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Scritti originali

La filosofia stoica di Epitteto in cinque dialoghi di Franco Scalenghe

Introduzione

Desidero ricordare che nella redazione di questi Dialoghi ho avuto la leale collaborazione della mia amica P. Giampiccoli, alla quale sono debitore di molti validi suggerimenti, testimoniati anche da questa lettera:

Cara Pisolina,
quando sei ripartita di qui, pareva che tu non fossi rimasta incinta. Invece mi rendo conto che non era così. Infatti, dopo non molto tempo è arrivato il primo figliolino (il Dialogo 3); e adesso ce l’hai fatta anche a partorire il Dialogo 4.
Ti rimando il Dialogo 3 semplicemente perché il figliolino aveva una parte finale che mi sembrava mancante, e che quindi io gli ho aggiunto. Spero che non ti sembri una coda, che a un neonato non starebbe bene. 
Per quanto riguarda il dialogo 4, mi sono reso ben presto conto che si è trattato di un tuo parto gemellare. Infatti la prima pagina e mezza rappresenta un figliolino e il resto il suo gemello. 
Essendo io adesso solo soletto, in questi due giorni ho lavorato, come vedi intensamente, di chirurgia plastica e di dietologia, e così posso rispedirti il secondo figliolino, che porta il nome di ‘La Natura delle Cose’. Non so ancora il nome che avrà il gemello, ma ci lavorerò già da domani e nei prossimi giorni. Quello che ti mando rappresenta ovviamente la mia proposta di revisione e tu dovrai poi fare, se lo ritieni opportuno, la tua controproposta.
Lavorare non mi stanca affatto, anzi mi piace moltissimo.
Mi auguro che tu ti sia rimessa da febbre e raffreddore. Qui le giornate non sono granché, anche se siamo ancora in piena estate.
Ti abbraccio

Questi cinque dialoghi espongono la filosofia di Epitteto in forma discorsiva e drammatica, secondo il modello dell’insegnamento socratico.
Tre personaggi si trovano riuniti su una piccola isola dell’Egeo e discutono sui seguenti argomenti.

Dialogo 1

La Proairesi

Οὐ μὲν οὖν τῇ ἀληθείᾳ, φάναι, ὦ φιλούμενε Ἀγάθων, δύνασαι ἀντιλέγειν, ἐπεὶ Σωκράτει γε οὐδὲν χαλεπόν.

“Mio amato Agatone -replicò allora Socrate- è alla verità che tu non puoi opporre argomenti, giacché a quelli di Socrate non è affatto difficile opporne” 

Platone ‘Simposio’ 201D

La proairesi è un concetto chiave nella filosofia di Epitteto. Il dialogo dimostra che la Proairesi è la ragione umana in quanto facoltà capace di assumere un atteggiamento secondo ‘Diairesi’ oppure in contrasto con la ‘Diairesi’.

Qualche settimana fa Muriel è tornata dalle sue vacanze in Grecia. Mi raccontava di essere stata in un’isola delle Cicladi e di avervi incontrato due suoi carissimi amici, Raniero e Irene. Raniero e Irene hanno l’abitudine di incontrarsi in un piccolo anfiteatro che Raniero ha costruito nel terreno che circonda la loro casa. Di lì la visione del mare e delle isole limitrofe è straordinaria, ed esso è diventato per loro il posto ideale per qualunque confronto di idee. Invitata da Raniero a passare un pomeriggio con loro, Muriel si era dunque recata nel piccolo anfiteatro. La conversazione aveva toccato vari argomenti ed era poi caduta sull’arte del vivere. Incuriosito dagli accenni che Muriel ne faceva, l’ho pregata di raccontarmi il più esattamente possibile come si fosse svolta quella conversazione. Muriel ha accettato volentieri il mio invito e, con uno sforzo di memoria, ha riferito che Raniero, come se si trattasse della sceneggiatura di un film, ha cominciato a descrivere tre scene sulle quali voleva portare l’attenzione di Irene.

La prima scena, diceva Raniero, è quella che si potrebbe chiamare ‘La scena del vento’ ed è ambientata in un’isola dell’Egeo come questa nella quale ci troviamo. Un uomo, rivolto verso il mare, osserva con apprensione il vento che soffia forte e, dovendo partire con una piccola nave, si domanda: “Che vento soffia?” Una voce fuori campo risponde: “Borea”. La notizia non rende l’uomo tranquillo ed egli ribatte: “Quando soffierà lo Zefiro? Quando soffierà?”, Quindi è preoccupato, si agita, pensa in ambasce al suo viaggio, desiderando per esso le condizioni di vento migliori. Incapace di star fermo, si dirige verso una spiaggia e qui incontra un uomo dall’aspetto assai intrigante, di età indefinita, piacevole alla vista, che gli dice: “Perché ti affanni per qualcosa su cui non hai alcun potere di decisione? Come spira il vento non lo puoi scegliere tu ma soltanto Eolo, il padrone dei venti. Questa è la natura del vento. Se ti ribellerai a ciò otterrai soltanto irritazione, ansia e perfino disperazione, ma non otterrai di cambiare il vento. Puoi decidere di partire oppure no, ma non puoi decidere altro. Dunque ricorda che bisogna strutturare ottimamente quanto è in nostro esclusivo potere, e usare il resto secondo che è per natura delle cose”.

Irene, a questo punto, ha chiesto a Raniero se il suo racconto facesse riferimento a qualche testo. Raniero ha fatto cenno di sì toccandosi il capo con l’indice della mano destra ed ha affermato che il testo al quale faceva riferimento erano le “Diatribe” di Epitteto. Mentre il suo lavoro lo portava a vivere nei posti più svariati del mondo, Raniero aveva curato per anni la traduzione dal greco antico delle opere di questo filosofo. Ha anche aggiunto che era suo intento quello di accompagnare Irene nella lettura di quest’opera così importante, anzi fondamentale, per la sua vita. Ma appunto accompagnarla, non semplicemente fornirle un lavoro già fatto.

La seconda scena che Raniero ha proposto aveva anch’essa un riferimento ad Epitteto e Irene, se avesse voluto, avrebbe potuto trovarne lo spunto nel I° Capitolo del I° Libro delle ‘Diatribe’. Questa seconda scena si potrebbe chiamare ‘La scena dei condannati a morte’. Siamo nel cortile di una grande caserma, durante una delle guerre mondiali che l’umanità ha vissuto nel secolo scorso. Che si tratti della prima o della seconda, la sostanza non cambia. Il plotone di esecuzione è pronto. I pali, ai quali verranno legati i condannati, sono già sistemati e i condannati attraversano il cortile tra due ali di soldati schierati. È una specie di corteo. C’è il prete che legge le sue litanie. È suo dovere farlo e sembra che lo faccia più per abitudine che per altro, giacché non si nota sul suo volto alcuna partecipazione emotiva. Il primo condannato, con voce disperata, geme ripetutamente: “Ma perché devo morire? Non voglio morire! Non voglio morire! Non rivedrò più mia madre! Non rivedrò più nessuno! Non voglio morire!” Accanto a lui, il secondo condannato tace. Come ad esprimere i suoi pensieri, fuori campo si sente una voce piena di calma che dice: “Bisogna che io muoia. Questo è inevitabile ed io non ho più scelta. Forse bisogna pure che io gema? È forse inevitabile che io mi lamenti? Forse qualcuno impedisce che io rida, che sia di buon umore, che sia sereno? Nessuno! Dunque conviene che io scelga questo atteggiamento”.

Irene era molto colpita dal racconto ed era rimasta senza parole, quando Raniero le propose una terza scena sulla quale avrebbero poi ragionato.

La terza scena potrebbe essere chiamata ‘La scena della tortura’ ed ha il suo spunto nel paragrafo 23 del I° Capitolo del I° Libro delle ‘Diatribe’ di Epitteto. Un uomo viene duramente interrogato allo scopo di strappargli dei segreti che si suppone egli conosca. Siamo in una camera di tortura, ma non ha molta importanza sapere dove, né chi sono i torturatori. Il dialogo si svolge tra il prigioniero e il suo torturatore. Già alla prima domanda che gli viene posta l’uomo risponde: “Non ho nulla da dire”. Ed è così che ha inizio la tortura. “Non hai nulla da dire? Allora ti metterò in catene!”. Ma l’uomo non sussulta e ribatte: “Che dici? Incatenare me? Tu incatenerai la mia gamba, non me”. “Ti butterò in prigione e allora vedremo se continui a non aver nulla da dire!” E il prigioniero obietta: “In prigione? Butterai in prigione il mio corpo, non certo me”. Il torturatore, che ha la sensazione di essere preso in giro ed è sempre più inferocito, urla: “Ti taglio la testa!” Al che l’uomo risponde: “Ti ho forse mai detto che il mio collo non sia mozzabile? Tu puoi decapitarmi, ma guarda che la mia proairesi né tu né Zeus potete togliermela. Io non svelerò alcun segreto giacché questa decisione è in mio esclusivo potere”.

A questo punto Irene sgranò gli occhi e chiese: “Proairesi, ma che cosa significa?” Raniero la guardò con tenerezza e sorridendo le disse: “Dobbiamo davvero prendere in mano il I° Libro delle Diatribe di Epitteto e leggere una citazione. Poi cercherò di fare degli esempi in modo che possa essere chiaro questo concetto che non è di immediata comprensione. Non parliamo poi della sua applicazione alla vita di tutti i giorni perché, alla fin fine, di questo si tratta. Noi usiamo continuamente la proairesi ed essa opera anche nelle situazioni più banali, non soltanto in situazioni drammatiche come quelle che ti ho illustrato nelle tre scene.

La citazione era questa: “Delle altre arti e facoltà, nessuna troverete conoscitiva dei principi generali di se stessa e quindi neppure atta a valutarsi positivamente o negativamente. La grammatica fino a che punto possiede conoscitività di principi generali? Fino a vagliare le lettere. La musica? Fino a vagliare la melodia. Conosce dunque una di esse i principi generali di se stessa? Nient’affatto. Ma quando, se scriverai qualcosa per il compagno, c’è bisogno dei segni che vanno scritti, questi li dirà la grammatica; se però si deve scrivere o no per il compagno, la grammatica non lo dirà. Anche sulle melodie, allo stesso modo la musica: essa non dirà se ora si deve cantare e suonare la cetra oppure né cantare né suonare la cetra” (Epitteto: Diatribe, Libro I°, Cap. I°, paragrafi 1-3)
-Vuoi dire, chiese allora Irene, che la proairesi è la capacità di decidere?
-Non è esattamente così ma quasi, le rispose Raniero sfogliando il suo libro. Vedrai che tutto diverrà più chiaro quando accenneremo alle rappresentazioni. Per ora pensa che la proairesi è una facoltà logica, capace di valutare se stessa e avente la comprensione del proprio uso, cosa che nessun’altra arte o facoltà può fare. La grammatica e la musica possono valutare scritture e melodie ma non dirci quando è il momento di scrivere né quando è il momento di cantare e suonare. Se non è la musica, cos’è che sceglie quando cantare e suonare?
-Non lo so, azzardò Irene. Forse io?
-Chiameremo questa cosa capace di scegliere: ‘proairesi’
-Non capisco ancora, confessò Irene. Ma vorrei subito sapere se parli di qualcosa che hanno tutti gli uomini oppure solo alcuni
-Sì, rispose Raniero. Tutti gli esseri umani hanno la proairesi, ma pochi se ne rendono conto e ancora meno la sanno usare
-Perché accade questo?
-Guarda, continuò Raniero. La tua mente è piena di immagini o, per dire meglio, delle rappresentazioni più svariate. Tu conosci la musica. Sai parlare correttamente l’italiano e il tedesco e quindi ne conosci le grammatiche. Ma c’è qualcosa che collega le tue conoscenze e le usa al momento opportuno. Ecco questa è la proairesi, che per ora definiremo in modo sufficientemente esatto come la facoltà atta ad usare le rappresentazioni
-Ma allora, obiettò Irene, se tutti siamo dotati di proairesi e siamo tutti capaci di usare le rappresentazioni, come mai siamo così diversi, facciamo cose svariate e tra loro spesso opposte?
-C’è uso ed uso della proairesi, precisò Raniero. C’è un uso corretto ed un uso scorretto
-E come faccio a sapere qual è l’uso corretto?
-Quando tu nasci e fino ad un certo tempo della tua adolescenza tu non sai di avere questa facoltà. La proairesi è una facoltà che tu naturalmente acquisisci man mano che acquisisci la capacità di renderti conto che esistono cose che dipendono esclusivamente da te e cose che non dipendono esclusivamente da te. Le cose che dipendono esclusivamente da te sono queste:

  1.    la capacità di ‘impellere’ cioè di spingerti per istinto verso qualcosa o qualcuno e la capacità di ‘repellere’ ossia di allontanarti per istinto da qualcosa o qualcuno
  2.    la capacità di ‘desiderare’ cioè di spingerti razionalmente verso qualcosa o qualcuno e la capacità di ‘avversare’ ossia di allontanarti razionalmente da qualcosa o qualcuno
  3.    la capacità di ‘assentire’ cioè di dire di sì a qualcosa o qualcuno e la capacità di ‘dissentire’ ossia di dire di no a qualcosa o qualcuno

