione che, verità per verità, non ci appariva affatto chiara nella cultura di Gandhi la distinzione della quale stavamo discutendo e che dunque, illudendosi con onestà e con generosità di fare politica anch’egli non faceva altro che onesta e generosa politicheria.
7/12/98 Diu, Lunedì -Vedrete tantissimi uomini e tantissime donne che riescono a stare in riposo a gambe completamente piegate e piedi piatti sul terreno, come se fosse la posizione più naturale del mondo.
-Qui un coloratissimo tempio Hindu si trova nascosto in una vecchia e grande cava di arenaria nei pressi del Ristorante Jayshankar. Comprendendo la sua cerimonia devozionale presso questo tempio Hindu anche la lettura in lingua Gujarati di un testo piuttosto lungo, ho visto ed udito distintamente Lalita interrompere per ben due volte la sua lettura con due sonori sbadigli. -In Philosophy Road, sotto un magnifico cielo azzurro, siamo venuti in chiaro del fatto che una società giusta non è mai esistita e non esisterà mai. Esistono però, per nostra fortuna, uomini giusti. “Perché questo non dovrebbe bastarci?” notava Romeo che si era aggiunto a Cesia ed a me. Una società giusta sarebbe infatti quella formata soltanto da uomini virtuosi, giusti. Il che è impossibile: come volevasi dimostrare. Una società giusta è dunque una contraddizione in termini; o un ossimòro, se preferite. -Un piccolo striscioncino attaccato con due chiodini su un muro del bar della Nilesh Guest House recava questa scritta: “La vita è un mistero da vivere, non un problema da risolvere”. Qualcuno vi aveva aggiunto a matita rossa: “O esseri umani, smettete di porvi le domande sbagliate!”
8/12/98 Diu, Martedì -Le rondini sono qui. -Se cenerete da Jayshankar fatevi servire del pesce ma portatevi dei tovaglioli di carta, perché al tavolo non li troverete.
9/12/98 Veraval, Mercoledì -Sotto la pensilina della stazione di Veraval, tra un gran va e vieni di gente, di cani, di porci e di mucche aspetto tranquillamente per ore, nel pomeriggio, un bus che mi riporti a Diu. -Se andrete a Somnath, ben più del tempio Hindu -che è di costruzione assai recente- vi colpirà la vastissima vista dello stupendo mare sottostante ed il suo ampio e profondo respirare di onde. -Nel porto di Veraval si costruiscono ancora interamente a mano grandi imbarcazioni in legno capaci di reggere l’oceano. L’ho visto con i miei occhi.
10/12/98 Diu, Giovedì -Con inesausta voce risuona sonoro il mare.
-13/12/98 Diu, Domenica -Non passa quasi giorno ch’io non veda due indiani azzuffarsi od essere sul punto di farlo, siano essi pescatori, mendicanti, barcaioli od altra gente comune. -Oggi pomeriggio il cielo si è, per la prima volta, decisamente rannuvolato. -Oggi Dor era particolarmente contento anzi, a dire il vero, non stava più nella pelle dalla gioia. Gli ho chiesto quale ne fosse il motivo e lui mi ha confidato: “Ho cominciato ad imparare un po’ di lingua Gujarati”.
14/12/98 Diu, Lunedì -Sotto un cielo compattamente grigio Armin, Viral -che è il figlio maggiore di Prakash-, Ahmed -un musulmano che è nato a Bhavnagar- ed io guardiamo il mare ingrossarsi e ribollire di schiume schiaffeggiando le mura del Forte. -Passeggiando per il porticciolo di Vanakbara, che si trova esattamente all’estremità ovest dell’isola, mi è capitato, non ricordo a che proposito, di affermare che certe cose non han bisogno di parere verosimili giacché sono vere. Viral si è arrestato di botto e mi ha chiesto di spiegargli meglio cosa intendessi dire, di fargli un esempio. Io sono rimasto, sulle prime, interdetto. A questo punto è venuto in mio aiuto Armin, il quale ha affermato: “Ecco, vedi: Gesù Cristo non sta in cielo alla destra del Padre più di quanto Lord Shiva abiti sull’altissimo Kailasa o Allah nell’Eden. E’ mai possibile che verità così evidenti siano rifiutate da immense masse di esseri umani?” Viral allora ha scosso il capo sorridendo ed ha aggiunto: “Sì, è vero”. -Spesso la felicità è come la scultura: è più un togliere che un aggiungere.
15/12/98 Diu, Martedì -Vedrete le mucche mangiare volentieri, in mancanza di meglio, giornali e cartone.
16/12/98 Diu, Mercoledì – Julie “capellisparati”, un’australiana di Adelaide, se n’è andata qualche giorno fa. -Desidero sole, mare, sabbia e li ottengo. Chi è felice sta come me. -Riposo all’ombra di un giovane tamerice le cui sottili e lunghe foglioline sono bagnate di luce e tutte ne portano una gocciola appesa all’estremità. Di quale più incantevole albero di Natale poteva la Natura farmi dono? -In pieno giorno, nell’afa di Delhi, lungo la strada che porta da Connaught Place a Paharganj un venditore di almanacchi, accucciato dinanzi alla sua mercanzia, con intensa soddisfazione massaggiavasi la tunica in quel posto di cui, come ci riferisce Diogene Laerzio, Diogene diceva: “Così bastasse stropicciarmi il ventre per saziare la fame!” -Un certo spiritaccio ogni tanto prende Romeo a tradimento. Oggi, tra le saline ed il Bird Sanctuary, non ha potuto fare a meno di rivelarci che lo sprint finale di un ciclista di Delhi si può certamente chiamare “l’Indiavolata”. Ed i pesci possono annegare? Sì, nell’aria. -Qualche volta diventa davvero difficile, se non impossibile, reggere lo stress delle mille e una lentezze, contrattempi, raggiri della burocrazia di questo paese. Oggi Cesia è uscita furente dall’Ufficio Postale affermando: “Spesso più che di Indiani si dovrebbe parlare di Indioti”. -Diceva Armin che per sapere se Old Delhi sia o non sia un inferno bisogna girarla a piedi dalle otto alle dieci di sera, a metà Novembre, partendo da Paharganj alla ricerca della stazione principale dei bus senza sapere dove questa esattamente sia e senza avere con voi una mappa od una guida.
-L’India? A pleasant, very pleasant disappointment.
19/12/98 Diu, Sabato -Liberation Day- -Vedrete che il mezzo di trasporto più usato, da queste parti, è la testa.
21/12/98 Diu, Lunedì -Per salutare l’inizio dell’inverno abbiamo tutti fatto un bel bagno nel mare Arabico poco oltre Nàgoa, là dove trovate una lunghissima striscia di bella sabbia bianca, nessun turista ma anche nessuna ombra. -Seduti all’ombra di un immenso ibisco in fiore, poco oltre la Main Gate e lungo una strada secondaria per Fudam, abbiamo fatto un gioco. Ognuno di noi era invitato a dire di sé la qualità che più apprezzava. “Come tutti sapete, io sto bene con la mia proairesi”, ha detto Ahmed. Ed ha continuato: “Cos’è la proairesi? E’ quello che mi differenzia dagli altri animali; è la mia facoltà logica, la mia intelligenza in quanto può scegliere di atteggiarsi diaireticamente o controdiaireticamente”. Ho chiesto ad Ahmed: e cosa significa “diaireticamente”? “La diairesi è il giudizio che sa distinguere ciò che è in mio esclusivo potere da ciò che non lo è”, mi ha risposto. E “controdiaireticamente”? “La controdiairesi è il giudizio che afferma in mio esclusivo potere anche ciò che in mio esclusivo potere non è”.
23/12/98 Diu, Mercoledì -Le mucche saranno pure sacre, ma ciò non significa che non vengano allontanate con sonore legnate quando si avvicinano troppo ai mucchietti di verdure in vendita al mercato. -Cos’è l’inflazione indiana? E’ quando, sbarcati a Delhi, vi sentite chiedere dai ragazzini una “ball-pen” oppure “due rupie”; mentre quando ripartite da Bombay i ragazzini vi inseguono pretendendo da voi “ten rupees”. -Al ristorante Aarti, accanto a me si è seduto a cena un signore che ha più o meno la mia età, ha gli occhi chiari, potrebbe anche essere italiano e che ha mangiato e bevuto quel che ho mangiato e bevuto io. Ma fuma. Una curiosa coincidenza.
24/12/98 Diu, Giovedì -Mentre prendevamo il sole sulla spiaggia di Sunset Point ci ha raggiunto Armin, con alcuni foglietti in mano. Era cartaccia vecchia ma solida nella quale oltretutto, a giudicare dalle macchie, parevano essere stati avvolti di recente dei cibi. Poiché erano visibili delle scritte in Hindi Viral, per caso, ha cominciato a cercare di decifrarle. Si è così formato un piccolo capannello di curiosi ed ognuno diceva la sua mentre alcuni cani eccitatissimi guaivano e ci saltellavano intorno. Non è stato difficile identificare la parola che ricorreva più frequentemente ma, del resto, siamo stati in grado di ricostruire soltanto qualche spezzone di frase. La parola frequente era “Namasté”, che equivale -grosso modo- al nostro “Salve”. Gli spezzoni di frasi dicevano: Namasté… Salve a te, o gusto, che multiforme ci rendi i sapori…. il dolce… di valeriana e cocco… Namasté… fedele, leale porta… udito tatto… tessuto di labbra… e velluto… Namasté e tu leone dei sensi sovrano… piacere del sesso… indomabile… Namasté il bello… che è virtù… egémone… intelletto… Namasté… Io ho proposto di intitolare questo testo: “Frammenti di un antico elogio delle otto parti dell’animo”.
