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Scritti originali

ARISTOTELE ED EPITTETO DINANZI ALLA ‘PROAIRESI’

La parola ‘Proairesi’, (tradotta ancor oggi in modo del tutto improprio e fuorviante in Italiano con ‘scelta morale di fondo’, e in inglese con ‘moral purpose’ o ‘freedom of will’ e altre sciocchezze del genere) ha una storia degna di nota. Introdotta nel linguaggio filosofico da Aristotele, dopo secoli di oblio fu infatti ripresa in modo geniale e creativo da Epitteto, il quale ne fece uno dei cardini del suo Stoicismo. Il testo che offro in lettura, mentre presenta la mia traduzione di tutti i passi delle opere di Aristotele nei quali risultano utilizzati il termine ‘Proairesi’ ed i vocaboli ad esso direttamente correlati, permette il confronto diretto con numerosi passi similari, sempre in mia traduzione, dell’opera di Epitteto, e quindi mette in grado il lettore di intendere in modo non ambiguo differenze e similarità.

Tutto ciò che Aristotele chiama ‘’Proairesi’ e la ‘’Proairesi’ di Epitteto sono la stessa cosa?

Proairesi

Sono a tutt’oggi soltanto due i filosofi che hanno dato un rilievo decisamente centrale al concetto di ‘Proairesi’ nella loro filosofia. I due filosofi sono: Aristotele (385-322 a.C.) e, circa quattro secoli dopo di lui, Epitteto (50-120 d.C.). 

11.1) Aristotele e la Proairesi

Breve cenno alla storia del termine greco ‘Proàiresis’

L’uso del sostantivo greco ‘proàiresis’ e dei suoi derivati è poco attestato nella prosa greca prima della metà del IV° secolo a. C.; ed anche nella seconda metà di tale secolo compare piuttosto raramente nei testi dei principali autori i cui scritti sono pervenuti fino a noi.
Il termine non compare né negli scritti di Lisia (450-380 a.C.) né in quelli di Andocide (440-390 a.C.), ed è usato soltanto quattro volte da Isocrate (436-338 a.C.). Senofonte (430-354 a.C.) non lo utilizza mai; Platone (429-348 a.C.) lo impiega una volta soltanto, mentre esso non compare in nessun testo di Iseo (415-344 a.C.). 
Il suo uso si fa leggermente più frequente nella seconda metà del IV° secolo a. C. Infatti, Licurgo (396-325 a.C.) lo usa due volte; Iperide (390-322 a.C.) ed Eschine (390-315 a.C.) entrambi tre volte; Demostene (385-322 a.C.) alcune decine di volte, ma di nuovo non compare in alcun testo di Dinarco (361-291 a.C.).

Il significato di ‘Proàiresis’ nel linguaggio corrente del IV° secolo a. C.

In tutti gli autori citati, l’area semantica coperta dal temine ‘proàiresis’ e dai suoi derivati è essenzialmente l’area esprimente l’ ‘interesse personale’, l’ ‘intenzionalità’, il ‘deliberato proposito’, la ‘premeditazione’ delle azioni di un soggetto. 

L’uso del termine ‘Proàiresis’ da parte di Aristotele e la sua analisi di esso

Vi è universale consenso nell’attribuire ad Aristotele (385-322 a. C.), il quale è esattamente contemporaneo di Demostene, la paternità dell’introduzione del termine ‘proàiresis’ nel linguaggio filosofico. 
Anche se si affacciano più o meno frequentemente in quasi tutte le opere del filosofo di Stagira, il sostantivo ‘proàiresis’ ed i diretti derivati assumono un rilievo cruciale nelle sue tre principali opere etiche: essi, infatti, compaiono almeno 105 volte nell’ ‘Etica Nicomachea’; 94 volte nell’ ‘Etica Eudemia’ e 50 volte nei ‘Magna Moralia’. 
Chi aprisse l’ ‘Etica Nicomachea’ e ne iniziasse la lettura dalla prima parola del primo paragrafo del primo libro, si accorgerebbe subito della ‘proàiresis’ giacché essa è l’undicesima parola, ed il quarto sostantivo, che gli viene incontro.
È in questo trattato che Aristotele, nell’ambito della discussione degli atti volontari (ta ekoùsia) e involontari (ta akoùsia), della virtù (areté), della non padronanza di sé (akràteia) e dell’impudenza (akolasìa), ha tentato di analizzare e di precisare la sua definizione di ‘proàiresis’.
Il risultato di tale analisi, che si presenta senza sostanziali varianti anche nelle altre due opere etiche citate, appare come una molteplicità di determinazioni polivalenti e in parte contraddittorie che hanno sempre lasciato, e continuano a lasciare, parecchia incertezza sul preciso significato da attribuire al termine ‘proàiresis’
Questo è molto probabilmente anche uno, se non il principale, dei motivi che hanno contribuito alla scarsa comprensibilità del concetto aristotelico di ‘proàiresis’ e alla sua emarginazione dal dibattito filosofico, oltre che alla sua sostanziale intraducibilità e quindi alla mirabolante moltiplicazione di vocaboli e di perifrasi proposte in diverse lingue da diversi traduttori per rendere il temine ‘proàiresis’.
Aristotele, infatti, definisce la ‘proàiresis’ come: 
il ‘volontario preceduto da una deliberazione’ (prebebouleuménon), oppure 
‘desiderio deliberato (òrexis bouleutiké) di cose in nostro potere’ (tòn ef’emìn), oppure 
‘mente desiderativa’ (noùs orektikòs) oppure 
‘desiderio intellettualizzato’ (òrexis dianoetiké), o ancora 
‘scelta (àiresis) di qualcosa a preferenza di un’altra’. 
Ma parrebbe potersi intendere la ‘proàiresis’ aristotelica anche come ‘processo che porta al raggiungimento di un fine’ oppure come 
‘il piano iniziale del processo che porta al raggiungimento di un fine’.
Qualunque cosa Aristotele intenda con il termine ‘’Proàiresis’, egli è comunque consistentemente coerente nel ribadire che:

  1. la ‘’Proàiresis’ non è appannaggio degli altri animali, dei bambini in tenera età e dell’uomo in certi stati come l’ira o l’ubriachezza
  2. la ‘’Proàiresis’ non ha mai come oggetto ‘il fine’ ma soltanto ‘i mezzi’ in nostro potere per raggiungere un certo fine
  3. la ‘’Proàiresis’ non ha mai come oggetto delle impossibilità (adùnata) né eventi del passato
  4. l’uomo può agire tanto in accordo con la propria proairesi (katà ‘Proàiresin) quanto in contrasto con la propria proairesi (parà ‘Proàiresin).

La traduzione dei testi

Quella che segue è la mia traduzione di tutti i passi nei quali Aristotele usa il sostantivo ‘’Proàiresis’ e i suoi diretti derivati nell’ ‘Etica Nicomachea’, nell’ ‘Etica Eudemia’ e nei ‘Magna Moralia’. 
Se non sbaglio, capita a me di essere il primo traduttore al mondo che non cerca sinonimi o circonlocuzioni per tradurre il termine ‘’Proàiresis’  ed i suoi collegati. Dunque per la prima volta nella traduzione di Aristotele i seguenti vocaboli greci sono resi in italiano come segue:
-il sostantivo ‘proàiresis’ con ‘proairesi’
-l’aggettivo ‘proairetikòs’ con ‘proairetico’
-l’aggettivo ‘aproàiretos’ con ‘aproairetico’
-il verbo ‘proairèisthai’ con ‘proairesizzare’
-l’avverbio ‘aproairétos’ con ‘aproaireticamente’
-il sostantivo ‘antiproàiresis’ con ‘antiproairesi’
La lettura permetterà indubbiamente a ciascuno di farsi la sua opinione sul significato che Aristotele intendeva dare al termine ‘’Proàiresis’.

11.1.1) ETICA A NICOMACO

NE-LIBRO I°

NE1.1[1094a,1-3] Ogni arte, ogni metodologia razionale e similmente ogni azione e proairesi sembrano avere di mira un qualche bene. Perciò è stato correttamente dichiarato che ‘tutto ha di mira il bene’. 

NE1.4[1095a,14-17] Riprendendo il discorso, poiché ogni conoscenza e proairesi è desiderio di un qualche bene, diciamo cosa sia ciò che la politica ha di mira e quale sia il sommo dei beni fattibili.

NE1.7[1097a,19-23] Questo bene in medicina è la salute, in strategia la vittoria, in edilizia la casa, in altri campi altro ancora; e comunque in ogni azione e proairesi il fine, giacché è in vista di esso che tutti operano il resto.

NE1.13[1102a,12-14] Se poi questa analisi è propria della politica, è chiaro che la ricerca potrebbe avvenire in accordo con la proairesi iniziale.

NE-LIBRO II°

NE2.4[1105a,33] Ma occorre anche che chi compie azioni virtuose le compia con una certa disposizione: in primo luogo sapendo cosa fa, poi proairesizzando e proairesizzando le azioni per se stesse, in terzo luogo operando con una disposizione salda e inamovibile.  

NE2.5[1106a,2-4] Inoltre noi ci adiriamo e abbiamo paura aproaireticamente, mentre le virtù sono certe proairesi o non mancano di proairesi.

NE2.6[1106b,36-1107a,1] La virtù è dunque una disposizione proairetica, consistente in una medietà in rapporto a noi, definita dalla ragione e come la definirebbe il saggio.

NE-LIBRO III°

NE3.1[1110b,31-33] Giacché l’ignoranza nella proairesi non è causa dell’involontarietà ma della depravazione.