Ti bastano queste cose che hanno la caratteristica di essere esclusivamente tue, in tuo esclusivo potere?
-No, protestò Irene, no! Non mi bastano! Non mi interessa, non mi consola e non mi aiuta avere queste capacità se non posso avere ciò di cui ho bisogno al momento. Dico: una casa confortevole, un lavoro decoroso, una quantità sufficiente di denaro, la soddisfazione che deriva da ciò che faccio, l’amore! Capisci che cosa voglio dire? Quello che mi interessa sapere è come faccio a raggiungere queste cose che possono rendermi felice
-Dunque, replicò con gravità Raniero, tu valuti le cose che hai detto molto di più della tua proairesi, cioè della tua stessa facoltà di valutarle
-Sì, perché tu mi parli di un’astrazione, ossia della facoltà di valutarle, mentre io ti parlo di cose concrete. E bada bene che io non ti parlo solo di me, giacché tutti facciamo così
-Tu consideri un’astrazione la facoltà che ti fa dire quello che stai dicendo adesso? La proairesi è un’astrazione? Interessante! Quanto al resto: sì, lo so. Siete davvero in tanti. E credete, per questo, di avere ragione? Tu puoi credermi o non credermi ma esiste una natura delle cose che non cambia, che è valida per tutti: me, te e gli altri compresi. Con questa soltanto si fanno i conti e se tu non la conosci io non te la rivelerò, perché ci devi arrivare tu stessa piano piano
-Forse mi servirebbero degli esempi, riprese Irene. Non capisco perché ora sei così severo e perché dovrei già sapere qualcosa alla quale mi sto avvicinando proprio ora. Non dovrebbe stupirti che io non sappia, ma se non hai più voglia di parlare con me possiamo interrompere qui… Mi è venuta una curiosità, però. Dimmi: chi decide qual è la natura delle cose quando ci sono opinioni diverse? Per esempio, se io e te avessimo una percezione diversa di una certa realtà, come si decide qual è la natura delle cose? E poi, se io non me ne rendo conto e tu non vuoi rivelarmi come essere consapevole della natura delle cose, come farò?
-Vieni con me, la invitò Raniero, e riguardiamo le tre scene. Nella prima scena, quell’individuo di cosa si lamenta? Si lamenta forse del vento? La sua proairesi ha scelto di partire ma la partenza è contrastata dal vento di Borea. Chiediti cosa accadrebbe se la proairesi di quell’individuo scegliesse di non partire più. Avrebbe ancora lo stesso giudizio sul forte vento? Causa del suo comportamento è dunque il vento, come egli afferma, o non piuttosto il progetto di partire in quelle circostanze? Non ti pare che egli si autocondanni così all’ansia e poi, forse, alla disperazione; e che nessuna delle due risolverà il suo problema?
-Chi è la persona che gli viene incontro sulla spiaggia?-
-Quella persona potrebbe benissimo essere la personificazione della sua proairesi che opera in modo retto e gli suggerisce il giusto comportamento da tenere
-E’ normale che si provi ansia e forse anche disperazione quando le cose che si sono programmate non si realizzano. In questo non c’è nulla di male: capita a tutti!
-Anche se ne dubito molto, io posso immaginare che -di per sé- non siano un male né l’ansia né la disperazione; ma aggiungo che è sicuramente un bene il saper dominare l’ansia e la disperazione
-Certo, ammise Irene, ma a forza di dominarmi diventerò una persona insensibile, una che non prova più nulla!
-Dunque tu tendi a identificare la preziosa capacità di essere felice con la impossibilità di essere felice. Tu, così facendo, pensi di poter essere viva e sensibile soltanto a patto di essere disperata o in perenne ansia! La vita dell’uomo è come un viaggio che può finire in tre città diverse. Quelli che finiscono nella prima città pensano che tutti gli oggetti esterni, ad esempio il lavoro e il denaro in quanto tali, siano di per sé i beni o i mali dell’uomo. Quelli che finiscono nella seconda città pensano che tutto quanto riguarda il corpo, ad esempio l’integrità fisica e la salute in quanto tali, siano di per sé i beni o i mali dell’uomo. Converrai con me che possiamo chiamare tutte queste cose ‘aproairetiche’, giacché si tratta di cose che non sono in nostro esclusivo potere. Chi finisce il suo viaggio nella terza città pensa invece che i retti giudizi sugli oggetti esterni e sul nostro corpo siano i beni dell’animo e quindi le fonti del suo piacere, così come i corrispondenti giudizi non-retti siano i mali dell’animo e le fonti del suo dispiacere. Converrai con me che in questa terza città beni e mali dell’animo sono dunque ‘proairetici’
-Ma tu, Raniero, in quale città hai vissuto?
-Io ho vissuto tutta la mia vita un po’ nella prima e un po’ nella seconda città. Poi una sera, tornato a casa ed entrato nella mia stanza, sono stato colto da un feroce mal di testa. E adesso eccomi qua. Ma dimmi, Irene, che cosa vedi nella seconda scena?
-Una tragedia, rispose Irene, che è la condanna a morte
-Guarda meglio, le suggerì Raniero, e vedrai che oltre la condanna a morte, che è un fatto, le due persone vivono quella situazione in modi opposti. Il primo si autocondanna all’infelicità. Il secondo, invece, fa una scelta diversa liberandosi dell’infelicità. Le circostanze nelle quali si trovano i due condannati a morte sono esattamente identiche. Cos’è che fa la differenza tra di loro?
-A fare la differenza tra di loro è il fatto che, di fronte alle medesime circostanze, il primo usa la sua proairesi in un certo modo mentre il secondo usa la sua proairesi in un modo del tutto differente
-Hai detto benissimo, sorrise Raniero. Il primo rende a chi lo uccide non solo ciò che è di chi lo uccide, ossia il suo corpo; ma gli riconosce anche il potere di renderlo felice o infelice. Felice, se per un caso qualunque l’esecuzione non dovesse più essere eseguita. Infelice, perché egli è disperato, si lamenta e non vuole morire! Il secondo, come il primo, rende a chi lo uccide ciò che è di chi lo uccide, ossia il suo corpo, ma resta padrone della sua proairesi. Tiene cioè per sé, con meravigliosa dignità, ciò che chi lo uccide non potrebbe mai togliergli senza il suo consenso, ossia l’atteggiamento alto, nobile, libero, da tenere in questa situazione!
-Scusa, disse Irene, ma perché dici che il mio corpo è di chi lo uccide? Chi uccide il mio corpo uccide anche la mia proairesi. E lo dico per affermare che corpo e proairesi sono tra loro strettamente uniti, anche se non sono la stessa cosa
-Tieni presente, le rispose Raniero, quanto poco è di per sé libero il corpo. Non puoi infatti negare che il corpo sia schiavo della febbre, del cancro, della dissenteria, di un tiranno, del fuoco, del ferro e insomma di qualunque cosa è più forte di lui. Per il resto è vero che per uccidere la proairesi non si deve necessariamente uccidere il corpo, perché la proairesi può uccidere se stessa quando rinuncia alla sua libertà e si rende infelice
-Intendi dire che liberarsi dall’infelicità significa accettare ciò che ti capita?
-Quando giochi a carte non puoi rifiutarti di accettare le carte che ti capitano. L’abilità sta nel saper fare il miglior uso possibile delle carte che ti sono capitate. Retto è dunque quell’uso della proairesi che ti permette di essere felice nelle circostanze di vita che non sei stato tu a scegliere. Ma su questo avremo modo di tornare. Dimmi, invece: che cosa vedi nella terza scena?
-Vedo, rispose Irene, un uomo coraggioso e coerente con le proprie idee. Certo, avrebbe anche potuto fare un compromesso e salvarsi la vita, che è la cosa più importante…
-Quali sono secondo te, domandò Raniero, i segreti che il torturatore vuole conoscere?-
-Mah…penso che voglia avere informazioni su certi agitatori politici; oppure il nome dei capi di qualche organizzazione clandestina
-Può darsi che sia così. Però, se ci pensi bene, quello che il torturatore vuole conoscere non è tanto il nome dei cospiratori quanto il segreto che permette a quest’uomo di comportarsi in quel modo e di rimanere sereno. La proairesi del torturatore si mette così in una posizione di grave debolezza in quanto fa dipendere la propria, diciamo così, felicità o infelicità dalle risposte del torturato. Felicità, se il torturato rivela quello che sa. Infelicità nel caso contrario. Come un toro cieco, il torturatore è costretto a sevizie sempre più brutali ed a minacce sempre più gravi. Infatti è esattamente il dominio della propria proairesi il segreto del torturato. Ed è un comportamento alla luce del sole; di quel sole che il torturatore si ostina a negare di vedere. Se invece la proairesi dell’uomo si arrendesse ai tormenti corporali essa si condannerebbe, avendo perso il dominio di sé, alla sua stessa morte pur restando l’uomo fisicamente in vita
Era il tramonto. Il sole si tuffava nell’Egeo e la luce indorava ogni cosa. Tutti guardavamo a occidente.
-Scusate, disse Raniero dopo un lungo silenzio, non è venuta fame anche a voi?-
-Proprio così, replicò Irene. Ora sospendiamo la nostra conversazione e andiamo tutti e tre a cenare da Irini.

Dialogo 2

Medea: Diairesi, Antidiairesi e il Giudice Misterioso

Οὐ μὲν οὖν τῇ ἀληθείᾳ, φάναι, ὦ φιλούμενε Ἀγάθων, δύνασαι ἀντιλέγειν, ἐπεὶ Σωκράτει γε οὐδὲν χαλεπόν.

“Mio amato Agatone -replicò allora Socrate- è alla verità che tu non puoi opporre argomenti, giacché a quelli di Socrate non è affatto difficile opporne”

Platone ‘Simposio’ 201D

Le ben note e tragiche vicende di Medea sono raccontate e analizzate passo passo per illuminare fino in fondo il modo in cui funzionano le Proairesi di tutti gli uomini. Il dialogo dimostra che nella proairesi si fronteggiano due supergiudizi e trova posto uno sterminato insieme di giudizi ordinari. Il primo supergiudizio si chiama ‘Diairesi’. Il secondo, che non ha per ora un nome proprio ma del quale si ipotizza la necessaria esistenza, è temporaneamente denominato ‘Giudice misterioso’. Soltanto alla fine del percorso maieutico, nel quinto dialogo, si riconoscerà che il nome proprio di questo giudice misterioso è ‘Controdiairesi’. Lo sterminato insieme di giudizi ordinari viene infine raccolto sotto il nome generale di ‘Antidiairesi’.

Qualche giorno dopo Raniero, Irene e Muriel si erano nuovamente dati appuntamento nell’anfiteatro affacciato sul mare.

-Ricordi, disse Raniero, ‘La scena del vento’ di cui abbiamo discusso qualche giorno fa? Oggi possiamo aggiungerle qualcosa. Guarda come il mare, adesso, è agitato e come il vento solleva onde sempre più spumeggianti. Proprio qui sotto di noi, vedi come la vela di quella piccola barca è scossa dal meltemi?
-Sì, rispose Irene. Osservando i movimenti delle persone che sono sulla barca si può notare molta agitazione. Non vorrei che stesse per succedere qualcosa di grave. Cosa si staranno dicendo?-
-Sento anch’io arrivare voci concitate, ma non si capisce che cosa stiano dicendo
-Tutto questo mi fa venire in mente la storia di Medea, continuò Irene. Anche l’animo di Medea doveva essere scosso violentemente, come la vela di quella barca in questo mare agitato. Me la racconti?