25/12/98 Diu, Venerdì -La Pizzeria “Artistic Root” non c’è più. Il forno è stato smantellato ed i mattoni giacciono ammucchiati alla rinfusa sul prato. Per Gianni e Giulia, i due bellunesi che la gestivano, è venuto a scadenza il permesso di soggiorno e dunque devono allontanarsi dall’India. -Oggi Pankaj, il chaj-boy scalzo che incontro ogni mattina al Fruit Market, è stato anche calzato. E’ successo che mentre mi trovavo, scalzo, dal calzolaio Faisal per far ricucire un bordo dell’unico paio di scarpe che ho con me Pankaj, spingendo un carrettino, si è affacciato alla porta della bottega. Ha fatto una piccola smorfia con quel suo viso da bambino che ispira simpatia e poi un cenno eloquentissimo verso un paio di sandali di plastica nera. Io, a mia volta, faccio un cenno col capo a Faisal. Pankaj raccoglie al volo il primo paio di scarpe della sua vita e scappa via senza neppure un cenno di saluto. Ecco 25 rupie spese benissimo.
-Qualche giorno fa anche Faruk, il musulmano che vende tamburi lungo le spiagge, era rimasto stupefatto quando gli ho pagato la cena ad un baracchino di Bunder Chowk, il “Paras Amlet Centre”. Lui però non aveva potuto scappare. Ecco altre 15 rupie spese benissimo. -Alla stazione dei bus di Jaipur era già buio e, in attesa della partenza, una signora indiana si stimolava deliberatamente il vomito rigirandosi in gola l’indice sprofondato tra le fauci. Vomitava dentro un sudicio lavatoio di cemento e si sciacquava, tra un conato e l’altro, con l’acqua che otteneva da un piccolo rubinetto sovrastante. Subito dopo una turista giapponese, ignara, ci è andata a bere.
26/12/98 Diu, Sabato -Dor ed io ci siamo dati appuntamento alla stazione dei bus di Veraval alle sette e trenta di mattina per poi visitare la riserva naturale di Sasan Gir. Questa di Sasan Gir è l’unica riserva nella quale sopravvivano, e si stiano moltiplicando, gli ultimi esemplari di leone asiatico. Ma il leone non è venuto all’appuntamento con noi.
-Alla stazione ferroviaria di Sasan Gir, in attesa del mio primo passaggio indiano su un treno con destinazione Veraval, mi sono pesato. Quando ho lasciato l’Italia pesavo 95 chili, oggi ne peso 88. Complimenti!
27/12/98 Diu, Domenica -Vista dal treno che caracolla lentissimo tra Veraval ed Una, la campagna del Saurashtra appare verde, fertilissima, ben coltivata a cotone ed a canna da zucchero. Uno spettacolo molto più gradevole di quello offerto da un viaggio in bus lungo strade polverose e sconnesse. -Vedo adesso chaj-boy camminare e correre con i suoi sandali.
-Un altro mezzo di trasporto qui assai comune è rappresentato da motofurgoni i cui coloratissimi cassoni assomigliano molto a quelli dei carretti siciliani . Sono spinti da motori Enfield 500 di produzione indiana, il cui suono è pieno, rotondo, gradevole. -Gianni e Giulia stanno per lasciare Diu e l’India. Li ho invitati a cenare con me sulla terrazza dell’Hotel Sanman e così mi hanno parlato dei loro progetti. Sono incerti se uscire dall’India alla frontiera Pakistana, verso Lahore; oppure a quella con il Bangladesh, da Calcutta. Intendono comunque ottenere un nuovo visto per poter rientrare in India ed aprire una nuova Pizzeria forse a Manali, nell’Himachal Pradesh. Oltre le solite Margherita, Spinaci, Ox eye, Bella Diu ho suggerito loro di inserire nel futuro menù di pizze anche quella di cui c’è davvero più bisogno e di chiamarla Pizza Felicità. Al posto degli ingredienti (che devono rimanere segreti) la didascalia di questa rarità potrebbe essere la seguente: Pizza Felicità Oh te beata che le cure certo solinghe non saprai di chi t’attende, e di chi poi ti serve dietro mite sorriso. Gianni e Giulia hanno avuto la simpatica reazione che mi aspettavo da loro.
-La notizia mi ha lasciato di sasso. Anche l’Hotel Sanman, proprio l’Hotel dove occupo la stanza n. 4, tra pochi giorni non ci sarà più. Chiuderà per sempre a fine 1998. Ed io avrò dunque l’onore di essere l’ultimo ospite a lasciarlo, nominato, non so come, comandante di una nave che sta per sparire. -Un modo per assicurare un futuro ai propri figli è quello di storpiarli da bambini. Accattoneranno, e le ben visibili storpiature garantiranno loro il cibo. Questa è la storia di Massid e di suo fratello. -Il suo buon olfatto ha permesso al cane che ho dinnanzi di scovare sotto la sabbia una decina di bocconi che ora può gustarsi nell’ombra.
28/12/98 Diu, Lunedì -Gli spifferi malefici di treni e bus mi hanno servito di nuovo un po’ di raffreddore.
29/12/98 Diu, Martedì -Ho fatto una gradevolissima, lunghissima passeggiata solitaria in cerchio: dal Sanman Hotel al Diu Museum al Sunset Point a Fudam Church a Main Gate a Bunder Chowk e quindi di nuovo al Sanman. -Anche a Diu quattro ragazzini, all’una e trenta del pomeriggio sotto un sole cocente, in un silenzio disperato, uccidono a sassate un biondo cucciolo di cane. Li v edo stagliarsi lontani contro un muro bianco della Chiesa di San Francesco, oggi trasformata in Ospedale. Proprio ora non odo più guaiti. -Anche a Diu un pastore fa pascolare le sue capre là dove non dovrebbe e la vecchia proprietaria del terreno in questione, che si trova a passare di lì cogliendolo sul fatto, si mette istantaneamente ad urlare improperi sciogliendosi dalla manina del nipotino che l’accompagna. -Il fenomeno della marea che ho dinnanzi mostra come la presenza della luna alteri drammaticamente la curvatura delle linee del campo spazio-temporale terrestre.
30/12/98 Diu, Mercoledì -Qui quasi tutti i bambini molto piccoli, diciamo sotto i due anni, hanno gli occhi truccati con matita nera o nerofumo.
31/12/98 Diu, Giovedì -Gli occhi dei bambini vengono truccati di nero per spaventare i demoni ed allontanare il malocchio.
1/1/99 Diu, Venerdì -Questo è un anno che comincia con un giorno di luna piena.
2/1/99 Diu, Sabato -Ho trovato il vecchio cimitero cristiano di Diu. E’ circondato da un alto muro ed è situato circa a metà dell’amplissimo terrapieno che fronteggia il mare e che dal Forte si spinge fino alla spiaggia di Jallandhar. -E’ chiaro ed evidente che un istante dopo la mia morte tutto sarà per me esattamente quel che era un istante prima della mia nascita.
3/1/99 Diu, Domenica -“Solamente l’atto virtuoso e chi lo compie sono bello, sono giusto, sono felice. Il bello, il giusto, il felice è percepibile solamente con gli occhi dell’intelletto. Di ciò che comunemente si percepisce con gli occhi, con i normali sensi, non si deve dunque dire che è bello, bensì che è piacevole, gradevole, ecc… ecc..”. Mentre così parlava, a Cesia sfavillavano gli occhi. -Ora che ho imparato a riconoscerle, a Gangeswahr non ci sono soltanto cinque “sacreminchie” di Shiva, ma ognuna di esse è “in coitu” con altrettante “sacrefiche” di Parvati. Ho detto a Romeo: “Ecco un esempio di quel che significa: non vedere quel che si ha davanti agli occhi”. -Il povero teschio che ho raccolto nella pattumiera del cimitero cristiano è stato dunque da me sistemato in un anfratto roccioso della costa che guarda direttamente il mare, così che possa godere ancora di albe, di brezze e di tramonti. Si tratta di un teschio ben ossificato, in cui sono chiaramente riconoscibili almeno tre denti del giudizio e che attribuirei ad un giovane maschio adulto. Nobile sepoltura o rinascimento, se volete, per un mio vecchio anche se sconosciuto amico portoghese.
4/1/99 Diu, Lunedì -Il “Times of India”, che sfoglio seduto in una stanza del Tourist Office, riporta in bella evidenza una intervista all’attuale capo del Governo indiano. In essa il signor Vajpayee, che di queste cose professa di intendersene, assicura che la risposta ad una bomba atomica non può essere che un’altra bomba atomica. Povero me! Io ho scelto di non andare a Jaisalmer proprio per muta, politica protesta contro la decisione che ha portato l’India, nello scorso mese di Maggio, a compiere degli esperimenti nucleari nel deserto del Thar, a due passi da Jaisalmer. Povero me! Io sono invece convinto che se il risultato della morale “occhio per occhio, dente per dente” non può essere altro che un mondo di ciechi con la dentiera; il risultato della morale di Vajpayee e di chi la pensa come lui non può essere altro che la radicale distruzione di ogni forma di vita sulla terra. Poco male, dopo tutto. L’Universo non si accorgerà neanche di cosa sia accaduto in un suo miscroscopico e sperdutissimo angolino e continuerà maestoso e veemente il trasformarsi dell’unica materia immortale. -Dopo averne discusso a lungo con Ahmed (erano bellissimi da vedere mentre discorrevano così fitto e con tanto calore), Cesia è giunta a proporre una netta differenza tra essere umano ed uomo. Esseri umani siamo tutti, in quanto siamo dotati di facoltà logica, di proairesi. Ed esseri umani restiamo fino a quando atteggiamo la nostra proairesi controdiaireticamente, ossia fino a quando agiamo seguendo l’errore di credere dipendente esclusivamente da noi quel che esclusivamente da noi non dipende. Un simile comportamento, se ci fate caso, -diceva- è caratteristico, per esempio, dei bambini e dei loro capricci. Uomo è invece chi sa atteggiare la propria proairesi diaireticamente. Prakash ne ha immediatamente tratto una conseguenza ed ha affermato: “No religion, please! I am a man, not a human being”. Armin ha tirato un lungo sospiro di sollievo ed ha detto a Prakash: “Mi hai tolto le parole dal cuore”. Se dovessi aggiungere qualcosa, ho continuato io, direi soltanto questo: “Quando l’essere umano non dice la Verità a se stesso, la Verità sull’uomo, ecco che nella sua testa è già scoppiata la bomba atomica”. -Qui ogni porta che affaccia sulla strada è un negozio od una bottega. -E’ evidente che i quattro versi alla “Pizza Felicità” sono stati da me scritti di notte, mentre erravo in mezzo ad un gregge nei pressi del Forte di Diu.
