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Isocrate – A Nicocle

Questa Orazione rivela un notevole grado di familiarità di Isocrate con lo stato delle cose nell’isola di Cipro sotto il regno di Evagora (tra il 411 e il 374 a.C.),  e lascia pertanto ipotizzare che tra i due vi fosse una conoscenza personale. Ed è possibile che questa stretta relazione tra i due sia stata mediata dal generale Ateniese Conone o, più verosimilmente, dal figlio di quest’ultimo, Timoteo, il quale è noto essere stato uno studente di Isocrate. Quando Evagora morì gli successe sul trono il figlio Nicocle. È a lui che Isocrate indirizza questa Orazione, la quale verte sul tema di come un re debba condursi verso i propri sudditi. L’Orazione ha un po’ il tono della lezione formale di un maestro ad un alunno, il che fa pensare che anche Nicocle fosse stato a suo tempo uno studente di Isocrate ad Atene. Come quella indirizzata a Demonico, questa Orazione è un saggio di Etica pratica, nel quale precetti di generica saggezza risultano piuttosto imperfettamente mescolati con vaghi, seppur nobili ed elevati, sentimenti.

Traduzione
di
Franco Scalenghe

Traduzione
di
Giacomo Leopardi

Coloro i quali, o Nicocle, sogliono offrire a voi sovrani delle vesti, oppure bronzo, od oro lavorato, o altri siffatti oggetti di valore dei quali essi hanno scarsità e voi invece abbondanza, pare a me con tutta evidenza che stiano facendo non un donativo bensì un commercio, e che stiano semplicemente trafficando tali oggetti in un modo molto più scaltro di coloro che ammettono di essere dei commercianti. Ho quindi ritenuto che questo potesse essere il più bello, il più proficuo, il più conveniente dono che io potessi farti e tu ricevere da me: l’essere io capace di definire quale sorta di occupazione perseguendo e da cosa astenendoti tu potresti governare nel miglior modo possibile la città e il regno. Molte sono le cose e le circostanze che educano i privati cittadini: in primo luogo il non sguazzare essi nel lusso e l’essere costretti a decidere quotidianamente sul modo di sbarcare il lunario. Poi vengono le leggi alle quali tutti i cittadini sono sottoposti; quindi viene la libertà di parola e dunque la manifesta potestà, tra amici di censurare e tra nemici di attaccare, uno gli errori dell’altro. Oltre a ciò, alcuni poeti dei tempi andati hanno lasciato dei suggerimenti su com’è d’uopo vivere, sicché è verosimile che per tutti questi motivi essi possano diventare migliori. Per i tiranni non esiste nulla di simile, e proprio coloro che avrebbero più bisogno degli altri di essere educati poiché istituiscono se stessi ad un posto di comando, trascorrono tutta la vita privi di ammonimenti. La maggior parte degli uomini, infatti, non si avvicina mai loro, ed i sodali conversano con essi soltanto per ingraziarseli. Perciò, una volta diventati padroni di moltissimo denaro e responsabili di importantissimi affari, il fatto che essi non utilizzino bene le risorse a disposizione ha fatto sì che molti dibattano se sia meglio scegliere la vita di privati cittadini che se la passano convenientemente bene, oppure quella di quanti esercitano un potere regale. Qualora volgano lo sguardo agli onori, alle ricchezze, al potere dinastico, tutti gli uomini ritengono che i capi dei regimi monarchici siano pari a Dei. Ma dacché ponderano le paure e i pericoli, e facendone la disamina vedono quelli mandati in rovina da coloro i quali meno avrebbero dovuto farlo, quelli costretti a compiere azioni aberranti contro i familiari più intimi e quelli ai quali sono accadute entrambe queste cose, tornano di nuovo a ritenere che sia più vantaggioso vivere in un modo qualunque, piuttosto che regnare sull’Asia intera a prezzo di siffatte sventure. 

Causa di questa anomalia e di questo sconcerto è che essi ritengono la carica di re, come quella di sacerdote, essere appannaggio di qualunque uomo, laddove invece di tutte le faccende umane essa è la più importante e quella che abbisogna della massima previdenza. Per ciascuna singola azione regale è compito di coloro che stanno sempre intorno al re quello di consigliargli come si potrebbe soprattutto governare a modo, preservare i propri beni e sfuggire le disgrazie. Ma delle occupazioni regali abituali, di quelle ch’è d’uopo essi abbiano di mira e quelle sulle quali bisogna che essi trascorrano più tempo, proverò io a discorrere in generale. È arduo notare dall’inizio se, a lavoro finito, il regalo sarà degno del progetto che gli sta alla base. Infatti, anche molti poemi in versi e molti trattati in prosa, se quand’erano nell’intelletto dei loro compositori si prestavano a grandi aspettazioni, una volta realizzati e mostrati agli altri ottennero una fama molto inferiore a quella sperata. Nondimeno il ricercare cose omesse da altri e leggi valide per gli Stati monarchici è una buona intrapresa; giacché quanti educano i privati cittadini giovano soltanto ad essi, mentre chi volgesse i signori del popolo alla virtù, recherebbe un guadagno ad entrambi: sia a coloro che godono di un potere dinastico quanto a coloro che sono loro soggetti, poiché renderebbero le cariche di comando più sicure per i primi e i regimi politici più miti per i secondi. 