-Fa sempre bene tornare a ragionare su storie così drammaticamente vere. Dunque: quando Medea, dopo anni di reciproco amore, si vide abbandonata da Giasone -il quale voleva divorziare da lei per sposare Glauce, la figlia di Creonte, re di Corinto- concepì il modo atroce che conosci per vendicarsi
-Sì, lo ricordo bene: uccise i suoi figlioli
-Secondo te, perché lo fece?
-Per punire Giasone. Non poteva accettare di essere rifiutata dopo anni di felice convivenza
-Ammettiamolo, continuò Raniero. Medea era davvero una donna dotata di grande temperamento! Non le mancava certo la ‘rappresentazione’ di cosa si deve intendere quando si dice che qualcosa gira storto e non si ottiene quel che si vuole! Medea cercava un modo per vendicarsi di Giasone, il quale le pareva non soltanto ingiusto con lei ma anche insultante e oltraggioso
-Lasciamo stare, per ora, la vendetta, disse Irene. Come avrebbe potuto Medea non soffrire per la scelta di Giasone? Chi è che non soffre quando si sente rifiutato?
-Dipende, replicò Raniero. Soffre chi è rifiutato e continua a desiderare l’amore di chi lo rifiuta. Non soffre chi è rifiutato e giudica quel rifiuto una liberazione. Tieni conto che Giasone, sposando Glauce, sarebbe poi diventato re, cosa a cui teneva molto e che, vivendo con Medea, non gli sarebbe stata possibile
-Ma, secondo te, Giasone voleva anche allontanare Medea da Corinto, in modo da non vederla mai più?
-Sicuramente no. Giasone, al contrario, aveva proposto a Medea di rimanere a Corinto e di diventare la sua amante, l’amante del re! Questa era una decisione che Glauce aveva approvato
-E’ questo che Medea non può accettare e che le sembra un insopportabile oltraggio, sbottò Irene
-Ma dal soffrirne al dare la morte ai suoi stessi figli, suggerì Raniero, credo anche tu veda un passo che non è automatico, che non discende dal fatto di provare dolore e che richiede qualcos’altro per essere compiuto
-Allora, che cosa porta Medea a fare questa scelta?
-L’animo di Medea, come abbiamo detto, è dotato di grande nerbo ossia, e mi puoi certamente ormai capire, di una potente proairesi. 
-Sì, Medea deve assolutamente fare qualcosa, non può tacere e stare a guardare-
-Nella proairesi di Medea, riprese Raniero, turbinano dunque le più varie possibilità, e possiamo chiamare queste possibilità ‘progetti’. Così Medea pensa: ‘Giasone è un traditore e merita una punizione: lo avveleno’. Oppure: ‘Non sopporto di valere meno di Glauce e la uccido’. Oppure: ‘Mi uccido per non dover assistere a ciò che mi procura così tanto dolore’. E infine: ‘Uccido quelli che io gli ho dato, i suoi figli’
-Ma erano anche figli suoi…
-Giusto! Nella proairesi di Medea è anche presente il giudizio: ‘Se uccido i suoi figli punirò anche me stessa’. Ma ella, come le fa dire Euripide, subito si risponde: ‘Non m’importa! Capisco che mali sto per fare ma il rancore è più forte delle mie risoluzioni’
-Qual è il criterio che permetterà a Medea di scegliere tra questi progetti?
-Seguimi, la invitò Raniero. Entriamo nella proairesi di Medea e prendiamo in considerazione uno per uno questi progetti. La domanda fondamentale che ci dobbiamo porre è questa: ciò che voglio fare è qualcosa in mio esclusivo potere oppure no? Vediamo. ‘Avveleno Giasone’ è in mio esclusivo potere?
-Penso proprio di sì, propose Irene. A meno che le condizioni materiali me lo impediscano. Ma in ogni caso l’azione è mia e posso cercare di metterla in atto anche se non dipende da me il successo della medesima
-Ecco, hai colto il punto, replicò Raniero. Una cosa è decidere di camminare e un’altra è camminare. La prima è un progetto in mio esclusivo potere, la seconda non è invece in mio esclusivo potere ma è soggetta ad ogni sorta di possibili accidenti. Una cosa è avere dei giudizi e concepire un progetto, un’altra cosa è portarlo a compimento. Infatti la sua realizzazione è sempre soggetta a possibili accidenti. Ritorniamo ad esaminare il progetto ‘Avveleno Giasone’ e dammi una nuova risposta. Sappi che entrare nella stanza di Giasone è ormai impossibile, che tutti i suoi cibi sono pregustati da uno schiavo e che egli è circondato da guardie del corpo che vegliano sulla sua incolumità
-Ne devo concludere e ti devo rispondere così: ‘Avvelenare Giasone non è in esclusivo potere di Medea mentre in esclusivo potere di Medea è il concepirne il progetto’
-Cosa diremo del progetto ‘Uccido Glauce’?
-Che uccidere Glauce non è in esclusivo potere di Medea anche se il progettarlo è in suo esclusivo potere
-’Mi uccido’ è la terza alternativa che Medea concepisce. Ma la esclude subito, perché uccidersi le sembra una grande vittoria di Giasone e di Glauce, i quali non soltanto non avrebbero bisogno di commettere un omicidio per sbarazzarsi di lei, ma le infliggerebbero anche l’umiliazione di celebrarne il ricordo come madre virtuosa e sposa esemplare
-E inoltre, aggiunse Irene, in questo caso Medea non otterrebbe ciò che vuole, che è riavere il suo posto al fianco di Giasone. Ma a Medea non viene in mente che, uccidendosi, almeno si sottrarrebbe al dolore che prova?
-Anche nel caso del progetto ‘Mi uccido’ dobbiamo considerare se si tratti di qualcosa che è in esclusivo potere di Medea. Vedrai che se analizziamo questo progetto, che sembra il più vicino a dipendere esclusivamente da lei, troveremo che non è così
-Ma come, disse con sorpresa Irene, il suicidio è l’unica cosa per la quale non ho bisogno di altri e che dipende esclusivamente da me…
-Giasone ha già pensato anche a questo. Egli non ha messo in opera soltanto il suo sistema di protezione ma ha già dato ordini segreti e tassativi affinché sia prevenuto qualunque gesto che potrebbe portare ad effetto il suicidio di Medea. Medea non lo sa, ma è circondata da persone che si tengono nell’ombra e che vigilano sulla sua incolumità. Credibile o no che sia la possibilità di prevenire un suicidio, questo va detto per dimostrarti ancora una volta che anche la realizzazione del suicidio non è in tuo esclusivo potere, mentre è in tuo esclusivo potere soltanto la decisione di porre fine alla tua vita. Sono invece d’accordo con te nel ritenere che la morte avrebbe liberato Medea dal dolore, dall’offesa e dalla rabbia che provava
-Anche l’uccidere i propri figli, protestò allora Irene, non è in esclusivo potere di Medea, ma è ciò che avviene. Qual è la differenza di questo progetto rispetto ai precedenti?
-Non c’è la minima differenza, rispose serio Raniero. Anche per questo progetto valgono le conclusioni cui siamo giunti nel caso degli altri. Concepire l’uccisione dei propri figli è in esclusivo potere di Medea ma il realizzarlo non è in esclusivo potere di Medea
-Ma gli altri progetti di Medea non si realizzano mentre questo si realizza. Perché accade questo?
-Accade semplicemente perché le circostanze non lo impediscono. Medea è madre e i bambini vengono allevati e curati dalle donne, siano esse nutrici o madri. Medea ha dato a Giasone due figli e questi sono ancora, notte e giorno, con lei. Giasone non ha mai neppure lontanamente pensato a toglierli dalla tutela della madre perché questa è la sua cultura. Giasone è un greco. Medea non è una greca e, seppure figlia di re, è una barbara del Ponto che arriva a concepire un progetto di una atrocità tale quale nessuna donna greca avrebbe potuto concepire
-Dunque, chiese Irene, i progetti ‘Avveleno Giasone’, ‘Uccido Glauce’, ‘Mi uccido’, ‘Uccido i miei figli’ sono perfettamente equivalenti riguardo alla loro concezione e alla loro possibilità di realizzazione?
-Diciamo più esattamente, continuò Raniero. Sono perfettamente equivalenti quanto alla loro concezione poiché, come progetti, sono in esclusivo potere di Medea. Sono perfettamente equivalenti in quanto la loro realizzazione pratica è sempre soggetta ad ogni sorta di accidenti. Non sono più equivalenti quando consideri che è impossibile sapere a priori quali e quanti saranno per ciascuno gli impedimenti che ne ostacoleranno o le facilitazioni che ne favoriranno la realizzazione
-Intendi dire che la differenza tra di loro risale a quel ‘…soggetta ad ogni sorta di accidenti’?
-E’ proprio così. E questa è la ragione per cui soltanto il tentativo di realizzarli ci dice quali dei nostri progetti diventeranno realtà e quali no
-Però possiamo giudicare la realizzazione di alcuni più probabile di quella di altri, non ti pare Raniero?
-Certamente è così. Però il punto fermo rimane questo: nessun progetto per cui ci sia bisogno del nostro corpo o di una qualunque persona o oggetto esterno ha certezza di realizzazione. E questo è quanto per ora ci basta sapere ai fini della presente discussione su Medea
-Da quello che tu dici, Raniero, sembra che ci si debba rassegnare a ciò che accade restando impassibili e senza fare nulla. Non sarebbe questa una condanna alla passività? A volte muovere qualche pedina, pur sapendo che la situazione è quella data, potrebbe cambiare qualcosa e renderebbe meno pesante l’accettare i fatti che non ci piacciono
-Non fraintendere. Ti ripeto che non possiamo muovere nessuna pedina con la garanzia del successo, ma ti ripeto anche che soltanto calciando con forza e con abilità il pallone verso la porta avversaria possiamo renderci conto se abbiamo segnato un gol, se il tiro è andato su un palo o fuori dai pali o se il portiere ha parato
-Dunque il tuo non è un invito alla passività ma a qualcos’altro. Non capisco però a che cosa, disse pensierosa Irene
-Il mio invito è un invito alla ‘Diairesi’
-Diairesi, e cos’è? È una parola che non ho mai sentito, protestò Irene
-Devi avere un attimo di pazienza e vedrai che tutto diventerà subito più chiaro, rispose Raniero. Torniamo a Medea. Siccome sappiamo che ciascun progetto si presentava a Medea con la medesima autorevolezza, dobbiamo supporre che nella sua Proairesi fosse presente qualcosa capace di scegliere quale dei progetti mettere in opera
-Sono d’accordo. Non può essere che così, ma non so dare un nome a questo qualcosa-
-Facciamo un paragone con quanto succede in Tribunale e immaginiamo che i vari progetti siano altrettanti imputati e questo qualcosa il loro giudice-
-Sì, annuì Irene. Il paragone è chiaro e mi piace-
-Sentiti gli imputati, i testimoni, le arringhe dell’accusa e della difesa ed eventualmente visti i pertinenti articoli del Codice, il giudice condanna o assolve. Ecco, il giudice che sceglie tra i progetti di Medea si chiama ‘Antidiairesi’
-Antidiairesi? Tu ti diverti a confondermi le idee, insorse Irene. Poco fa parlavi di Diairesi, adesso vieni fuori con quest’altra parola e io non ci capisco più nulla!
-I due giudici, Diairesi e Antidiairesi, sono fratelli, come fossero Apollo e Artemide oppure, se vuoi, i Dioscuri Castore e Polluce-
-Perché si chiama Antidiairesi il giudice che sceglie, tra i progetti di Medea, quale attuare?
-Anche se non è ancora una definizione che mi soddisfa del tutto, accontentiamoci di definire l’Antidiairesi come il giudice che opera su quanto non è in nostro esclusivo potere ed è complementare alla Diairesi che invece opera su quanto è in nostro esclusivo potere. Ti ricordi che siamo partiti da questa domanda fondamentale: ciò che Medea intende fare è qualcosa in suo esclusivo potere oppure no? Siamo giunti alla conclusione che concepire un progetto è in esclusivo potere di Medea ma che il realizzarlo non è in esclusivo potere di Medea. Il giudice che sceglie quale dei progetti di Medea attuare si chiama Antidiairesi, ripeto, perché è un giudice deputato ad operare su quanto in nostro esclusivo potere non è
-Vuoi dire che è un giudice cattivo?
-Nient’affatto. È un giudice ottimo, necessario e importantissimo il quale, però, svolge un ruolo molto diverso da quello che svolge il suo fratello Diairesi
-E qual è il compito svolto dal giudice che tu chiami Diairesi?
-Come dicevo, Diairesi è il giudice deputato a giudicare se la realizzazione di un progetto è in nostro esclusivo potere oppure no e, se è in nostro esclusivo potere, a scegliere quale realizzare-
-Tu continui a stupirmi, disse Irene, e quasi mi manca il fiato. Ma come? Esistono anche progetti la cui realizzazione dipende esclusivamente da noi?
-Certamente, rispose calmissimo Raniero. So che non te ne rendi conto e non ne hai mai sentito parlare, ma mancano soltanto due passi in più per capire di cosa si tratta. Ti posso anticipare, perché ti sia in seguito più chiaro, che questi progetti la cui realizzazione dipende esclusivamente da noi, riguardano la possibilità o capacità che noi abbiamo di mutare il nostro giudizio su una situazione data, come poi vedremo
-E quindi…?
-Continuiamo il paragone del Tribunale ed ammettiamo che in questo Tribunale esistano soltanto due giudici. Il giudice Diairesi è il primo a ricevere e ad esaminare le carte del Processo ossia, in questo caso, i progetti che turbinavano nella mente di Medea. Egli ha svolto accuratamente il suo lavoro ed ha trovato che la realizzazione di nessuno di tali progetti era in esclusivo potere di Medea. Siccome il giudice Diairesi è deputato a giudicare se la realizzazione di un progetto è in nostro esclusivo potere oppure no, cosa doveva fare?-
-Doveva fermarsi lì e passare le carte a qualcun altro
-Abbiamo ammesso, per ora, che ci siano soltanto due giudici nella nostra Proairesi. Dunque.., e qui Raniero si fermò
-Dunque…, riprese Irene in un soffio, dunque… ha passato le carte al fratello, all’Antidiairesi
-Proprio così. È questo l’iter dei processi che avvengono nella nostra Proairesi. Se il giudice Diairesi non trova il progetto di sua competenza, passa il caso al fratello Antidiairesi e sarà quest’ultimo a prendere ulteriori decisioni
-Ho capito. È chiaro che i progetti di Medea sono di competenza del giudice Antidiairesi. Medea è confusa, turbata, e non si rende conto che la realizzazione di uno qualunque dei progetti che le turbinano in mente non è in suo esclusivo potere. Mi sembra però che questo sia l’unico modo che lei sente e sceglie, non per cambiare una situazione che non è in suo potere cambiare ma per esprimere, anche se in modo atroce, tutto ciò che la ferisce
-Io però vedo, a questo punto, una difficoltà. Sappiamo che la Diairesi è il giudizio che sa distinguere quanto è in mio esclusivo potere e quanto non lo è. Sappiamo anche che l’Antidiairesi è il giudizio, complementare alla Diairesi, il quale opera su quanto in mio esclusivo potere non è. Sappiamo che Medea non usa la Diairesi. Ma, allora, a cosa è complementare l’Antidiairesi che Medea invece certamente usa?
-Esiste forse un giudice misterioso che ancora non abbiamo conosciuto, ipotizzò Irene
-Non mi è chiaro ancora, ma sulle carte che sono passate per le mani della Diairesi doveva esserci scritto qualcosa che evidentemente non è stato scritto dalla Diairesi ma da qualcun altro, giacché se fosse stato scritto dalla Diairesi vorrebbe dire che Medea la usa. D’altra parte l’Antidiairesi ha soltanto il compito di operare su quanto è scritto su quelle carte. Si tratta di una complicazione alla quale io non so dare per ora una risposta. Una cosa comunque sappiamo con certezza: Medea vede fuori di sé l’origine della propria afflizione. Non può essere che così giacché Medea, incapace di usare la Diairesi, cioè di rendersi conto di ciò che è in suo esclusivo potere e di ciò che non lo è, è incapace di valutare qual è il suo contributo all’afflizione che prova. Se il comportamento di Giasone fosse di per sé la causa dell’afflizione di Medea allora chiunque, di fronte a un simile comportamento, dovrebbe provare la stessa afflizione
-Allo stesso modo, interruppe Irene, che se la morte fosse di per sé un evento terribile e da fuggire, ecco che nessuno dovrebbe suicidarsi?-
-Esattamente. A causare l’afflizione di Medea non è dunque il rifiuto di Giasone ma il giudizio, che è solo di Medea, che il rifiuto di Giasone sia un insulto, un’ingiustizia che la umilia. Le amiche di Medea non provano assolutamente, a causa del comportamento di Giasone, l’afflizione che prova Medea
-Mi sembra ovvio, interruppe Irene, che le amiche di Medea non provino la stessa afflizione. Ma magari ne provano una simile per l’amicizia che hanno con Medea
-Questo può essere, ma è un’altra afflizione e si tratta di un altro discorso. Il punto cruciale cui siamo giunti è questo: c’è qualcosa la cui realizzazione, nella situazione data, è in esclusivo potere di Medea e che l’uso appropriato della Diairesi le permetterebbe di scoprire? Oppure, per tornare al paragone del Tribunale: esiste almeno un progetto la cui realizzazione dipende esclusivamente da Medea e che quindi il giudice Diairesi potrebbe scrivere su quelle carte e che, a questo punto, non avrebbe neanche più bisogno di passare al fratello?-
 -Lasciami riflettere un attimo, sospirò Irene. Da quello che mi hai detto finora penso che una risposta sensata sarebbe questa: Medea può cambiare il giudizio che dà sulla situazione in cui si trova
-È esattamente così. Eccoci al vero cuore del problema. C’è qualcosa che dipende esclusivamente da Medea, ed è il giudizio che ella ha di Giasone e del suo comportamento. Giasone, col suo rifiuto, le appare come un volgare traditore degno della peggiore vendetta. Questo giudizio è in esclusivo potere di Medea ed ella lo può cambiare. Se Medea guardasse a Giasone come ad un infelice carrierista indegno dei suoi sentimenti, ebbene cambierebbe totalmente i suoi progetti. Medea desidera ad ogni costo che Giasone coabiti con lei. Dille: guarda Corinto; è una città dal clima insalubre, sudicia, poco attraente, scomoda. Tu invece desideri luce, aria, sole. Se ricorderai ciò che a te piace, vedrai Corinto con occhi nuovi e considererai una fortuna la possibilità di abbandonare tanto Corinto quanto Giasone. Giasone ti può impedire di suicidarti, di uccidere Glauce, i figli o lui stesso, ma può Giasone impedirti di considerarlo un infelice carrierista e quindi di considerare per te desiderabile l’abbandonarlo? Non puoi accusare Giasone di impedirtelo. Sei tu e soltanto tu che lo vedi con occhi che te lo mostrano come un volgare traditore degno della peggiore vendetta
-Capisco quello che tu dici e so che mi sarà molto utile, confidò Irene. Ma Medea non cambia il suo giudizio perché non pensa che Giasone sia un infelice carrierista. Lei sa bene quanto è importante diventare re di Corinto
-Certo, Medea continua ad apprezzare Giasone e sa che è un uomo di grande valore. Ma la situazione è mutata, non siamo più ai tempi felici della conquista del Vello d’Oro. Arriviamo fino in fondo. Quello che Medea non può accettare è, in realtà, che un uomo del valore di Giasone non abbia più, come un tempo, i giudizi di Medea. Siamo davanti al conflitto di due Proairesi. Medea è giunta a ritenere vitale il progetto di dominare la Proairesi di Giasone e di farla tornare in sintonia con la propria, mentre ritiene nullo e insensato il progetto di dominare, ossia di usare rettamente, la propria Proairesi. Medea non sa usare la Diairesi e non ha intorno nessuno che glielo insegni. Ti sembra esatto chiamare ‘progetto’ soltanto il tentativo di dominare l’altrui Proairesi e chiamare ‘passività’ il progetto di usare rettamente la tua stessa Proairesi? Nel primo caso non hai certezza di successo e sei spesso, come Medea sperimenta, destinata alla sconfitta. Nel secondo caso, invece, la Diairesi ti suggerirà i tempi e i modi per vivere bene ed essere felice
-Il giudizio di Medea, sospirò Irene, non è negativo su Giasone ma è diventato negativo sul proprio valore e sul valore della relazione che si era stabilita tra di loro
-Ecco uno dei tratti caratteristici di una Proairesi che non usa la Diairesi. Ad un certo punto è costretta a sfigurare il passato, a svalutarlo, a vedere menzogna e inganno anche là dove c’erano sincerità e lealtà. Se non usi la Diairesi, la tua Proairesi non potrà mai apprezzarsi per quello che vale e crederà se stessa inferiore a tutto e a tutti
-Volevo porti un’ulteriore domanda, continuò Irene. Che cosa ti fa dire che sia Medea a volere che Giasone abbia le sue idee e che cosa ti fa escludere che possa anche essere viceversa?
-E’ proprio così: Giasone impone a Medea la forza della propria Proairesi e si dimostra superiore a lei nel conflitto. Giasone non ha timore di perdere Medea, è disposto a rinunciare a lei. Al contrario, Medea teme di perdere Giasone e le è insopportabile l’idea di vivere lontano da lui senza essersi prima vendicata del suo affronto. In questo scontro di Proairesi è inevitabilmente vincitore chi è disposto a cedere il campo all’altro, nel senso che Giasone è disposto a rinunciare pacificamente a Medea mentre Medea non lo è. Il disagio di Medea sta nel fatto che ella è entrata in contraddizione con se stessa, giacché vuole Giasone ma nello stesso tempo non vuole Giasone com’è, ossia sposo di Glauce e re di Corinto. Giasone invece non è in contraddizione con se stesso perché vuole Medea così com’è, donna e madre dei suoi figli. Giasone e Medea sono in reale opposizione: Giasone ha un progetto che Medea rifiuta; Medea ha un progetto che Giasone rifiuta
-Prima parlavi di contraddizione, adesso parli di opposizione. Puoi essere più chiaro?
-Le contraddizioni sono esclusivamente interne alla testa delle persone, sono individuali, e sono insopportabili. Credere che qualcosa sia ‘bianco’ e che contemporaneamente sia ‘non bianco’ è impossibile e si dovrà scegliere ‘bianco’ o ‘non bianco’. Le contraddizioni devono essere risolte rapidamente, pena l’impossibilità di comunicare e anche di agire: non puoi dire o fare contemporaneamente una cosa ed il suo opposto! I conflitti sono invece opposizioni reali di progetti diversi e sono sopportabili. Ad esempio Medea prende atto, e non potrebbe fare diversamente, che Giasone ha giudizi e progetti diversi dai suoi anche se continua a giudicare che essi non le piacciono
-In questo caso, come si potrebbe uscire dal conflitto?
-E’ necessario e inevitabile uscire dalle contraddizioni. Il conflitto, invece, anche se può essere sopportabile è razionalmente insolubile. Il conflitto può permanere tale indefinitamente, oppure terminare perché uno dei due abbandona la propria posizione o perché cambia qualcosa nei dati di fatto. È una questione di forze contrapposte, e il più forte prevarrà sempre sul più debole; come si può facilmente vedere a posteriori dato che, a priori, non è mai possibile sapere con certezza chi prevarrà
-Torniamo un poco indietro, ad una cosa che hai detto e che, sul momento, non avevo preso in considerazione. Hai raccontato che Giasone aveva proposto a Medea di essere la sua amante, una volta sposata Glauce. Potremmo chiamare questa una proposta di compromesso per risolvere il conflitto, ma Medea la rifiuta. Anzi questa proposta la offende. Perché? Il rifiuto di Medea quale giudizio sottende?
-Può una persona reputare che qualcosa gli è utile e non sceglierla? Non può. Quando Medea dice: ‘Capisco che mali sto per fare ma il rancore è più forte delle mie risoluzioni’ lo dice proprio per questo, perché ritiene più utile gratificare il suo rancore e vendicarsi del marito che salvare i figlioli. Lo stesso vale nel caso di Glauce. Poteva Medea reputare utile per sé dividere con Glauce il letto di Giasone? Il suo comportamento ci dice di no. I giudizi sottesi a questo comportamento possono essere tantissimi, diversi e facilmente immaginabili. Per esempio che Giasone preferisce il regno al suo amore. Oppure che Giasone, non bastandogli il suo amore, cerca un’altra donna che lo ami. Oppure che Giasone è un egoista e che di fronte all’apprezzamento della sua persona da parte di un’altra donna non si pone né il problema di scegliere né la preoccupazione che questo faccia del male a Medea. Oppure che Giasone vuole semplicemente ‘prendere tutto’. Infine Medea, gelosa di Glauce, la teme come più giovane, più bella, più interessante di lei ed ha paura di essere abbandonata per sempre da Giasone. Tutti questi giudizi di Medea riflettono la sua incapacità di usare la diairesi e di riconoscere qual è il suo contributo alla disperata afflizione che prova mentre pone interamente nelle mani di Giasone la chiave della propria felicità e infelicità. Quali giudizi fossero allora veramente presenti nella Proairesi di Medea è ignoto a tutti fuorché agli dei
-Vedo che la barca a vela non è più qui sotto di noi, disse a questo punto Irene
-Il mare si è calmato ed essa ha sicuramente raggiunto senza pericoli il porticciolo dell’isola, la rassicurò Raniero
-Mi sembra che, per oggi, abbiamo parlato abbastanza, concluse Irene. Scusate, non è venuta anche a voi una gran voglia di fare un bagno? Io non vedo l’ora di farlo. Che ne dite di andare tutti a Kedros?