NE3.2[1111b,4-1112a,18] Una volta definito il ‘volontario’ e l’ ‘involontario’, proseguiamo discorrendo di proairesi, giacché essa sembra essere ciò che di più attinente vi sia alla virtù e quella che determina i caratteri più delle azioni. 
La proairesi appare certo un che di volontario ma non si identifica con esso, poiché il ‘volontario’ copre un ambito più vasto. Il ‘volontario’, ma non la proairesi, infatti, ci accomuna anche ai fanciulli e agli altri animali e noi chiamiamo gli atti repentini ‘volontari’ ma non secondo proairesi. Chi afferma che la proairesi è ‘smania’ o ‘istintività’ o ‘voglia’ o ‘opinione’ non sembra parlare correttamente, giacché la proairesi non ci è comune con gli animali privi di ragione mentre invece ci accomunano ad essi smania e istintività. Anche chi è non padrone di sé opera per smania ma non per proairesi, mentre chi invece è padrone di sé a sua volta opera per proairesi e non per smania. Smania è l’opposto di proairesi, ma non smania di smania. La smania, poi, concerne qualcosa di piacevole o di spiacevole, la proairesi né lo spiacevole né il piacevole. 
Ancor meno la proairesi è istintività, e gli atti istintivi sembrano essere atti nient’affatto secondo proairesi
La proairesi non è neppure una voglia, anche se appare essere qualcosa di assai vicino ad essa. La proairesi, infatti, non concerne le impossibilità, e se qualcuno dicesse di proairesizzare cose impossibili farebbe la figura dello sciocco. La voglia, invece, può essere voglia di cose impossibili: per esempio dell’immortalità. La voglia, inoltre, è anche voglia di cose in nessun modo agite dal soggetto, come la vittoria di un certo attore o di un certo atleta. Nessuno, invece, proairesizza simili cose, bensì quanto crede possa dipendere unicamente da lui. La voglia, poi, è piuttosto voglia di un fine, mentre la proairesi concerne i mezzi per raggiungere un fine: ad esempio, vogliamo essere in buona salute e proairesizziamo i mezzi per esserlo; e diciamo anche di voler essere felici mentre non è acconcio dire che lo proairesizziamo: insomma, la proairesi appare concernere cose che sono in nostro potere.
La proairesi non sarebbe neppure opinione, giacché l’opinione sembra riguardare qualunque cosa: ciò che è eterno ed impossibile non meno di ciò che è in nostro potere. L’opinione, poi, si discrimina secondo il falso e il vero, non secondo il male e il bene, mentre la proairesi si discrimina piuttosto secondo questi ultimi. Dunque, forse nessuno identifica proairesi ed opinione in generale. [1112a] Ma neppure la identifica con un’opinione in particolare, giacché noi siamo le persone che siamo con il proairesizzare cose buone o cattive, non con l’averne un’opinione. Infatti proairesizziamo di prendere o di fuggire qualcuna di esse, mentre invece opiniamo che cosa esse siano o a chi siano utili o in che modo; ma non opiniamo affatto circa il prenderle o il fuggirle. La proairesi, poi, è lodata per essere proairesi di ciò che si deve, piuttosto che l’opinione per essere opinione in un certo modo. E noi proairesizziamo quelli soprattutto che sappiamo essere beni, mentre abbiamo opinioni anche su cose che non sappiamo affatto. 
Inoltre, non paiono essere gli stessi coloro che proairesizzano in modo eccellente e coloro che hanno le più eccellenti opinioni, poiché alcuni opinano meglio e poi per viziosità scelgono ciò che non si deve scegliere. Se poi l’opinione venga prima o dopo la proairesi non fa alcuna differenza, giacché non stiamo considerando questo ma se proairesi e opinione siano la stessa cosa. Cos’è dunque e che genere di cosa è allora la proairesi, visto che non è nessuna delle cose dette? Si mostra invero essere qualcosa di volontario, ma quanto è volontario non è tutto proairetico. Sarà forse il volontario quando è preceduto da una deliberazione? La proairesi, infatti, è compagna di ragione e intelletto, e il nome stesso pare significare qualcosa che è scelto a preferenza di altre cose.

NE3.3[1113a,3-14] Il deliberato e il proairetico sono la stessa cosa, eccetto che il proairetico è già stato precedentemente definito, essendo proairetico ciò che è stato predeterminato dalla deliberazione. E ciascuno di noi cessa di cercare come opererà quando abbia ricondotto la causa basilare dell’azione a sé e alla parte dominante di sé, poiché è questa la parte che proairesizza. Questo è manifesto anche nelle primitive Costituzioni rappresentate da Omero nei suoi poemi. In esse i re annunciavano al popolo ciò che avevano proairesizzato. Poiché dunque il proairetico è qualcosa in nostro potere, desiderato in seguito a una deliberazione, la proairesi sarebbe un desiderio deliberato di cose in nostro potere, giacché dopo avere giudicato e deliberato desideriamo in accordo con la deliberazione. Si consideri così delineata schematicamente la proairesi, quali siano i suoi oggetti e che riguarda mezzi relativi ai fini.

NE3.5[1113b,3-5] Voluto pertanto il fine, deliberando e proairesizzando i mezzi per raggiungerlo, le azioni a questo riguardo sarebbero azioni secondo proairesi e volontarie.

NE3.8[1117a,4-6] La forma più naturale di coraggio, poi, sembra essere quella per istintività; e quando le si aggiungano proairesi e consapevolezza del fine essa diventa virilità.

NE3.8[1117a,21-23] Si potrebbero proairesizzare i pericoli manifesti grazie al calcolo e al ragionamento, ma quelli improvvisi si affrontano secondo la disposizione del momento.

NE-LIBRO IV°

NE4.7[1127b,15] Il cialtrone non è tale in potenza ma in proairesi.

NE-LIBRO V°

NE5.5[1134a,2] La giustizia è quella disposizione in relazione alla quale si chiama giusto colui che pratica il giusto secondo proairesi.

NE5.6[1134a,21] Giacché un uomo potrebbe anche avere rapporti intimi con una donna sapendo con chi sta, ma senza avere come causa basilare di ciò lasua proairesi bensì per passione.

NE5.8[1135b,8-11] Degli atti volontari, poi, alcuni li compiamo per proairesi, altri senza averli proairesizzatiproairetici essendo quelli che sono stati predeliberati, aproairetici quelli non predeliberati.

NE5.8[1135b,25] Qualora invece l’ingiuria origini dalla proairesi, allora l’individuo è ingiusto e depravato.

NE5.8.[1136a,1] Se il danno originasse dalla proairesi, allora si commette ingiustizia.

NE5.8.[1136a,4] E similmente il giusto è tale qualora operi il giusto avendolo proairesizzato.

NE5.11[1138a,22] Inoltre, l’azione ingiusta è volontaria, origina dalla proairesi, ed è anteriore ad ogni provocazione.

NE-LIBRO VI°

NE6.2[1139a,21-27] Quello che nell’intelletto sono negazione e affermazione, nell’ambito del desiderio sono perseguimento e fuga. E così, dal momento che la virtù etica è una disposizione proairetica e la proairesi è desiderio deliberato, se la proairesi deve essere virtuosa bisogna appunto che il ragionamento sia vero e il desiderio sia retto, ossia che la ragione affermi e il desiderio persegua le medesime cose.

NE6.2[1139a,32-34] Causa basilare dell’azione morale è dunque la proairesi, che è ciò da cui origina il movimento ma non ciò per cui esso avviene. Causa della proairesi, poi, sono desiderio e ragionamento diretto a un fine. Perciò la proairesi non è mai disgiunta da mente, intelletto e disposizione etica.

NE6.2[1139b,5-8] Perciò la proairesi è mente desiderativa o desiderio intellettualizzato e questa causa basilare è l’uomo. Non può essere proairetico alcun evento del passato: nessuno proairesizza, per esempio, di avere devastato Troia.

NE6.12[1144a,19-21] Pertanto esiste un modo per fare ciascuna cosa così da essere virtuoso: dico agendo per proairesi ossia avendo per scopo delle azioni rette le azioni stesse. E dunque è la virtù a far sì che la proairesi sia retta.

NE6.13[1145a,4-6] La proairesi non sarà retta senza saggezza e senza virtù. Giacché la saggezza ci fa porre il fine e la virtù ci fa operare le azioni atte a raggiungerlo.

NE-LIBRO VII°

NE7.4[1148a,4-11] Di coloro che sono non padroni di sé nelle fruizioni corporali in relazione alle quali definiamo l’individuo temperante e quello intemperante, colui che non proairesizzando bensì in contrasto con la propria proairesi e il proprio intelletto insegue gli eccessi nelle cose piacevoli e fugge quelli delle cose spiacevoli come fame, sete, caldo, freddo e tutto quanto ha a che fare con tatto e gusto: ebbene costui si chiama non padrone di sé senza ulteriori qualificazioni.

NE7.4[1148a,17-19] Gli individui padroni di sé e quelli non padroni di sé sono tali in relazione agli stessi oggetti ma non nello stesso modo, giacché i primi proairesizzanomentre i secondi non proairesizzano.

NE7.6[1149b,35] Le bestie, infatti, non hanno proairesi né contezza alcuna di sè e stanno fuori della natura umana, come i pazzi.

NE7.7[1150a,18-21] Colui che insegue gli eccessi nelle cose piacevoli o i necessari piaceri in eccesso e lo fa per proairesi, per gli eccessi in quanto tali e non per riuscire ad altro: ebbene costui è intemperante.

NE7.7[1150a,23-27] Similmente intemperante è colui che fugge le sofferenze corporali non perché sopraffatto ma per proairesi. Di coloro, poi, che non proairesizzano, gli uni si lasciano guidare dal piacere, gli altri dal fuggire la sofferenza che deriva dalla smania.

NE7.8[1150b,29-31] L’intemperante, come abbiamo detto, non è incline al pentimento poiché persiste per proairesi. Invece, chiunque sia non padrone di sé è incline al pentimento.

NE7.8[1151a,7-8] È dunque manifesto che la non padronanza di sé non è un vizio. Ma forse lo è in un certo senso, giacché la non padronanza di sé è tale in contrasto allaproairesi, mentre il vizio è secondo proairesi.

NE7.9[1151a,29-35] Pertanto, come ci chiedevamo problematicamente prima, è padrone di sé colui che persiste in un ragionamento qualsivoglia e una qualsivogliaproairesi oppure colui che persiste nella retta proairesi? Ed è non padrone di sé colui che non persiste in una qualsivoglia proairesi e in un ragionamento qualsivoglia oppure colui che persiste in un falso ragionamento e in una proairesi scorretta? Oppure uno persiste in una opinione qualunque accidentalmente, ma in essenza nel ragionamento vero e nella retta proairesi mentre l’altro non vi persiste?

NE7.10[1152a,10-14] Nulla impedisce che il valente parlatore sia non padrone di sé (……..), poiché l’uomo saggio e l’abile parlatore sono vicini quanto a parole ma differiscono quanto a proairesi.

NE7.10[1152a,17-18] Chi non è padrone di sé….non è malvagio. Infatti, la sua proairesiè acquiescente: sicché è malvagio a metà.

NE-LIBRO VIII°

NE8.5[1157b,30-32] L’affezionamento, infatti, è rivolto non meno agli esseri inanimati, mentre coloro che ricambiano l’amicizia lo fanno con proairesi e la proairesi ha a che fare con una disposizione.

NE8.13[1163a,22-24] Nelle amicizie fondate sulla virtù non ci sono incolpazioni e la proairesi di chi compie il beneficio assomiglia ad un’unità di misura, giacché dominante per la virtù e il carattere è la proairesi.