In primo luogo bisogna dunque analizzare che opera sia quella  dei sovrani. Se, infatti, comprenderemo bene nei suoi punti capitali in cosa consiste il potere regale nel suo complesso, volgendo lo sguardo ad essi parleremo poi meglio anche delle sue particolarità. Tutti ammetterebbero, io credo, che quando lo Stato sia per malasorte in miseria, ai sovrani spetta il farla cessare; quando esso sia per proprio merito prospero, il mantenerlo tale; e se è piccolo, ingrandirlo. Tutte le altre incombenze vanno effettuate giorno per giorno in vista del raggiungimento di questi obiettivi. È invero chiaro che coloro i quali avranno questo potere e delibereranno su faccende di tale importanza, debbono essere né pigri né sciatti; ma individui che considerano il modo di essere più saggi degli altri, giacché è dimostrato che essi avranno regni tali quali saranno le convinzioni che essi stessi si formeranno. Sicché a nessun atleta conviene tanto allenare il corpo quanto conviene ai sovrani allenare l’animo; né tutte le sagre prese insieme propongono anche soltanto una parte dei premi per i quali voi re, giorno dopo giorno, gareggiate. Ponderando queste considerazioni, è d’uopo fare attenzione al fatto che quanto più tu sopravanzi gli altri in cariche ed onori, tanto più dovrai segnalarti superiore ad essi per virtù. Non ritenere, dunque, che la solerzia sia proficua nelle altre faccende e senza alcun valore nel diventare noi persone migliori e più sagge; e non condannare gli uomini ad una malasorte tanto grande da avere noi scoperto, circa le bestie, arti con le quali ne addomestichiamo gli animi e ne aumentiamo il valore; mentre poi, in vista della virtù, saremmo del tutto incapaci di giovare a noi stessi. Convinciti, invece, che l’educazione e la solerzia sono di grande beneficio alla nostra natura. Accostati pertanto ai più assennati di coloro che hai dintorno, e degli altri saggi fa’ di convocare a corte quelli che potrai. Reputa che non ti deve mancare l’esperienza del contatto con nessuno dei poeti e dei sapienti più celebri, e di alcuni di essi diventa uditore, di altri discepolo. Attrezzati, inoltre, per essere giudice delle loro opere minori e competitore delle maggiori, giacché attraverso questo allenamento diventeresti prestissimo tale quale abbiamo ipotizzato che debba essere chi regnerà rettamente e governerà lo Stato com’è d’uopo. Ma l’invito più pressante è quello che ti verrebbe da te stesso, ove ritenessi terribile che i peggiori comandino i migliori e che i più dissennati ingiungano qualcosa ai più saggi, giacché quanto più vigorosamente deprezzerai l’ignoranza altrui tanto più eserciterai il tuo proprio intelletto. Di qui è dunque d’uopo che comincino quanti intendono realizzare qualcosa di positivo; 

ed a questo fine il sovrano deve essere amante degli uomini e dello Stato, giacché è impossibile comandare bene dei cavalli, dei cani, degli uomini o dirigere qualunque altra faccenda se uno non sarà contento dei soggetti dei quali bisogna che si prenda sollecitudine. Abbi a cuore il popolo e in ogni occasione fa’ in modo di comandarlo garbatamente, sapendo che delle oligarchie e degli altri regimi politici, quelli che sopravvivono per più tempo sono quelli che si daranno da fare nel miglior modo possibile a favore del popolo. E guiderai bene il popolo se non permetterai alla folla di commettere oltraggi né tollererai che essa li subisca; se baderai che i migliori abbiano le onorificenze che meritano e che gli altri cittadini non subiscano ingiustizie, giacché questi sono gli elementi primi e fondamentali di un buon regime politico. 

Delle ordinanze e delle pratiche di governo altera e riforma quelle non bene istituite; scoprine quanto più puoi di migliori, e se non ne sei capace imita quelle che danno buoni frutti in altri Stati. Cerca che le leggi nel loro insieme siano giuste, utili e tra di loro coerenti, e inoltre che creino tra i cittadini il minor numero possibile di controversie e ne permettano per essi la risoluzione più rapida possibile, giacché a leggi vigenti buone devono appartenere tutte queste caratteristiche. Disponi le cose in modo che il lavoro sia fonte di guadagno e le liti, invece, di perdite; affinché i cittadini rifuggano queste ultime ed attendano con più ardore al primo. Le sentenze che emetti circa questioni sulle quali sorgano tra i cittadini delle controversie, fa’ che siano prive di favoritismi e non contrarie le une alle altre. Pertanto i tuoi verdetti sulle medesime questioni siano sempre gli stessi, giacché è confacente ed utile che le convinzioni dei sovrani in materia di giustizia siano salde ed inamovibili come lo sono le buone leggi vigenti. 

Amministra lo Stato come la tua patria proprietà: con splendore e regalità nelle provvisioni e con scrupolosa precisione nelle esazioni, in modo da ottenere il plauso dei cittadini ed insieme fare fronte alle spese. Fa’ sfoggio di magnificenza neppur in uno solo di quegli sperperi nei quali subito svanisce il denaro, bensì con le spese prima accennate, con la bellezza di ciò che possiedi, con le beneficenze fatte agli amici; giacché siffatte spese non saranno per te delle perdite, e quindi lascerai in eredità ai posteri cose di maggior valore delle somme investite. 

In materia di culto, tratta gli Dei come indicarono gli avi; ma ritieni che il sacrificio più bello ed il culto più grande è che tu procuri di essere la persona più nobile e più giusta possibile, giacché ci si può aspettare che siano siffatte persone, piuttosto che quanti sacrificano molte vittime, ad ottenere qualcosa di buono dagli Dei. 

Attribuisci pure cariche onorifiche agli amici coi quali hai maggiori legami di parentela, ma nei veri posti di comando metti gli amici più assennati e fedeli. 

Ritieni che la più sicura guardia del corpo esistente è la virtù degli amici, l’affetto dei cittadini e la tua propria saggezza. È infatti soprattutto grazie a questi mezzi che uno potrebbe acquisire e salvaguardare il potere assoluto. 

Tutela le proprietà dei cittadini, e ritieni che quanti dilapidano il danaro spendono del tuo e quanti lavorano ne incrementano la quantità; giacché tutti gli averi di coloro che dimorano nello Stato sono proprietà dei buoni sovrani. 

In ogni tempo mostra di preferire a tal punto la verità, che le tue parole siano stimate più affidabili dei giuramenti degli altri. 

Procura che lo Stato sia sicuro per tutti gli stranieri ed offra garanzie legali per i contratti. Fra gli stranieri che vi giungono, tieni in gran conto non coloro i quali ti recano dei donativi, bensì coloro i quali stimano di ottenerne da te: onorando infatti costoro, tu otterrai maggiormente il plauso degli altri. 

Leva via dai cittadini le molte paure, e non volere che quanti non hanno commesso alcuna ingiustizia siano timorosi. Infatti, come tu disporrai gli altri verso di te, così pure tu sarai disposto verso di loro. Non fare nulla con ira, ma fa’ che gli altri lo pensino qualora secondo te ne sia il caso. Fa’ di apparire terribile perché nulla di quel che succede ti sfugge, ma anche mite perché infliggi pene meno gravi delle colpe. 

Delibera di mostrare che sei il sovrano non per l’asprezza dei tuoi modi né per la severità dei castighi che imponi, ma perché tutti sono vinti dalla brillantezza del tuo intelletto e ritengono che tu prenda decisioni sulla loro salvezza meglio di loro stessi. 