Dialogo 3

La Diairesi in atto

Οὐ μὲν οὖν τῇ ἀληθείᾳ, φάναι, ὦ φιλούμενε Ἀγάθων, δύνασαι ἀντιλέγειν, ἐπεὶ Σωκράτει γε οὐδὲν χαλεπόν.

“Mio amato Agatone -replicò allora Socrate- è alla verità che tu non puoi opporre argomenti, giacché a quelli di Socrate non è affatto difficile opporne”

Platone ‘Simposio’ 201D

Il dialogo dimostra che la vita umana cosciente è un continuo flusso di azioni dettate dall’Antidiairesi dietro ordine della Diairesi oppure della Controdiairesi.

Il progetto era quello di godersi un delizioso bagno in un mare cristallino e tranquillo. Ma arrivati a Kedros, Raniero, Irene e Muriel si erano subito scontrati con una situazione che non avevano previsto e che non era gradevole come avevano immaginato. Infatti c’era chi giocava sulla spiaggia con i racchettoni, producendo un rumore costante e fastidioso che sembrava studiato apposta per coprire il piacevole suono del frangersi delle onde sulla battigia. C’era chi, facendo jogging, spruzzava coloro che erano sdraiati presso la riva. C’era chi lanciava al cane una palla che finiva sempre tra i piedi di qualcuno. C’era chi, scuotendo il proprio asciugamano, produceva nuvole di sabbia. C’era chi sbraitava ad altissima voce chiamando qualcuno dall’altra parte della spiaggia. Infine c’era chi, approfittando del bagno dei proprietari, rubava quello che trovava nelle loro borse incustodite.
-Ecco una situazione, disse Raniero, che sembra fatta apposta per farci mettere in atto la diairesi. Quando abbiamo deciso di venire qui a fare il bagno ci siamo anche detti: “Voglio fare il bagno, ma anche serbare la mia proairesi in accordo con la natura delle cose e tale non la serberò se fremerò di sdegno davanti a quanto altre persone ritengono essere utile per loro e che non è in mio esclusivo potere modificare”. Ve lo ricordate?
-Certo, disse Irene. Serbare la propria proairesi in accordo con la natura delle cose significa ricordare che non possiamo avere il controllo assoluto su ciò che non è in nostro esclusivo potere. E allora, adesso abbiamo davanti a noi due strade. La prima è quella di irritarci e di intervenire contro coloro che noi giudichiamo disturbatori. Ma è chiaro che, qui e ora, questo sarebbe inutile e forse anche controproducente. D’altra parte, se a loro piace così… La seconda è quella di usare la diairesi, non metterci in aperto conflitto con loro e scegliere quindi un altro atteggiamento. Ma quale?
-Anche a me non sembra il caso di protestare, aggiunse Raniero. Abbiamo trovato qui una bella occasione per esercitare la nostra tolleranza. Non è proprio quello che ci auguravamo, ma abbiamo in noi risorse sufficienti per fare fronte a questo e a ben altro. Loro si divertono così e così va bene per loro, ma non per noi. Trovo questa una magnifica dimostrazione di ciò che andavamo dicendo qualche giorno fa: una cosa è il nostro progetto di fare il bagno su una spiaggia tranquilla e un’altra cosa è che la spiaggia sia davvero tranquilla, giacché non è in nostro esclusivo potere renderla tale! Io so però che c’è un’altra spiaggia ancora più straordinaria di questa. È più lontana e molto meno frequentata: si chiama Livadi. Avete voglia di arrivare fin là?
-Sì, assentì Irene; però ci vuole parecchio tempo per raggiungerla a piedi e il cammino non è dei più agevoli.

Mentre si discuteva sul che fare, ecco affacciarsi da dietro il promontorio che sovrasta Kedros la grande barca blu di Nicola, già carica di un certo numero di persone e diretta proprio a Livadi. Con sorpresa Raniero, Irene e Muriel vedono la barca dirigersi verso di loro e notano che, ad una estremità della spiaggia, vi è un piccolo molo che serve per l’attracco. Subito l’idea appare luminosa ed essi si affrettano a raggiungere alcune persone che già aspettano sul molo. “Ecco la soluzione: andiamo anche noi a Livadi”. Saliti sulla barca, Muriel ha notato la presenza di un anziano signore vestito con una specie di leggera tunica chiara. Una fluente barba bianca ne incorniciava il viso sereno e dorato dal sole. Sedutasi accanto a lui, Muriel lo ha sentito distintamente chiedere ad uno dei giovani che lo accompagnavano di scrivere quello che gli avrebbe lentamente dettato. Le sue parole erano queste: “Soprattutto per questo aspetto ci si deve allenare. Subito avanzando all’alba, chi vedrai, chi sentirai, indaga, rispondi come ad una domanda. Cosa vedesti? Un magnifico giovanotto od una magnifica ragazza? Applica il canone. E’ aproairetico o proairetico? Aproairetico: rimuovi fuori. Cosa vedesti? Piangere per la fine di un figliolo? Applica il canone. La morte è aproairetica: rimuovi di mezzo. Ti venne incontro un console? Applica il canone: quale cosa è il consolato? Aproairetica o proairetica? Aproairetica: rimuovi anche questo, non è valido; buttalo via, non ti riguarda. Se facessimo questo ed a questo ci esercitassimo ogni giorno, dall’alba fino a notte, qualcosa accadrebbe, per gli dei! Ora invece, subito siamo presi a bocca aperta da ogni rappresentazione e soltanto a scuola, se proprio è così, ci risvegliamo un poco. E poi usciti, se vedremo qualcuno piangere diciamo: “Andò in malora!”. Se vedremo un console: “Beato lui!”. Se un confinato: “Disgraziato!”. Se uno povero di denaro: “Meschino, non ha donde mangiare!”. Questi malvagi giudizi bisogna stroncare, su questo concentrarsi. Giacché cos’è singhiozzare e mugugnare? Un giudizio. Cos’è la cattiva fortuna? Un giudizio. Cos’è conflitto, cos’è divergenza, cos’è biasimo, cos’è accusa, cos’è empietà, cos’è chiacchiere? Questi sono tutti giudizi e null’altro, e giudizi sull’aproairetico come bene e male. Uno alloghi questi sul proairetico ed io mi obbligo con lui che rimarrà stabile, comunque starà quel che lo circonda.” Scesi dalla barca, Muriel ha notato che il vecchio si appoggiava ad un bastone e che zoppicava visibilmente.