5/1/99 Diu, Martedì -Fermatevi a Diu per un paio di mesi ed imparerete a riconoscere una per una anche le capre che frequentano il mercato ortofrutticolo.
8/1/99 Diu, Venerdì -…noi invece siamo inteneriti dal vizio ed irritati dalla virtù…
9/1/99 Diu, Sabato -“The vow of truth. Doctrine fo Ahimsa. The vow of celibacy. The vow of the control of the palate. The vow of non-thieving. The vow of Swadeshi. The vow of fearlessness. The vow regarding the “untouchables”. Education through the vernaculars. The vow of Khaddar”. Di che si tratta? Sediamo sulle gradinate deserte del teatro all’aperto che affaccia sul mare dando le spalle alla collinetta di Chakratirth. Cesia ha una espressione triste e sta manifestando disordinatamente, tumultuosamente, i pensieri che le ha fatto nascere la lettura di: “Mahatma Gandhi, his life and ideas” di C.F.Andrews. Questo libro, scritto con l’intenzione esattamente opposta, le ha invece fatto cadere in mille pezzi il prestigio di cui Gandhi godeva ai suoi occhi, e sta spiegando perché. Prakash le ha offerto qualcuno dei biscotti Parle-G che stava sgranocchiando, ha annuito con un cenno del capo e poi, in silenzio, ha perso il suo sguardo nell’immenso oceano che abbiamo di fronte. -Cos’altro è infatti la politicheria se non il modo in cui individui che non sanno governare se stessi, tentano di governarne altri altrettanto incapaci? A sua volta la politica cos’altro è se non l’arte di diventare padroni di se stessi?
10/1/99 Diu, Domenica -A colazione ho aperto e chiuso la mia noce di cocco da 5 rupie come un libro.
12/1/99 Diu, Martedì -Come il bello, anche la felicità può essere colta soltanto dall’intelletto. -“Chi viene in India immagina, in genere, che gli Indiani siano tutti dei piccoli Gandhi. Che dire, allora, quando si scopre che Gandhi non è che un piccolo indiano? Vivo, nel pensiero di Gandhi, rimane soltanto un inconsapevole stoicismo antico. Tutto il resto è onesta e generosa superstizione. Oltre al feroce proibizionismo sul consumo di alcool, quel che riesce particolarmente insopportabile è, al di là delle parole, una adesione tutt’altro che laica alla ortodossia Hindu. Il voto di castità personale, quello per cui si è convinti di essere superiori a chi eiacula sperma in quanto lo sperma non eiaculato si trasformerebbe in spirito ed in superiorità spirituale; ed il voto di castità che pretende dai membri del suo Ashram, fanno ridere e piangere insieme. Il voto della verità, poi, non è in contraddizione con una necessaria e quotidiana pratica di politicante? Guardate quanto sia infinitamente più vera e nobile la posizione, circa politica e politicheria, di Socrate quale egli ce la espone nella “Apologia”, e non potrete che offrire anche voi dei biscotti Parle-G”. Nel sentire queste parole di Prakash sono rimasto letteralmente sbalordito. -Il mio mestiere è quello di essere felice. -Giaceva il lingam di Shiva, giaceva come una bandiera senza vento… e Parvati lo vide… ed era la sua sposa… -Con cuore puro Prakash ha detto: “La Verità è che non esistono né Brahma né Shiva né Vishnu..”., ma l’uomo, quell’animale il cui animo mortale è capace di usare le rappresentazioni diaireticamente. Ho poi sentito Ahmed, con cuore altrettanto puro, ripetere: “La Verità è che non esiste Allah né Maometto è il suo profeta..”. ma l’uomo, quell’animale il cui animo mortale è capace di usare le rappresentazioni diaireticamente”. Non potrò mai dimenticarlo. E’ accaduto a pranzo. Avevamo tutti ordinato un thali completo.
13/1/99 Diu, Mercoledì -Così pure “ahimsa” ossia “non-violenza” va certamente sostituito con il concetto positivo di “diairesi”. Perché? In quale senso? Nel senso che chi è uomo non accetta più di essere costretto a scegliere tra piccoli e grandi assassini o di schierarsi, tuttalpiù, a favore di piccoli viziosi contro grandi viziosi. Chi è uomo intende scegliere i virtuosi contro i viziosi, i giusti contro gli ingiusti, i saggi contro gli insipienti. -Capisco ora il significato delle parole che Pànkalos pronunciava mentre passeggiavamo con Connie nell’isoletta di Jagmandir, sul lago di Udaipur. Parole miracolose, perché in profonda armonia con quelle di un musulmano come Ahmed, di un Hindu come Prakash e di un cristiano come Armin che Pànkalos non conosceva e che non avrebbe mai conosciuto: “Per chi mi osserva dal di fuori è come se io mi facessi guidare dalla controdiairesi, ma è così soltanto in apparenza. Io semplicemente utilizzo e non posso fare a meno di utilizzare, come tutti, “ta allòtria” (tutto ciò che non è in mio esclusivo potere) finché essi mi sono dati e finché l’usarli non confligge con “ta ìdia” (ciò che è in mio esclusivo potere: saggezza, giustizia, virilità, temperanza). A quel punto si vede che io mi distacco dall’uso di quei certi allòtria e salvaguardo ta ìdia”. -Ma una istituzione, al contrario, per definizione non possiede “ta ìdia”; ossia è istituzione proprio in quanto salvaguarda certi “allòtria” contro altri “allòtria”. -Servitore della Chiesa, dello Stato, del Partito, insomma servitore di una istituzione potrebbe dunque diventare, caso mai, un titolo infamante e non di lode. Questa considerazione, diceva Pànkalos, è dedicata a tutti coloro che nascondono il sacrificio di “ta ìdia” con la scusa di servire “ta allòtria”. Ed aggiungeva: a quegli imbecilli (io ne ho conosciuti tanti) che, per giustificare la loro viltà sono soliti dire: “Ma io non sono come il marito che si tagliò i coglioni per fare dispetto alla moglie”, bisogna rispondere: “Tu sei proprio come il marito che per non fare un piacere a se stesso mangiò nel piatto in cui la moglie aveva appena cacato”.
14/1/99 Diu, Giovedì -Cesia è partita stamattina molto presto per Mt. Abu. Più tardi Armin è partito per Goa. Dor ci ha lasciato già qualche giorno fa per Bhuj. -Shiva’s Christmas. Per un Hindu potete immaginare qualcosa di più ripugnante e blasfemo della credenza seguente: “In una cerimonia chiamata ‘Santa Messa’ del vino diventa sangue di Dio”? -A sua volta il culto Hindu della vacca non vi dice nulla sulla adorazione Egizia del bue Api e sulla condanna mosaica del vitello d’oro? -L’isola di Diu ha curiose somiglianze con l’isola greca di Castelrosso (Megisti). Chi ha visto e ricorda bene il film “Mediterraneo” scoprirà che anche a Diu c’è “Bandiera issata, signor Tenente!”; c’è “Il ricovero di Libero e Felice”; c’è “Il mare dagli archi”; ci sono addirittura le antiche case abbandonate. -Non so perché ma oggi anche gli scafi delle imbarcazioni da pesca sembrano legnacci sudici e tarlati. -Guardo il piccolo porto di Ghoghla ed ho l’impressione di qualcosa di disgustosamente trasandato. L’esatto contrario del lindore degli angolini di un’isola delle Cicladi. -L’india e gli Indiani? Il contrario, absit iniuria verbis, della pulizia svizzera e del distacco britannico. -Stamattina al mercato del pesce un contadino, per pulire un occhio alla figlia, prima ci ha sputato sopra e poi l’ha massaggiato. -Non confondete mai la presenza in noi di un impulso con il nostro assenso ad esso.
16/1/99 Diu, Sabato -Live a life of beauty and happiness. -E’ vero che gli Hindu hanno fermato l’avanzata musulmana verso est e l’hanno costretta a scivolare a sud lungo le isole Indonesiane, ma comunque quanto Islam è visibile in India! -Jacqueline ha dei graziosissimi occhi grigio-azzurri che viene voglia di baciare. E’ una svizzera di Zurigo e si odora lontano un miglio cosa è venuta a cercare in India. Se n’è andata verso Ahmedabad sulla sua gigantesca Enfield, insieme a due neozelandesi.