NE-LIBRO IX°

NE9.1[1164b,1-3] Tale è l’amicizia che il contraccambio va fatto in accordo con la proairesi, giacché questa è propria dell’amico e della virtù.

NE-LIBRO X°

NE10.8[1178a,35] Vi è disaccordo se più dominante per la virtù sia la proairesi o siano le azioni, poiché essa potrebbe essere in entrambe.

NE10.9[1178b,35] Se, dunque, di queste virtù come pure dell’amicizia e del piacere abbiamo detto schematicamente a sufficienza, dobbiamo ritenere raggiunto il fine che si era proposto la nostra proairesi.

11.1.2) ETICA A EUDEMO

EE-LIBRO I°

EE1.2[1214b,7] Una volta stabilito riguardo a ciò, che chiunque può vivere secondo la propria proairesi pone qualcosa a scopo del vivere bene: l’onore, la fama, la ricchezza o l’educazione (…) è necessario (…) definire in cosa consista (…) il vivere bene. 

EE1.4[1215b,1] (…) vediamo che sono anche tre i tipi di vita che quanti ne hanno per caso facoltà proairesizzano tutti di vivere: la vita politica, quella filosofica, quella di piacere.

EE1.5[1216a,26] Ma la maggior parte di quanti sono impegnati in politica impropriamente sono così designati, giacché non sono veri politici. Il politico, infatti, è colui che proairesizza le azioni nobili per loro stesse, mentre i più abbracciano questo modo di vita per la roba e per interesse.

EE-LIBRO II°

EE2.5[1222a,31] Sicché anche le disposizioni proairetiche all’esercizio atletico saranno più favorevoli alla salute in accordo con ambedue le differenti scelte.

EE2.6[1223a,17-19] Tutti invero ammettiamo che ciascun individuo sia la causa di tutto ciò che è volontario e in accordo con la sua propria proairesi, mentre invece di quanto è involontario egli non sia la causa. Ed è manifesto che tutto ciò che è proairesizzatoè anche volontario.

EE2.7[1223a,21-23] Dobbiamo anche prendere in esame cosa siano il volontario e l’involontario e cosa sia la proairesi, poiché virtù e vizio sono definiti per mezzo di essi.

EE2.7[1223a,23-25] Volontario e involontario sembrerebbero essere riconducibili a una di queste tre conformità o difformità: col desiderio, con la proairesi o con l’intelletto.

EE2.8[1223b,39] Che il volontario non sia neppure ciò che è secondo proairesi è manifesto da questo che segue.

EE2.8[1224a,3] Molte cose che noi vogliamo le facciamo repentinamente, mentre nessuno proairesizza nulla repentinamente.

EE2.8[1224a,6] Siccome abbiamo stabilito che il volontario è necessariamente una di queste tre cose: conforme a desiderio o a proairesi o ad intelletto, e siccome non è conforme alle prime due, rimane che consista nell’operare in un certo modo dell’intelletto.

EE2.8[1225a,13] Egli infatti semplicemente non proairesizza quello stesso che fa ma ciò per cui lo fa.

EE2.9[1225a,39] Concludendo, poiché il volontario non è definito né dal desiderio né dalla proairesi, rimane che sia da definirsi conforme all’intelletto.

EE2.10[1225b,18-1226a,33] Dopo ciò parliamo di proairesi, ragionando delle difficoltà che sorgono circa di essa. Infatti si potrebbe dubitare su quale genere di cosa laproairesi sia per natura, in quale classe di cose vada posta e se il volontario e il proairetico siano o non siano la stessa cosa. Alcuni soprattutto affermano, e così potrebbe parere ad uno che faccia questa ricerca, che la proairesi sia una di queste due cose: o opinione o desiderio, poiché ambedue queste cose paiono comprenderla. Eppure è evidente che la proairesi non è desiderio. Infatti, allora sarebbe o voglia o smania o istintività, giacché nessuno desidera senza avere prima sperimentato queste sensazioni. Ma istintività e smania esistono anche nelle belve, non però la proairesi. Inoltre anche coloro che sperimentano entrambe queste sensazioni, pure proairesizzano spesso senza istintività e senza smania; e quando sono soggetti alle passioni non proairesizzano ma si fanno forza. Inoltre smania e istintività sono sempre accompagnate da affanno, mentre invece noi proairesizziamo spesso senza affanno. Ma invero neppure sono la stessa cosa voglia e proairesi. Alcuni di noi vogliono infatti certe cose anche sapendo che sono impossibili; per esempio, regnare su tutti gli uomini ed essere immortali. Invece nessuno proairesizza qualcosa quando sa che è impossibile, e neppure proairesizza qualcosa di possibile, qualora creda che il farlo o non farlo non dipende da lui. Sicché è manifesto che necessariamente il proairetico è una di quelle cose che sono in nostro potere. Similmente è manifesto che proairesi non è opinione né ciò che uno semplicemente crede, poiché abbiamo visto che il proairetico è una di quelle cose che sono in nostro potere, mentre noi opiniamo anche molte cose che non sono in nostro potere, per esempio sulla diagonale incommensurabile [del quadrato di lato unitario]. Inoltre la proairesi non è vera o falsa. La proairesi non è neppure l’opinione di cose fattibili e in nostro potere, per cui ci capita di credere di dover fare o non fare qualcosa: questo è comune all’opinione e alla voglia. Nessuno, poi, proairesizza un fine bensì i mezzi per raggiungere un fine. Dico, per esempio, che nessuno proairesizza di stare in buona salute, ma di passeggiare o di restare seduto per stare in buona salute; né di essere felice, ma di fare affari o di rischiare per poter essere felice; e insomma colui che proairesizza sempre manifesta ‘cosa’ e ‘per che cosa’ lo fa. Il ‘per che cosa’ è ciò in vista di cui un’altra cosa è proairesizzata, mentre il ‘cosa’ è qualunque cosa è proairesizzata in vista di un’altra. L’uomo vuole, poi, soprattutto il fine ed opina che tali siano il dover essere in buona salute e lo star bene. Sicché è manifesto da ciò, che opinione e voglia sono altro da proairesi. Voglia e opinione sono specialmente del fine, mentre la proairesi non riguarda il fine. È pertanto manifesto che la proairesi non è né voglia, né opinione né semplicemente concezione. In che cosa differisce, allora da queste? E in quale relazione è con il volontario? La risposta a queste domande chiarirà anche cos’è la proairesi. Ora, delle cose che possono essere o non essere ve ne sono di tali che ammettono di essere deliberate da parte nostra, mentre altre non lo ammettono. Vi sono, infatti, cose che possono essere o non essere ma la cui genesi non è in nostro potere e avviene, nel caso di alcune, per opera di natura; nel caso di altre per opera di altre cause. Circa queste cose nessuno porrebbe mano, sapendolo, a deliberare. Alcune cose, invece, ammettono non soltanto di esistere oppure no, ma anche di essere deliberate dagli uomini; e sono le cose che è in nostro potere fare o non fare. Perciò noi non deliberiamo sulle faccende indiane né sulla quadratura del cerchio, giacché le faccende indiane sono cose non in nostro potere, mentre le cose proairetiche e fattibili sono in nostro potere, e la quadratura del cerchio non è fattibile, ragion per cui è anche manifesto che la proairesi non è semplicemente opinione.

EE2.10[1226b,2-9] Siccome la proairesi non è né opinione né voglia separatamente e neppure è entrambe le cose, (nessuno, infatti, proairesizza repentinamente ma a tutti repentinamente pare di dover fare qualcosa e tutti repentinamente vogliono) sembra che debba effettivamente sorgere da entrambe, giacché entrambe esistono in colui cheproairesizza. Bisogna allora analizzare come  questo avvenga, e il nome stesso chiarisce il come. La proairesi, infatti, è una scelta; non una semplice scelta ma la scelta di qualcosa a preferenza di un’altra. E questo non è possibile senza analisi e senza deliberazione. Perciò la proairesi è originata da un’opinione deliberativa.

EE2.10[1226b,14-23] Se in effetti nessuno proairesizza senza essersi preparato e senza avere deliberato o peggio o meglio; e inoltre delibera, tra le cose che possono essere o non essere, quei mezzi per un certo fine che sono in nostro potere, è manifesto che la proairesi è un desiderio deliberato di cose in potere del soggetto. Noi deliberiamo tutto ciò che proairesizziamo e però non proairesizziamo tutto ciò che deliberiamo. Chiamo, poi, deliberato quel desiderio di cui principio e causa è la deliberazione, e quando si desidera grazie all’avere deliberato. Perciò la proairesi non esiste negli altri animali né in ogni età dell’uomo né in ogni sua condizione.

EE2.10[1226b,33-37] È necessario che tutto quanto è proairetico sia volontario mentre non tutto il volontario è proairetico, e che tutto ciò che avviene secondo proairesi sia volontario mentre ciò che è volontario non è tutto secondo proairesi.

EE2.10[1227a,2-5] Che la proairesi non sia semplicemente voglia né opinione, è manifesto; ma è sia opinione che desiderio quando essi siano la conclusione di una deliberazione.

EE2.10[1227a,37-1227b,12] È pertanto necessario che sia l’inganno sia la proairesimuovano dalla medietà verso i contrari; e contrari sono il più e il meno rispetto alla medietà. Causa ne sono il piacere e il dolore. Le cose stanno infatti in modo che il piacevole appare all’animo buono e ancora migliore quanto più piacevole; e il doloroso cattivo e ancora peggiore quanto più doloroso. Così è manifesto anche da ciò che virtù e vizio hanno a che fare con piaceri e dolori, poiché capita che questi siano in relazione con cose proairetiche e la proairesi lo sia con bene, male e i pareri al riguardo, essendo per natura piacere e dolore cose del genere. Siccome la virtù morale è essa stessa una certa medietà tutta coinvolta con piaceri e dolori, e il vizio consiste in un eccesso o una carenza circa le medesime cose che concernono la virtù; è necessario che la virtù sia la disposizione morale proairetica di medietà in relazione a noi nelle cose piacevoli e dolorose, secondo che si dice essere di una certa qualità morale l’individuo che si rallegra o quello che si affligge, giacché non si dice che abbia una certa qualità morale semplicemente colui che ama il dolce o colui che ama l’amaro.

EE2.11[1227b,13-15] Una volta definite queste questioni, discutiamo se la virtù metta la proairesi al riparo dalle aberrazioni e renda retto il fine così che si proairesizzi ciò che bisogna proairesizzare oppure, come sembra ad alcuni, renda retta la ragione.