Livadi è una grande spiaggia di sabbia bianchissima, assai poco frequentata, con un mare dai colori splendidi e un’acqua trasparente e calma. Al di là della spiaggia si intravedono alcune tende e, all’ombra di una grande tamerice, su dei teli colorati sta seduto in cerchio un gruppo di giovani che, nudi, parlano tranquillamente tra di loro. Intorno vi sono persone che fanno il bagno o prendono il sole o passeggiano lungo la riva del mare. Alcuni indossano il costume, ma la maggioranza della persone si è liberata di ogni abbigliamento.
Dopo avere fatto il bagno, Raniero e Irene si sono avvicinati al gruppo. In quel momento è sopraggiunta Muriel che, rivolgendosi ai suoi due amici, ha detto: 
-Scusate, vi avevo perso di vista perché mi ero fermata a scrivere le cose terribili che ho sentito dire da un anziano signore mentre eravamo in barca. Se poi vorrete, più tardi ve le posso leggere-
I giovani li hanno accolti con naturalezza e hanno offerto loro dell’acqua. Un ragazzo di nome Iorgos raccontava che quella mattina, dopo aver smontato la loro tenda, due cari amici sono partiti per tornare a casa loro. Questa separazione lo ha molto toccato, lo fa sentire infelice, e si nota bene il suo bisogno di condividere con gli altri i suoi sentimenti.
-Sentimenti? Cosa intendi dire, chiese Tom, quando usi questa parola?
-Per me, gli rispondeva Maria, i sentimenti sono l’espressione delle emozioni che provo nei confronti degli altri. Tu hai detto ai due amici che partivano che volevi loro bene. Per me il sentimento è essenzialmente il sentimento d’amore. Ce ne sono anche molti altri, ma di questo stiamo ora parlando, ed è questo che tu ora provi-
-Sono d’accordo con te, diceva Tom. Ma devo anche ripetere, come dicevo poco fa a Iorgos, che il condividere questo sentimento con altri non mi toglie il dolore e l’infelicità che provo per questa separazione
-Se tu, intervenne Raniero, ti lasci invadere dalla nostalgia e ti affliggi per la separazione, sembri dare un giudizio puramente negativo della situazione e dunque un giudizio che ti procura infelicità. A che ti serve?
-Non è qui il punto, ribatté Iorgos. Io semplicemente mi do il diritto di provare ciò che provo e di comunicarvelo. Se anche voi provate la stessa cosa, ciò mi rende più sopportabile l’infelicità della separazione. Io penso cioè che il poter condividere con altri i propri sentimenti sia utile e importante
-Guarda che se ci pensi bene, disse Raniero, anche i sentimenti sono dei giudizi
-In che senso? chiese Iorgos-
-Quelli che tu chiami sentimenti, spiegò Raniero, sono giudizi perché possono sempre essere tradotti così: “Stare con queste persone mi piace”. Se il giudizio fosse diverso e fosse del tipo “Stare con queste persone non mi piace”, ecco che tu lo chiameresti un sentimento di avversione e non proveresti infelicità per la separazione
-Mi sembra, insorse Tom, una gran banalità! Mi stai dicendo semplicemente che se la situazione fosse diversa il mio sentimento sarebbe diverso. E allora?…
-Va benissimo quello che tu dici, rispose con calma Raniero. È un’ovvietà, ma l’importante è che tu ammetta che i sentimenti sono dei giudizi, che “tu” sei i tuoi giudizi e che essi sono in tuo esclusivo potere.Soltanto tu puoi cambiarli. Nessun altro può farlo al posto tuo, né tu puoi chiedere a qualcun altro di farlo per te: tu sei libero nei tuoi giudizi
-Quindi, continuò Iorgos, dovrei modificare il mio giudizio sulla situazione e dire che non me ne importa niente che i miei amici siano partiti? In questo modo potrei evitare di starci male, vuoi dire questo?
-Dei nostri giudizi la natura ha fatto padroni noi e soltanto noi, rispose Raniero. Quando si parla di sentimenti come se fossero entità indipendenti dai nostri giudizi, si corre il rischio di credere che i sentimenti siano padroni di noi e non noi dei nostri sentimenti. Se davvero i sentimenti fossero padroni di noi e tu fossi una persona conseguente, questa separazione dovrebbe trascinarti a decisioni estreme. Questo dovresti fare: suicidarti per l’infelicità che ti dà la separazione, come fece Didone quando Enea la abbandonò. Se questi vostri amici non fossero soltanto partiti ma fossero già adesso morti in un incidente e tu non potessi vederli mai più, cosa faresti? Per essere coerente, visto che loro sono davvero un bene per te, che la sottrazione di quel bene è per te un male che ti rende infelice e che tu non puoi vivere se non hai quel bene che la loro partenza ti ha tolto, dovresti appunto suicidarti
-Quello che tu dici mi pare esagerato, replicò Iorgos. Nella vita di una persona non ci sono soltanto gli amici ma molte altre cose. Dunque perché suicidarmi? Io sono semplicemente triste
-Vedi, gli rispose Raniero, che tu fai -senza rendertene conto- queste operazioni: in primo luogo frammenti il bene in tanti beni diversi quante sono le persone o gli oggetti esterni che giudichi importanti per te. In secondo luogo giudichi di avere su di essi un potere per cui il loro possesso ti procura felicità e la loro perdita infelicità. In terzo luogo decidi tacitamente che non ve ne sia però mai uno decisivo e che quindi, per scegliere di suicidarti, dovrebbero esserti tolte tutte insieme queste persone e tutti questi oggetti esterni. Ma queste persone e questi oggetti -se ci ragioni bene-non ti appartengono, perché sono persone e oggetti fuori di te, sono cioè -come abbiamo già detto- entità aproairetiche sulle quali tu non hai alcun potere esclusivo. Tu ti comporti, insomma, come chi crede che si possa morire annegati soltanto in mare aperto e profondo mentre dimostri che per annegare te bastano due dita d’acqua
-Si, intervenne Maria, sarà così; ma questo non toglie che io provi infelicità nella separazione
-Questo accade, continuò Raniero, perché tu equipari la separazione a una perdita e dai ad essa un valore soltanto negativo. Invece i tuoi amici sono per te, in quanto esterni a te, né bene né male e dunque la separazione da loro non è la separazione da un bene ma da qualcosa che è né bene né male
-Vuoi dire, disse Maria, che tutto ciò che è esterno non vale nulla e conta solo ciò che sono io? Mi sembra una posizione molto egocentrica e mi convince assai poco
-Sono allibito, rispose Raniero. Se tu togli a tutto ciò che è esterno la qualità di essere bene o male, vuol forse dire che con ciò tu togli importanza a ciò che è esterno? Se una cosa è né bene né male vuol forse dire che non continua a rimanere fredda o calda, colore o incolore, pesante o leggera, dolce o salata e, nel caso di una persona, avvenente o ripugnante, alta o bassa, maschio o femmina, triste o gaia, felice o infelice e tutte le altre infinite possibili determinazioni che la specificano e caratterizzano?
-Quando tu dici, riprese Irene, che una persona è né bene né male a me sembra che tu dica che non vale niente, ed è questo che mi turba. Il fatto è che nella nostra cultura le parole ‘bene’ e ‘male’ sono strettamente connesse al valore ed è ciò che crea l’equivoco e la difficoltà di comprensione di ciò che tu dici
-Tutto ciò che è esterno a noi (persone, cose, situazioni, ecc.) è né bene né male, rispose Raniero. Bene e male stanno soltanto nell’uso che ne facciamo, e questo uso è in nostro esclusivo potere. Per esempio. I pezzi degli scacchi non sono né bene né male: sono i pezzi degli scacchi. Il buon giocatore saprà però usarli nel modo corretto e vincerà la partita; il cattivo giocatore la perderà. In questo non c’è un giudizio di valore sugli scacchi in quanto tali ma soltanto sul loro uso. La nave è né bene né male e tu dici che non esiste o che non vale nulla? Il buon pilota la sa portare in porto anche con un mare agitato, il cattivo pilota la farà affondare 
-Ho capito, disse Tom. Tutto ciò che è esterno è né bene né male mentre bene e male stanno soltanto nell’uso che noi facciamo di ciò che è esterno a noi
-Sì, è così; annuì Raniero. Tu conservi intatta la facoltà di giudicare piacevole, desiderabile e utile la presenza dei tuoi amici partiti, giacché questo è un giudizio che dipende esclusivamente da te. Ma la separazione, al contrario, non dipende esclusivamente da te. Su di essa tu hai il tuo giudizio: ma perché questo è sempre negativo e causa di infelicità per te? Ciò che ti fa soffrire è, in realtà, la paura di soffrire-
-Forse tu hai davvero ragione, mormorò con profonda concentrazione Iorgos. Ma cosa possiamo fare di diverso?
-Puoi fare un’altra scelta, sospirò Raniero, e considerare la separazione da un altro punto di vista. Sei libero di formulare altri giudizi. Per esempio che la separazione renderà più gradevole il ritrovarsi; oppure che la separazione è necessaria e che produrrà qualcosa di nuovo; e così via. Allora la diairesi in atto, modificando i tuoi giudizi cambierà anche i tuoi sentimenti. Se togli valore di bene e di male a ciò che è aproairetico perché ne trai la conseguenza che non potrai più mostrare sentimenti? Accetta di provare questo “languore”, non resistergli, non temere la separazione, non avere paura di provare qualcosa che immagini ti possa schiacciare mentre puoi sperimentare di essergli superiore
-Io per esempio, disse Penelopi, quando provo un dolore lo censuro; penso ad altro e mi metto a fare un sacco di cose perché non mi va di stare male. Non faccio come dici tu, non accetto il dolore e vado altrove
-Io invece, spiegò Muriel, quando provo dolore non ho più voglia di fare nulla. Nulla più mi pare interessante e tutto mi sembra negativo. Entro insomma in una bella depressione in cui nulla ha più valore per me e comincio a pensare che io stessa non ho alcun valore, altrimenti non ci sarebbe stata separazione. Questo mi capita soprattutto se la separazione è la fine di una storia sentimentale!
-Quando dici, riprese Raniero, che sei colpevole della separazione e che non vali per questo, tu implicitamente giudichi che la separazione è qualcosa -anche se in negativo- in tuo esclusivo potere e che sei stata soltanto tu a causarla: dunque sei anche origine della tua stessa afflizione. Vedi che se tu giudicassi che la separazione non è dipesa esclusivamente da te, già eviteresti di entrare in quel circolo vizioso che hai descritto e che ti costringe a vivere oltre che la separazione anche la depressione
-Io invece, intervenne Sofia, trovo che sia importante stare nella situazione anche se di nostalgia o di infelicità e accettarla, come diceva Raniero, in modo da integrarla. Se la rifiuti o la demonizzi diventa sempre più grande; se la accetti e non te ne fai dominare puoi essere felice anche nel crepuscolo!
-Ma scusa, protestò Iorgos, non puoi dirmi che puoi essere felice e infelice nello stesso tempo…
-Hai fatto bene a dire questo, intervenne Raniero, perché se si usano termini contraddittori non si capisce più niente. Quindi non chiameremo mai infelicità tutta la gamma di teneri, delicati, nostalgici sentimenti di chi ha appreso ad usare correttamente la sua proairesi e a non impiegare alcun giudizio senza averlo prima ben analizzato. Come essere dunque affettuosi? Da uomini liberi, da uomini fortunati. Giacché la nostra ragione non sceglierà mai che noi siamo servi nell’animo, né di svigorirci né di farci penzolare da questo o da quest’altro. Noi possiamo dunque essere affettuosi così, con l’intenzione di serbare questo. Se invece a causa dell’affettuosità, qualunque cosa sia quello che chiamiamo affettuosità, stiamo per essere servi e meschini, non ci è vantaggioso essere affettuosi
-No, scusa, disse Irene; stai forse dicendo che per non rischiare di essere dipendenti o meschini o servi sia meglio non essere affettuosi per niente?
-Io sto dicendo, rispose Raniero, che la tua presenza mi è cara, anche necessaria; ma se tu parti io, pur provando il senso della mancanza, la nostalgia o il languore che segue a una separazione, saprò vivere la tua assenza da uomo libero, da uomo che non si fa travolgere da sentimenti legati ad eventi che non sono in suo potere
-Mi sembra, disse Muriel, che tu in questo modo subisci passivamente le scelte altrui
-Io posso anche cercare di condizionare le scelte di Irene in modo da facilitare od ostacolare una scelta che non mi piace, ma certamente non è in mio potere far sì che lei scelga ciò che io preferisco. Dunque io non tolgo significato al sentimento di tristezza, languore o nostalgia che segue ad una separazione. Possiamo definire questi sentimenti come sentimenti improvvisi e di breve durata. Ma io non perdo di vista il fatto che questi sentimenti non mi possono travolgere essendo essi stessi eventi aproairetici, ossia eventi che non sono in mio esclusivo potere. A questo punto quel che posso e devo fare è mettere in atto la diairesi, analizzarli alla luce del fatto che essi non sono in mio esclusivo potere ed aprire la porta ai sentimenti stabili, di lunga durata, che ora sappiamo essere in realtà giudizi. Questo è ciò che dipende esclusivamente da me. Sono quindi io che scelgo di stare molto male o un po’ male o addirittura abbastanza bene!
-Io che mi sono separato da mia moglie l’anno scorso, intervenne Dimitri, non riesco proprio ad accettare questa separazione. Vado cercando continuamente tracce sotto forma di lettere, di fotografie, di persone che mi ricordino mia moglie, in modo da sentirmi come ero prima
-Il giudizio che tu hai su tua moglie, disse Penelopi, è che ella era sicuramente per te un bene, essendo separato dal quale tu vivi infelicemente. Cerchi così di ricostituire quella situazione che era buona per te, ma ormai non è più possibile: che cosa intendi fare?-
-Io rinuncio, sospirò Dimitri, a vivere nuove cose e voglio stare solo nel ricordo di ciò che era un bene per me
-Nessuno al mondo, annuì Raniero, potrà convincerti del contrario e io ritengo che sia un peccato perdere un amico come te, che sceglie di vivere solo. È un peccato perdere la tua compagnia, la possibilità di confrontarci e di discutere insieme. Ma se tu lo decidi, noi non possiamo farci niente anche se ci dispiace. Tu, caro Dimitri, mandi in malora un uomo, cioè te stesso, che non ha commesso alcuna ingiustizia
-Io invece, intervenne Irene, ho fatto l’esperienza della diairesi in atto, di quello che tu hai chiamato il cambiamento del giudizio sulla separazione. Per me la separazione non è soltanto negativa e fonte di dispiacere anche se, ovviamente,questo sentimento non mi è sconosciuto.La vivo anche come un momento che mi consente di vedere con più lucidità ciò che ho vissuto e di provare sentimenti di gratitudine per ciò che ho avuto, essendo consapevole che ogni cosa ha un suo inizio e una sua fine. Mi è venuto in mente, e lo penso, che è proprio il contrario di quello che aveva scelto di fare Medea la quale, a causa della sua separazione dolorosa da Giasone, aveva scelto di svalutare e mortificare tutto ciò che c’era stato tra di loro prima-
-Allora mi pare di capire, disse Maria, che tu Raniero non neghi l’esistenza dei sentimenti e la legittimità di provarli. Semplicemente dici che sono riconducibili a giudizi dei quali noi siamo padroni e che bisogna vedere l’uso che se ne fa
-E’ proprio così ed è ovvio, concluse Raniero, che ne farai un uso oppure un altro a seconda del giudizio che ti guida al riguardo. La parola stessa diairesi significa separazione: separazione da che cosa? Separazione dei giudizi di bene o male da qualunque cosa esterna a chi giudica e attribuzione della qualità di essere bene o male soltanto alla nostra proairesi individuale quando essa operi rettamente e, cioè, quando sappia distinguere tra ciò che è in nostro potere e ciò che non lo è, oppure non rettamente quando essa pretenda di avere potere là dove non ce l’ha. A proposito di ciò di cui abbiamo discusso non nego quindi la tristezza della separazione, ma non dimentico che la separazione non dipende esclusivamente da me e nego che il giudizio sulla separazione debba essere sempre causa di infelicità. D’altra parte noi non possiamo fare a meno di interagire con le persone o le cose esterne a noi. Ebbene non dobbiamo avere timore di questi rapporti e non dobbiamo aspettarci da essi alcun male bensì un bene, qualora noi sappiamo, grazie alla capacità di usare la diairesi, tenere fermo il loro valore. Così nessun calciatore disputa sul peso o sulla dimensione del pallone ma l’abilità di ciascuno si dimostra nella capacità di usare un oggetto che è uguale per tutti. Non dipende da noi com’è il pallone ma dipende da noi superare gli ostacoli, compresa la paura di vincere, e decidere di segnare un goal!                                                   

Era ormai pomeriggio inoltrato ed improvvisamente un borbottio lontano ma inconfondibile annunciò l’imminente arrivo della grande barca blu di Nicola. 
-Chi vuole tornare a Kedros in barca insieme con noi? chiesero Maria e Dimitri. La barca è già in vista e occorre prepararci in fretta
-Il mare è calmo e io torno senz’altro con voi in barca molto volentieri, disse Muriel
-Io ho un grande desiderio di riguardare dalla barca la magnifica costa rocciosa che abbiamo ammirato venendo qui stamattina. Anch’io vengo con voi. E tu Raniero, cosa fai? chiese Irene
-A me piace di più l’idea di camminare. Desidero guardare il mare dall’alto e deliziarmi ancora del profumo dei cespugli di timo e di elicriso che punteggiano l’aspro sentiero che porta fin qui. Ci vediamo più tardi alla taverna di Nikitas per una birra?

Dialogo 4

La Natura delle Cose

Οὐ μὲν οὖν τῇ ἀληθείᾳ, φάναι, ὦ φιλούμενε Ἀγάθων, δύνασαι ἀντιλέγειν, ἐπεὶ Σωκράτει γε οὐδὲν χαλεπόν.

“Mio amato Agatone -replicò allora Socrate- è alla verità che tu non puoi opporre argomenti, giacché a quelli di Socrate non è affatto difficile opporne”

Platone ‘Simposio’ 201D

Il dialogo esamina criticamente il concetto di ‘Natura’ e giunge alla conclusione che il precetto filosofico di ‘vivere secondo natura’ è una tautologia priva di significato, in quanto è comunque impossibile ‘vivere contro natura’. È vero, invece, che gli uomini possono vivere in armonia con la ‘Natura delle cose’ oppure in contrasto con essa. La ‘Natura delle cose’ non è un modello culturale, bensì un canone reale esistente indipendentemente da noi, invariante (come la velocità della luce nel vuoto in Fisica) e valido per tutti gli uomini senza eccezione alcuna.