18/1/99 Diu, Lunedì -Pur se non così scintillante come nel Rajasthan, anche in Gujarat Hindu è sinonimo di colore. Per questo passo ore, ogni mattina, al Fruit-market. Le poche donne musulmane che vengono a fare spesa sul tardi, verso mezzogiorno, somigliano ad isolate, nere cornacchie.
19/1/99 Diu, Martedì -Stamattina lunga pedalata e poi deliziosissima camminata solitaria di chilometri e chilometri lungo la assolatissima spiaggia che da Ghoghla raggiunge il capo Habèl.
20/1/99 Diu, Mercoledì -Perché non hai fremiti da immortalità pregressa e palpiti soltanto per quella futura? O uomo, o uomo: nel 2222 sarai esattamente quello che eri nel 1111. -Ho detto addio a tutti coloro che rimangono. Domani lascio Diu per Bombay.
23/1/99 Bombay, Sabato -Cos’è la strada tra Diu e Bombay? E’ asfalto in burrasca.
-A Bombay Colaba ho visto una sola mucca perduta per strada. Qui Bombay sembra una città inglese e l’India agricola è davvero lontana.
-Ieri a Bombay, in Madame Cama Road, una giovane ragazza mi ha seguito, mi ha fermato e mi ha detto: “Io so che tu sei Gregory Peck”. Aveva un visetto tondo davvero assai carino ed era completamente coperta di polvere bianco-argentea di Ossido di Zinco. Mi ha raccontato di avere conseguito un Ph.D. in Chimica ma che poi… Io le ho risposto che dubitavo di essere Gregory Peck, ma che lei certamente era un Ph.D. E così ci siamo lasciati sorridenti nel vento, un vento teso tra i grattacieli di Bombay.
25/1/99 Hubli, Lunedì -Anche alla bus Station di Hubli c’è un elefante che sa benedire chi gli offre qualche rupia, accarezzandogli lievemente il capo con la sua massiccia proboscide. -Ho intorno a me un gradevolissimo profumo di arachidi tostate. -Nella Public Library di Hubli ho trovato una sezione di Filosofia e questo mi ha piacevolmente eccitato. La lettura di qualche aforisma di Nietzsche, poi, mi ha messo francamente di buon umore. -Vedere fustigare le parole mi mette sempre di buon umore.
26/1/99 Hospet, Martedì -Mi sto lentamente spostando dal mare Arabico al golfo del Bengala.
29/1/99 Hampi, Venerdì
-Ad Hampi, nel tempio di Vittala, seduto su una panca di granito, a chi mi chiedeva per l’ennesima volta: “Where are you from?” non ho potuto fare a meno di rispondere: “I am not from this world, I come from the heavens”, ed aggiungere: “I like India as I like any other country”, ed ancora: “My name is Angel”. Tra sorpresa e spavento dell’interlocutore, sono stato lasciato in pace: “So you are visiting us..”.
-Ho poi camminato non soltanto tutte le rovine, ma sono tornato a piedi da Hampi ad Hospet. Si tratta di circa quindici chilometri di una strada orientata da est ad ovest, lungo la quale mi hanno guidato i visibilissimi Giove e Venere ed illuminato uno stupendo chiaro di luna.
-I massi tondeggianti di granito rossiccio che caratterizzano il paesaggio di Hampi sono visibili un po’ in tutto il Karnataka, il quale appare come una terra piuttosto brulla, più pastorale che agricola.
30/1/99 Bangalore, Sabato -Nonostante il grosso polmone verde rappresentato dal Cubbon Park, anche Bangalore ha strade terribilmente inquinate da gas, rumore, sporcizia. -La scrittura kannada predilige le forme tondeggianti, sinuose. -Il fedele religioso si avvicina al suo Dio sempre come un cane che cerca il suo padrone.
-“Government work is God’s work” sta scritto sull’architrave principale del Vidhana Souda di Bangalore. E’ evidente che chi l’ha dettato ignora del tutto che lavoro faccia Dio. -Dopo avere smarrito la via nell’oscurità della Delhi vecchia…
31/1/99 Madras, Domenica -A Madras il caldo è tale che per dormire non c’è bisogno né di coperta né di lenzuolo. -Io diventerò ministro quando e soltanto quando avrò da governare su uomini giusti, tutti giusti (ossia quando non ci sarà più bisogno di un governo).
-Chi impara ad essere padrone di se stesso scopre di non avere più bisogno di essere padrone di altri. -Tre bufali risalgono lentamente il putrido e melmoso Kuvam all’altezza del ponte di McNichols Road, nel quartiere Chetpat di Madras.
-Chi crede che la merda degli altri sia sempre quella che puzza di più, ebbene non si intende della propria. -Beach, Fort, Park, Egmore, Chetpat: sono i nomi di fermate della metropolitana di Madras.
-Faccio un giorno di digiuno in lode della materia immortale e per tutto il bello che vedo intorno a me e dentro di me.
1/2/99 Madras, Lunedì -Io sono uno di quelli che ascoltarono le parole di Paolo di Tarso all’Areopago di Atene e che si misero a ridere sonoramente, impedendogli così di continuare il suo discorso, quando cominciò a parlare di resurrezione dei morti.
-Ottengo il visto, a Madras, per navigare verso le isole Andamane.
2/2/99 Madras, Martedì -L’India di oggi come l’ho vista e vissuta io, in mezzo alle strade, nelle file agli sportelli, in trattorie ed Hotel sempre diversi e sempre scoperti giorno per giorno, ecc… spesso fa veramente ribrezzo. La gente minuta, poi, quanto a lealtà, a rispetto di sé e degli altri, non ha proprio nulla da invidiare a Giovanni Agnelli e compagni. Quest’India è davvero il paese che Nietzsche ha sempre sognato, sarebbe il suo paese.
5/2/99 Golfo del Bengala, Venerdì -La nave che mi porta alle Isole Andamane, la “Akbar”, scivola silenziosa su un mare, il golfo del Bengala, con appena qualche ricciolo bianco. -Senza volerlo, da una cuccetta all’altra di Bunk class ho fatto ad un Indiano una lezione volante di corretta pulizia dei denti e di corretto uso del filo interdentale, -Le condizioni in cui viaggiano i passeggeri di Bunk class sono pessime. Il motivo? Che un bambino, quanto a sudiciume, si comporti da bambino, è normale; ma un adulto che si comporta da bambino sudicio è un Indiano. -Lamentarsi continuamente di questo e di quello e viversi come poveri quando invece si è ricchi di occhi, di mani, ecc…ecc… è usare la logica contro se stessa, è disprezzarsi, è mancare la propria natura. Ζῷον θνητὸν, ψυχῆν ἔχον ἄθνητον, χρηστικὸν ταῖς φαντασίαις παραδιαιρετικῶς “Zòon tnetòn, psukén ékon àtneton, krestikòn tàis fantasìais paradiairetikòs” ossia “Animale mortale dotato di un’anima immortale, capace di usare le rappresentazioni in modo controdiairetico”: ecco la definizione che un essere umano dovrebbe dare di se stesso. -Il sistematico uso della controdiairesi implica la credenza, non mi importa quanto conscia, nella immortalità della propria anima individuale. La dimostrazione si dà per assurdo. Infatti se io usassi sistematicamente la diairesi e dunque fossi felice qui, oggi, in questa vita, che bisogno avrei di immaginare la felicità in un’altra?
6/2/99 Golfo del Bengala, Sabato -Questa traversata in Bunk class sulla nave Akbar ovviamente non significa che non si possa viaggiare in condizioni ancora peggiori, come mi facevano notare Neil e Simon, due ragazzi inglesi le cui cuccette sono immediatamente prossime alla mia, in relazione alle loro esperienze di navigazione in Indonesia. -Gli esseri umani, come non sanno di avere ora, in questo preciso istante, nelle loro cellule una RNA-Polimerasi che sta trascrivendo DNA, così non sanno di credere di avere un’anima immortale. Eppure questa credenza lavora e produce certi risultati, come l’RNA-Polimerasi sta producendo ora, in questo istante, dell’RNA-messaggero. -L’infelice è un vizioso, un drogato. Cosa fuma? La controdiairesi. Il felice è un virtuoso. Cosa aspira? La diairesi. -La navigazione verso le isole Andamane prosegue uniforme e tranquilla.
7/2/99 Port Blair, Domenica -Una piccola isola, Ross Island, colma di palme. Questa la prima occhiata sulle Andamane dal ponte della Akbar che sta per entrare in porto a Port Blair.
-Trovo la spiaggia di Corbyn’s Cove nettamente più graziosa di Nàgoa Beach.
9/2/99 Wandoor e Jolly Buoy, Martedì -A Jolly Buoy ho nuotato nel colore, a lungo. Questo mi ha riempito l’animo. Isolette colme d’ogni sorta di alberi d’alto fusto e cinture di mangrovie. Canali d’acqua smeraldo. E’ magnifico.
-Che qui l’umidità sia costantemente intorno all’80% si sente, si sente sulla pelle. -Gli Indiani stanno cercando di riscrivere la loro storia recente. Lo si nota anche dalle cancellature e riscritture visibili a Ross Island sulle tabelle esplicative che si leggono nel Museo.
10/2/99 Port Blair, Mercoledì -La spiaggia di Chidiatappu è meno affascinante di quella di Wandoor. -Quanta determinazione c’è voluta, sulla Akbar, per tentare di far rispettare le code al bar ed alla mensa! -Una costante foschia copre tutti gli oggetti lontani e non ne lascia distinguere nettamente i contorni.
