Libertà
Giacché libero è colui cui tutto accade secondo proairesi e che nessuno può impedire. E dunque? Demenza è la libertà? Non sia mai! Follia e libertà non vengono al medesimo punto. “Ma io voglio che succeda tutto quanto reputo ed in qualunque modo lo reputerò”. Tu sei pazzo, vaneggi. Non sai che libertà è cosa bella e rinomata? Il volere come capita che accada quanto ho reputato come capita, corre pericolo non soltanto di non essere bello, ma la cosa più brutta di tutte. Come facciamo coi caratteri dell’alfabeto? Decido di scrivere il nome ‘Dione’ come voglio? No, ma mi viene insegnato a disporre che sia scritto come si deve. Che facciamo con le note musicali? Allo stesso modo. Che facciamo, in generale, laddove è in gioco un’arte od una scienza? Se no, di nessun valore sarebbe l’avere scienza di qualcosa, se ciò si acconciasse alle decisioni di ciascuno. Qui dunque, soltanto su quanto è massimo e sommamente dominante, sulla libertà, mi è stato accordato di volere come capita? Nient’affatto! Ma educarsi a diairesizzare è questo imparare a disporre ciascuna cosa così come accade.
Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 1, Capitolo 12, § 9-15
Qual è dunque il frutto di questi giudizi? Quello che dev’essere il più bello ed appropriato per coloro che effettivamente sono educati a diairesizzare: dominio sullo sconcerto e sulla paura, libertà. Giacché non bisogna su questo fidarsi dei più, i quali dicono che soltanto i cittadini liberi hanno la potestà di essere educati; ma piuttosto dei filosofi, i quali dicono che soltanto gli educati a diairesizzare sono liberi. -Come questo?- Così: ora, la libertà è qualcos’altro dalla potestà di spassarcela come decidiamo? “Nient’altro”. Ditemi, o uomini: decidete di vivere aberrando? “Non lo decidiamo”. Quindi nessuno che aberri è libero. Decidete di vivere avendo paura, decidete di vivere afflitti, decidete di vivere sconcertati? “Nient’affatto!” Proprio nessuno che abbia paura, sia afflitto, sia sconcertato è libero; mentre chiunque si è allontanato da afflizioni, paure e sconcerti ebbene costui, per la stessa strada, si è allontanato anche dall’essere servo. Dunque come potremo ancora affidarci a voi, o carissimi legislatori, che non consentite di essere educati se non ai cittadini liberi? I filosofi, infatti, dicono che non consentiamo di essere liberi se non a coloro che sono stati educati a diairesizzare, cioè che è la materia immortale a non consentirlo. -E dunque qualora uno faccia rigirare il suo servo alla presenza di un pretore, non fa niente?- La fa. -Cosa?- Fa rigirare il suo servo alla presenza di un pretore. -Null’altro?- Sì, è tenuto anche a dare il suo cinque per cento. -E dunque? Chi sperimenta questo non è diventato libero?- Non più che capace di dominare lo sconcerto.
Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 2, Capitolo 1, § 21-27
Così nasce la libertà. Per questo Diogene diceva: “Da quando Antistene mi liberò, non fui mai più servo”. E come lo liberò? Ascolta cosa dice: “Mi insegnò il mio ed il non mio. Il patrimonio non è mio; congeneri, familiari, amici, fama, posti consueti, trastulli: che tutto questo è allotrio. ‘Cos’è dunque tuo? L’uso delle rappresentazioni’. Mi mostrò che quest’uso io l’ho non soggetto ad impedimenti, non soggetto a costrizioni; che nessuno può intralciarmi, nessuno violentarmi ad usare le rappresentazioni altrimenti da come dispongo io. Chi dunque ha ancora potestà su di me? Filippo od Alessandro o Perdicca od il Gran Re? Donde verrebbe loro? Giacché chi sta per essere sconfitto da un essere umano, prioritariamente deve essere sconfitto dalle cose”. Colui dunque su cui non hanno la meglio il piacere fisico, il dolore, la reputazione, la ricchezza di denaro e che può, qualora lo reputi, partire dopo avere sputato contro qualcuno l’intero corpo, ebbene costui di chi è ancora servo, a chi è stato subordinato? Se Diogene se la passasse piacevolmente in Atene e fosse sconfitto da questo trastullo, le sue faccende sarebbero in potere di chiunque, ed il più potente sarebbe signore di affliggerlo. Come reputi che avrebbe adulato i pirati perché lo vendessero ad un Ateniese, così da vedere il magnifico Pireo, le lunghe mura e l’Acropoli? Vederle essendo tu chi, schiavo? Un servo ed un servo nell’animo! E che pro per te? -No, ma libero.- Mostrami, libero come. Ecco un tale qualunque ti ha abbrancato, ti sloggia dai tuoi consueti trastulli e dice: “Sei mio servo, giacché è in mio esclusivo potere impedirti di passartela come vuoi; in mio potere placarti, asservirti la proairesi. E qualora io voglia, di nuovo far sì che tu ti allieti e proceda sollevato verso Atene”. Cosa dici a costui che ti riduce in servitù? Quale emancipatore gli dai? O neanche lo guardi in faccia ma, tralasciati i molti discorsi, lo supplichi di lasciarti perdere?
Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 3, Capitolo 22, § 67-76
Libero è chi vive come decide, chi non è possibile costringere né impedire né violentare; colui i cui impulsi non sono soggetti ad intralci, i cui desideri vanno a segno, le cui avversioni non incappano in quanto avversano. Chi, dunque, vuole vivere aberrando? -Nessuno.- Chi vuole vivere ingannandosi, essendo precipitoso, ingiusto, impudente, lagnoso sulla propria sorte, servo nell’animo? -Nessuno.- Proprio nessuno degli insipienti vive come decide e, quindi, neppure è libero. Chi vuole vivere affliggendosi, avendo paura, invidiando, commiserando, desiderando e fallendo, avversando ed incappando in quanto avversa? -Neppure uno.- Abbiamo dunque qualche insipiente senza afflizione, senza paura, che non incappa in quanto avversa, che non fallisce il segno? -Nessuno.- Proprio nessuno, pertanto, libero.
Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 1-5
Analizza come usiamo il concetto di libertà per gli animali. Taluni chiudono in gabbia dei leoni addomesticati, poi li nutrono, li pascono, li trasferiscono con sé. Chi dirà che questo leone è libero? Quanto più mollemente se la spassa, non è tanto più servilmente? Quale leone, se prendesse coscienza e contezza, deciderebbe di essere uno di questi leoni? Orsù, e qualora questi volatili vengano presi e siano nutriti in gabbia, cosa non sperimentano cercando di fuggir via? Taluni si rovinano di fame piuttosto di soggiacere a siffatto modo di spassarsela. Quanti poi si preservano in vita, lo fanno con stento ed esasperazione, deperiscono e, in complesso, se troveranno uno spiraglio balzano via. Così tanto desiderano la naturale libertà e di essere autonomi, non soggetti ad impedimenti! Che male c’è per te qui? “Che dici? Io sono nato per volare dove voglio, per passarmela all’aria aperta, per cantare quando voglio: tu mi sottrai tutto questo e dici: ‘Che male c’è per te?’ “.
Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 24-28
Qualora dunque non vivano come vogliono né quelli detti re né gli amici dei re, chi è ancora libero?- Cerca e troverai. Giacché la natura ti ha dato risorse per il rinvenimento della verità. E se non sei capace di trovare il seguito procedendo con queste mere risorse, ascoltalo da coloro che hanno cercato. Cosa dicono? Reputi la libertà un bene? -Il sommo.- Può dunque uno che centra il sommo bene essere infelice o finire male? -No.- Quanti vedrai dunque essere infelici, non essere sereni, piangere, dichiara con fiducia che non sono liberi. -Lo dichiaro.- Pertanto ci siamo già ritirati dalla compravendita e da siffatto assegnamento sul patrimonio. Giacché se avessi rettamente ammesso questo, sia un grande re sia uno piccolo, sia chi è stato una volta console sia chi lo è stato due, se sarà infelice non sarà libero. -Sia.-
Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 51-53
Rispondi ancora a questo: reputi la libertà qualcosa di grande e generoso, di rinomato? -E come no?- E’ dunque possibile che chi centra un bene così grande e rinomato e generoso sia servo nell’animo? -Non è possibile.- Qualora dunque tu veda qualcuno che si è prostrato davanti ad un altro o che adula contro il proprio parere, dì con fiducia che anche costui non è libero: e non soltanto se lo farà per un pranzetto, ma anche per una provincia od un consolato. E chiama microservi quanti lo fanno per piccoli fini e gli altri, come meritano, megaservi. -Sia anche questo.- Reputi la libertà qualcosa di incondizionato ed autonomo? -E come no?