Addossato ad un muro di pietre e non lontano dal piccolo anfiteatro affacciato sul mare, svetta un gran ginepro secolare e ancora vitalissimo, folto di coccole aulenti. I suoi lunghi, rugosi e pungenti rami inferiori si allargano a raggiera e scendono fino a terra. Potandoli appropriatamente, Raniero è riuscito a ricavare qui uno stupendo gazebo naturale. Nei dopo pranzo estivi, quando il sole riversa sull’isola i suoi lucidi torrenti di calore ed è impossibile qualunque spostamento, è piacevolissimo fare una siesta all’ombra e nella frescura che il gazebo regala.
Muriel ha raccontato che, quel giorno, era stata invitata da Raniero e da Irene a raggiungerli nel tardo pomeriggio. Mentre stava guardando se la lavanda, il geranio, il rosmarino e  la ginestra, che erano state piantate qualche giorno prima, avevano bisogno di acqua, è stata sorpresa dalla improvvisa presenza, alle sue spalle, dei suoi due amici.
-Non vi ho visto arrivare e mi sono un po’ spaventata, ha detto Muriel. Da dove spuntate?
-Abbiamo schiacciato un pisolino sulle brandine collocate sotto il gazebo, ha risposto Irene; e quando ti abbiamo visto arrivare ti siamo venuti incontro. Oggi Raniero mi ha proprio divertito: sai con quale nome ha battezzato il gazebo?
-Non ne ho idea, ha risposto Muriel; ma siccome Raniero scherza spesso, mi aspetto che sia un nome divertente
-Adesso lo chiama “la nostra Cappella Siestina”, ha detto Irene ridendo e guardando con affetto Raniero-
Anche Muriel si è messa a ridere, mentre Raniero si è sforzato di rimanere serio serio finché è stato costretto a coprirsi il viso con le mani per nascondere l’allegria che lo pervadeva.
-Nonostante il vento dei giorni scorsi le piante che avete trapiantato stanno benissimo! ha notato Muriel
-Sì, ha concordato Raniero. Non mi aspettavo tanto successo per chi come noi è, in fondo, ancora un dilettante in queste cose. Adesso però vi propongo di entrare in casa per preparare un buon caffé. Poi, se volete, possiamo riprendere le nostre conversazioni nell’anfiteatro
-Accetto con entusiasmo, ha subito annuito Muriel
-Non fa più così caldo come qualche ora fa, ha detto Irene; e anche il vento si è molto calmato. Sarà magnifico conversare nuovamente insieme
Dopo avere gustato il caffé ed essersi accomodati sui gradini dell’anfiteatro, Muriel si è rivolta a Raniero e gli ha chiesto: 
-Tu parli spesso della natura delle cose. Capire qual è la natura delle cose significa per te essere in  grado di cogliere i dati di una determinata situazione?
-Non tanto i dati, le ha risposto Raniero, che potremmo anche chiamare le rappresentazioni che una persona si  fa di una determinata situazione. Quando io parlo della natura delle cose intendo in primo luogo riferirmi al fatto chedelle cose che sono, alcune sono in nostro esclusivo potere mentre altre non sono in nostro esclusivo potere. La natura delle cosesi sostanzia in una bipartizione fondamentale tra cose che dipendono esclusivamente da noi e cose che non dipendono esclusivamente da noi ossia in cose, come le definisce Epitteto, proairetiche e in cose aproairetiche
-Per chiarezza, puoi farci ancora una volta un esempio delle une e delle altre? ha chiesto Irene
-Ebbene, ha risposto Raniero, in nostro esclusivo potere, e dunque proairetiche, sono: concezione, impulso, desiderio, avversione, assenso e, in una parola, quanto è opera nostra. Non in nostro esclusivo potere, e dunque aproairetiche, sono ad esempio: il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche e, in una parola, quanto non è opera nostra
-Ma questo stoicismo, perché di questo si tratta, ha domandato Muriel, non è una cosa ‘ideologica’? A me sembra che sia soltanto uno dei tanti ‘ismi’ come, per citarne alcuni, l’epicureismo, l’idealismo, il marxismo e così via
-E per di più, ha ribadito a sua volta Irene, non è una cosa del tutto ‘culturale’ ossia una costruzione legata a contingenze storiche e a modelli di civiltà che non hanno affatto valore universale?
-Voi ponete subito e giustamente il problema dell’esistenza stessa di una natura delle cose ossia di qualcosa che possa essere definito come ‘invariante’ e rispetto al quale tutto il resto è relativo. Cominciamo allora dal mondo materiale e dalla fisica. Quando si parla della ‘Teoria della relatività’, ad un certo tipo di persone piace moltissimo ripetere che ‘tutto è relativo’. Questa è naturalmente una sciocchezza, giacché la cosiddetta teoria della relatività non dimostra per nulla come, nel mondo fisico, tutto è relativo. Al contrario, essa è volta ad escludere tutto ciò che è relativo e a giungere ad una sistemazione delle leggi fisiche che sia completamente indipendente dalle condizioni dell’osservatore. Esiste nel mondo fisico almeno una grandezza che sia invariante e rispetto alla quale le altre sono relative?
-Non sapremmo dire, hanno risposto perplesse Irene e Muriel
-La risposta è affermativa, ha spiegato Raniero. Einstein e molti altri fisici con lui hanno dimostrato che questa grandezza esiste e che essa è la velocità di propagazione del campo elettromagnetico nel vuoto o, per dirlo più semplicemente, la velocità della luce. Ora tralasciamo del tutto di interessarci del diluvio di implicazioni e di conseguenze che sono insite in ciò e poniamoci questa semplice domanda: la luce è cosa proairetica o aproairetica?
-Certamente aproairetica, ha risposto con sicurezza Irene
-Allora possiamo concluderne, ha continuato Raniero, che nell’ambito delle cose aproairetiche è legittimo parlare dell’esistenza di una natura delle cose. Questo significa, in altre parole, che è possibile proporre regole che ci permetteranno di interpretare e di prevedere il comportamento di almeno alcuni oggetti materiali
-In effetti, ha convenuto Muriel, fin qui il discorso mi sembra filare liscio
-Chiediamoci adesso se sia possibile parlare dell’esistenza di una natura delle cose anche nell’ambito di ciò che è proairetico. Poniamo la domanda sotto questa forma: è possibile trovare anche qui una grandezza che abbia la stessa importanza e lo stesso significato che ha la velocità della luce nell’ambito di ciò che è aproairetico?
-Mi sembra, ha confessato Irene, una domanda difficilissima, alla quale è impossibile dare una risposta
-Non è così, ha affermato Raniero. La grandezza invariante che ricerchiamo nell’ambito di ciò che è proairetico esiste, la conosciamo tutti e si chiama ‘libertà’
-Ma come, si è stupita Muriel, tu paragoni la velocità della luce alla libertà? La velocità della luce è una grandezza che ha un valore finito e preciso, misurabile. Non puoi parlare della libertà come se fosse una grandezza misurabile
-Capisco la tua perplessità, ha ammesso Raniero, e non intendo entrare in dettagli che neppure io padroneggio. Mi basta che si ammetta che esistono anche grandezze infinite, le quali si prestano ad essere trattate con la stessa semplicità con la quale trattiamo i numeri interi e le grandezze finite. Se è così, siamo autorizzati a credere che esiste una natura delle cose anche nell’ambito di ciò che è proairetico ed a parlare di esso, ossia delle nostre concezioni, impulsi, desideri, avversioni e così via, come aspetti di una stessa grandezza invariante ed infinita che chiameremo ‘libertà’
-Ma che cos’è la libertà di cui parli? ha chiesto Muriel
-Più che di libertà in astratto, preferirei parlare di uomini e donne liberi. Essi sono coloro ‘ai quali tutto accade secondo proairesi’. Coloro, cioè, che non perseguono ciò che non è in loro esclusivo potere come se lo fosse; che sanno fronteggiare qualsiasi evento aproairetico e che da questa prova sanno trarre virtù, bellezza e felicità. Libero è dunque colui che usa la diairesi e che conosce la natura delle cose
-Sai, quell’affermazione che dice che ‘la mia libertà finisce dove inizia la tua’, come si relaziona, secondo te, è intervenuta Irene, con quanto detto sopra?
-Epitteto dice ‘Nessuno può essere padrone della proairesi altrui’. La proairesi non può essere costretta né impedita da null’altro che da se stessa, quindi essa è una grandezza infinita
-Allora vuol dire che uno può fare tutto ciò che vuole?
-Infinità non equivale per nulla ad onnipotenza. Dunque benché infinita, non esistendo alcuna grandezza maggiore di lei, quando ti scontri con un’altra proairesi, lì finisce la tua onnipotenza perché tu non puoi mai, come dicevamo, essere padrone della proairesi altrui. Se la proairesi fosse una grandezza finita, allora la proairesi più grande o più forte sarebbe padrona della proairesi più debole. La proairesi di qualunque persona, invece, non è né più grande né più piccola di un’altra, ma infinita, e può essere condizionata soltanto da se stessa
-Mi rendo conto adesso, ha interrotto Irene con un po’ di tremito nella voce, che quando discutiamo di Proairesi parliamo proprio di questa grandezza e che la definiamo sempre inasservibile e insubordinabile-
-Proprio così, ha concluso Raniero. Ciò che nessuna forza al mondo è capace di asservire e di subordinare può a buon diritto essere definita come una grandezza infinita. Tale è la libertà di ciascuno di noi, di ciascun essere umano. Questa è la risposta che cercavamo alla domanda sull’esistenza di una natura delle cose nel campo di ciò che è proairetico
-Ma scusa, ha protestato Muriel, tu dimentichi che per subordinare ed asservire un essere umano basta minacciarlo di morte!
-Come dice Epitteto, ha risposto Raniero, non è la minaccia di morte a subordinare e asservire quell’individuo, ma è l’infinita libertà della sua proairesi a giudicare che è meglio per lui fare quanto gli viene richiesto che morire. È sempre il giudizio che costringe il giudizio, ossia la proairesi che costringe se stessa, giacché una grandezza infinita non può essere superata da una grandezza finita
-Ma non hai ancora spiegato, ha detto Muriel, perché non ritieni ‘ideologica’ e ‘culturale’ l’esistenza di una natura delle cose e la loro bipartizione. La difficoltà principale che io vedo in proposito sta nella constatazione che male e bene, felicità e infelicità, bellezza e bruttezza sono giudizi che appartengono soltanto ai singoli individui e che sono forme, per usare la tua terminologia, della loro infinita libertà. Enorme è però la varietà di civiltà, culture, lingue ed individui umani e non vedo proprio come si potrebbe privilegiare un modello definendolo, ad esempio, ‘giusto’ rispetto ad altri che sarebbero invece ‘ingiusti’. È questo che io intendo, quando affermo di averne fin sopra i capelli delle ‘ideologie’ e quando dico che tutti i ‘modelli culturali’ sono relativi-
-Riassumiamo, ha ripreso Raniero, quanto abbiamo detto fin qui. Penso che siamo ormai d’accordo nel sentirci autorizzati a parlare dell’esistenza di una bipartizione delle cose in proairetiche e aproairetiche. Questa bipartizione è un dato né ideologico né culturale: si tratta, credetemi, della semplice e incontrovertibile constatazione empirica di che cosa siamo in grado di fare e di che cosa non siamo in grado di fare. Siamo anche d’accordo nel sentirci autorizzati a parlare dell’esistenza di una natura delle cose aproairetiche, così come ce ne parlano i fisici che le studiano. Come tali, tutte le cose aproairetiche sono deboli, serve, soggette ad impedimenti e costrizioni da parte di ciò che, di volta in volta, assume un valore finito superiore ad esse. Siamo inoltre d’accordo nel sentirci autorizzati a parlare dell’esistenza di una natura delle cose proairetiche, la quale si sostanzia nella infinita libertà della nostra proairesi. La difficoltà che Muriel vede, può essere risolta in questo modo. È fuori di dubbio che male e bene, felicità e infelicità, bellezza e bruttezza e così via sono giudizi che appartengono soltanto ai singoli individui e che sono forme della loro infinita libertà. Poniamoci adesso la domanda cruciale in questa forma: anche se è certo che noi differiamo nel giudicare buone o cattive certe cose, esiste almeno un giudizio o una coppia di giudizi sui quali tutti gli esseri umani non possono non concordare, indipendentemente dalla loro cultura, razza, religione, ideologia, lingua, età, sesso, e quant’altre differenze si possano immaginare? Se la risposta sarà: sì, ecco che avremo trovato il fondamento incrollabile sul quale basare la fiducia nell’esistenza di una natura umana. Se la risposta sarà: no, dovremo concluderne che non esiste una natura umana e che noi saremo eternamente chiusi entro i limiti dell’’ideologia’ e della ‘cultura’, con tutto ciò che ne consegue. Qualcuno di voi ha una risposta o si sente di azzardarne una?
Nel silenzio, si udiva il sibilo delle ali dei grandi gabbiani che sfrecciavano in cielo ed i cui rauchi stridii si mescolavano al frinire inesausto delle cicale. 
-Va bene, ha ripreso Raniero, allora tenterò io di dare una risposta. Esiste una coppia di giudizi sui quali tutti gli esseri umani non possono non concordare, indipendentemente -come dicevo poco fa- dalla loro cultura, razza, religione, ideologia, lingua, età, sesso, e così via. Infatti nessun essere umano, ripeto nessuno, può fare a meno di giudicare bello, felice, buono l’ottenere ciò che desidera e di giudicare brutto, infelice e cattivo l’incappare in ciò che avversa. Questo fonda l’esistenza di una natura umana
-Non capisco, lo ha interrotto Irene, in quale senso la fonda
-La fonda, ha spiegato Raniero, nel senso che la natura umana esiste giacché è tale che ogni essere umano tende ad ottenere per sé ciò che è bello, giusto, buono e così via ed a fuggire da quanto è per lui brutto, ingiusto, cattivo e così via. Dunque siamo autorizzati a definire la natura umana come una natura che tende alla felicità e non al suo contrario
-Non sono d’accordo con te, ha detto Irene. Una mia amica che fa di professione la psicoterapeuta mi racconta di quanto invece le persone che vengono da lei si lamentino di fare continuamente scelte che definiscono ‘sbagliate’ e che le rendono infelici. Esse dichiarano di scegliere continuamente ciò che le fa stare male, in una sorta di coazione a ripetere
-Vedi, ha chiarito Raniero. Apparentemente sembra che queste persone contraddicano quanto ho detto prima, ma in realtà quando scelgono qualcosa che può pure apparire loro ‘negativo’, come per esempio abbuffarsi di cibo per una persona bulimica, la quale sa che non le fa bene mangiare tanto perché poi vomiterà, fanno una scelta che in quel momento è in ogni caso buona per loro perché altrimenti non la farebbero
-Sì è vero, ha commentato Irene. In fondo, la terapia che cos’è se non un percorso che porta a cambiare il proprio giudizio su ciò che è buono per sé e ad accettare di confrontarsi con la realtà per quello che è, senza fuggirla?
-Siamo d’accordo su questo, ha detto Muriel: qualunque individuo desidera per sé il suo bene ed avversa il proprio male, ma è del tutto evidente che la differenza tra  gli individui sta proprio in ciò che ciascuno di essi intende per bene e per male, per giusto e per ingiusto e quindi in ciò che ciascuno di essi desidererà o avverserà per sé concretamente
-Limitiamoci pure, per semplicità, a prendere in esame desiderio e avversione. E’ vero: la differenza tra noi, ha risposto Raniero, sta in ciò che desideriamo o avversiamo e per ciascuno di noi il verbo desiderare e il verbo avversare hanno un senso diverso. Vi ricordate il discorso sulle tre città che facemmo parlando, a suo tempo, della proairesi?
-Sì, lo ricordiamo perfettamente, hanno dichiarato Muriel e Irene
-Ebbene io credo che la chiave per la soluzione del problema stia proprio là. Gli esseri umani desiderano cose diverse, ma sono soltanto due le classi di cose che essi in ogni caso possono desiderare o avversare: cose proairetiche e cose aproairetiche. Questa affermazione è valida sempre e per tutti, giacché non riflette altro che la fondamentale bipartizione delle cose. Dunque di fronte a qualunque desiderio o avversione di qualunque essere umano la sola domanda sensata che dobbiamo porci è questa: questo individuo desidera o avversa qualcosa di proairetico o qualcosa di aproairetico? Limitiamoci, sempre per semplicità, a considerare unicamente il caso del desiderio e dell’avversione e facciamo un esempio. Qualcuno di voi vuole proporne uno?
-Parla del denaro, ha suggerito Muriel
-Ottimo spunto, si è complimentato Raniero. Dunque, questo individuo giudica desiderabile il denaro e lo ritiene essere un bene. Il denaro è ovviamente una cosa aproairetica ed è su di essa che egli pone il suo desiderio
-Così facendo, è intervenuta Irene, egli fa dipendere la propria felicità, ossia il compimento del proprio desiderio, dal possesso di un oggetto aproairetico che non sarà mai, vista la natura delle cose, in suo esclusivo potere. Dunque corre un rischio gravissimo
-Non soltanto, ha ripreso Raniero, tu dici il vero quando affermi che egli corre un rischio gravissimo ma, siccome stiamo facendo il caso di un individuo che sa quello che dice, egli non può non porsi l’obiettivo di possedere tutto il denaro del mondo e per fare ciò egli deve essere disposto, seppure tacitamente, a rubare a più non posso. Se un individuo è serio e per lui il denaro è un bene, egli ‘deve’, per semplice rispetto della non-contraddizione, diventare un ladro. E visto che egli non raggiungerà mai lo scopo della sua vita, che è quello di possedere tutto il denaro del mondo, ecco che il rischio è diventato mortale ed egli si è votato alla perenne infelicità
-Tu però esageri, lo ha interrotto Muriel, quando fai l’esempio di Paperon de’ Paperoni. Comunemente un individuo non desidera possedere tutto il denaro del mondo e si accontenta di molto meno-
-Certo, ha risposto Raniero; ma questo accade semplicemente perché al mondo pullulano da sempre gli individui di mezza tacca, coloro che un po’ desiderano e un po’ non desiderano, che credono di poter dire sì e no allo stesso tempo
-E anche la vita di costoro, ha interloquito Irene, è comunque una galoppata di infelicità. Ma facciamo adesso il caso di un individuo che invece giudica il denaro essere un male e quindi ne avversa il possesso-
-Accetto il suggerimento, ha detto Raniero. Questo individuo giudica il denaro un male e dunque per prima cosa si sbarazzerà di quello che eventualmente possiede
-Questo accenno, ha detto Muriel, mi fa subito venire in mente la storia del poverello di Assisi
-Lasciamo in pace il poverello di Assisi, ha continuato Raniero, e parliamo di un individuo che sa quello che avversa. Qualunque sia il modo in cui si è sbarazzato del denaro in suo possesso, costui farà dipendere la propria felicità dall’avversare il denaro dovunque esso si trovi. Ma egli incappa continuamente in ciò che avversa, e questo fa la sua infelicità, perché interseca senza posa persone che lo usano e che glielo propongono. Si sforzerà allora di convincere gli altri individui a fare come lui, spiegando loro che il denaro è un male.  Ma il suo progetto di sradicare il denaro dal mondo è del tutto insensato poiché contraddice le sue stesse necessità di vita le quali, anche se non coinvolgessero apertamente del denaro ne implicherebbero comunque degli equivalenti. Sapete qual era la battuta che circolava a suo tempo tra coloro che facevano parte del più immediato entourage di Gandhi? La battuta era questa: “E’ inimmaginabile quanto denaro ci costa il mantenere Gandhi povero!” Siccome il nostro individuo è una persona coerente, si troverà dunque ben presto costretto a fuggire da tutti i contatti umani che implicano scambio. Questo equivale ad una fuga dal mondo civile e alla ricerca di una pura, assoluta e totale autarchia. Come si vede, quest’individuo ‘deve’ fuggire e isolarsi. E siccome non trova mai il perfetto isolamento e la perfetta autarchia, non mi stupirei se decidesse di suicidarsi. E qui lo lasciamo
-Insomma, ha concluso Irene, smaniare per avere un qualunque oggetto aproairetico oppure smaniare per non averlo non fa gran differenza. In entrambi i casi mostriamo di non conoscere l’arte di usarlo rettamente per godere serenità ed essere felici
-E’ esattamente così, ha concluso Raniero. Ci rimane da considerare l’ultimo caso ossia il caso dell’individuo per il quale non gli oggetti aproairetici bensì soltanto i nostri giudizi sugli oggetti aproairetici possono essere bene o male. Questo individuo giudicherà che il denaro non è né un bene né un male e si comporterà in conseguenza-
-Intendi dire, ha chiesto Irene, che se avrà molto denaro saprà essere ricco di denaro con dignità e rispetto di sé e degli altri, non dimenticando dove sta la sua vera ricchezza, e che farà altrettanto se sarà povero di denaro?
-E’ esattamente così, ha risposto Raniero. Bene non è il denaro bensì il giudizio che il denaro non è né bene né male. Basta possedere intimamente questo giudizio, farlo proprio, applicarlo nel quotidiano e si è felici e uomini virtuosi. Allo stesso modo si può affermare che male non è il denaro bensì il giudizio che ci fa smaniare per esso come se fosse bene o se fosse male. Chi si nutre del giudizio che il denaro è un bene è infelice e vizioso tanto quanto chi si nutre del giudizio che il denaro è un male
-Proviamo a fare anche un altro esempio, ha proposto Muriel, che non abbia a che fare con il denaro
-Ecco, disse Raniero, un altro esempio che riguarda l’incapacità di riconoscere la natura delle cose e la loro fondamentale bipartizione. Un individuo non può sopportare che altri individui abbiano giudizi diversi dai suoi e, credendo di poter essere padrone della proairesi altrui, cerca in vario modo di imporre i propri. Chiediamoci: i giudizi altrui sono cose proairetiche o aproairetiche? Evidentemente essi sono cose aproairetiche come il denaro di cui parlavamo prima anche se, a differenza del denaro, possiamo ritenerle cose immateriali. Pure in questo caso valgono le conclusioni che abbiamo appena raggiunto. Bene è il giudizio che i giudizi altrui sono, per me, né bene né male. Male è il giudizio che i giudizi altrui siano, per me, bene o siano male. Nel primo caso io sarò tollerante e cercherò di comprendere e di farmi comprendere. Nel secondo caso sarò pronto a farmi adepto di una setta, di un partito, di una religione e mi riterrò obbligato a fare di tutto perché chi non ha i miei giudizi li abbia. Nel tentativo di far cambiare i giudizi altrui, gli infelici e i viziosi di mezza tacca si accontenteranno d’essere volpi ingiuriose e maligne o qualcos’altro ancor più sfortunato e miserabile, ma le scelte di un ‘kamikaze’ che massacra persone a lui del tutto sconosciute sulla base di criteri puramente, questa volta davvero ‘ideologici’ o ‘culturali’, hanno esattamente questa radice
-Che è anche la radice, se non sbaglio, che sottostà a tutte le grandi religioni monoteistiche, ha aggiunto Muriel. Nessuna di esse riconosce la bipartizione fondamentale delle cose e la loro natura. Tutte si dichiarano invece depositarie della ‘Verità rivelata’ e si pongono come scopo quello di ‘salvare’ gli altri portandoli dalla condizione di ‘infedeli’ a quella di ‘fedeli’
-Voglio anch’io, è intervenuta Irene, fare un esempio più vicino all’esperienza di tutti noi. Quando due persone fanno all’amore può succedere che non raggiungano l’orgasmo, tutti e due o una di loro, anche se stanno molto bene insieme. Ci sono due modi di prendere la cosa: il primo, molto diffuso, è quello di pensare che la colpa sia dell’altro; il secondo è quello di sentirsi colpevoli per non essere stati all’altezza della situazione. Questo, come tante altre cose che qui è inutile adesso considerare, deriva dal fatto che uno pensa che raggiungere l’orgasmo sia cosa in proprio esclusivo potere e dunque proairetica. Da questo modo di pensare derivano infelicità, accuse, dissidi o disamoramento. Ma l’orgasmo non è in nostro esclusivo potere, giacché moltissime cose esterne a noi possono condizionarlo. Soltanto il pensare in questo modo ci permette di godere con piacere quello che viviamo e che abbiamo vissuto, i baci, le carezze, la sensualità, e di non distruggere ciò che viviamo perché non abbiamo raggiunto l’orgasmo
-Anche dopo tutti gli esempi fatti, ha aggiunto Muriel, a me rimane sempre il dubbio che una simile posizione di fronte alla vita condanni ad una certa passività: se tutto è aproairetico tranne il giudizio che ne dai, nulla si può cambiare!
-Non è esatto affermare che nulla si può cambiare, ha risposto Raniero. Intanto puoi cambiare i tuoi giudizi, e qualche tempo fa abbiamo già discusso a fondo di ciò, concludendo che non è corretto chiamare ‘attività’ il tentativo di dominare ciò che è aproairetico e chiamare ‘passività’ il progetto di usare rettamente la nostra proairesi. In secondo luogo abbiamo già constatato che nessuno di noi può fare a meno di interagire con le persone e le cose esterne. Ebbene, abbiamo chiarito che non dobbiamo avere alcun timore di questi rapporti con tutto ciò che è aproairetico e che non dobbiamo aspettarci da essi alcun male bensì un bene, qualora noi sappiamo, grazie alla capacità di usare la diairesi, tenere fermo il loro valore. In terzo luogo, l’imparare ad usare correttamente la diairesi è indispensabile per riconoscere la natura delle cose e la loro fondamentale bipartizione. Allo stesso modo, imparare ad usare correttamente l’antidiairesi è del tutto doveroso al fine di non usare i normali materiali dell’esistenza con trascuratezza, con avventatezza e con negligenza. Ricordiamoci che tutte le cose aproairetiche ci sono indifferenti ma che il nostro uso di esse non è affatto indifferente e deve essere caratterizzato da cura, diligenza ed attenzione estrema
-Io avrei voglia di un altro caffé, ha interrotto Irene. Quello che abbiamo bevuto era così buono… Non ti pare, Muriel?
-Sono d’accordo per un secondo caffé, ha risposto Muriel. Se mi offrite anche qualche tavoletta di cioccolato, che qui da voi non manca mai…
-Anch’io bevo volentieri un caffé e direi di sospendere per oggi la nostra conversazione, ha detto Raniero. Potremmo rivederci qui tra qualche giorno. Avrei da raccontarvi una storia, se avrete ancora voglia di sentirla, a proposito di un certo Gige.