Sii guerresco in quanto profondo conoscitore dell’arte della guerra e dei suoi preparativi, ma anche pacifico perché in nessun caso abusi del potere contro giustizia. Intrattieni con gli Stati più deboli le stesse relazioni diplomatiche che solleciteresti gli Stati più forti ad intrattenere con te. Non cercare di averla vinta in qualunque faccenda, ma di riuscire vincitore in quelle dalle quali te ne potrebbe venire un utile. Ritieni uomini da nulla non i vinti con loro profitto, ma i vincitori con loro danno. Reputa menti eccelse non quanti abbracciano cose più grandi di quelle che sono capaci di comprendere, ma quanti hanno di mira cose nobili e sono capaci di portare a termine il lavoro intrapreso. Emula non coloro i quali hanno acquisito un grande impero, bensì quanti hanno utilizzato ottimamente il potere che avevano; e reputa che sarai perfettamente felice non se comanderai su tutto il genere umano a prezzo di paure, di pericoli e di malvagità; ma se essendo l’uomo ch’è d’uopo tu sia ed agendo come ora agisci, avrai delle cose un equilibrato desiderio e neppure una di queste cose mancherai di ottenere. 

Fatti amici non tutti coloro che lo vogliono ma quanti sono degni della tua natura; e neppure coloro con i quali passi il tempo più piacevolmente, bensì coloro con l’aiuto dei quali governerai ottimamente lo Stato. Fa’ una precisa valutazione dei tuoi sodali, sapendo che tutti coloro i quali non ti stanno intorno riterranno che tu sia simile alle persone che utilizzi. Alla esecuzione delle faccende che non sono sotto la tua personale direzione preponi uomini dei quali sai che con essi governerai ottimamente lo Stato, giacché sarà tua la responsabilità di ciò che essi effettueranno. Ritieni fidate e leali non le persone che lodano qualunque cosa tu dica o faccia, ma quanti rimproverano coloro che commettono degli errori. Concedi piena ed incondizionata libertà di parola alle persone di buon giudizio, affinché tu abbia modo di esaminare con loro le questioni sulle quali sei dubbioso. Distingui chiaramente quanti ti adulano con arte e quanti ti servono di vero cuore, affinché i malvagi non abbiano più dei probi. Ascolta i discorsi che si fanno sugli uni e sugli altri, e cerca di conoscere i nomi sia di coloro che parlano sia di coloro dei quali essi parlano. Condanna alle stesse pene i falsi calunniatori e quanti sono rei di azioni aberranti. 

Comanda te stesso non meno di quanto comandi gli altri, e ritieni che questa sia la cosa più regale di tutte: il non essere schiavo di alcun piacere fisico e il dominare i propri desideri più dei propri cittadini. 

Non accettare alcun rapporto sessuale casuale né senza una vera ragione, ma abituati a godere di quei trastulli grazie ai quali tu progredirai e sembrerai agli altri migliore. 

Fa’ di non apparire uno che ambisce a quegli onori che anche ai viziosi è dato di conseguire; e mostra di pregiare assai la virtù, con la quale i malvagi nulla hanno a che spartire. Reputa che le più vere manifestazioni di stima non sono quelle tributate pubblicamente e per timore, bensì quelle che i cittadini ti rendono quando, soli con se stessi, ammirano più la tua intelligenza che la tua fortuna. Se mai ti accadrà di rallegrarti per delle cose da nulla, tienilo nascosto; e mostra invece che t’industri su faccende di grande importanza. 

Non essere del parere che gli altri debbano vivere con decoro e che invece i sovrani possano fare una vita disordinata; e fa’ invece della tua temperanza un modello per i cittadini, sapendo che i costumi dello Stato tutto intero assomigliano a quelli di chi lo comanda. 

Il segno che stai regnando bene sia per te la constatazione che i tuoi sudditi sono diventati più prosperi e più temperanti grazie alla tua sollecitudine per loro. 

Da’ maggiore importanza al fatto di lasciare in eredità ai tuoi figli una buona reputazione che una grande ricchezza. Infatti la ricchezza di denaro è cosa mortale, mentre la buona reputazione è cosa immortale; il denaro è acquisibile grazie alla buona reputazione, mentre la buona reputazione non è acquistabile col denaro; il denaro arriva nelle mani anche delle persone da nulla, mentre la buona reputazione non può essere acquisita altro che da uomini distintissimi. 

Sii sfarzoso nel vestire e per gli ornamenti che indossi e sii saldo e perseverante com’è d’uopo che siano i sovrani negli altri tuoi costumi, affinché coloro che ti vedono con gli occhi ti reputino degno del comando che ricopri, e coloro che vivono con te abbiano la medesima convinzione perché conoscono il vigore del tuo animo. 

Sopravvedi sempre le tue parole e i tuoi fatti, allo scopo di incappare nel minor numero possibile di errori. 

È certo ottima cosa centrare in pieno le occasioni propizie che si presentano, ma poiché esse sono tali da potersi difficilmente individuare, scegli di fare un passo indietro piuttosto che due in avanti, giacché il giusto equilibrio è più prossimo al mancare di poco il bersaglio che all’andargli di gran lunga aldilà. 

Cerca di essere spiritoso e solenne. La solennità, infatti, si confà al potere assoluto, mentre l’essere spiritoso s’acconcia alle relazioni intime. Di tutti i suggerimenti, questo è però il più malagevole da mettere in pratica; giacché troverai che nella maggior parte dei casi coloro che s’atteggiano con solennità riescono gelidi, e quanti vogliono essere spiritosi appaiono dei meschinelli. Bisogna però servirsi di entrambe queste modalità ideali e rifuggire i difetti che sono congiunti sia all’una che all’altra. 

Se vorrai conoscere con precisione uno qualunque dei negozi dei quali ai sovrani conviene avere perfetta scienza, applicati ad esso sia praticamente che teoricamente. La filosofia, infatti, ti mostrerà le strade da seguire, e l’allenarti nella pratica concreta di tali negozi farà sì che tu possa poi condurli effettualmente. Osserva attentamente le evenienze e le circostanze che coinvolgono sia i privati cittadini che i sovrani con potere assoluto, giacché se terrai bene a mente quelle passate delibererai meglio circa quelle future. 

Ritieni terribile che alcuni privati cittadini eleggano di morire per ottenerne lode dopo la morte, e che invece i sovrani non abbiano l’audacia di seguire costumi grazie ai quali ottenere il plauso dei loro sudditi già da vivi. Prendi la decisione di lasciare quale ricordo di te le immagini della tua virtù più che quelle del tuo corpo. Cerca di serbare ben difesa la sicurezza tua e quella dello Stato; e se sarai costretto a correre dei pericoli, scegli di morire valorosamente piuttosto che di vivere nella vergogna. In tutte le tue attività ricordati del potere regale che rivesti, e preoccupati di nulla effettuare che sia indegno di questo onore. Non permettere che la tua natura tutta intera sia contemporaneamente dissolta. E poiché hai avuto in sorte un corpo mortale, cerca di lasciare ai posteri un ricordo immortale dell’animo tuo. 