EE2.11[1227b,37-1228a,5] Il fine è ciò per cui si opera qualcosa e ogni proairesi, infatti, è proairesi di qualcosa e per qualcosa. Il ‘qualcosa per cui’ ossia il fine è la medietà, causa della proairesizzazione del quale è la virtù mentre la proairesi non è proairesi di questo fine ma dei mezzi per raggiungere questo fine. Dunque il centrare questi mezzi, ossia quanto si deve fare in vista del fine è affare di un’altra facoltà, mentre la causa della rettitudine del fine della proairesi è la virtù. Perciò è dalla proairesi che noi giudichiamo chi un individuo sia, cioè guardando non che cosa fa ma per che cosa lo fa. E similmente anche il vizio, per i motivi opposti, opera sulla proairesi.

EE2.11[1228a,12-19] E poi, benché l’attività sia presa in esame più della virtù, noi lodiamo e denigriamo tutti guardando alle loro proairesi più che alle loro opere, dal momento che le persone fanno cose ignobili anche per costrizione, cose che nessuno proairesizza. Inoltre, non essendo facile vedere di quale sorta sia la proairesi, siamo per questo costretti a giudicare dalle opere di quale sorta un uomo sia, e dunque la sua attività è più considerata, ma più lodabile è la sua proairesi.

EE-LIBRO III°

EE3.1[1228a,23-25] È stato detto in termini generali che vi è nelle virtù una medietà e che esse sono disposizioni proairetiche. È stato anche detto che i loro opposti sono i vizi e quali questi siano.

EE3.1[1230a,27] Ma poiché ogni virtù è proairetica (…)

EE3.6[1233a,31-33] Esiste anche l’uomo munifico, munifico non in una qualunque azione guidata dalla proairesi ma in fatto di spesa.

EE3.1[1233a,37-40] Uomo davvero munifico è colui che, in fatto di grandi spese, è proairetico della appropriata grandezza di esse, e desideroso a loro riguardo di una siffatta medietà.

EE3.7[1234a,24-26] Tutte queste medietà sono lodevoli ma non sono virtù, né i loro contrari sono vizi se non coinvolgono la proairesi.

EE-LIBRO VII°

EE7.2[1236b,3-4] Da ciò è chiaro che il primo tipo di amicizia, quella dei virtuosi, è mutua reciprocità di amicizia e di proairesi (antiproairesi).

EE7.2[1236b,5-7] Questo tipo di amicizia esiste soltanto tra gli uomini, giacché soltanto l’uomo ha coscienza della proairesi. Le altre amicizie, invece, esistono anche tra le belve.

EE7.2[1237a,30-35] E se amare attivamente con piacere è reciprocazione proairetica (antiproairesi) della mutua conoscenza, è manifesto che, nel complesso, il primo tipo di amicizia è reciprocazione proairetica (antiproairesi) di cose buone e piacevoli in quanto buone e piacevoli; e l’amicizia stessa è una disposizione dalla quale sorge siffatta proairesi.

EE7.7[1241a,19-23] Giacché è possibile pensare e desiderare cose contrarie, come nel caso di chi non è padrone di sé, nel quale questa discordia occorre. E se l’amico concorda con l’amico quanto a proairesi, può però non concordare con lui quanto a desiderio. La concordia è tra i virtuosi; mentre gli insipienti, quando proairesizzano e desiderano le stesse cose, si danneggiano l’un l’altro.

EE7.7[1241a,26-28] Vi è poi un altro tipo di amicizia per la quale anche gli insipienti concordano, qualora abbiano proairesi e desiderio delle medesime cose.

EE7.7[1241a,32-34] Vi è concordia qualora circa il comandare e l’essere comandati si abbia la medesima proairesi.

EE7.10[1243a,33] L’amicizia politica, dunque, bada ai patti e agli affari, mentre l’amicizia etica guarda alla proairesi.

EE7.10[1243b,3] Sicché è chiaro che bisogna discriminare tra questi casi, poiché se essi sono amici eticamente bisogna guardare alla proairesi.

EE7.10[1243b,10] Ed è manifesto che l’amicizia etica è amicizia secondo proairesi.

EE-LIBRO VIII°

EE8.3[1249a,3-5] Gli Spartani (…) sono uomini valenti (…) ma non virtuosi, giacché non fanno e non proairesizzano belle azioni per se stesse ma per procurarsi altri beni.

11.1.3) MAGNA MORALIA

MM-LIBRO I°

MM1.1[1181a,23-24] Siccome proairesizziamo di parlare di Etica, in primo luogo dovremo analizzare di quale branca della filosofia faccia parte lo studio del carattere.

MM1.11[1187b,15-19] Causa basilare dell’azione tanto virtuosa che viziosa è la proairesi, la voglia di agire, tutta la nostra parte razionale. Quindi è manifesto che anche queste cause prime mutano e che i nostri cambi di azione sono volontari. Sicché anche la causa basilare proairesi muta volontariamente.

MM1.11[1187b,29-30] Chi proairesizza di essere il più virtuoso uomo al mondo tale non sarà, pur se sarà migliore, ove non ci fosse anche la natura a soccorrerlo in ciò.

MM1.17[1189a,1-1189b,9] Rimane ancora da esaminare la proairesi, se essa sia desiderio oppure no. Ora, il desiderio si ingenera anche negli altri animali e tuttavia essi non hanno proairesi, giacché proairesi va con ragione e la ragione non appartiene a nessun altro animale. Pertanto la proairesi non potrebbe essere desiderio. Potrebbe essere voglia? O neppure questo? La voglia è anche voglia di cose impossibili. Per esempio: noi vogliamo essere immortali ma non lo proairesizziamo. Inoltre, la proairesi non è proairesi del fine ma dei mezzi per un fine. Ad esempio, nessuno proairesizza di stare in buona salute, mentre invece noi proairesizziamo il mezzo: camminare o correre, per stare in buona salute. I fini, invece, li vogliamo. Infatti vogliamo stare in buona salute. Sicché è manifesto anche così che proairesi e voglia non sono la stessa cosa. La proairesi è quello che dice anche il suo stesso nome. Ad esempio, noi proairesizziamo qualcosa al posto di qualcos’altro, come il meglio invece del peggio. Qualora, dunque, noi permutiamo il peggio con il meglio in fatto di scelta, ecco che qui parrebbe avere attinenza il proairesizzare. Poiché la proairesi non è nulla di tutto ciò, è essa forse l’attività dell’intelletto? O non è neppure questo? Noi infatti pensiamo e opiniamo molte cose con l’intelletto. Ma tutto ciò che pensiamo, lo proairesizziamo anche? O no? Spesso, infatti, pensiamo agli affari Indiani; ma certo non li proairesizziamo e dunque la proairesi non è neppure intelletto. Siccome dunque la proairesi non è nessuna di queste cose singolarmente presa e questi sono i fenomeni che avvengono nell’animo, necessariamente la proairesi deve essere la composizione in coppia di alcuni di essi. Poiché, allora, la proairesi è, come abbiamo detto in precedenza, proairesi dei mezzi per raggiungere un fine e non del fine, dei mezzi a noi possibili e delle alternative circa la scelta di questo o di quest’altro; è manifesto che si dovrebbe prima riflettere su di esse e deliberare in merito. Successivamente, quando ci paia di avere riflettuto al meglio, vi è un impulso ad agire in conseguenza e, facendo questo, ci sembra di agire secondo proairesi. Se quindi la proairesi è un desiderio deliberato conseguente ad una attività dell’intelletto, il ‘volontario’ non è la stessa cosa del proairetico. Infatti, noi facciamo molte cose volontarie prima di riflettere e di deliberare. Per esempio, ci sediamo, ci alziamo e compiamo molti altri simili atti volontari senza averci riflettuto; mentre tutto ciò che è proairetico dovrebbe essere conseguente ad una attività dell’intelletto. Dunque il ‘volontario’ non è tutto proairetico, mentre tutto il proairetico è ‘volontario’, giacché se proairesizziamo di fare qualcosa dopo averlo deliberato, agiamo volontariamente. Vi sono anche alcuni legislatori che paiono definire diversamente il ‘volontario’ e il ‘per proairesi’, disponendo pene minori per i delitti volontari che per quelli ‘per proairesi’’. La proairesi concerne azioni pratiche, quelle che è in nostro potere fare o non fare, fare così o non così, e che hanno un ‘perché’.

MM1.17[1189b,13] Nelle azioni pratiche, nelle quali è coinvolta la proairesi, non è così.

MM1.17[1189b,16-18] A seconda delle contingenze, noi proairesizziamo le azioni pratiche che ci appaiano migliori e per ciò agiamo.

MM1.19[1190b,2-6] Quando gli altri uomini ne vedono uno virtuoso lo giudicano dalle sue azioni, essendo impossibile venire in chiaro sul come sia atteggiata la proairesialtrui. Se, infatti, fosse possibile sapere com’è atteggiata la mente altrui verso il bello morale, allora  chi è virtuoso apparirebbe tale anche senza bisogno di guardare alle sue azioni.

MM1.34[1196b,27-34] Ora, le parti deliberativa e proairetica dell’animo umano hanno a che fare con le cose percepibili e mutevoli, insomma con tutto ciò che è soggetto a generarsi e a perire. Giacché noi deliberiamo su cose che, una volta da noi proairesizzate, è in nostro potere fare o non fare, ossia cose che ammettono da parte nostra voglia e proairesi di farle o di non farle. Si tratta di cose percepibili e suscettibili di mutamento; sicché la parte proairetica dell’animo umano ha a che fare con l’ordine delle cose percepibili.

MM1.34[1197a,14-16] Sicché la prudenza sarebbe una disposizione proairetica e pratica su cose che è in nostro potere fare e non fare, cose che hanno per scopo quanto ci è utile.

MM1.34[1197b,23-25] Giacché proprio dell’uomo prudente e della prudenza è l’avere di mira l’ottimo e di farlo sempre oggetto della propria proairesi e della propria pratica.

MM1.34[1198a,2] Vi sono invero anche eccellenze sia per carattere che per proairesi.

MM1.34[1198a,5-6] La virtù naturale, quando le si aggiungano ragione e proairesi, diventa virtù perfetta.

MM1.34[1198a,8-13] Né, a loro volta, ragione e proairesi si perfezionano in virtù se manca l’impulso naturale. Perciò Socrate non parlava rettamente quando diceva che la virtù è ragione e che di nessun pro è fare azioni virili e giuste quando non si sa cosa si fa e non si proairesizza secondo ragione.