- Dunque quando è in potere di un altro impedire o costringere qualcuno, dì con fiducia che costui non è libero. E non scrutarmi i suoi nonni e bisnonni, non cercare una compravendita; se lo sentirai dire dal di dentro e con passione “Signore!”, anche se dodici verghe lo promuoveranno, dillo servo. Se lo sentirai dire “Sciagurato me, cosa non sperimento!” dillo servo. Se insomma lo vedrai singhiozzare tutto, lagnarsi, non essere sereno: dillo un servo che porta una toga porporata. Se poi non farà nulla di ciò, non dirlo ancora libero ma decifra se i suoi giudizi sono soggetti a costrizioni, soggetti ad impedimenti, generatori di non serenità. E se lo troverai siffatto, chiamalo un servo in vacanza durante i Saturnali. Dì che il suo Signore si è messo in viaggio; ma poi giungerà e riconoscerai quel che non sperimenta! -Giungerà chi?- Chiunque avrà potestà di procacciare o sottrarre qualcuna delle cose che egli vuole. -Dunque abbiamo così tanti Signori?- Così tanti. Giacché precedenti a questi abbiamo per signori le cose, ed esse sono molte. Per questo è necessario che siano nostri Signori quanti hanno potestà su qualcuna di esse. Dacché nessuno ha paura proprio di Cesare, ma ha paura della morte, dell’esilio, della sottrazione di proprietà, della prigione, del difetto di onorificenze. Né qualcuno predilige Cesare, se Cesare non sarà uomo di gran valore, ma prediligiamo la ricchezza di denaro, il tribunato, la pretura, il consolato. Qualora prediligiamo ed odiamo ed abbiamo paura di queste cose, è necessario che quanti hanno potestà su di esse siano nostri Signori. Per questo li riveriamo come Dei. Giacché concettualizziamo così: “Quanto ha potestà del massimo giovamento è divino”. Poi subordiniamo malamente: “Costui ha potestà del massimo giovamento”. Di necessità anche quel che ne deriva è inferito malamente.
Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 54-61
Orsù dunque, veniamo ai punti ammessi. Libero è l’uomo non soggetto ad impedimenti, cui le faccende sono a portata di mano come decide. Invece, chi è possibile impedire o costringere od intralciare o sbattere in qualcosa suo malgrado, è servo. Chi non è soggetto ad impedimenti? Chi non prende di mira nulla di allotrio. Cos’è allotrio? Ciò che non è in nostro esclusivo potere avere o non avere od avere con certe qualità od in un certo stato. Pertanto allotrio è il corpo, allotrie sono le parti del corpo, allotrio è il patrimonio. Se dunque ti struggerai per qualcuna di queste cose come tua peculiare, pagherai il fio che merita chi prende di mira l’allotrio. Questa strada conduce alla libertà, questa sola è scampo dalla servitù: poter dire una volta con l’animo intero *Conducimi, o Zeus, e proprio tu o Fato, là dove sono stato da voi una volta ordinato*.
Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 128-131
Giacché la libertà non è apprestata dall’assolvimento di ciò per cui smaniamo ma dal disapprestamento della smania.
Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 1, § 175
C ‘è bisogno di poco per la perdita ed il sovvertimento di tutto: un piccolo distoglimento della ragione. Per far capovolgere il bastimento, il pilota non ha bisogno della medesima preparazione che per salvaguardarlo. Se volterà un poco di fianco al vento, va in malora. E se rallenterà un poco l’attenzione, anche suo malgrado, va in malora. Qualcosa di siffatto accade anche qua. Se sonnecchierai un poco, tutto quanto hai raccattato finora parte. Fa dunque attenzione alle rappresentazioni; vegliaci su, ché non è piccolo il tesoro serbato: è il rispetto di te e degli altri, è la lealtà, la stabilità di giudizio, è il dominio sulle passioni, sulle afflizioni, sulla paura, sullo sconcerto, insomma è la libertà.
Epitteto: ‘L’albero della diairesi’ Libro 4, Capitolo 3, § 4-7