Studiati di parlare di buoni costumi, così da abituarti ad avere pensieri simili alle parole che usi. Quali che siano le imprese che ti appaiono le migliori dopo attenta riflessione, queste realizza nei fatti. Imita le azioni di coloro dei quali ammiri ed approvi le opinioni. Ritieni giusto rimanere fedele tu stesso alle azioni che consiglieresti ai tuoi figli di compiere. Serviti dei consigli che ti ho fin qui suggerito, oppure cercane di migliori. 

Ritieni sapienti non coloro che spaccano il capello in quattro su delle piccolezze, ma quanti parlano con cognizione di causa delle massime questioni; non coloro che promettono la felicità agli altri, mentre essi stessi non sanno dove sbattere la testa; bensì quanti fanno su se stessi affermazioni equilibrate, sono capaci di trattare gli affari e gli uomini, non si sconcertano per i mutamenti che accadono nel corso della vita e quindi sanno sopportare bene e con equilibrio le circostanze disgraziate e quelle fortunate. 

Non ti meravigliare se molte delle cose che vengo dicendo sono a te già note. Ciò non mi è sfuggito, ed io sapevo bene, essendo così grande la moltitudine degli uomini in generale e di coloro che li comandano, che queste cose alcuni le hanno già dette, alcuni le hanno già udite, alcuni hanno visto altri farle e alcuni capita pure che le pratichino. Non è in questi ragionamenti ch’è d’uopo ricercare le novità, giacché in essi non s’ha la potestà di dire alcunché di paradossale o d’incredibile o fuori di quanto è largamente condiviso. Bisogna piuttosto ritenere che il più raffinato degli scrittori sia colui che è capace di raccogliere insieme la maggior parte delle cose sparse qua e là nei ragionamenti altrui, ed esprimerle nel modo più elegante possibile. Peraltro a me era evidente fin da principio che seppure tutti gli uomini reputano straordinariamente proficui i consigli contenuti nelle opere in versi o in prosa, essi tuttavia non li ascoltano affatto con piacere, poiché sperimentano nei confronti di tali consigli ciò che sperimentano verso coloro che li ammoniscono. Essi lodano infatti costoro, ma poi decidono di accostarsi a quanti delinquono con loro e non a quanti li trattengono dal delinquere. Quali segni emblematici di ciò si potrebbero portare le poesie di Esiodo, di Teognide e di Focilide. Gli uomini, infatti, affermano che questi poeti sono stati i consiglieri migliori in assoluto per quanto riguarda la vita umana; ma una volta detto ciò, scelgono di passare il tempo chiacchierando tra di loro di stolidezze piuttosto che dare seguito ai suggerimenti di quelli. E dei poeti che vanno per la maggiore, se pur si selezionassero quelle che si chiamano ‘sentenze’ e nelle quali essi hanno dato il meglio di sé, ebbene gli uomini si disporrebbero in modo simile anche verso di esse; giacché ascolterebbero con maggior piacere la più stupida delle commedie piuttosto che opere così artisticamente composte. Ma che bisogno c’è di soffermarsi a parlare di esempi singoli uno per uno? Se volessimo considerare la natura umana nel suo complesso, troveremo che la maggior parte degli uomini, quanto ai cibi, non si rallegra affatto di mangiare i più salutari; quanto ai costumi, di seguire i più nobili; quanto alle azioni, di effettuare le più onorevoli; quanto ai vegetali e agli animali, di allevare i più giovevoli. Gli uomini, anzi, hanno piaceri assolutamente contrari a quelli loro utili, e nutrono addirittura l’opinione che quanti commettono delle mancanze siano persone forti e laboriose. Sicché come potrebbe riuscire gradito a gente siffatta chi la esorta, o le insegna qualcosa, o le dice qualcosa di proficuo? Si tratta di uomini che, oltre a quanto appena detto, vedono di malocchio le persone di buon senno e ritengono schiette quelle insensate; rifuggono talmente la verità dei fatti da non conoscere neppure quella che li riguarda; si affliggono pensando ai fatti loro e si rallegrano quando cianciano di quelli altrui, e preferirebbero soffrire corporalmente piuttosto che faticare sull’animo ed analizzare qualcuna delle necessità che hanno. Inoltre, quando sono in relazione tra di loro si scoprirebbe che essi altro non fanno che ingiuriare o essere ingiuriati, mentre quando sono soli non deliberano su qualcosa bensì implorano gli Dei. Questo non lo affermo di tutti gli uomini, ma di quanti sono imputabili di ciò che ho detto. Dunque appare chiaro che quanti vogliono inventare o trascrivere qualcosa che sia gradito alla moltitudine, devono ricercare non i discorsi più giovevoli bensì quelli più ricchi di favole, giacché le masse si rallegrano quando ascoltano racconti di questo genere e sono spettatrici di combattimenti e di gare. Perciò sono degne di ammirazione sia la produzione poetica di Omero, sia quella dei primi inventori della Tragedia. Essi, infatti, osservando dall’alto la natura degli uomini, fecero opportuno uso di entrambe queste idee guida nelle loro produzioni. Così Omero espresse in forma di favola i combattimenti e le guerre dei semidei, mentre i Tragici misero in scena i miti sotto forma di combattimenti e di azioni concrete, sicché i miti diventarono per noi non soltanto racconti da ascoltare ma anche spettacoli da vedere. Una volta che ormai esistono modelli di questo genere, risulta dimostrato che quanti vogliono accattivarsi l’animo degli ascoltatori devono astenersi dall’ammonire e dare consigli, ed invece dire il genere di cose delle quali vedono che le masse si rallegrano di più. 