Dialogo 5

Gige: Diairesi e Controdiairesi, Bene e Male

Οὐ μὲν οὖν τῇ ἀληθείᾳ, φάναι, ὦ φιλούμενε Ἀγάθων, δύνασαι ἀντιλέγειν, ἐπεὶ Σωκράτει γε οὐδὲν χαλεπόν.

“Mio amato Agatone -replicò allora Socrate- è alla verità che tu non puoi opporre argomenti, giacché a quelli di Socrate non è affatto difficile opporne”

Platone ‘Simposio’ 201D

Il dialogo riferisce le vicende di Gige come ci sono raccontate nell’opera di Erodoto. L’analisi approfondita di queste vicende permette di vedere con tutta chiarezza che Bene e Male esistono e cosa sono.

Dopo qualche giorno Muriel, Irene e Raniero si sono ritrovati nel piccolo anfiteatro ed hanno ripreso le loro conversazioni.
-Qualche tempo fa, ha esordito Raniero, rileggevo alcuni capitoli del primo libro delle ‘Storie’ di Erodoto e sono capitato là dove si parla di Gige. Le vicissitudini di Gige ruotano intorno a delle scelte e la vicenda in cui egli è coinvolto mi sembra un ottimo esempio per capire che cosa sono e dove stanno il ‘bene’ e il ‘male’ e che cosa si debba intendere per corretto uso della proairesi
-Non ho mai sentito parlare di questa storia e volentieri la ascolto, ha detto Muriel
-Anche a me il nome di Gige suona del tutto nuovo e mi piacerebbe molto saperne di più, ha aggiunto Irene
-Ecco dunque la storia, ha proseguito Raniero, così come la racconta Erodoto.

*Candaule, re della Lidia, era innamorato della sua sposa e, innamorato com’era, riteneva di possedere la donna di molto più bella di tutte. Poiché aveva questa opinione e fra le guardie del corpo Gige, figlio di Daskylos, era a lui particolarmente caro, Candaule gli confidava anche i più importanti dei suoi affari e gli parlò perfino della bellezza della moglie, lodandola oltre misura. Un giorno il re fece a Gige questo discorso: ”Gige, io penso che tu non mi presti fede quando ti parlo della bellezza della mia sposa. Fa dunque in modo di vederla nuda”. Al che Gige replicò con voce concitata: “Signore, qual mai insano discorso fai tu, invitandomi a guardare la mia sovrana nuda? Con lo spogliarsi delle vesti la donna si spoglia anche del  pudore. Da molto tempo gli uomini hanno trovato buoni precetti dai quali bisogna imparare, ed uno di essi è questo: che ognuno abbia cura delle cose sue. Io sono persuaso che la regina sia la più bella di tutte le donne e ti prego di non chiedermi cose che sono contro ogni legge”. Egli dunque così dicendo si schermiva, temendo gliene potesse venire qualche male. Ma Candaule rispose: “Rassicurati, Gige, e non temere né di me, che io ti faccia qualche proposta per metterti alla prova; né di mia moglie, che tu riceva da lei qualche danno; perché farò in modo che essa non sappia neppure di essere stata vista da te. Io ti collocherò nella camera in cui dormiamo, dietro la porta lasciata aperta. Dopo che io sarò entrato, subito anche la mia sposa verrà a coricarsi. Accanto all’ingresso c’è uno sgabello: su questo essa riporrà le vesti, spogliandosene ad una ad una, e con tutta calma tu potrai contemplarla. Poi, quando ella si dirigerà dallo sgabello al letto e tu verrai a trovarti alle sua spalle, fai attenzione allora di non essere visto mentre esci dalla porta”. Così Gige, dal momento che non  poteva esimersi, era pronto ad ubbidire. Candaule, quando gli parve che fosse l’ora di coricarsi, lo condusse nella camera, e poi subito comparve anche la moglie e mentre essa, entrata, deponeva gli abiti, Gige la osservava. Quando poi si trovò alle spalle della donna che si dirigeva verso il letto, di soppiatto uscì fuori. La donna lo scorse mentre usciva ma, avendo compreso ciò che il marito aveva fatto, non gridò di vergogna e fece finta di non essersi accorta di nulla, avendo in mente di vendicarsi di Candaule. Presso i Lidi infatti, come in genere anche presso gli altri barbari, è causa di grande disonore, anche per  un uomo, l’essere visto nudo. Per il momento dunque la regina se ne stette tranquilla, senza far mostra di nulla. Ma appena venne giorno, avvertiti quei servi che ella sapeva esserle più fedeli, mandò a chiamare Gige. Quello, credendo che non sapesse nulla dell’accaduto, accolse l’invito, giacché anche prima soleva fare visita alla sovrana quando ella lo chiamava. Appena Gige fu giunto, la donna gli disse: “Ora, Gige, di due strade che ti sono davanti ti lascio scegliere per quale tu voglia dirigerti. O, ucciso Candaule, ti prendi me e il regno di Lidia oppure conviene che tu stesso muoia, affinché per l’avvenire tu non abbia a vedere, obbedendo in tutto a Candaule, ciò che non devi vedere. Orsù dunque, bisogna che perisca o lui, che ha ordito questo tranello, o tu, che mi hai vista nuda e hai commesso un’azione non lecita”. Gige dapprima rimase sbalordito davanti a questo discorso, ma poi supplicò la regina di non costringerlo ad una simile scelta. Non riuscì però a persuaderla e si vide realmente nella necessità o di uccidere il suo signore o di perire egli stesso per mano altrui. Scelse di sopravvivere e le domandò: ”Poiché mi costringi a uccidere il mio signore contro la mia volontà, suvvia, ch’io sappia il modo in cui lo assaliremo”. La regina rispose: ”L’attacco avverrà nello stesso luogo in cui lui mostrò me nuda, e lo assaliremo mentre dorme”. Così tramarono l’insidia e, venuta la notte, Gige -poiché non veniva lasciato libero né aveva alcuna via di scampo, ma era necessario che o lui o Candaule perisse- seguì nella camera da letto la donna la quale, datogli un pugnale, lo nascose dietro la stessa porta. Più tardi, mentre Candaule dormiva, Gige uscì dal nascondiglio, lo uccise ed ebbe la donna e il regno.* 

-Che ve ne pare?
-Una storia davvero interessante, disse Irene
-A me piacerebbe che la esaminassimo, propose Raniero, entrando nella testa dei tre personaggi e vedendo cosa succede nella loro proairesi. Se anche voi credete che ne valga la pena, possiamo tentare di procedere accontentandoci di un pur sommario esame. Visto che noi siamo in tre e i personaggi in questione sono tre, potremmo affidarne uno a ciascuno di noi
 -Io sono d’accordo, disse piuttosto eccitata Irene. Propongo che Raniero sia il primo, perché così potrà anche darci una utile traccia, e che ci parli di Candaule. Che Muriel ci parli della regina e che io, per ultima, parli di Gige. Vi va?
-Uauh! sbottò Muriel, Irene mi mette davanti ad una prova che mi fa venire la tremarella, ma non mi tirerò indietro e farò del mio meglio per essere all’altezza della situazione
-Allora comincio io, disse rassicurante Raniero. Non siamo davanti ad una commissione d’esame. Noi cerchiamo soltanto di capire meglio certe cose e ci daremo una mano vicendevolmente. Dunque, diamo per scontato che la regina fosse davvero la più venusta di tutte le donne. Diamo parimenti per scontato che tutti i sudditi fossero sinceramente convinti di ciò, Gige compreso
-Gia! disse Irene; allora perché Candaule interroga Gige?
-Lo interroga, rispose Raniero, perché il re è evidentemente un individuo che non sopporta neppure il dubbio che altre persone abbiano giudizi diversi dai suoi, in quanto ritiene ciò un ‘male’ per lui. Dubitando di Gige, Candaule decide di convincerlo che effettivamente sua moglie è di gran lunga la più venusta di tutte le donne. Per raggiungere questo scopo egli progetta di mostrare a Gige la regina nella sua sontuosa nudità, giudicando che questa sarebbe una visione capace di far confessare a Gige la verità. Il progetto che Candaule deve mettere in opera a questo fine è assai rischioso, poiché egli sa perfettamente che Gige deve ‘vedere ma non essere visto’ dalla regina la quale, se scoprisse il tranello e sapesse di essere stata vista nuda da un estraneo, si vendicherebbe dell’oltraggio. Tuttavia Candaule giudica più nefasto per lui il dubbio che ha sui giudizi di Gige che non l’eventuale vendetta della moglie. Gige, dunque, ha modo di contemplare la sua regina nuda e, possiamo tranquillamente esserne certi, giura e spergiura poi a Candaule di essere ora affatto persuaso che la regina sia la donna più bella di tutte. Il progetto del re sembra essersi realizzato alla perfezione. Candaule è felice e si sente ‘bene’ perché ha ottenuto ciò che desiderava. Gige è felice e si sente ‘bene’ perché ha ottenuto ciò che desiderava. La realtà è invece che né Candaule né Gige sanno come stiano in effetti le cose. Vediamo allora come e perché è così. Noi possediamo ormai gli strumenti per esaminare il personaggio Candaule per quanto riguarda l’aspetto ‘proairetico/aproairetico’ e per quanto riguarda l’aspetto ‘bene/male’. Cominciamo dall’aspetto ‘proairetico/aproairetico’. La prima domanda che io mi pongo è questa: il giudizio di Gige sulla venustà della moglie di Candaule è cosa proairetica o aproairetica? Mi rispondo -e se non siete d’accordo interrompetemi- così: proairetica per Gige ma aproairetica per chiunque altro, Candaule compreso. Adesso mi chiedo: sappiamo cosa pensa Candaule al riguardo? Certamente, poiché ce lo dice egli stesso. Egli pensa che il giudizio di Gige sia cosa che deve essere in esclusivo potere suo, di Candaule, ossia proairetica; e non sopportando il dubbio di non dominare la proairesi di Gige, mette in opera il progetto che sappiamo. Insomma il pensiero di re Candaule si potrebbe riassumere così: ‘Io sono il re e la proairesi dei miei sudditi è cosa mia!’ Il progetto che Candaule elabora per dominare la proairesi di Gige può essere suddiviso in due elementi. Il primo è la concezione del progetto, il secondo è la realizzazione del progetto. E noi sappiamo già che la concezione di un progetto è cosa proairetica mentre la sua realizzazione è cosa aproairetica. Adesso mi pongo la terza domanda: Candaule pensa che la realizzazione del suo progetto sia cosa proairetica o aproairetica? Certamente proairetica, poiché ce lo dice il suo comportamento. Candaule è certo, senza riserve, che Gige vedrà senza essere visto. Il pensiero di Candaule in proposito si potrebbe riassumere così: ‘Il re propone e il re dispone!’ Esaminiamo ora il personaggio Candaule sotto l’aspetto ‘bene/male’. Noi sappiamo che nulla di aproairetico può mai essere ‘bene’ o ‘male’ e che ‘bene’ è soltanto il giudizio di una retta proairesi, ‘male’ il giudizio di una proairesi che opera non rettamente. Dunque noi sappiamo che ‘bene’ è il giudizio: ‘il giudizio altrui non è né bene né male’. Sappiamo anche che ‘male’ sono i due giudizi: ‘il giudizio altrui è bene’ e ‘il giudizio altrui è male’. Cosa pensa Candaule al riguardo? Basta, anche qui badare alle sue parole e osservare il suo comportamento. Il re pensa che il giudizio di Gige sulla venustà della regina è ‘male’ se è differente dal suo, di Candaule. Successivamente cade dalla padella nella brace: infatti pensa che il giudizio di Gige sulla venustà della regina è ‘bene’ poiché è diventato uguale al suo. Riassumiamo. Candaule in almeno due casi erra perché giudica proairetico ciò che per natura delle cose noi sappiamo invece essere aproairetico. Inoltre Candaule è nel ‘male’ perché ha almeno una coppia di giudizi che noi sappiamo essere la forma che prende una proairesi che non opera rettamente. Cosa diremo a Candaule? Gli diremo: ‘Fermati, Candaule, fermati! Quello che tu credi amore, quella che tu credi felicità e ‘star bene’ poggia su fondamenta errate, irrispettose della natura delle cose. Fermati e cambia i tuoi giudizi. Soltanto usando la Diairesi potrai sfuggire la tragica catena di errore, vizio, infelicità che già vediamo stretta intorno alla tua gola!’