12/2/99 Long Island – Isole Andamane, Venerdì -Appena sbarcherete a Long Island qualcuno vi dirà che per dormire sull’isola non ci sono sistemazioni diverse dal campeggio in tenda. Non credetegli. Cercate invece la Forest Rest House e fate in modo di farvi ospitare in una delle sue due magnifiche stanze, come è riuscito a me. -A Long Island non soltanto non si vedono circolare neppure biciclette ma non ci sono letteralmente strade. Soltanto stretti sentierini di cemento nelle immediate vicinanze del piccolo villaggio. -Lalaji Bay: non si può, non si può non mettersi nudi quando si incontra un Paradiso del genere. E con un tale libro aperto dinanzi agli occhi, come si fa ad aprirne uno di carta e inchiostro e ad immergercisi dentro? Bisogna credere di essere altrove, non dove si ha la fortuna di essere. -Guardata da vicino su queste isole, la Natura non sembra dire altro che: “Lasciatemi fare e dalle nude pietre vi farò uomini”.
14/2/99 Havelock – Isole Andamane, Domenica -L’albergatore che nega l’acqua all’ospite, prima o poi dovrà pulirne gli stronzi. (Proverbio Andamanese) -Francesca è una svizzera di Lugano che occupa la stanza accanto alla mia al Seaview Lodge. Gioca a fare la Hindu e più la guardo, più la sento parlare, più la vedo muoversi, più non posso fare a meno di notare che anche nelle isole Andamane ci sono le galline e fanno coccodè. -A Bangalore ho lasciato le mie unghie, a Long Island ho lasciato i miei capelli. -L’isola è un vascello con migliaia di alberi. -I miei templi sono le spiagge. 17/2/99 Havelock – Isole Andamane, Mercoledì -C’è qualcosa di fuori misura in Havelock Island, qualcosa di disarmonico che non mi permette di apprezzarla. Con il suo isolamento, la sua misura, Long Island era ben più armoniosa.
18/2/99 Havelock – Isole Andamane, Giovedì -La spiaggia combina i quattro antichi elementi: acqua, aria, terra, fuoco. Non è poco, come possibile spiegazione del fatto che io viva le spiagge come templi. Non lontano da Madras, lo stupendo tempio sulla spiaggia di Mahabalipuram -fatto costruire intorno al 600 d.C. dai re Pallava- secondo me significa questo. -Dice la mangrovia: lì dove nessun altro albero riesce a crescere, crescerò io.
20/2/99 Neil Island – Isole Andamane, Sabato -Un pesante fardello è certo più facile da sopportare se a portarlo è qualcun altro. -G. Garcia Marquez racconta che il libro preferito dall’attuale Presidente degli USA Bill Clinton sono i “Ricordi” di Marco Aurelio. La cosa mi fa molto piacere ma trovo la notizia anche alquanto macabra. Sarebbe forse l’ora, questa, dello stoicismo antico sulla bocca di un carrierista politicante? Avete idea, se fosse vera, di quale abisso di infelicità viva colui che viene propagandato come l’uomo più potente del mondo? -Il verso del geko domestico assomiglia molto ad un cinguettio od uno squittio.
23/2/99 Port Blair, Martedì -“Derivata” è un aggettivo che qualifica il sostantivo sottinteso “funzione”. Da una funzione si è derivata un’altra funzione e così via. Τὸἄλλου παρὰ φύσιν σοὶ κακὸν μὴ γινέσθω “Tò àllo parà fùsin sòi kakòn mé ghinéstho” sottintende ποιούμενον “poiùmenon”: ciò che da un altro è fatto, l’azione di un altro contro natura (cioè contro la natura dell’uomo ossia alògos) non diventi un male per te. -Gli Indiani non sono tanti piccoli Gandhi, come invece uno immagina prima di venire in India. E’ però forse vero che chi è venuto in India 30-40 anni fa ha potuto vedere un’India molto, molto diversa dall’attuale. -Oggi nella State Library di Port Blair ho letto l'”Aiace” di Sofocle nella edizione dei Great Books dell’Enciclopedia Britannica. -Qui l’India è un po’ come la casa con giardino di certi nostri vecchi zii un po’ sporcaccioni: piena di soprammobili ed altri amminicoli di pessimo gusto, sudicia, circondata da una atmosfera sensuale, voluttuosa, situata in un posto piacevole per natura.
24/2/99 Trichy, Mercoledì -Per vedere dove mi sono tagliato i capelli l’ultima volta bisogna prendere in mano il mappamondo.
25/2/99 Kanyakumari, Giovedì -Io non potrei mai essere un Hindu: infatti dovrei togliermi troppo spesso le scarpe e camminare scalzo.
26/2/99 Trivandrum, Venerdì -Anche un tugurio potrebbe profumare di gelsomino, anche in un tugurio si potrebbe sentir suonare la musica di Mozart.
27/2/99 Varkala, Sabato -Anche il più grande linguista, di fronte ad un bambino che parla e scrive il malayalam fa la figura di un ignorante sprovveduto.
-Vista dal terrazzo dell’Hotel Pankaj, di Trivandrum effettivamente non si vedono case ma sterminati quartieri di palme.
28/2/99 Trivandrum, Domenica -Nel Tempio di Vinayagad dedicato a Ganesh, poco oltre l’ingresso c’è un ampio, profondo pozzo rettangolare con pareti rivestite di marmo chiaro. I devoti di Ganesh acquistano delle noci di cocco, entrano e le rompono scagliandole con violenza verso il basso contro le pareti del pozzo, nel quale poi cadono i frammenti. Culto piuttosto rumoroso, che mi ricorda quello della lapidazione del Male praticato dai musulmani alla Mecca. -Lascio Trivandrum accompagnato da litanie Hindu diffuse in strada a volume altissimo. Il timbro di voce di chi le legge è di un fascino straordinario.
Kollam, Alleppey, Backwaters del Kerala
4/3/99 Kochin, Giovedì -I dipinti murali visti ieri al Mattancherry Palace sono opere di magnifica qualità. La scena molto veritiera del parto di Rama e degli altri eroi; un Krishna mollemente sdraiato ed impegnato con sei mani e due piedi a masturbare contemporaneamente otto delle sue gopis o pastorelle sono davvero uno spettacolo al quale merita di dedicare qualche tempo. -A Fort Kochin, che è un grandissimo porto, compri un pesce sulla spiaggia e lì accanto c’è chi te lo cucina su due piedi per 20 rupie.
Thalasseri Kannur, Kasaragod
5/3/99 Mangalore, Venerdì -Di spettacolare e memorabile a Mangalore c’è una cosa sola: una bus Station non affollata e non caotica.
6/3/99 Gokarna, Sabato -La spiaggia di Kudle a Gokarna mi ricorda moltissimo la spiaggia di Milopòtas ad Ios. Anche il paesaggio ha qui qualcosa di greco-turco. -Poco oltre Kudle, la spiaggia di Om è certamente una delle spiagge più affascinanti che io abbia visto in India. -Non avrei mai immaginato di riincontrare Jacqueline. Era in compagnia di un flautista ungherese. Sulle prime non mi ha riconosciuto. Poi si è giustificata dicendomi: “Ma sei una persona completamente differente!” -Tutto è relativo? Sì, tutto è relativo a qualcosa che relativo non è, che è invariante: sia esso la velocità della luce o la natura umana. -Le poche stradine di Gokarna pullulano di Indiani di casta elevata, quelli senza camicia e con il cordone bianco a tracolla.
-Dulce et decorum est pro “diairesi” mori, non pro “patria”. -A Gokarna la terra è rossa. -Il terzo serpente l’ho visto alle soglie del tempio che sovrasta la spiaggia principale di Gokarna. Questo poteva ben essere un cobra. -Avete presente la citazione biblica (Esodo 7,12) del mago capace di far diventare un bastone serpente? Ebbene lo stesso gesto l’ho visto fare più volte nella piazza principale di Diu da un simpatico e loquacissimo (in Gujarati) incantatore di serpenti. -Vada un pensiero a Francesca chicken-brain ed a tutti coloro che non ne azzeccano una che è una.
7/3/99 Panaji, Domenica -Il motto è “Diairesi”. La musica è quella del Concerto per clarinetto e orchestra di Mozart. Il pittore è Piero della Francesca.
8/3/99 Panaji, Lunedì -I bambini seminudi che corrono lungo i moletti delle Backwaters chiedendo a gran voce una “ball-pen” e che si tuffano per raggiungerla quando i turisti dal battello gliela lanciano. Una signora spagnola dalle nere labbra che cinguetta “They say I want a pen”. Ecco la perfetta scena iniziale di un nuovo film sull’India. -Resterò a Goa fino al primo giorno di primavera. -Old Goa è un posto assolutamente incantevole. -Anche sul bus per Old Goa cercheranno di buggerarvi una rupia. -Il mio feeling con Goa è, per ora, assai più positivo che negativo. Altri viaggiatori mi avevano fatto paventare ben di peggio.
11/3/99 Panaji, Giovedì -Per farvi un’idea del perché nulla è magico in India, andate a vedere un film indiano. Quando gli Indioti si vivono come se recitassero in uno dei loro film fanno ribrezzo.
12/3/99 Panaji, Venerdì -Che sozzo lo sguardo di S. Francesco Xavier verso gli Hindu! Che sozzi giudizi lo abitavano! Che sozza storia quella del suo corpo incorrotto! A dirmi queste parole è stato un frate francescano al quale avevo semplicemente manifestato il mio stupore nel vedere un seguace del poverello di Assisi piantato sulla soglia di una chiesa appartenente ai Gesuiti.
-La stagione turistica a Vagator, a Calangute, a Benaulim finisce a Marzo. Provate ad immaginare incinte di quanti mesi siano a Marzo le donne del Karnataka che vivono dello smercio di tessuti e gioielleria sulle spiagge di Goa, e quando partoriranno.