Ho discorso di queste faccende ritenendo, visto che non sei uno dei tanti bensì uno che regna su tanti, che tu debba avere non le convinzioni che hanno gli altri né giudicare quale modo d’agire sia appropriato o quali persone siano di buon senno sulla base del tuo personale piacere, bensì valutarli dalla proficuità del loro operato; soprattutto perché i cultori della filosofia sono in disaccordo circa gli esercizi che disciplinano l’animo, ed alcuni filosofi affermano che quanti li avvicinano diventeranno più saggi grazie alla pratica dei discorsi eristici, altri grazie alla pratica dei discorsi politici, altri grazie alla pratica di altri ancora; e però tutti ammettono che l’allievo bene educato da ciascuno di questi diversi esercizi deve apparire capace di prendere delle decisioni. Tralasciando quindi gli aspetti controversi ed alla luce di quanto è ammesso da tutti, è d’uopo mettere gli uomini alla prova soprattutto osservando la loro capacità di prendere decisioni e dare consigli in occasioni concrete e specifiche; e se ciò non è possibile, quando discutono di questioni di interesse generale. A questo punto, rifiuta come consiglieri quanti non sanno che decisioni prendere, giacché è manifesto che chi non è utile a se stesso certo non potrebbe fare di un altro una persona saggia. Al contrario, fa’ gran conto ed abbi cura di quanti sono assennati e capaci di vedere più lontano degli altri, sapendo che un buon consigliere è il più proficuo ed appropriato di tutti i possessi per un sovrano con potere assoluto. E ritieni che a fare più grande il tuo regno sono quanti potranno giovare maggiormente al tuo intelletto. 

Ti ho così offerto i consigli che conosco e ti rendo onore con i mezzi di cui mi trovo a poter disporre. Augurati, come dicevo all’inizio, che anche gli altri ti rechino non già gli abituali donativi che voi sovrani acquisite ad un prezzo ben maggiore di quello che paghereste a chi li vende, bensì donativi tali che seppure tu li utilizzerai intensamente e non smetterai neppure un giorno di usarli, non li logorerai bensì li renderai più grandi e di maggior valore.