MM1.34[1198a,16-18] Se qualcuno facesse azioni giuste senza alcuna proairesi di esse né conoscenza di ciò che è moralmente bello, ma per impulso irrazionale (…); azioni simili non hanno titolo a lode alcuna.

MM-LIBRO II°

MM2.12[1212a,18-22] Giacché, in primo luogo, la concordia non è tale a pensieri ma nella pratica; e non in quella pratica per cui due persone la pensano concordemente, ma quella in cui, pensando la stessa cosa, hanno proairesi concordi sul risultato cui pensano.

11.2) Epitteto e la Proairesi

A differenza dell’uso aristotelico, l’uso che Epitteto fa del sostantivo ‘’Proàiresis’ e dei suoi collegati non lascia invece adito ad alcun dubbio. Egli definisce la ‘’Proàiresis’  in modo chiarissimo, restituendole così piena legittimità di termine filosofico. 
Senza alcuna pretesa ad una esaustività che qui sarebbe fuori luogo e forse noiosa, il quadro può brevemente essere riassunto in questo modo.
‘Proairesis’ è il nome che Epitteto dà alla facoltà razionale il cui possesso differenzia l’uomo da tutte le altre creature viventi. Egli precisa che essa è una facoltà: 

  1. autoteoretica
  2. inasservibile e insubordinabile 
  3. capace di usare le rappresentazioni e di comprenderne l’uso 
  4. parte egemone (egemonikòn) dell’animo umano, ossia parte alla quale tutte le altre facoltà umane sono subordinate ed alla quale fa capo la catena di comando che ci fa operare in un certo modo oppure in un altro.

La Proairesi umana è pienamente all’opera quando l’uomo usa: 

  1. desiderio e avversione 
  2. impulso e repulsione 
  3. assenso e dissenso 

ed è strutturalmente operante attraverso due ‘giudizi di giudizi’ o ‘supergiudizi’ che si possono chiamare ‘Diairesi’ e ‘Controdiairesi’. 
La ‘Diairesi’ è il supergiudizio capace, di fronte a giudizi ordinari riferentisi a qualunque situazione, di distinguere ciò che è in nostro esclusivo potere (le cose proairetiche) e ciò che non lo è (le cose aproairetiche).
La ‘Controdiairesi’ è il supergiudizio che, di fronte a giudizi ordinari riferentisi a qualunque situazione, decreta invece proairetico ciò che è aproairetico, dunque essere in nostro esclusivo potere ciò che non è in nostro esclusivo potere; oppure essere aproairetico ciò che invece è proairetico, dunque non essere in nostro esclusivo potere ciò che invece è in nostro esclusivo potere.
Ne consegue che la proairesi umana può atteggiarsi in due modi diversi: diaireticamente oppure controdiaireticamente. E siccome l’uomo è la sua proairesi ecco che, a differenza di Aristotele, per Epitteto comunque l’uomo agisca egli non può mai  agire in contrasto con la propria proairesi (parà proàiresin).

Giacché nulla può sostituire la lettura dei testi, quelli che seguono sono brani scelti tratti da vari libri delle Diatribe, nei quali Epitteto delinea magistralmente il suo concetto di Proairesi secondo le linee sopra esposte e ci invita a farne un cardine della nostra interpretazione del mondo e del nostro operare. 

“Dì i segreti”. Non li dico: giacché  questo è in mio esclusivo potere. “Ma ti incatenerò”. O uomo, che dici? Me? Incatenerai la mia gamba, ma la proairesi  neppure Zeus può  vincerla. “Ti butterò in prigione”. Butterai in prigione il mio corpicino. “Ti decapiterò”. E quando mai ti dissi che solo il mio collo non è mozzabile? Questo dovrebbero studiare coloro che fanno filosofia, questo scrivere ogni giorno, in questo allenarsi.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 1 , § 23-25


Soltanto, analizza a quanto vendi la tua proairesi. Se non altro, o uomo, non venderla a poco. Il grande e singolare conviene senz’altro ad altri, a Socrate ed agli uomini siffatti.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 2, § 33

Vengo quindi da questo interprete e sacrificatore e dico: “Esaminami le viscere, cosa mi significano”. Lui le prende, le sbroglia, poi spiega: “Uomo, tu hai una proairesi per natura non soggetta ad impedimenti  e non soggetta a costrizioni. Qui, nelle viscere, questo è stato scritto. Te lo mostrerò innanzitutto nell’ambito dell’assenso. Può forse qualcuno impedirti di annuire al vero? Neppur uno. Può forse qualcuno costringerti ad accettare il  falso? Neppur uno. Vedi che  in questo ambito il proairetico l’hai non soggetto ad impedimenti, non soggetto a costrizioni, disimpacciato?  Orsù, è diverso nell’ambito del desiderio e dell’impulso? Chi può vincere un impulso se non un altro impulso? Chi un desiderio ed un’avversione se non un altro desiderio ed un’altra avversione?” “Se,” qualcuno dice, “uno mi appresserà la paura della morte, mi costringe”. “Non è quanto viene appressato a costringerti, ma è che reputi meglio fare una di queste cose che morire. Di nuovo dunque il tuo giudizio ti costrinse; ossia proairesi costrinse proairesi. Se infatti la parte peculiare che Zeus ci diede spiccandosela, egli avesse strutturato soggetta ad impedimenti o costrizioni  sue o di qualcun altro, non sarebbe più materia immortale né sarebbe sollecita di noi nel modo dovuto. Questo trovo” dice, “nelle vittime sacrificali. Questo ti significano. Se lo disporrai sei libero. Se lo disporrai non biasimerai nessuno, non incolperai nessuno, tutto sarà secondo l’intelligenza insieme tua e quella di Zeus”. Per questo dono divinatorio vengo da questo sacrificatore e filosofo, non ammirando lui per la spiegazione ma quello che spiega.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 17, § 20-29

-“Ma il tiranno incatenerà”- Cosa? La gamba. -“Ma staccherà”- Cosa? Il collo. Cosa non incatenerà e non staccherà? La proairesi. Per questo gli antichi prescrivevano il “Riconosci te stesso”.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 18, § 17

Cos’è dunque educarsi a diairesizzare? Imparare ad adattare i naturali pre-concetti alle particolari sostanze in modo consono alla natura delle cose e, orbene, a discriminare che, delle cose, alcune sono in nostro esclusivo potere mentre altre non sono in nostro esclusivo potere. Sono in nostro esclusivo potere la proairesi e tutte le opere della proairesi; non sono in nostro esclusivo potere il corpo, le parti del corpo, patrimoni, genitori, fratelli, figlioli, patria, insomma i soci. Dove porremo dunque il bene? A quale sostanza lo adatteremo? A quella in nostro esclusivo potere? -E poi  non sono beni salute del corpo, integrità fisica, vita e neppure figlioli, genitori, patria?- E chi ti tollererà? Alloghiamolo dunque di nuovo qua. E’ fattibile che sia felice chi subisce danno e fallisce il bene? -Non è fattibile.- E che serbi verso i soci la condotta che si deve? E com’è fattibile? Giacché io sono nato per il mio utile. Se mi è utile avere un fondo, mi è utile anche sottrarre quello di chi mi è dintorno; se mi è utile avere una toga, mi è utile anche rubarla alle terme. Di qua guerre, conflitti civili, tirannie, insidie. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 22, § 9-14

Se questo è vero e noi non battiamo la fiacca né recitiamo quando diciamo che il bene ed il male dell’uomo stanno nella proairesi mentre tutto il resto è nulla per noi; perché siamo ancora sconcertati, perché abbiamo ancora paura? Su quanto ci industriamo nessuno ha potestà; di ciò su cui gli altri hanno potestà, di questo non ci impensieriamo. Che fastidi abbiamo ancora? 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 25, § 1-2

Sostanza del bene è un certo modo della proairesi;  del male, un certo modo della proairesi. Cosa sono dunque gli oggetti esterni? Materiali per la proairesi, sui quali rivolgendosi essa centrerà il proprio peculiare bene o male. Come centrerà il bene? Se non si infatuerà dei materiali. Giacché i giudizi sui materiali, se sono retti fanno la proairesi buona; se scorretti e pervertiti, cattiva. Questa legge la materia immortale ha posto e dice: “Se disponi qualche bene, prendilo da te stesso”. Tu dici “No,  da un altro”. No, ma da te stesso. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 29 , § 1-4

Questo dunque cerca di sapere da te: “A scuola cosa dicevi essere esilio, prigione, catene, morte, discredito?” “Io, indifferenti”. “Ed ora cosa le dici essere? Furono forse cambiate?” “No”. “Fosti cambiato tu?” “No”. “Dì dunque cos’è indifferente”. “L’aproairetico”. “Dì anche il seguito”. “L’aproairetico nulla è per me”. “Dì anche quali cose reputavate beni”. “La proairesi e l’uso delle rappresentazioni quale si deve”. “E quale il fine?” “Seguirti”. “Dici questo anche ora?” “Dico anche ora lo stesso”. Orbene, vattene dentro con fiducia, ricordatene, e vedrai cos’è un giovane che ha studiato ciò che si deve fra gente che non ha studiato.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 1, Capitolo 30 , § 2-5

Così pertanto, anche nella vita l’opera cardinale è quella: discrimina le faccende, scindile e dì: “L’al di fuori non è in mio esclusivo potere; la proairesi è in mio esclusivo potere. Dove cercherò il bene ed il male? Dentro, in quanto è mio”. In quanto è allotrio non nominare mai né bene né male, né giovamento né danno né nient’altro di siffatto.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 5, § 4-5

Analizza chi sei. Innanzitutto un essere umano, cioè una creatura che nulla ha di più dominante della proairesi ed il resto subordinato a questa, mentre essa è inasservibile ed insubordinabile. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 10, § 1

E dunque? Non danneggerò chi mi danneggia? Innanzitutto vedi cos’è danno e ricordati di quanto sentisti dire dai filosofi. Infatti se il bene è nella proairesi ed il male allo stesso modo nella proairesi, scruta se quel che dici non è qualcosa del genere: “E dunque? Siccome quello danneggiò se stesso commettendo un’ingiustizia contro di me, io non danneggerò me stesso commettendo un’ingiustizia contro di lui?” Perché dunque non ci rappresentiamo qualcosa di siffatto ed invece laddove vi sarà qualche menomazione corporale o patrimoniale, là danno; e laddove la menomazione riguarderà la proairesi, nessun danno? A chi è ingannato o commette ingiustizia non viene mal di testa o mal d’occhi o la sciatica né perde il fondo. E noi null’altro vogliamo che questo. Se poi  avremo la proairesi rispettosa di sé e degli altri e leale oppure sfacciata e sleale, su questo non siamo neppur vicini a litigare eccetto che a scuola soltanto e finché sono discorsetti. Perciò appunto facciamo profitto finché sono discorsetti ed al di fuori di essi neppure il menomo.  