13/3/99 Panaji, Sabato -Con onde enormi che si inseguivano vicinissime bianche-schiumando, oggi entrare in mare a Calangute somigliava molto ad uno sport d’alta montagna. Una sensazione curiosa e piacevole. -Comunque Calangute non ha carattere; quel carattere che non manca, invece, a Vagator.
14/3/99 Panaji, Domenica -Che piacevole sensazione quella di poter bighellonare sereno nell’aeroporto di Goa, imparando cosa fare e dove andare Domenica prossima, quando partirò di qui per Bombay. -Le caravelle portoghesi della prima metà del ‘500 erano, ovviamente, i Boeing di quel tempo.
15/3/99 Panaji, Lunedi -Ho incontrato un simpatico genovese, Biagio, che per indicare gli Indiani li chiama i “Bagassa boys”. -Claudio, un oste veronese mi ha insegnato questa canzoncina: Rosy Bindi dimmi la vita cos’è (coro) Rosy Bindi dimmi l’amore dov’è (coro) io senza te non vivo più (solo, alto) ma tu non ti curi di me (solo, basso) …e si riprende.
16/3/99 Arambol, Martedì -Ad Arambol ho fatto prima il bagno in un mare mosso e subito dopo nelle calmissime acque del lago d’acqua dolce alle spalle della spiaggia. -Insomma un altro posto magnifico, dove ho comprato la mia nuova piccola sacca da viaggio.
18/3/99 Panaji, Giovedì -Si può ben affermare che nel Sancta Sanctorum di ogni tempio di Shiva c’è un “cazzosanto”. -Potete arrivare da Panaji all’aeroporto Dabolim di Goa con meno di dieci rupie. Prendete prima un bus per Vasco e chiedete di scendere a Chicalim (7 rupie). Qui prendete uno dei numerosi bus che da Vasco sono diretti a Bogmalo. Dopo un paio di fermate (2 rupie) sarete scaricati proprio davanti all’ingresso dell’aeroporto. -Delizioso di Varca e Benaulim è lo scrocchio della sabbia sotto i piedi. Sembra di pestare neve fresca ghiacciata.
21/3/99 Panaji, Domenica -Nella chiesa di S. Cajetan ad Old Goa l’iscrizione del tamburo della cupola dice così: Quaerite primum diairesin (si scrive “regnum Dei et iustitiam eius” ma si legge διαίρεσιν“diairesin”) et ta aproàireta (si scrive “haec” ma si legge τὰ ἀπροαίρετα “ta aproàireta”) omnia adiicientur vobis (Matteo VI).
-I due aeroporti di Bombay, quello di Santa Cruz in cui sono atterrato e quello di Sahar dal quale sto per ripartire, come pure quello di Port Blair e quello di Madras, non danno l’ impressione di umidiccio lercio che invece subito colpisce in quello di Delhi. -Torno in Europa così come sono partito, senza bagaglio a mano e con un borsone nel quale trovano spazio le mie poche cose. Mentre sono in fila al Check-in si avvicina a me un signore e mi chiede con fare cortese se sono disposto a farmi carico fino a Roma dell’eccesso del suo bagaglio. Ha una capigliatura che si solleva in mezzo alla fronte e ricade giù da ambo i lati a forma di zazzera con grande copia di ricci. La fronte è aperta e serena nella parte superiore, gagliardamente incurvata in fuori nella parte inferiore. Gli occhi sono infossati, molto aperti e rotondi. Ha linee sottili e placide intorno alle labbra ed alle guance, la barba folta e piena, il petto ampio, il corpo robusto. Sono felice di far passare come mie un paio di pesanti borse piene di libri. A lui non chiedo chi sia, non chiedo neanche il nome. Non ne ho bisogno. Io so chi è.
Quando ci parlano di qualcuno capace di trasformare l’acqua in vino, perché pensiamo ad un miracolo e crediamo a ciò che ci raccontano senza prima riflettere? Siamo a Cana, un villaggio della Galilea alle pendici del Monte Tabor, circa quattrocento anni dopo la mia morte, e siamo stati invitati ad un banchetto di nozze. All’improvviso serpeggia tra i tavoli la notizia che, per l’imprevidenza o più verosimilmente per la tirchieria del padrone di casa, è finito il vino. A questo punto una madre, che certo desidera continuare a bere, dice a suo figlio: “Pensaci tu”, e agli inservienti: “Fate quello che lui vi dirà”. Il figlio sulle prime si rifiuta, ma poi esegue l’ordine ricevuto e comanda ai servitori di riempire d’acqua i recipienti che prima contenevano il vino. Ci rendiamo conto di quali materiali fossero fatti questi recipienti? Ci rendiamo conto di quali fossero le tecniche di vinificazione del tempo e di quanto fosse difficile la conservazione del vino? Abbiamo sentore di quale dovesse essere il deposito di feccia presente in anfore di terracotta o di altri simili contenitori a collo stretto? Pertanto è non sorprendente che da quei recipienti riempiti d’acqua fuoriuscisse poi un liquido colorato che venne addirittura scambiato per un vino di migliore qualità, essendo meno acido e meno astringente. Qui il solo miracolo, si fa per dire, è la stolida credulità dei presenti.
Coloro che credono al miracolo della trasformazione dell’acqua in vino, perché non dovrebbero dunque essere pronti a prendere sul serio l’interpretazione corrente che è stata data della mia ‘atopia’, e provare rispetto per quanti hanno scritto su di essa migliaia di pagine che, fortunatamente, sono in pochi a conoscere? Cos’è quello che chiamano la mia ‘atopia’? Non bastava la storia del mio essere padre del ‘tutto quel che so è di non sapere nulla’ e quella del mio démone e delle voci e degli starnuti e delle visioni che mi hanno attribuito e delle quali ho già spiegato qui origine e significato. Bisognava pure aggiungere e unire strettamente ad esse la leggenda della mia ‘atopia’. E siccome anche questa è una leggenda che ha me per protagonista e che è nata quando io era ancora vivo e vegeto, ve la faccio raccontare da chi ne ha scritto tra i primi, ossia da quel ragazzo di nome Platone, che io chiamo amichevolmente ‘una mia sventura postuma’. Egli inventa la vicenda di un Simposio al quale io avrei partecipato nel 416 a. C. -quando lui aveva si e no tredici anni- in occasione di un banchetto in casa di un poeta di nome Agatone e del quale io sarei stato innamorato. Sentite cosa racconta il ragazzo:
“Socrate camminava per via con la mente tutta concentrata su se stesso ed era così rimasto indietro. Aristodemo si fermò allora per aspettarlo, ma Socrate gli disse che andasse pure avanti. [….] Sopraggiunse allora un domestico, il quale annunciò che Socrate s’era ritirato nell’atrio della casa dei vicini, che era fermo lì e che, benché chiamato, non voleva venir via. [….] E Aristodemo disse: “No, no; lasciatelo stare. Questa è una sua abitudine: talvolta si apparta dove capita e rimane fermo lì. Sarà qui ben presto, io credo. Dunque non disturbatelo e lasciatelo stare”. [….] Infatti Socrate arrivò poco tempo dopo”. Platone ‘Simposio’ 174D-175C
Platone fa i miracoli
Devo ammettere che l’evento descritto, pur non essendo vero, è comunque verosimile. Se si è in compagnia, una persona assorta in qualche pensiero ha ben il diritto di rallentare il passo. Salvo che ciò è non imputabile alla mia fantomatica ‘atopia’ bensì a disturbi alla prostata dei quali avevo cominciato a soffrire da poco e alle ricorrenti aritmie delle quali soffrivo ormai da molto tempo. Sono cose che molti di coloro che leggono possono ben ammettere di conoscere. Ma le spiegazioni semplici a volte sono leggermente meno interessanti e risultano poco filosofiche. Molto meglio fantasticare di me che nel recarmi da Agatone mi sento improvvisamente posseduto da una strana forza (ecco qua il mio ‘démone’ o una sua sottospecie) che non ha la forma di un sentimento umano, ma quella più inquietante della possessione di un Dio. Le cose d’amore, infatti, -e nel caso specifico il mio amore per Agatone- non apparterrebbero al racconto dell’anima razionale, perché in loro presenza l’anima subirebbe una dis-locazione, ecco la mia ‘atopia’, che, spostando il regime delle sue regole, indebolirebbe nell’uomo il possesso di sé. Pulsioni e desideri, irrompendo come significanti incontrollati nell’ordine dei significati statuiti, produrrebbero nel senso quel controsenso che fa ruotare i discorsi senza immobilizzarli intorno a un dispositivo ideale che l’anima ha faticosamente raggiunto come sua con-nessione razionale, e che si trova ad essere invece scon-volto ed aperto a nessi di tutt’altro genere. L’amore, infatti, porterebbe fuori dal luogo dove solitamente si svolge la vita e creerebbe uno stato di sospensione in cui spazio e tempo perdono estensione e durata. È questo la mia ‘atopia’ oppure questo è un modo di trasformare l’acqua in vino? Sforziamoci insieme di riflettere brevemente, cercando innanzitutto di capire il modo in cui ragiona Platone, quale sia la sua tecnica di vinificazione. Secondo lui l’anima dell’uomo è tripartita, ed è composta da una parte ‘raziocinante’ che è situata nella testa, da una parte ‘commotiva’ che è situata nel torace e da una parte ‘concupiscente’ che è situata nella zona ombelicale. Nel ‘Fedro’ lui stesso ce ne dà un’immagine notissima, paragonandola ad una biga tirata da due cavalli alati, uno bianco e uno nero, e guidata da un auriga. Il cavallo nero rappresenta la parte concupiscente dell’anima, quella che contiene gli istinti più volgari, è divina smania di cose materiali, tende verso il basso ed è riottosa ai comandi dell’auriga. Il cavallo bianco rappresenta la parte commotiva dell’anima, quella che contiene le pulsioni più nobili, è divina smania di cose celesti, tende verso l’alto ed è più ubbidiente ai comandi dell’auriga. L’auriga rappresenta la ragione, che è quella che deve dirigere il corso del carro verso l’iperuranio, ossia la sede ultra terrestre dell’unica realtà immortale che merita di essere conosciuta: quella delle idee. La dinamica dell’anima vivente, pertanto, prevede due componenti: un componente energetico, rappresentato dai cavalli alati e che è divina potenza erotica; e un componente direttivo che è logos ossia ragione. Senza eros la ragione è impotente, e senza la ragione eros è cieco. Nel Simposio, e in particolare nel discorso di Diotima, è possibile trovare accuratamente dettagliato il percorso della biga alata dalla apparente realtà terrestre alla vera realtà dell’iperuranio e viceversa. Qui la ragione rappresenta l’entità normativa assoluta e valida per tutti gli uomini, la quale è però sotto la continua minaccia di essere violata dalla irruzione dell’eroticamente divino, con tutto il seguito delle sue stragi e devastazioni. Questo è Platone, e con lui galoppano il Cristianesimo e la prevalente tradizione filosofica dell’Occidente.