Quelli, o Nicocle, che sogliono a voi altri principi recare in dono o vesti, o lavorii di bronzo o pur d’oro, o altra di così fatte masserizie delle quali eglino sono poveri e voi copiosi, paiono a me, non donare, ma trafficare assai manifestamente, e vendere quei loro arnesi con molta più scaltrezza di quelli che fanno professione di mercatantare. Io per me mi reputerei porgerti un donativo bellissimo sopra ogni altro ed utilissimo, e degno altresì sommamente a me di porgere e a te di ricevere, se io ti sapessi mostrare con quali instituti, e da quali azioni astenendoti, tu possa governare nel miglior modo cotesta città e cotesto regno. Imperocché uomini privati hanno non poche cose che gli ammaestrano. Prima e principalmente questa, che essi non vivono tra gli agi e le morbidezze, anzi sono costretti quasi a combattere quotidianamente per le necessità della vita. Poi le leggi alle quali sono sottoposti ciascuno secondo i luoghi. Anco la libertà del dire, e la facoltà che hanno gli amici di riprendergli apertamente, e gl’inimici di valersi dei loro falli per danneggiarli. Oltre di questo alcuni poeti antichi hanno lasciato diversi documenti del modo che si vuol tenere nella vita ordinaria. Onde per tutti questi rispetti è ragione che essi vengano più costumati. Ma i principi non hanno veruna di così fatte cose, e dove si converrebbe a loro più che a qualunque altro di essere bene ammaestrati, essi per lo contrario, da poi che sono ascesi all’impero, non ricevono ammaestramento né ammonizione alcuna; perché gli uomini la più parte vivono lontano da esso loro, e quelli che usano seco, attendono a lusingargli. Onde è seguìto che avendo avute in mano infinite ricchezze ed altre facoltà grandissime, per non le aver bene usate hanno fatto che da molti si dubiti quale sia più da desiderare, o la vita di quelli che essendo in grado privato, si portano dirittamente e bene, o pure la vita dei principi. Imperocché qualora riguardano agli onori, alle ricchezze ed alla potenza, per poco giudicano che i re sieno uguali agli Dei. Ma quando da altra parte pongono mente ai timori e ai pericoli, e recandosi alla memoria, trovano, questi essere stati uccisi da chi meno dovevano, quelli necessitati a offendere i loro parenti più stretti, e a tale essere avvenuta l’una e l’altra cosa, conchiudono per lo contrario, ogni altro modo di vita essere da volere, piuttosto che con sì fatte calamità regnare in su tutta l’Asia. La quale diversità di giudizi e confusione di animi nasce dal creder che fanno questi tali che il regno, come fosse un sacerdozio, sia cosa da tutti: quando ella è la maggiore di tutte le cose umane e quella che ricerca maggior provvidenza e senno. Quanto si è adunque ai negozi particolari, egli è ufficio di chi si trova presente nelle occasioni, il dar consiglio come quelli sieno da condurre, e come da preservare i beni e da schifare i sinistri. Ma generalmente i fini a cui si vuol tendere e gl’instituti che sono da tenere, m’ingegnerò io di mostrargli in questo discorso. Il quale se debba o no riuscire degno della materia, malagevolmente si può conoscere dal principio. Imperocché non pochi componimenti sì di verso come di prosa, insino a tanto che sono contenuti nell’animo degli autori, cagionano grandissima espettazione; ma poi, scritti e compiuti e mandati in luce, ottengono fama inferiore di gran lunga a quella speranza. A ogni modo il proposito, per lo manco, di questa fatica è lodevole, cioè di cercare le cose state pretermesse dagli altri, e di dar quasi legge ai principi. E in vero quelli che ammaestrano le persone private, fanno cosa utile a queste sole: ma chi volgesse allo studio della virtù i signori della moltitudine, gioverebbe a questi e ai loro sudditi parimente, facendo agli uni la signoria più sicura, agli altri la vita civile più tranquilla e più dolce. Prima dunque di tutto, si vuol chiarire qual sia l’ufficio del principe. Imperocché se avremo compreso bene la somma e il valore della cosa universale, avendo poi l’occhio colà, potremo meglio discorrere delle parti. Io credo che tutti sieno per consentire in questo, che il principe dee, se la città è misera, liberarla dalla miseria; se in istato prospero, mantenervela; e di una città piccola fare una grande. Tutti gli altri negozi che accaggiono alla giornata, si debbono fare in rispetto di questi fini. Ora egli è manifesto alla bella prima che a quelli che deggiono poter fare le dette cose e di esse pensare e deliberare, non si conviene attendere all’ozio e alle agiatezze, ma studiare ogni via di dovere essere più savi che gli altri. Perciocché non è dubbio alcuno che eglino tal regno avranno, quale si formeranno la propria mente. Onde a nessuno atleta è così richiesto esercitare il suo corpo, come ai principi l’animo, atteso che tutti i premi proposti in tutte le solennità dei giuochi, a pigliarli insieme, non sono da quanto è una menoma parte di quelli per li quali a voi bisogna contendere ogni giorno. Le quali considerazioni ti deggiono muovere a por mente e a sforzarti di avanzare gli altri in virtù quanto tu gli superi negli onori. E non ti pensassi che lo studio e la industria, benché facciano frutto nelle altre cose, non vagliano perciò nulla a farci migliori e più savi. Né volere attribuire alla condizione umana tanta infelicità, che laddove essi uomini hanno trovato arti colle quali si dimesticano e si migliorano gli animi delle bestie, eglino tuttavia non possano fare alcun giovamento a se stessi in quel che appartiene alla virtù; ma renditi certo che l’addottrinamento e la diligenza possono profittare agli animi nostri; e perciò fa di usare coi più assennati e più savi di quelli che tu hai dintorno, e degli altri recati in corte quelli che tu potrai; non voler trascurare nessun poeta famoso e nessun altro saggio, ma piglia ad ascoltare gli uni, degli altri renditi scolare, e procaccia di riuscir buon giudice delle minori cose, e delle maggiori emulo. Mediante i quali esercizi, in brevissimo tempo tu potrai divenire tale, quale abbiamo definito essere il principe buono ed atto a bene amministrare le cose pubbliche. E a questo intento per certo ti spronerai da te stesso gagliardamente, se tu stimerai cosa indegna che chi è da meno o peggiore comandi a chi è migliore o da più, e che gli sciocchi reggano i giudiziosi. Imperciocché quanto la scempiaggine altrui parratti più vile e più spregevole, con tanto maggiore studio eserciterai l’intelletto proprio. Da queste cose per tanto incomincino quelli che vogliono poter fare qualche buono effetto. Oltre di questo, bisogna amare gli uomini e la città. Né cavalli né cani né uomini né altra cosa veruna si può governare per acconcio modo, chi non ha inclinazione a quello a che egli dee soprastare. Tien conto della moltitudine, e studia quanto cosa alcuna del mondo che il tuo reggimento riesca loro a grado, considerando che sì delle signorie di pochi, sì degli altri stati, quelli durano più, i quali nel miglior modo si affaticano di piacere alla moltitudine. Tu governerai bene il popolo se non lo lascerai trascorrere a sfrenatezza e insolenza contro agli altri, né gli altri contro a lui, provvedendo che i più meritevoli abbiano gli onori e le dignità, e gli altri non sieno ingiuriati in cosa alcuna; fondamenti primi e principalissimi di buona repubblica. Dei bandi, degli statuti, delle costumanze togli o riforma quello che non istà bene; e se tu puoi, trova per te medesimo gli ordinamenti più acconci, se no, imita quello che di buono e di convenevole hanno gli altri luoghi. Cerca di così fatte leggi che oltre ad essere giuste, utili e tra se concordi, facciano le liti e le controversie dei cittadini pochissime e le decisioni prestissime quanto più si può; di tutti questi pregi dovendo essere fornite le leggi buone. Fa che i lavori ed ogn’industria lodevole riesca a’ tuoi sudditi di guadagno, e per lo contrario le brighe e i litigi sieno loro di scapito, acciocché da queste cose abborriscano, ed a quelle attendano volentieri. Giudica le loro contese senza favore, e per guisa che i giudizi non sieno contrari gli uni agli altri, ma delle cose medesime sentenzia in un medesimo modo sempre; perché