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 10, § 24-30

Dov’è il bene? -Nella proairesi.- Dov’è il male? -Nella proairesi.- Dove l’udetero? -Nell’aproairetico.- E dunque? Qualcuno di noi si ricorda di questi discorsi fuori della scuola? Qualcuno studia per rispondere lui su di sé in questo modo alle faccende come alle domande: “E’ proprio giorno?” “Sì”; “E che? E’ notte?” “No”; “E che? Le stelle sono in numero pari?” “Non sono in grado di dirlo”. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 16, § 1-2

Giacché dove saranno l'”io” ed “il mio”, là è necessario che propenda la creatura. Se nella carne, che là sia il  dominante; se nella proairesi, che sia nella proairesi; se negli oggetti esterni, in questi. Se  quindi io sono là dov’è la proairesi, solamente così sarò amico e figlio e padre quale si deve. Giacché mi sarà utile serbare l’uomo leale, rispettoso di sé e degli altri, capace di tollerare l’intemperanza altrui, di astenersi dalla propria, capace di cooperare e custodire le relazioni umane. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 19, § 19-20

Tu indaga non quel che indagano gli altri, se hanno gli stessi genitori, se sono stati allevati assieme e dallo stesso pedagogo; ma solo quello: dove pongono il loro utile, se esternamente o nella proairesi. Se esternamente, non dirli amici; non più che leali o ben saldi o fiduciosi in se stessi o liberi; anzi neppure uomini, se vi poni mente. Giacché non è un giudizio da uomo quello che fa mordere l’un l’altro, ingiuriarsi, pigliare luoghi isolati o piazze come belve le montagne e dimostrare in tribunale modi da rapinatori. Né quello che rende non padroni di sé, adulteri, corruttori; né di quant’altre contumelie gli esseri umani si coprono vicendevolmente a causa di questo solo ed unico giudizio: il porre se stessi e quanto è loro nell’aproairetico. Se invece sentirai dire che questi, gli uomini, davvero credono il bene solo là dov’è proairesi, dov’è il retto uso delle rappresentazioni; non impicciarti più se sono figlio e padre o fratelli o sono andati a scuola insieme e sono compagni. Riconosciuto soltanto questo, dichiara con fiducia che sono amici, come anche che sono leali, che sono giusti. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 22, § 26-29

Qual è la facoltà che apre e chiude gli occhi e li distoglie da ciò da cui vanno distolti e ad altro li appressa? La visiva? No, ma la proairetica. Quale serra ed apre le orecchie? Grazie a quale si diventa indiscreti e ficcanaso o, di nuovo, immoti ad un discorso? Alla uditiva? Non ad altra che la facoltà  proairetica. E poi quand’essa vede di trovarsi con altre facoltà tutte cieche e sorde, incapaci di notare altro eccetto quelle opere per le quali sono state posizionate a farle da ministre e servitrici, mentre essa sola scorge con acutezza e vede dall’alto non solo le altre facoltà e quanto merita ciascuna, ma anche se stessa; ebbene, è la proairesi per dichiararci che qualcos’altro è più possente di lei? L’occhio aperto, che altro fa se non vedere? Ma se si deve guardare la moglie di qualcuno e come, chi lo dice? La facoltà proairetica. Se bisogna fidarsi delle parole dette o diffidare e, fidandosi, essere stuzzicati o no, chi lo dice? Non è la facoltà proairetica? E questa facoltà espressiva e di abbellire locuzioni -se proprio è una facoltà peculiare- che altro fa, qualora il discorso si imbatta su qualcosa, che imbellettare i nomignoli e comporli come i parrucchieri la chioma? Se sia meglio dire o tacere, parlare così o cosà, se questo sia confacente o non confacente, il tempo di ciascuna cosa ed il bisogno, chi altro lo dice se non la facoltà proairetica? Vuoi dunque che essa pervenga a votarsi contro?

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 23, § 9-15 

“E dunque,” dice, “se così sta la faccenda, può quanto fa da ministro essere migliore di ciò cui fa da ministro: il cavallo migliore del cavaliere, il cane del cacciatore, lo strumento del citarista, i servitori del re?” Cos’è che usa? La proairesi. Cos’è sollecito di tutto? La proairesi. Cosa  leva interamente di mezzo l’uomo, una volta per fame, un’altra per impiccagione, un’altra giù da un precipizio? La proairesi. E poi qualcosa è più potente di questo negli uomini? Com’è possibile che l’impedito lo sia di quanto non è soggetto ad impedimenti? Cos’è per natura capace di intralciare la facoltà visiva? La proairesi e l’aproairetico. Lo stesso vale per la facoltà uditiva, ed è allo stesso modo per la facoltà espressiva. Ma cos’è per natura capace di intralciare la proairesi? Nulla di aproairetico bensì essa, quando sia pervertita, se stessa. Per questo la proairesidiventa solo vizio o sola virtù.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 2, Capitolo 23, § 16-19

 
Perché non sei un pezzo di carne né peli ma proairesi: se avrai questa bella allora sarai bello. Finora non ho l’audacia di dirti che sei brutto, giacché reputo che tutto vuoi sentir dire fuorché questo. Ma vedi cosa dice Socrate al più magnifico e più giovanilmente fiorente di tutti, ad Alcibiade: “Prova dunque ad essere bello”. Che gli dice? “Plasmati la chioma e depilati le gambe?” Non sia mai! Ma: “Adorna la tua proairesi, estirpa i giudizi insipienti”. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 1, § 40-42

E scrutiamo i tuoi giudizi.Non è manifesto che tu poni nel nulla la tua  proairesi e che scruti fuori  all’aproairetico, a cosa dirà il tale e chi sembrerai essere, seun erudito, se uno che ha letto Crisippo od Antipatro? Se hai letto anche Archedemo, hai proprio tutto! 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 2, § 13

Per questo il bene pregiudica ogni legame di parentela. Nulla vi è tra me e mio padre, ma tra me ed il bene. “Sei così duro?” Sono così per natura. Questa moneta mi ha dato la materia immortale. Per questo, se il bene è altro dal bello e dal giusto, spariscono padre, fratello, patria e tutte le faccende. Che io disdegni il mio bene perché tu l’abbia, per dare spazio a te? In cambio di cosa? “Sono tuo padre!” Ma non il bene. “Sono tuo fratello”. Ma non il bene. Se però lo porremo in una retta proairesi, lo stesso serbare le relazioni diventa un bene e chi recede da certi oggetti esterni , costui centra il bene. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 3, § 5-8

A me accada di essere pigliato mentre di null’altro sono sollecito che della mia proairesi, con lo scopo di saper dominare la passione, di non essere soggetto ad impedimenti, non essere soggetto a costrizioni, di essere libero. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 5, § 7

Giacché si devono avere a portata di mano questi due principi generali: che al di fuori della proairesi nulla vi è né di bene né di male; e che non si devono precedere le faccende ma aderirvi. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 10, § 18

Forse uno può darti la notizia che concepisti male o desiderasti male? -Nient’affatto!- Ma che uno morì. Cos’è dunque per te? Che uno parla male di te. Cos’è dunque per te? Che il padre ha pronto questo e quest’altro. Contro chi? Forse contro la proairesi? E donde può? Bensì contro il  corpo, contro le coserelle. Sei salvo; non è contro di te. Ma l’arbitro dichiara che hai commesso una empietà. E nel caso di Socrate i giudici non lo dichiararono? E’ forse opera tua che egli lo dichiari? -No.- Perché dunque t’importa ancora? 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 18, § 2-4

Prima differenza tra una persona comune ed un filosofo. L’uno dice: “Ahimè! Colpa del pupattolo, colpa del fratello; ahimè! colpa di mio padre”. L’altro, se mai sarà costretto a dire “Ahimè!” riflette e dice: “colpa mia”. Giacché nulla di aproairetico può impedire o danneggiare la proairesi se non essa se stessa.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 19, § 1-2 Dove invece sono proairesi ed uso delle rappresentazioni, là vedrai quanti occhi ha; tanto da farti dire che Argo, al suo confronto, era cieco. Dove trovi in lui un assenso precipitoso, dove un impulso avventato, dove un desiderio fallito, dove un’avversione che incappa in quanto avversa, dove un progetto imperfetto, dove lagnanza, dove servilismo o invidia?  E’ qua la sua grande attenzione e sforzo; per il resto russa

supino: pace completa. Un rapinatore di proairesi non c’è, non c’è tiranno di proairesi. E del corpo? Sì. E di coserelle? Sì, ed anche di cariche ed onorificenze. Che gli importa di questo? Qualora dunque uno voglia incutergli paura per mezzo loro, il Cinico gli dice: “Va’, cerca dei bimbi; è a loro che le maschere fanno paura; io invece so che sono di terracotta,  dal di dentro non c’è nulla”.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 22, § 103-106

L’opera di un altro contro la natura delle cose non diventi un male per te. Giacché tu non sei nato per farti serva la proairesi né per avere sfortuna in compagnia ma per avervi fortuna. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 24, § 1 Se disporrai di avere questo, lo avrai ovunque e vivrai fiducioso. In cosa? Nella

sola cosa in cui è fattibile avere fiducia, in quanto è leale, non soggetto ad impedimenti, intoglibile, cioè nella tua proairesi

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 3, Capitolo 26, § 24


Insomma ricordati che qualunque cosa onorerai al di fuori della tua propria proairesi, mandi in malora la proairesi. E fuori non c’è soltanto una carica ma anche l’assenza di una carica, non soltanto l’impegno ma anche l’agio.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 4, Capitolo 4, § 23

-A che cosa devo dunque fare attenzione?- Innanzitutto a quei principi universali; quelli tenere a portata di mano; non dormire e non alzarsi, non bere e non mangiare, non conferire con persone sprovvisto di quelli: che nessuno è signore di una proairesi altrui e che soltanto in questa stanno il bene ed il male. Dunque nessuno è signore né di procacciarmi il bene né di precingermi del male, ma io solo ho potestà su di me a questo riguardo. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 4, Capitolo 12, § 7-8

Se dunque vedrai qualcuno che si industria per l’aproairetico e che ad esso ha subordinato la propria proairesi, sappi che questo individuo ha miriadi di persone che lo costringono, che lo impediscono. Non c’è bisogno per lui di pece o di ruota di tortura per riferire quel che sa, ma lo scrollerà, caso mai, il cennuccio di una ragazzina, il segno d’amicizia di un funzionario di Cesare, la smania per una carica, per una eredità ed altre trentamila cose simili a queste. 