-Adesso tocca a me, disse con un po’ di timore Muriel. Parlando della regina io però mi limito, se siete d’accordo, soltanto all’aspetto ‘bene/male’
-È più che sufficiente questo, annuirono Irene e Raniero
-Noi sappiamo già, proseguì allora Muriel, che ‘bene’ è il giudizio: ‘L’essere vista nuda da altri occhi non è né bene né male’. Sappiamo anche che ‘male’ è la coppia di giudizi: ‘L’essere vista nuda da altri occhi è bene’ e ‘L’essere vista nuda da altri occhi è male’. Quali sono i giudizi della regina? A parere mio è fuori di dubbio che i giudizi della regina sono i seguenti: ‘L’essere vista nuda da Candaule è bene’ e ‘L’essere vista nuda da Gige è male’. Ella giudica che lo sguardo di Candaule abbia il potere di cingerla del ‘bene’ mentre pensa che quello di Gige abbia avuto il potere di metterla nella vergogna, in una condizione di ‘male’ insopportabile. L’oltraggio è stato talmente grave da meritare una vendetta. Né Candaule né Gige sanno che la regina ha scorto quest’ultimo mentre usciva dalla camera da letto ed ella, mentre Candaule la abbraccia e la penetra, ragiona così: ‘Io sono la regina e l’essere vista nuda dal mio sposo Candaule è per me ‘bene’. Ma ora io so che anche Gige mi ha vista nuda e questo è per me ‘male’. Gige non avrebbe mai potuto vedermi nuda se non fosse stato autorizzato e forse istigato a ciò da Candaule. Dunque Candaule mi ha tradito ed è innanzitutto su di lui che debbo vendicarmi. Ma anche Gige, il quale obbedisce in tutto a Candaule, merita di morire affinché per l’avvenire non abbia a vedere ciò che non deve vedere. Io farò dunque perire o l’uno o l’altro, così da poter tornare ad essere cinta di ‘bene’ e di nuovo dire a me stessa: ‘L’essere vista nuda da X è per me bene’. A questo punto la regina opera sull’anello più debole e progetta di mettere Gige contro Candaule. Chiamato Gige, lo pone di fronte all’alternativa di morire o di uccidere il re. La proairesi della regina ha concepito non una fantasticheria ma un vero progetto omicida. Sappiamo che questa concezione è proairetica e che ‘bene’ e ‘male’ sono caratteristiche unicamente di ciò che è proairetico. Consentitemi di trascurare l’analisi della realizzazione del progetto omicida della regina -che andrà ad effetto attraverso la mano di Gige armata da lei-, la presa del potere da parte di Gige e le nuove nozze della regina con Gige. Salto direttamente alla domanda: la concezione di questo progetto omicida da parte della regina è ‘bene’ o è ‘male’? Giunti a questo passaggio io so di avere una risposta ma non so come giustificarla. Ho bisogno che tu Raniero mi dia una mano per chiarire questo punto. Infatti se ‘bene’ e ‘male’ sono caratteristiche unicamente di ciò che è proairetico, se essi non sono altro che atteggiamenti diversi della proairesi, quando possiamo dire che quel certo modo della proairesi è ‘bene’ e che quell’altro modo della proairesi è ‘male’? Oppure, detto in termini leggermente diversi: quando potremo dire che quella certa concezione della proairesi è ‘bene’ e che quell’altra concezione della proairesi è ‘male’?

-Ti ringrazio, rispose Raniero, della fiducia che mi dai e proverò a darti una risposta. Io mi pongo questa domanda: tutto ciò che è proairetico e dunque in nostro esclusivo potere è forse ‘bene’? Qualunque nostra concezione, impulso, desiderio, avversione, assenso e così via sono ‘bene’ per il semplice fatto di essere cose proairetiche? Certamente no, poiché noi sappiamo che possono anche essere ‘male’, mentre nulla di aproairetico può essere ‘bene’ o ‘male’. Quando, dunque definiremo una nostra concezione, impulso, desiderio, avversione, assenso e così via ‘bene’ e quando la definiremo ‘male’? Il problema è serio, perché anche in questo caso abbiamo bisogno di trovare un canone, un criterio che abbia la caratteristica di essere ‘invariante’ ossia di non risentire di qualunque differenza di ideologia, cultura, razza, religione, lingua, età, sesso, e così via tra gli esseri umani. Vi ricordate di quando abbiamo concluso che esiste una natura delle cose anche nell’ambito di ciò che è proairetico e che le nostre concezioni, desideri, assensi e così via sono aspetti di una stessa grandezza invariante ed infinita che abbiamo chiamato ‘libertà’? La nostra proairesi è questa grandezza invariante ed infinita e come tale essa è per natura delle cose libera, inasservibile e insubordinabile. Qual è dunque il canone che cerchiamo? Io penso che la risposta può essere formulata in questi termini: “La proairesi è nel ‘bene’ quando mantiene se stessa libera, inasservibile e insubordinabile. La proairesi è nel ‘male’ quando non mantiene se stessa libera, inasservibile e insubordinabile”. La proairesi è una grandezza infinita e nulla di finito può esserle superiore, dunque nulla di aproairetico può limitarla. Essa soltanto può scegliere di travestirsi e di apparire schiava, serva, subordinata. La proairesi è nel ‘male’ quando opera su se stessa questo pervertimento, e propongo di chiamare questo pervertimento ‘Controdiairesi’. Quando la nostra proairesi controdiairesizza, essa afferma non essere in suo esclusivo potere quanto invece è in suo esclusivo potere per natura delle cose. Quando usa la Controdiairesi, la nostra proairesi si deresponsabilizza e presenta se stessa come condizionata o inferiore a grandezze finite. Diairesi e Controdiairesi appaiono così come fossero i due modi che la proairesi ha di ruotare su se stessa, mentre la realizzazione di ciò che l’una o l’altra decidono è affidata, quand’è il caso, all’Antidiairesi, la quale può essere complementare a tutte e due. Trovato il canone, credo che abbiamo trovato risposta alla domanda che ci eravamo posti e che possiamo così tornare alla regina.

-Caro Raniero, sei impagabile, gli sorrise Muriel. Spero di avere capito bene e di essere ora in grado di portare a termine il mio compito. Noto soltanto, per inciso, che allora i giudici presenti nella proairesi intesa come Tribunale sarebbero tre: Controdiairesi, Diairesi e Antidiairesi. Dunque, sappiamo che Candaule e Gige sono per la regina entità aproairetiche. Se la proairesi della regina concepisce necessaria l’eliminazione di Candaule o di Gige significa che giudica la loro esistenza come una diminuzione della propria libertà. Ma se la proairesi giudica che la sua propria libertà possa essere diminuita da qualcosa di aproairetico non giudica più se stessa come libertà infinita. La proairesi della regina non usa la Diairesi ma la Controdiairesi. La proairesi delle regina ha pervertito se stessa ed è dunque nel ‘male’. Riassumo. Come Candaule anche la regina è nel ‘male’ perché ha almeno una coppia di giudizi che noi sappiamo essere la forma che prende una proairesi incapace di operare rettamente. Per di più la proairesi della regina è nel ‘male’ perché, usando la Controdiairesi, si è pervertita e si nutre di un preciso progetto omicida. Cosa diremo alla regina? Le diremo: ‘Che notte è stata questa per te, regina! D’improvviso sono cadute le ghirlande dai muri della reggia. Fermati, regina, fermati e cambia i tuoi giudizi! Se non usi la Diairesi saranno nozze di sangue quelle che celebrerai e l’infelicità sarà la perenne invitata ai tuoi banchetti.’

-Cara Muriel, disse Irene; altro che tremarella! Mi parevi un libro stampato! Adesso che tocca a me, non so davvero se mi riuscirà la tua precisione e la tua chiarezza. Io devo prendere ora in esame il comportamento di Gige. Gige è ovviamente il più debole dei tre e potrebbe dire: ‘Il re mi ha imposto di vedere la regina nuda ed io non ho potuto rifiutarmi al suo comando. La regina mi ha costretto a fare qualcosa contro la mia volontà ed io non ho potuto rifiutarmi al suo comando’. Vediamo come stanno invece in realtà le cose. Gige viene posto da Candaule di fronte ad una alternativa che riguarda il rispetto o la violazione di una legge. Questa legge, in effetti, si chiamerebbe molto meglio un semplice modello -questa volta sì davvero- ‘culturale’, perché ci troviamo frammezzo a persone che credono essere un grande disonore, anche per un uomo, l’essere visto nudo. La legge in questione, che esclude ovviamente il solo re, si potrebbe riassumere così: ‘Tu non vedrai mai nuda la tua regina’. Raniero ha già esaminato i motivi per cui Candaule presenta a Gige questa alternativa e sappiamo dal racconto di Erodoto che, nonostante le rassicurazioni del re, Gige si viene a trovare in una situazione nella quale non può esimersi di scegliere. Candaule sa bene che sta dicendo a Gige: ‘Viola la legge’ e Gige è pienamente cosciente di ciò. Il comando del re mette dunque Gige nella seguente contraddizione: ‘Ubbidire al re mi è utile (perché continuerò ad ottenerne i favori)’ e ‘Ubbidire al re non mi è utile (perché violo una legge)’. Sappiamo che la contraddizione è insopportabile e che va rapidamente risolta. È chiaro dal racconto di Erodoto che Gige tenderebbe a scegliere di non violare la legge, ma disubbidendo al re egli è certo che ne perderebbe i favori. Gige sa che non violando la legge manterrebbe la sua proairesi libera, inasservita e insubordinata. Ma questo significa disubbidire al re e perderne i favori. Se invece ubbidirà al re e violerà la legge, Gige sa che conserverà i favori del re a costo, però, di controdiairesizzare e quindi di rendere la sua proairesi schiava, asservita e subordinata. Sappiamo cosa sceglie Gige. Avendo in vista non più se stessa ma essendosi infatuata di cose aproairetiche come i favori del re, la proairesi di Gige si è pervertita ed è dunque nel ‘male’. È tanto vero che la proairesi di Gige sta usando la Controdiairesi, che essa si trova nella necessità di giustificare la rinuncia alla sua infinita libertà. Questa giustificazione prende ‘invariabilmente’ per qualunque essere umano appartenente a qualunque cultura, civiltà, sesso, religione, lingua e così via la forma ‘è colpa di un altro’. La proairesi non più libera e padrona di se stessa a causa dell’uso della Controdiairesi, è costretta ‘invariabilmente’ a proiettare fuori di sé la causa della sua perversione in quanto è, almeno temporaneamente, impossibilitata a riconoscersi per quello che è per natura delle cose. Gige dunque dirà che la sua scelta è colpa del re. E cosa diremo noi a Gige? Gli diremo: ‘Fermati, Gige, fermati! A che vile prezzo vendi la tua proairesi! La vendi a prezzo di indigestioni e di ubriachezza. Non usare la Controdiairesi. Cambia i tuoi giudizi, cambiali prima che tu sia costretto a un banchetto di sangue!’. Passano poche ore e Gige si trova per la seconda volta in una situazione, per lui del tutto inattesa, che gli impone una scelta. Questa volta è la regina a proporgliela ed è subito una scelta brutale tra la vita e la morte. Gige entra nella seguente contraddizione: ‘Ubbidire alla regina mi è utile (perché vivrò, avrò la regina e il regno)’ e ‘Ubbidire alla regina non mi è utile (perché diventerò assassino del mio re)’. La contraddizione è insopportabile e va rapidamente risolta. È chiaro dal racconto di Erodoto che Gige tenderebbe a scegliere di non uccidere Candaule, ma questo significherebbe la sua morte. E Gige sceglie di vivere. Dimentichiamo per un momento che la proairesi di Gige è già nel ‘male’ a causa della sua prima Controdiairesi e trascuriamo del tutto l’influenza di questo stato. Non uccidendo il re egli manterrebbe la sua proairesi (ammesso e non concesso che essa fosse nel ‘bene’) libera, inasservita, insubordinata, ma questo significherebbe la sua morte. Uccidendo il re Gige otterrebbe la vita, la regina e il regno a prezzo, però, della perversione della propria proairesi. Sappiamo cosa Gige sceglie e sappiamo anche che egli ne attribuisce la colpa, questa volta, alla regina. Cosa diremo a Gige? Gli diremo: ‘Fermati, Gige, fermati! La tua proairesi è doppiamente nel ‘male’. Cambia i tuoi giudizi, usa la Diairesi e rinuncia al banchetto di sangue. Gige oggi si salva morendo, non uccidendo!’-
Seguì un lunghissimo momento di silenzio.
-Per oggi, disse poi sommessamente Raniero, mi pare che abbiamo esaminato parecchie cose e che sia ora di andare a preparare la cena. Ti fermi con noi a cena, Muriel?
-Ho una gran voglia di un buon bicchiere di retsina, rispose Muriel con gli occhi umidi
-Metteremo il tavolo sul grande terrazzo, mangeremo e poi, disse Irene, aspetteremo di vedere accendersi piano piano nel cielo le stelle.