egli è decoroso e utile insieme, che il sentimento del principe nelle cose che toccano alla giustizia, sia fermo ed immobile al pari delle buone leggi. Governa la città nel modo che tu dei governare la casa paterna, cioè con isplendidezza regia negli apparati, e con molta esattezza in ogni faccenda, a fine di potere a un medesimo tempo tenerti in riputazione e bastare alle spese. Magnifico non ti dimostrare in quelle cose che vogliono il dispendio grande e passano subito, ma sì bene in quelle dette di sopra, e nella bellezza delle robe, e nell’usare liberalità cogli amici. Imperocché il frutto di cotali spese ti resterà sempre mentre che tu vivrai, ed ai posteri, oltre a ciò, lascerai cose di più valore che non saranno state le somme che tu avrai spese. Onora gli Dei nel modo che praticarono gli antenati; ma pensa che il sacrificio più bello e il maggior culto divino si è quando l’uomo è migliore e più giusto che può, atteso che egli è più da aspettare che questi tali impetrino alcuna grazia da Dio, che non quelli che offeriscono molte vittime. Gli onori che sono principali nell’apparenza, si vogliono dare ai più congiunti di sangue, ma quelli di più sostanza, alle genti più affezionate. Fa ragione che la più sicura guardia del corpo che tu possa avere sia la virtù degli amici, la benevolenza dei cittadini e il senno tuo proprio; perciocché con questi mezzi più che con qualunque altro si possono sì conseguire i principati e sì conservargli. Abbi cura delle sostanze dei privati, e fa conto che chi scialacqua spenda del tuo, chi lavora e fa roba accresca le tue facoltà; perché tutti gli averi dei sudditi sono propri del signore che regna bene. Dimóstrati perpetuamente studioso del vero per sì fatta guisa che più fede sia prestata alle tue parole che ai giuramenti degli altri. Provvedi che tutti i forestieri vivano costì sicuramente, e vi sia mantenuta loro la fede nei contratti. Ma fra quelli, abbi a cuore in modo speciale, non mica chi ti viene a donare, anzi chi vuole avere da te, i quali accarezzando e beneficando, tu ne acquisterai più riputazione. Togli via da’ tuoi sudditi le paure e i sospetti, e non volere esser temuto da chi non fa male nessuno; perché nel modo che gli altri saranno disposti verso di te, parimente sarai tu verso gli altri. Con ira tu non farai cosa alcuna, ma però te ne infingerai qualora ti sarà in acconcio. Dimóstrati formidabile con operare che nessuno atto dei sudditi non ti si possa nascondere, ma benigno poi con essere contento di pene minori che non corrisponderebbero alle colpe. Usa una cotale arte di governare che non già mica consista nella fierezza e nel gastigare aspramente, ma nel fare in modo che tu vinca ogni altro di prudenza, e che tutti credano che tu provvegga per la salute loro meglio che non saprebbero essi medesimi. Guerriero ti conviene essere di scienza e di apparati, ma pacifico in guanto tu non appetirai cosa alcuna oltre il giusto. Verso i potentati inferiori portati come tu vuoi che i superiori si portino verso di te. Non istare a contendere di ogni cosa, ma bene di quelle dove, se ti succede il vincere, tu guadagni. Abbi per gente da poco, non quelli che si lasciano vincere con profitto loro, anzi quelli che vincono con danno proprio; e per magnanimi, non quelli che abbracciano più che non possono tenere, ma quelli che hanno propositi moderati e facoltà di condurre a perfezione le imprese che fanno. Porta invidia onorata ed emulazione, non mica a quelli che acquistarono maggior signoria che gli altri, ma sì a coloro che amministrarono meglio quella che ebbero; e non ti dare a intendere di avere a esser felice perfettamente, se con timori e pericoli tu fossi signore di tutti gli uomini, ma se essendo tale quale ti si conviene, e operando nel modo che i tempi e tue condizioni ricercheranno, dall’un canto tu non desidererai cosa se non moderata, e dall’altro nessuna di queste sì fatte ti mancherà. Pigliati per amici non tutti quelli che vorrebbero, né coi quali usando, tu avrai più diletto e spasso, ma quelli che più si convengono colla tua natura, e coi quali tu governerai meglio lo stato. Infórmati dei costumi de’ tuoi familiari con diligenza grande, perché l’altra gente ti reputerà simile a quelli che praticheranno teco. Alle faccende che tu non maneggerai personalmente, preponi di così fatti uomini quali dee preporre colui che sarà imputato del bene e del male che essi faranno. Abbi per fidate non già quelle persone che lodano ogni tua parola e ogni tuo fatto quale si sia, ma quelle che ti ripigliano de’ tuoi falli. Consenti che gli uomini gravi e di buon giudizio ti possano favellare alla libera, sicché nelle incertitudini e nelle sospensioni d’animo tu abbi chi ti aiuti a disaminare le cose. Studia di conoscere chi ti lusinga per arte da chi ti gratifica per buon volere, acciò non prevagliano appresso di te i malvagi ai buoni. Presta orecchio a quello che gli uomini dicono gli uni degli altri, e sforzati d’intendere a un medesimo tempo chi e quali sieno quelli che parlano e quelli di che essi parlano. Prendi del calunniatore la medesima pena che tu avresti presa del calunniato, trovandolo in colpa. Tu regnerai non meno sopra te stesso che sopra gli altri, e giudicherai convenirsi alla condizione regia sopra ogni cosa, non essere schiavo di niuna voluttà ed avere nelle passioni proprie maggiore impero che tu abbi nei cittadini. Non istringere familiarità con alcuno così alla cieca e senza pensare, e avvezzati a compiacerti di quelle conversazioni per le quali tu farai profitto ed anche sarai più stimato. Non fare troppo caso degli onori che si raccolgono da quello che è possibile ancora ai tristi, ma sì mostra di pregiarti assai della virtù, nessuna parte della quale è comune ai malvagi. E pensa che i più veraci onori non sono quelli che si rendono pubblicamente per paura, ma quando gli uomini in se stessi o privatamente, ammirano il senno del principe più che la fortuna. Se tu avessi affetto a qualche cosa vile o di picciolo conto, provvedi che ciò non si conosca, e per lo contrario fa che sia manifesto che tu vai dietro alle cose di momento sommo. Non giudicare che egli sia di ragione che gli altri abbiano a procedere modestamente e il principe senza modo, anzi fa che la tua propria temperanza e misuratezza sia d’esempio agli altri, considerando che i costumi di tutta la città si rassomigliano a quelli dei principi. Fa conto che egli sia segno che il tuo reggimento è buono, se tu vedi che per le tue diligenze la città divenga più ricca e più costumata. Maggiormente ti caglia di poter lasciare ai figliuoli una fama onorevole che una ricchezza grande; perché questa passa, quella no; e colla fama si acquistano le ricchezze, ma colle ricchezze non si compera la riputazione; e quelle toccano anche alla gente da nulla, ma questa non la possono conseguire altri che gli eccellenti. Nelle vesti e negli ornati del corpo tu dèi seguitare il lusso, ma nelle altre cose, siccome si conviene ai principi, essere parco e tollerante; di modo che quelli che ti vedranno, dalle apparenze di fuori ti giudichino degno del principato, e quelli che useranno teco, giudichino altrettanto dalla fortezza dell’animo. Esamina continuamente i tuoi fatti e le tue parole, per fallire il meno che si può. Ottimo in tutti i negozi si è adoperar quella misura appunto che si richiede, né più né meno; ma poiché questa a fatica si può conoscere, eleggi piuttosto il difetto che l’eccesso, atteso che la giusta mediocrità suol potere più in quello che in questo. Proccura di essere festevole e grave, perché questo è conveniente alla dignità reale, quello fa per le conversazioni amichevoli e familiari. Ma ciò è cosa sopra tutte le altre malagevolissima; perché noi veggiamo ordinariamente quelli che vogliono essere contegnosi, riuscire freddi e scipiti, e chi vuole essere sollazzevole, dare nel basso e nell’ignobile. Ora egli è di bisogno studiarsi di esercitare ambedue le dette qualità, e di fuggir quello inconveniente che tien dietro a ciascuna di loro. A voler conoscere perfettamente una qual si sia cosa di quelle che si appartiene ai principi di sapere, adòperavi la pratica e la