Epitteto: “L’albero della diairesi” Libro 4, Capitolo 13, § 21-22

La malattia è un intralcio del corpo, non della proairesi, se la proairesi non lo disporrà. Una azzoppatura è un intralcio di gamba, non di proairesi. E questo soggiungi per ciascun accadimento, giacché troverai che esso intralcia qualcos’altro ma non te.

Epitteto: “L’albero della diairesi” Il Manuale, 9

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Scritti originali

DIALOGO I

La Proairesi

Οὐ μὲν οὖν τῇ ἀληθείᾳ, φάναι, ὦ φιλούμενε Ἀγάθων, δύνασαι ἀντιλέγειν, ἐπεὶ Σωκράτει γε οὐδὲν χαλεπόν.

“Mio amato Agatone -replicò allora Socrate- è alla verità che tu non puoi opporre argomenti, giacché a quelli di Socrate non è affatto difficile opporne” 

Platone ‘Simposio’ 201D

La proairesi è un concetto chiave nella filosofia di Epitteto. Il dialogo dimostra che la Proairesi è la ragione umana in quanto facoltà capace di assumere un atteggiamento secondo ‘Diairesi’ oppure in contrasto con la ‘Diairesi’.

Qualche settimana fa Muriel è tornata dalle sue vacanze in Grecia. Mi raccontava di essere stata in un’isola delle Cicladi e di avervi incontrato due suoi carissimi amici, Raniero e Irene. Raniero e Irene hanno l’abitudine di incontrarsi in un piccolo anfiteatro che Raniero ha costruito nel terreno che circonda la loro casa. Di lì la visione del mare e delle isole limitrofe è straordinaria, ed esso è diventato per loro il posto ideale per qualunque confronto di idee. Invitata da Raniero a passare un pomeriggio con loro, Muriel si era dunque recata nel piccolo anfiteatro. La conversazione aveva toccato vari argomenti ed era poi caduta sull’arte del vivere. Incuriosito dagli accenni che Muriel ne faceva, l’ho pregata di raccontarmi il più esattamente possibile come si fosse svolta quella conversazione. Muriel ha accettato volentieri il mio invito e, con uno sforzo di memoria, ha riferito che Raniero, come se si trattasse della sceneggiatura di un film, ha cominciato a descrivere tre scene sulle quali voleva portare l’attenzione di Irene.

La prima scena, diceva Raniero, è quella che si potrebbe chiamare ‘La scena del vento’ ed è ambientata in un’isola dell’Egeo come questa nella quale ci troviamo. Un uomo, rivolto verso il mare, osserva con apprensione il vento che soffia forte e, dovendo partire con una piccola nave, si domanda: “Che vento soffia?” Una voce fuori campo risponde: “Borea”. La notizia non rende l’uomo tranquillo ed egli ribatte: “Quando soffierà lo Zefiro? Quando soffierà?”, Quindi è preoccupato, si agita, pensa in ambasce al suo viaggio, desiderando per esso le condizioni di vento migliori. Incapace di star fermo, si dirige verso una spiaggia e qui incontra un uomo dall’aspetto assai intrigante, di età indefinita, piacevole alla vista, che gli dice: “Perché ti affanni per qualcosa su cui non hai alcun potere di decisione? Come spira il vento non lo puoi scegliere tu ma soltanto Eolo, il padrone dei venti. Questa è la natura del vento. Se ti ribellerai a ciò otterrai soltanto irritazione, ansia e perfino disperazione, ma non otterrai di cambiare il vento. Puoi decidere di partire oppure no, ma non puoi decidere altro. Dunque ricorda che bisogna strutturare ottimamente quanto è in nostro esclusivo potere, e usare il resto secondo che è per natura delle cose”.

Irene, a questo punto, ha chiesto a Raniero se il suo racconto facesse riferimento a qualche testo. Raniero ha fatto cenno di sì toccandosi il capo con l’indice della mano destra ed ha affermato che il testo al quale faceva riferimento erano le “Diatribe” di Epitteto. Mentre il suo lavoro lo portava a vivere nei posti più svariati del mondo, Raniero aveva curato per anni la traduzione dal greco antico delle opere di questo filosofo. Ha anche aggiunto che era suo intento quello di accompagnare Irene nella lettura di quest’opera così importante, anzi fondamentale, per la sua vita. Ma appunto accompagnarla, non semplicemente fornirle un lavoro già fatto.

La seconda scena che Raniero ha proposto aveva anch’essa un riferimento ad Epitteto e Irene, se avesse voluto, avrebbe potuto trovarne lo spunto nel I° Capitolo del I° Libro delle ‘Diatribe’. Questa seconda scena si potrebbe chiamare ‘La scena dei condannati a morte’. Siamo nel cortile di una grande caserma, durante una delle guerre mondiali che l’umanità ha vissuto nel secolo scorso. Che si tratti della prima o della seconda, la sostanza non cambia. Il plotone di esecuzione è pronto. I pali, ai quali verranno legati i condannati, sono già sistemati e i condannati attraversano il cortile tra due ali di soldati schierati. È una specie di corteo. C’è il prete che legge le sue litanie. È suo dovere farlo e sembra che lo faccia più per abitudine che per altro, giacché non si nota sul suo volto alcuna partecipazione emotiva. Il primo condannato, con voce disperata, geme ripetutamente: “Ma perché devo morire? Non voglio morire! Non voglio morire! Non rivedrò più mia madre! Non rivedrò più nessuno! Non voglio morire!” Accanto a lui, il secondo condannato tace. Come ad esprimere i suoi pensieri, fuori campo si sente una voce piena di calma che dice: “Bisogna che io muoia. Questo è inevitabile ed io non ho più scelta. Forse bisogna pure che io gema? È forse inevitabile che io mi lamenti? Forse qualcuno impedisce che io rida, che sia di buon umore, che sia sereno? Nessuno! Dunque conviene che io scelga questo atteggiamento”.

Irene era molto colpita dal racconto ed era rimasta senza parole, quando Raniero le propose una terza scena sulla quale avrebbero poi ragionato.

La terza scena potrebbe essere chiamata ‘La scena della tortura’ ed ha il suo spunto nel paragrafo 23 del I° Capitolo del I° Libro delle ‘Diatribe’ di Epitteto. Un uomo viene duramente interrogato allo scopo di strappargli dei segreti che si suppone egli conosca. Siamo in una camera di tortura, ma non ha molta importanza sapere dove, né chi sono i torturatori. Il dialogo si svolge tra il prigioniero e il suo torturatore. Già alla prima domanda che gli viene posta l’uomo risponde: “Non ho nulla da dire”. Ed è così che ha inizio la tortura. “Non hai nulla da dire? Allora ti metterò in catene!”. Ma l’uomo non sussulta e ribatte: “Che dici? Incatenare me? Tu incatenerai la mia gamba, non me”. “Ti butterò in prigione e allora vedremo se continui a non aver nulla da dire!” E il prigioniero obietta: “In prigione? Butterai in prigione il mio corpo, non certo me”. Il torturatore, che ha la sensazione di essere preso in giro ed è sempre più inferocito, urla: “Ti taglio la testa!” Al che l’uomo risponde: “Ti ho forse mai detto che il mio collo non sia mozzabile? Tu puoi decapitarmi, ma guarda che la mia proairesi né tu né Zeus potete togliermela. Io non svelerò alcun segreto giacché questa decisione è in mio esclusivo potere”.

A questo punto Irene sgranò gli occhi e chiese: “Proairesi, ma che cosa significa?” Raniero la guardò con tenerezza e sorridendo le disse: “Dobbiamo davvero prendere in mano il I° Libro delle Diatribe di Epitteto e leggere una citazione. Poi cercherò di fare degli esempi in modo che possa essere chiaro questo concetto che non è di immediata comprensione. Non parliamo poi della sua applicazione alla vita di tutti i giorni perché, alla fin fine, di questo si tratta. Noi usiamo continuamente la proairesi ed essa opera anche nelle situazioni più banali, non soltanto in situazioni drammatiche come quelle che ti ho illustrato nelle tre scene.

La citazione era questa: “Delle altre arti e facoltà, nessuna troverete conoscitiva dei principi generali di se stessa e quindi neppure atta a valutarsi positivamente o negativamente. La grammatica fino a che punto possiede conoscitività di principi generali? Fino a vagliare le lettere. La musica? Fino a vagliare la melodia. Conosce dunque una di esse i principi generali di se stessa? Nient’affatto. Ma quando, se scriverai qualcosa per il compagno, c’è bisogno dei segni che vanno scritti, questi li dirà la grammatica; se però si deve scrivere o no per il compagno, la grammatica non lo dirà. Anche sulle melodie, allo stesso modo la musica: essa non dirà se ora si deve cantare e suonare la cetra oppure né cantare né suonare la cetra” (Epitteto: Diatribe, Libro I°, Cap. I°, paragrafi 1-3)
-Vuoi dire, chiese allora Irene, che la proairesi è la capacità di decidere?
-Non è esattamente così ma quasi, le rispose Raniero sfogliando il suo libro. Vedrai che tutto diverrà più chiaro quando accenneremo alle rappresentazioni. Per ora pensa che la proairesi è una facoltà logica, capace di valutare se stessa e avente la comprensione del proprio uso, cosa che nessun’altra arte o facoltà può fare. La grammatica e la musica possono valutare scritture e melodie ma non dirci quando è il momento di scrivere né quando è il momento di cantare e suonare. Se non è la musica, cos’è che sceglie quando cantare e suonare?
-Non lo so, azzardò Irene. Forse io?
-Chiameremo questa cosa capace di scegliere: ‘proairesi’
-Non capisco ancora, confessò Irene. Ma vorrei subito sapere se parli di qualcosa che hanno tutti gli uomini oppure solo alcuni
-Sì, rispose Raniero. Tutti gli esseri umani hanno la proairesi, ma pochi se ne rendono conto e ancora meno la sanno usare
-Perché accade questo?
-Guarda, continuò Raniero. La tua mente è piena di immagini o, per dire meglio, delle rappresentazioni più svariate. Tu conosci la musica. Sai parlare correttamente l’italiano e il tedesco e quindi ne conosci le grammatiche. Ma c’è qualcosa che collega le tue conoscenze e le usa al momento opportuno. Ecco questa è la proairesi, che per ora definiremo in modo sufficientemente esatto come la facoltà atta ad usare le rappresentazioni
-Ma allora, obiettò Irene, se tutti siamo dotati di proairesi e siamo tutti capaci di usare le rappresentazioni, come mai siamo così diversi, facciamo cose svariate e tra loro spesso opposte?
-C’è uso ed uso della proairesi, precisò Raniero. C’è un uso corretto ed un uso scorretto
-E come faccio a sapere qual è l’uso corretto?
-Quando tu nasci e fino ad un certo tempo della tua adolescenza tu non sai di avere questa facoltà. La proairesi è una facoltà che tu naturalmente acquisisci man mano che acquisisci la capacità di renderti conto che esistono cose che dipendono esclusivamente da te e cose che non dipendono esclusivamente da te. Le cose che dipendono esclusivamente da te sono queste:

  1.    la capacità di ‘impellere’ cioè di spingerti per istinto verso qualcosa o qualcuno e la capacità di ‘repellere’ ossia di allontanarti per istinto da qualcosa o qualcuno
  2.    la capacità di ‘desiderare’ cioè di spingerti razionalmente verso qualcosa o qualcuno e la capacità di ‘avversare’ ossia di allontanarti razionalmente da qualcosa o qualcuno
  3.    la capacità di ‘assentire’ cioè di dire di sì a qualcosa o qualcuno e la capacità di ‘dissentire’ ossia di dire di no a qualcosa o qualcuno

Ti bastano queste cose che hanno la caratteristica di essere esclusivamente tue, in tuo esclusivo potere?
-No, protestò Irene, no! Non mi bastano! Non mi interessa, non mi consola e non mi aiuta avere queste capacità se non posso avere ciò di cui ho bisogno al momento. Dico: una casa confortevole, un lavoro decoroso, una quantità sufficiente di denaro, la soddisfazione che deriva da ciò che faccio, l’amore! Capisci che cosa voglio dire? Quello che mi interessa sapere è come faccio a raggiungere queste cose che possono rendermi felice
-Dunque, replicò con gravità Raniero, tu valuti le cose che hai detto molto di più della tua proairesi, cioè della tua stessa facoltà di valutarle
-Sì, perché tu mi parli di un’astrazione, ossia della facoltà di valutarle, mentre io ti parlo di cose concrete. E bada bene che io non ti parlo solo di me, giacché tutti facciamo così
-Tu consideri un’astrazione la facoltà che ti fa dire quello che stai dicendo adesso? La proairesi è un’astrazione? Interessante! Quanto al resto: sì, lo so. Siete davvero in tanti. E credete, per questo, di avere ragione? Tu puoi credermi o non credermi ma esiste una natura delle cose che non cambia, che è valida per tutti: me, te e gli altri compresi. Con questa soltanto si fanno i conti e se tu non la conosci io non te la rivelerò, perché ci devi arrivare tu stessa piano piano
-Forse mi servirebbero degli esempi, riprese Irene. Non capisco perché ora sei così severo e perché dovrei già sapere qualcosa alla quale mi sto avvicinando proprio ora. Non dovrebbe stupirti che io non sappia, ma se non hai più voglia di parlare con me possiamo interrompere qui… Mi è venuta una curiosità, però. Dimmi: chi decide qual è la natura delle cose quando ci sono opinioni diverse? Per esempio, se io e te avessimo una percezione diversa di una certa realtà, come si decide qual è la natura delle cose? E poi, se io non me ne rendo conto e tu non vuoi rivelarmi come essere consapevole della natura delle cose, come farò?
-Vieni con me, la invitò Raniero, e riguardiamo le tre scene. Nella prima scena, quell’individuo di cosa si lamenta? Si lamenta forse del vento? La sua proairesi ha scelto di partire ma la partenza è contrastata dal vento di Borea. Chiediti cosa accadrebbe se la proairesi di quell’individuo scegliesse di non partire più. Avrebbe ancora lo stesso giudizio sul forte vento? Causa del suo comportamento è dunque il vento, come egli afferma, o non piuttosto il progetto di partire in quelle circostanze? Non ti pare che egli si autocondanni così all’ansia e poi, forse, alla disperazione; e che nessuna delle due risolverà il suo problema?
-Chi è la persona che gli viene incontro sulla spiaggia?-
-Quella persona potrebbe benissimo essere la personificazione della sua proairesi che opera in modo retto e gli suggerisce il giusto comportamento da tenere
-E’ normale che si provi ansia e forse anche disperazione quando le cose che si sono programmate non si realizzano. In questo non c’è nulla di male: capita a tutti!
-Anche se ne dubito molto, io posso immaginare che -di per sé- non siano un male né l’ansia né la disperazione; ma aggiungo che è sicuramente un bene il saper dominare l’ansia e la disperazione
-Certo, ammise Irene, ma a forza di dominarmi diventerò una persona insensibile, una che non prova più nulla!
-Dunque tu tendi a identificare la preziosa capacità di essere felice con la impossibilità di essere felice. Tu, così facendo, pensi di poter essere viva e sensibile soltanto a patto di essere disperata o in perenne ansia! La vita dell’uomo è come un viaggio che può finire in tre città diverse. Quelli che finiscono nella prima città pensano che tutti gli oggetti esterni, ad esempio il lavoro e il denaro in quanto tali, siano di per sé i beni o i mali dell’uomo. Quelli che finiscono nella seconda città pensano che tutto quanto riguarda il corpo, ad esempio l’integrità fisica e la salute in quanto tali, siano di per sé i beni o i mali dell’uomo. Converrai con me che possiamo chiamare tutte queste cose ‘aproairetiche’, giacché si tratta di cose che non sono in nostro esclusivo potere. Chi finisce il suo viaggio nella terza città pensa invece che i retti giudizi sugli oggetti esterni e sul nostro corpo siano i beni dell’animo e quindi le fonti del suo piacere, così come i corrispondenti giudizi non-retti siano i mali dell’animo e le fonti del suo dispiacere. Converrai con me che in questa terza città beni e mali dell’animo sono dunque ‘proairetici’
-Ma tu, Raniero, in quale città hai vissuto?
-Io ho vissuto tutta la mia vita un po’ nella prima e un po’ nella seconda città. Poi una sera, tornato a casa ed entrato nella mia stanza, sono stato colto da un feroce mal di testa. E adesso eccomi qua. Ma dimmi, Irene, che cosa vedi nella seconda scena?
-Una tragedia, rispose Irene, che è la condanna a morte
-Guarda meglio, le suggerì Raniero, e vedrai che oltre la condanna a morte, che è un fatto, le due persone vivono quella situazione in modi opposti. Il primo si autocondanna all’infelicità. Il secondo, invece, fa una scelta diversa liberandosi dell’infelicità. Le circostanze nelle quali si trovano i due condannati a morte sono esattamente identiche. Cos’è che fa la differenza tra di loro?
-A fare la differenza tra di loro è il fatto che, di fronte alle medesime circostanze, il primo usa la sua proairesi in un certo modo mentre il secondo usa la sua proairesi in un modo del tutto differente
-Hai detto benissimo, sorrise Raniero. Il primo rende a chi lo uccide non solo ciò che è di chi lo uccide, ossia il suo corpo; ma gli riconosce anche il potere di renderlo felice o infelice. Felice, se per un caso qualunque l’esecuzione non dovesse più essere eseguita. Infelice, perché egli è disperato, si lamenta e non vuole morire! Il secondo, come il primo, rende a chi lo uccide ciò che è di chi lo uccide, ossia il suo corpo, ma resta padrone della sua proairesi. Tiene cioè per sé, con meravigliosa dignità, ciò che chi lo uccide non potrebbe mai togliergli senza il suo consenso, ossia l’atteggiamento alto, nobile, libero, da tenere in questa situazione!
-Scusa, disse Irene, ma perché dici che il mio corpo è di chi lo uccide? Chi uccide il mio corpo uccide anche la mia proairesi. E lo dico per affermare che corpo e proairesi sono tra loro strettamente uniti, anche se non sono la stessa cosa
-Tieni presente, le rispose Raniero, quanto poco è di per sé libero il corpo. Non puoi infatti negare che il corpo sia schiavo della febbre, del cancro, della dissenteria, di un tiranno, del fuoco, del ferro e insomma di qualunque cosa è più forte di lui. Per il resto è vero che per uccidere la proairesi non si deve necessariamente uccidere il corpo, perché la proairesi può uccidere se stessa quando rinuncia alla sua libertà e si rende infelice
-Intendi dire che liberarsi dall’infelicità significa accettare ciò che ti capita?
-Quando giochi a carte non puoi rifiutarti di accettare le carte che ti capitano. L’abilità sta nel saper fare il miglior uso possibile delle carte che ti sono capitate. Retto è dunque quell’uso della proairesi che ti permette di essere felice nelle circostanze di vita che non sei stato tu a scegliere. Ma su questo avremo modo di tornare. Dimmi, invece: che cosa vedi nella terza scena?
-Vedo, rispose Irene, un uomo coraggioso e coerente con le proprie idee. Certo, avrebbe anche potuto fare un compromesso e salvarsi la vita, che è la cosa più importante…
-Quali sono secondo te, domandò Raniero, i segreti che il torturatore vuole conoscere?-
-Mah…penso che voglia avere informazioni su certi agitatori politici; oppure il nome dei capi di qualche organizzazione clandestina
-Può darsi che sia così. Però, se ci pensi bene, quello che il torturatore vuole conoscere non è tanto il nome dei cospiratori quanto il segreto che permette a quest’uomo di comportarsi in quel modo e di rimanere sereno. La proairesi del torturatore si mette così in una posizione di grave debolezza in quanto fa dipendere la propria, diciamo così, felicità o infelicità dalle risposte del torturato. Felicità, se il torturato rivela quello che sa. Infelicità nel caso contrario. Come un toro cieco, il torturatore è costretto a sevizie sempre più brutali ed a minacce sempre più gravi. Infatti è esattamente il dominio della propria proairesi il segreto del torturato. Ed è un comportamento alla luce del sole; di quel sole che il torturatore si ostina a negare di vedere. Se invece la proairesi dell’uomo si arrendesse ai tormenti corporali essa si condannerebbe, avendo perso il dominio di sé, alla sua stessa morte pur restando l’uomo fisicamente in vita
Era il tramonto. Il sole si tuffava nell’Egeo e la luce indorava ogni cosa. Tutti guardavamo a occidente.
-Scusate, disse Raniero dopo un lungo silenzio, non è venuta fame anche a voi?-
-Proprio così, replicò Irene. Ora sospendiamo la nostra conversazione e andiamo tutti e tre a cenare da Irini.