La ‘proairesiologia’ degli Stoici rende obsoleta la ‘psicologia’ di Platone
Dimentichiamo adesso Platone e tentiamo di costruire un nuovo e diverso modello che sia capace di rendere obsoleto il precedente. A questo fine sarà necessario abbandonare al loro destino numerosi capisaldi della filosofia classica facendo svanire, ad esempio, l’autonomia del concetto, la trascendenza delle idee e la distanza tra l’essenza dei fenomeni e la loro conoscenza sensibile. Posti allora dinanzi all’enigmaticità della realtà, alla pochezza e caducità di tutti gli oggetti materiali, ai violenti contrasti e alle guerre mortali che gli uomini conducono gli uni contro gli altri, alla volubilità delle loro idee e al sudiciume dei loro costumi, la filosofia ha ad un certo punto sancito la incomprensibilità del tutto, ha decretato la morte di Dio e le ideologie hanno fatto bancarotta. Il Nichilismo è un riassunto fedele di come sono andate le cose? No. Alcuni filosofi non si sono spaventati di questa situazione ed hanno trovato la chiave per capire la realtà di questo mondo. E quando è avvenuto tutto ciò? Sorpresa! Tutto ciò non soltanto è già accaduto, ma è accaduto più di duemila anni fa, tra il 300 a.C. e il 200 d. C., appena qualche secolo dopo la mia morte. Gli artefici di questo verace ‘Rinascimento’ sono stati uomini come Zenone di Cizio, Crisippo di Soli, Epitteto. Sono stati infatti gli Stoici a chiedersi se, in tale tempesta e in tali tenebre, tutto ciò che esiste sia in nostro esclusivo potere, oppure nulla di ciò che esiste sia in nostro esclusivo potere, oppure se di ciò che esiste alcune cose siano in nostro esclusivo potere ed altre non lo siano. Essi hanno così potuto dimostrare empiricamente e in modo convincente che delle cose che sono, alcune sono in nostro esclusivo potere mentre altre non sono in nostro esclusivo potere. In nostro esclusivo potere sono, ad esempio, giudizi, valutazioni, progetti, desideri, impulsi e così via, ed hanno chiamato queste entità ‘proairetiche’. Non sono invece in nostro esclusivo potere cose come il corpo, il denaro, la reputazione, il lavoro e così via, che vanno definite entità ‘aproairetiche’. Ed hanno altrettanto definitivamente dimostrato che questa è sempre stata, è, e sempre sarà la ‘natura delle cose’, la quale è invariante, inviolabile e valida per tutti gli uomini senza eccezione alcuna. Se la ‘diairesi’ è il giudizio che fa gli uomini capaci di distinguere in qualunque circostanza quanto è in loro esclusivo potere e quanto invece non lo è; e la ‘controdiairesi’ è il giudizio opposto, ossia quello che afferma in mio esclusivo potere quanto è non in mio esclusivo potere, oppure non essere in mio esclusivo potere quanto invece è in mio esclusivo potere: allora l’uomo entra in possesso della chiave che gli permette di trovare il giusto comportamento in ogni situazione, giacché nulla ci potrà accadere che non sia in armonia con la ‘natura’, ed è in esclusivo potere della nostra proairesi fare sì che nulla noi facciamo che sia in contrasto con la ‘natura delle cose’. Che ne è allora della tanto osannata ‘ragione’? Diccelo, Socrate, -vi sento rumoreggiare- diccelo, giacché noi siamo stati educati a considerare la ragione discorsiva come forma della verità, cittadella interiore e unico luogo garantito da ogni cedimento. Vi rispondo subito: la famosa ‘ragione’ non altro è che ‘antidiairesi’. Ascoltate. Tutti i comuni lavori manuali, come quello del falegname, del pescatore, dell’architetto o del medico possono essere definiti come opere dell’antidiairesi. Infatti, proairetica è la decisione di costruire una sedia, di uscire a pesca, di edificare una casa, di curare un ammalato, di rapinare una banca, di uccidere un uomo; ma la realizzazione di queste decisioni avviene poi sempre attraverso una serie di operazioni standard guidate da giudizi che rimangono subordinati alla decisione originaria. L’antidiairesi, cioè la ‘ragione’, può pertanto essere correttamente ed operativamente definita come l’insieme di giudizi subordinati operante su quanto è non in nostro esclusivo potere e che, in quanto complementare alla diairesi o alla controdiairesi, è competente a realizzare il progetto dell’una o dell’altra. Ciò significa che la tanto decantata ragione è strutturalmente incapace di qualunque scelta di ‘fini’ e di qualunque protocollo diverso dal puro e semplice approntamento dei ‘mezzi’ grazie ai quale giungere alla realizzazione di ciò che essa è delegata a perseguire. L’antidiairesi, il nostro comune quotidiano lavoro, può essere allora immaginata come il tronco di un albero. Diairesi e controdiairesi sono allora come le radici dell’albero. A lavoro finito, libertà e felicità oppure schiavitù e infelicità sono i frutti che pendono dai rami dell’albero, a seconda che alla radice noi vi abbiamo posto la diairesi oppure la controdiairesi. Se gli artigiani sanno che per realizzare come si deve un lavoro qualunque occorre seguire strettamente le indicazioni della opportuna antidiairesi e non tener conto dei giudizi degli incompetenti, è stupefacente come noi invece ignoriamo che la realizzazione di noi stessi come uomini, ossia la saggezza, significa rispetto della natura delle cose, cioè mettere la diairesi alla radice dell’antidiairesi. Come si vede, il nuovo modello (che potete trovare in tutti i suoi dettagli qui e che è capace di fare da struttura naturale portante di quella che non si può più chiamare ‘psicologia’ e tanto meno ‘psicanalisi’ bensì ‘proairesiologia’) è composto non più di tre bensì di cinque elementi: ‘proairesi’, ‘natura delle cose’, ‘diairesi’, ‘controdiairesi’ e ‘antidiairesi’. Al suo centro vi sono la proairesi e la natura delle cose, le quali sono la stessa realtà semplicemente con nomi diversi: ‘Proairesi’, quando la riferiamo fisicamente ed esclusivamente al singolo uomo; ‘Natura delle cose’, quando la riferiamo all’universo inteso come insieme di cose aproairetiche cioè divine, e di cose proairetiche cioè umane. Diventa allora immediatamente chiaro che quando la proairesi dell’uomo, la quale è a quotidiano ed inevitabile contatto con tutto ciò che è divinoe aproairetico: i sassi e le piante, il fango e gli animali, gli astri e gli escrementi, il cibo, il sesso, il denaro e così via; quando la proairesi, dico, concentra la propria luce e focalizza se stessa su ciò che è esclusivamente suo, vale a dire ciò che è proairetico e umano: come il cambiamento di un giudizio, la concezione di un progetto, la valutazione di un desiderio e così via, essa si de-localizza e viene a coincidere con l’universo, perdendo la località e la temporalità che caratterizzavano il suo precedente stato di relazione con l’aproairetico. Ecco spiegato cosa mi è accaduto molte volte, lo ripeto: ecco cos’era la mia atopia, associato alla quale uno stato di mia parziale o completa immobilità era casuale o comunque non qualificante, mentre esso mi veniva invece attribuito quale suo tratto caratteristico.
Cosa accadde a Potidea
Nel mio caso, poi, l’origine della credenza in una stretto legame tra atopia e immobilità è allo stesso tempo curiosa, ridicola, degna di una commedia di Aristofane e segno di quanto possa essere interessante quel gioco che fanno i bambini e che si chiama passaparola.