filosofia. Perocché dalla filosofia ti saranno insegnate le strade, e coll’esercizio pratico acquisterai facoltà di saper condurre i negozi effettualmente. Osserva di giorno in giorno le operazioni e i casi dei privati e dei principi, perché se tu avrai bene a memoria le cose passate, tu consulterai più acconciamente delle future. Paiati difetto grandissimo che dove parecchi uomini privati si eleggono di morire a fine di essere lodati dopo la morte, ai principi non basti il cuore di attendere a quegl’instituti e proponimenti per cui sarebbero gloriosi ancora in vita. Mettiti in animo che le immagini che tu lascerai debbano più ricordare la tua virtù che le tue fattezze. Fa ogni tuo potere perché tu e i tuoi vi dobbiate conservare in istato tranquillo e sicuro; ma se tu fossi costretto di porti a pericolo, eleggi innanzi di morire onoratamente che di vivere con vergogna. In qualsivoglia atto ricordati del principato, e studia di non far cosa indegna di questo grado. Non sofferir che la tua natura si risolva tutta, ma poiché ti fu dato un corpo mortale e un animo eterno, sforzati di lasciar dell’animo una memoria immortale. Vienti esercitando nel favellare degl’instituti e dei fatti egregi, per assuefarti ad aver sentimenti e disposizioni d’animo conformi a sì fatte parole. Quello che tu, discorrendo teco medesimo, giudichi essere il meglio, quello metti in esecuzione operando. Imita i fatti di coloro dei quali tu vorresti avere la riputazione. Quei consigli che tu daresti a tuoi figliuoli, mettigli in pratica per te stesso. Attienti a ciò che è detto fin qui, o cerca di meglio. In fine abbi per sapienti, non quelli che con sottigliezza grande quistionano di cose lievi, ma quelli che ragionano acconciamente di materie gravissime; e non quelli che agli altri promettono beatitudini, ed essi vivono in gran difficoltà e miseria, ma quelli che da un lato parlano di se moderatamente, dall’altro sanno usare cogli uomini e trattare i negozi, e per le mutazioni della fortuna non si turbano, ma portano bene e temperatamente sì le cose prospere e sì le avverse. E non ti maravigliare se una buona parte di quello che è detto di sopra, ti era nota innanzi, perché io non lo ignorava, e sapeva bene che in tanto numero d’uomini o privati o principi, alcuni avevano già detta o una o un’altra di quelle cose, alcuni ne avevano udite, e chi ne aveva vedute praticare, altri ne metteva in opera esso medesimo. Ma in questi ragionamenti degl’instituti e degli uffici, non sono da cercare le novità, perché nulla vi si può trovare d’inaspettato né d’incredibile né d’insolito; ma quello è da riputare di cotali scritti il più bello, nel quale sieno raccolti in sulla materia la più parte dei concetti che erano dispersi nelle menti degli uomini, e questi più leggiadramente esposti che in alcuno altro. Io vedeva anche bene, che dalla universalità quelle scritture, o che elle sieno prose o poemi, le quali porgono consigli ed avvertimenti, sono per verità giudicate utili più di tutte, ma non mica udite più volentieri; anzi interviene loro come alle persone che s’impacciano di ammonire gli altri, le guali sono lodate da tutti, ma niuno le vuole avere intorno, e meglio amano gli uomini usare con chi gli aiuta a far male, che con questi che si adoperano per dissuadernegli. Esempio di ciò potrebbero essere i poemi di Esiodo, di Teognide e di Focilide, i quali autori hanno voce di esser maestri eccellenti della vita umana, e tuttavia quegli stessi che così li chiamano, si eleggono d’intrattenersi scambievolmente colle loro stoltizie, piuttosto che spendere il tempo intorno ai coloro ammaestramenti. Così chi scegliesse da’ poeti migliori quelle che si chiamano sentenze, che sono quella parte dove essi poeti posero più studio, il medesimo avverrebbe ancora a queste, che gli uomini ascolterebbero più volentieri una commedia, se ben fosse la più scempia del mondo, che non quelle cose composte con tanto artifizio. Ma che bisogno è di fermarsi a dir dei particolari a uno a uno, quando in generale, se noi vogliamo por mente alle nature degli uomini, possiamo di leggeri comprendere che i più di loro non amano né i cibi più sani, né gli studi più degni ed onesti, né le azioni migliori, né le discipline più profittevoli, ma in ogni cosa hanno la inclinazione e il piacere contrario all’utile, e molti che non fanno cosa che si convenga, pur sono stimati forti, tolleranti e dediti alla fatica? Di modo che a questi tali come può mai l’uomo piacere o consigliando o insegnando o favellando di alcuna cosa utile? I quali, oltre al detto innanzi, portano invidia agli uomini di buon senno, e gl’insensati chiamano schietti e candidi; e hanno sì fattamente in odio la verità, che non conoscono pure le cose proprie, anzi a pensarne, si annoiano e si rattristano, e per lo contrario godono di cianciare di quelle d’altri; e prima torrebbero di patire corporalmente che di affaticare l’animo e discorrere seco stessi di qual si sia cosa necessaria. Nel commercio scambievole, o mordono e rimbrottano o sono rimbrottati e morsi; nella solitudine, in cambio di deliberare, attendono a far desiderii. Io non dico queste cose di tutti, ma di quelli a cui toccano. Certo e manifesto si è, che chiunque vuole o con versi o con prose piacere alla moltitudine, dee cercare sopra ogni cosa, non l’utile, ma il favoloso, perché di udir questo le genti si dilettano molto, se bene hanno poi disgusto quando veggano le battaglie e le contese reali. Per la qual cosa è da ammirare l’artificio d’Omero e dei primi che inventarono la tragedia, i quali conosciuta la natura degli uomini, adoperarono nella loro poesia l’uno e l’altro genere: perocché Omero cantò favolosamente le battaglie e le guerre de’ semidei, e quegli altri ridussero le favole in combattimenti e in azioni, di modo che, oltre a essere udite, elle ci divennero anche visibili. Adunque per così fatti esempi si dà bene ad intendere a chi vuol toccare gli animi degli uditori, che lasciando da parte i consigli e le ammonizioni, gli bisogna dire e scrivere quello di che egli vede che il popolo si diletta. Queste cose ti ho voluto significare, pensando che a te, il quale sei, non uno della moltitudine, anzi signore di molti, si convenga sentire diversamente dagli altri, e le cose gravi e gli uomini giudiziosi non misurare dal piacere, ma provargli nelle operazioni utili, e secondo la utilità stimargli. Massimamente che se bene i filosofi non si accordano intorno agli esercizi dell’animo, volendo alcuni che per mezzo della dialettica, altri che per via della politica, altri che per altre dottrine i loro discepoli abbiano a divenire più savi e di miglior senno, tutti però convengono in questo, che l’uomo bene ammaestrato debbe, o per l’una o per l’altra di quelle tali discipline, riuscire atto a ben consigliare e deliberare. Vuolsi per tanto, lasciata star quella parte che è controversa, e tenendosi a quello che è confessato da tutti, venire alla prova degli uomini, e, se si può, vedere nelle occasioni come sappiano consigliare, se no, intender come ragionino delle cose in generale, e quelli che non dimostrano alcun buono avvedimento, averli per nulla e rigettarli, manifesta cosa essendo che queste sì fatte persone, le quali non possono pur giovare a se medesime, molto meno potranno far savio e prudente altrui. Ma per lo contrario gli uomini giudiziosi e atti a vedere più che gli altri, tiengli in conto grande e accarezzagli, considerando che niuno altro bene si trova, così utile a possedere e così regio, come è un buono e sufficiente consigliatore. E fa ragione che quelli ti accresceranno maggiormente il regno, i quali più ti beneficheranno l’intendimento. Io dunque ti ho mostrato quello che io so e che io reputo convenevole, e ti onoro con quelle cose che comporta la mia facoltà. E consiglioti a volere che eziandio gli altri, in iscambio dei consueti donativi, i quali voi, come ho detto a principio, comperate molto più caro da chi gli dona, che non fareste da quelli che gli vendessero, ti rechino di così fatti presenti, che se tu gli userai molto, e non passerai giorno che tu non gli adoperi, in vece di logorarli, gli farai maggiori e di più valuta.