A Potidea, per parlare soltanto di quanto accaduto in quell’occasione, trattandosi di un assedio il mio comandante aveva assegnato a me la difesa di una certa posizione sulla cima di una collinetta, spiegandomi che si trattava di una posizione militare chiave da difendere a qualunque costo per almeno un giorno o comunque fino all’arrivo di qualcuno che mi desse il cambio. Nessuno venne a darmi il cambio prima di ventiquattro ore, io altro non feci che ubbidire agli ordini ricevuti, ed avevo altro a cui pensare che alle speculazioni filosofiche. Diogene Laerzio lo dice bene quando racconta:
“<Socrate>partecipò anche alla spedizione militare contro Potidea: città che fu raggiunta per via di mare in quanto, a causa della guerra in corso, era impossibile arrivarvi per via di terra. Si racconta che in quest’occasione Socrate tenne per una notte intera una certa posizione <militare chiave>. Si meritò così sul campo il primo premio del valore, che egli però cedette ad Alcibiade del quale, come afferma Aristippo nel quarto libro della sua opera ‘Sulla dissolutezza degli antichi’, egli era l’amante”. Diogene Laerzio ‘Vite dei filosofi’ Libro II, § 23
Il ridicolo sta nel fatto che quel mio ‘tenere una certa posizione’, che è linguaggio tecnico militarmente corretto, nel corso del passaparola diventò ben presto ‘restare immobile in una certa posizione del corpo’, quasi che io fossi diventato la gru di Chichibio della quale narra Boccaccio nel Decamerone, e che se ne sta ritta e immobile sempre su una gamba sola. In questo senso, l’apoteosi del fraintendimento della mia atopica immobilità lo raggiunge Alcibiade, al quale Platone mette malignamente in bocca, sempre nel Simposio, una sorta di bollettino di guerra nel quale pare che si motivi, con il linguaggio retorico confacente a simile letteratura, l’assegnazione a me di una medaglia al valor militare. Dice infatti Alcibiade:
“Una volta là <all’assedio di Potidea> mentr’era in servizio,
‘straordinario è quel che fece e durò il forte eroe’
e ciò val la pena di ascoltarlo. Infatti Socrate, tutto immerso nella riflessione su qualcosa fin dal primo mattino, teneva il posto assegnatogli restando in continua meditazione. Pur senza riuscire a venire a capo della faccenda, non cedeva di un palmo la posizione e continuava imperterrito nella ricerca. Giunto ormai il mezzogiorno, i commilitoni lo notavano e si dicevano l’un l’altro con stupore che Socrate stava saldo e fermo al suo posto fin dal mattino nella ponderazione di qualcosa. Giunta ormai la sera, alcuni della ‘Ionia’ che avevano finito di cenare, tiravano fuori dalle tende i loro lettucci da campo -si era allora in piena estate- e si ponevano a dormire al fresco; ma al tempo stesso provvedevano a montare turni di guardia per vedere se Socrate tenesse la propria posizione anche di notte. Cosa che egli faceva fino all’alba successiva e al sorgere del sole. Soltanto allora egli abbandonava la posizione assegnatagli e si allontanava, non prima però di avere rivolto una preghiera al sole”. Platone ‘Simposio’ 220C-220D
Quando ne ho avuto occasione, io ho spiegato più che chiaramente il tutto:
“In verità, cittadini Ateniesi, la faccenda sta proprio in questi termini: qualora uno prenda una posizione perché la ritiene la migliore per sé, oppure perché così gli è stato ordinato di fare dal suo comandante; qui egli deve, a me sembra, rimanere saldamente a costo di qualunque pericolo, senza fare ulteriori calcoli e senza anteporre la morte o qualcos’altro al disonore e alla vergogna. Cittadini Ateniesi, quando i capi militari che voi sceglieste quali miei comandanti mi ordinarono di prendere una certa posizione sia a Potidea, sia ad Amfipoli e sia a Delio, allora io, come pure altri, tenni la posizione che mi era stato comandato di tenere e corsi dei rischi mortali. Pertanto quando fu invece il dio, come ho creduto e concepito, a comandarmi di prendere la posizione dell’uomo che vive la vita filosofica e sottopone ad un continuo esame se stesso e gli altri, avrei compiuto un’azione orribile se proprio in questo caso, per paura della morte o di qualche altra faccenda, io avessi disertato il posto assegnatomi. Questo sì sarebbe un fatto spaventoso, e allora davvero sarebbe giusto che qualcuno mi trascinasse davanti a un tribunale con l’accusa di non legittimare l’esistenza degli dei, in quanto disobbedisco all’oracolo, temo la morte e credo d’essere sapiente mentre invece non lo sono. Temere la morte, o cittadini, non altro è infatti che reputare d’essere sapiente senza esserlo, giacché equivale a reputare di sapere ciò che invece non si sa”. Platone ‘Apologia di Socrate’ 28D-29A
Se poi qualcuno vorrà continuare a credere di poter trasformare l’acqua in vino, ebbene: buon pro gli faccia.
“Non credo che qualcuno abbia mai guardato nel cosmo con un sospetto altrettanto profondo”
Epitteto non parla mai della sopravvivenza della proairesi e parla sempre della morte dell’uomo con grande tranquillità in questi termini: [‘Diatribe’ III,13,14-15] “E qualora <la Materia Immortale> non procuri più il necessario, essa dà il segno della ritirata, apre la porta e ti dice ‘Vieni!’. Dove? A nulla di tremendo, ma là onde nascesti; a quanto è amico e congenere, agli elementi. Quanto v’è in te di fuoco torna in fuoco; quanto di terra, in terra; quanto di pneuma in pneuma e quanto d’acqua, in acqua. Alcun Ade non v’è, non v’è Acheronte né Cocito né Piriflegetonte”.
Io sono sempre stupefatto dalla noncuranza con la quale gli uomini ammettono che i sassi, i pioppi e i gatti nulla lasciano di sé quando muoiono; e però vogliono per sé stessi una eccezione ed arrivano addirittura ad inventarsi la resurrezione dei ‘loro’ corpi.
Facciamo allora il punto.
Zeus è il nome che Epitteto e gli Stoici danno all’insieme di tutta la Materia Immortale di cui consta il cosmo, ossia alla ‘divinità’. Il cosmo, a sua volta, è soggetto a continui mutamenti ed incessanti trasformazioni ma è non soggetto a nascita o morte, giacché è composto di Materia Immortale la quale segue leggi ben precise nei suoi passaggi di stato. Materialità è dunque sinonimo di Zeus, cioè di divinità.
Ora, riconoscere che tutto ciò ch’è materiale è ‘divino’, significa anche riconoscere che tutto ciò ch’è ‘aproairetico’, ossia tutto ciò che è non in esclusivo potere dell’uomo, è divino: dunque divini sono i sassi e le piante, il fango e gli animali, gli astri, gli escrementi e così via. Anche l’uomo, quanto al suo corpo, è divino. Infatti, immortale è la materia della quale questo suo corpo è formato, e divina è la capacità di questo corpo di esprimere da se stesso la facoltà chiamata ‘proairesi’. Insomma, l’uomo è circondato dal divino ed è esso stesso divino. Quali sono allora le caratteristiche che differenziano ciò ch’è ‘proairetico’ ossia ‘in esclusivo potere della nostra proairesi’ ossia ‘umano’, da ciò ch’è ‘aproairetico’ ossia ‘non in esclusivo potere della nostra proairesi’ ossia ‘divino’?
Ciò ch’è in nostro esclusivo potere, ossia ‘proairetico ed umano’, è per natura mortale, complesso, infinito, libero, non soggetto a impedimenti e non soggetto a costrizioni; mentre ciò ch’è non in nostro esclusivo potere, ossia ‘aproairetico e divino’ è per natura immortale, finito, schiavo, soggetto ad impedimenti e a costrizioni ad opera di agenti aproairetici che siano di volta in volta di esso più potenti.
Questa simmetria è però sorprendentemente ma naturalmente violata da una caratteristica peculiare della proairesi umana. Mentre infatti nell’ambito del ‘divino’ l’inferiore subisce sempre e senza eccezione la forza del superiore, nell’ambito dello ‘umano’ la infinita libertà e potenza della proairesi le permette di negare la sua stessa libertà e potenza, col risultato di farla ritenere inferiore a ciò di cui è invece per natura superiore.
Nella terminologia di Epitteto -e finora di nessun altro filosofo- l’operazione proairetica con la quale lo ‘umano’ si dichiara e riconosce diverso e superiore al ‘divino’ si chiama ‘diairesi’; mentre l’operazione con la quale lo ‘umano’ si dichiara e riconosce inferiore al ‘divino’ si chiama ‘controdiairesi’.
Chiarite queste fondamentali premesse cosa ne è, per l’uomo, di Dio e degli Dei?
A differenza di Zeus, che è Materia Immortale e dunque un’entità aproairetica e divina che si identifica con il cosmo, gli Dei sono libere creazioni della proairesi umana e sono pertanto entità esclusivamente proairetiche. Proprio per il fatto di essere entità proairetiche essi possono essere creature della diairesi oppure della controdiairesi dell’uomo. E siccome diairesi e controdiairesi sono a noi connaturate ed esisteranno finché esisterà il genere umano, unica è l’origine tanto degli Dei del politeismo che del Dio del monoteismo: la proairesi umana che usa in modo scorretto le rappresentazioni e vede il proprio bene e il proprio male fuori di sé, in ciò ch’è aproairetico e divino. Si chiamino Apollo, o Osiride, o Rama, o si tratti del Dio personale e trascendente dei monoteismi rivelati, dunque il Dio di Mosè, di Gesù Cristo e di Maometto, la sostanza non cambia. Esso è un’entità proairetica che non fu e non sarà mai Materia Immortale ma che sempre è, giacché è fatto in ogni tempo esistere dall’atteggiamento controdiairetico della proairesi degli uomini. È ben per questo che un Dio simile non ha bisogno di esistere per essere creduto.
A fronte di un ricchissimo Pantheon di dei buoni e cattivi, diversi da cultura a cultura e da paese a paese, quando sia invece usata rettamente la proairesi dell’uomo è capace di concepire di sé e della Materia Immortale delle rappresentazioni felicitanti, virtuose, liberatorie ed aderenti alla natura delle cose, che sono appunto quelle alle quali Epitteto ci sollecita continuamente ad aderire.