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Isocrate – A Demonico

Questa Orazione fu probabilmente composta da Isocrate tra il 374 e il 372 a.C. Dal testo si ricostruisce che il giovane Demonico viveva in uno Stato retto a monarchia, che suo padre Ipponico era probabilmente originario di Cipro, godeva di una certa notorietà, era di esemplare carattere, era amico di Isocrate ed era morto di recente. L’Orazione ha la forma di un trattatello di Etica pratica e contiene precetti sulla condotta appropriata nelle relazioni dell’uomo con gli Dei, con gli altri uomini (specialmente parenti ed amici) e con se stesso, al fine di un armonioso sviluppo del proprio carattere. L’Orazione appare mancare di unitarietà tanto nella forma quanto nello spirito, riducendosi ad una sequela di massime per lo più sconnesse e mescolate con materiale tratto da varie fonti. Di questa Orazione è anche stata messa in dubbio l’autenticità quale opera di Isocrate.

Traduzione
di
Franco Scalenghe

Traduzione
di
Giacomo Leopardi

Per molti aspetti, o Demonico, troveremo grande disparità tra le intelligenze dei galantuomini e gli intelletti degli uomini da nulla: ma è soprattutto nelle relazioni intime che essi si differenziano in sommo grado. Infatti gli uomini da nulla onorano gli amici soltanto quando sono presenti, mentre i galantuomini hanno cari gli amici anche quando siano lontani o assenti; e mentre un breve lasso di tempo basta a dissolvere le relazioni intime tra gli uomini da nulla, neppure l’eternità intera riuscirebbe a cancellare le amicizie tra i galantuomini. Pertanto, ritenendo io confacente che quanti desiderano la fama e ambiscono ad educarsi si diano ad imitare i galantuomini e non gli uomini da nulla, ti ho inviato in dono questo discorso; a testimonianza del mio affetto per voi e quale segno delle mia intima relazione con Ipponico: giacché si confà che i figli ereditino, come le sostanze, così pure le amicizie del proprio padre. Vedo, inoltre, che la fortuna ci soccorre e che la presente occasione è propizia, giacché tu hai un ardente desiderio di educazione ed io mi dedico ad educare gli altri; che tu sei pienamente maturo per la filosofia e che io lavoro al perfezionamento di quanti la praticano.  Ora, quanti compilano per i loro amici dei discorsi protrettici, pur non dedicando il tempo alla parte più essenziale della filosofia, mettono certamente mano ad un’opera degna. E però quanti introducono i giovanetti non alle tecniche grazie alle quali esercitare con valentia l’arte oratoria; bensì fanno in modo che essi, quanto ai modi di agire, reputino di essere nati per vivere da galantuomini, giovano a quanti li ascoltano assai di più, in quanto i primi li esortano a fare discorsi mentre i secondi perfezionano il loro modo di vivere. Perciò noi, senza inventarci esortazioni ma mettendo per iscritto ammonimenti, intendiamo consigliarti quali cose è d’uopo che i giovanetti desiderino, da quali opere essi si astengano, con quale sorta di uomini conversino ed in quale modo amministrino la propria esistenza. Giacché soltanto quanti hanno fatto questo percorso di vita sono potuti giungere davvero alla virtù, della quale nessun possesso è più solenne e più saldo. L’avvenenza? Il tempo la consuma o una malattia la fa appassire. La ricchezza di denaro? È servitrice del vizio piuttosto che della nobiltà d’animo, giacché spalanca le porte alla pigrizia ed invita i giovani ai piaceri del corpo. Il vigore fisico? Se congiunto a saggezza, è di giovamento; ma senza di essa, più che altro danneggia chi lo possiede, giacché adorna i corpi di quanti lo tengono in esercizio, ma ne ottenebra la sollecitudine per l’animo. Il patrimonio rappresentato dalla virtù, in coloro nei quali essa sia concresciuta autenticamente con la capacità di pensiero, è la sola cosa che ci accompagna fino alla vecchiaia; che vale ben più della ricchezza di denaro; che è più proficua della nobiltà di stirpe; che rende possibili cose impossibili agli altri; che regge coraggiosamente eventi spaventevoli per le moltitudini; che valuta l’ignavia degna di biasimo e la fatica, invece, di lode.     Ciò è facilmente decifrabile dall’esame delle fatiche di Eracle e delle imprese di Teseo, giacché la virtù del carattere impresse alle opere loro uno stampo di tale celebrità che neppure l’eternità intera potrà infondere oblio su ciò che essi effettuarono. Inoltre, rimemorandoti le opere proairetiche di tuo padre, avrai in famiglia un bell’esempio delle cose che ti vengo dicendo. Egli, infatti, non trattò la virtù con negligenza né passò la vita in pigrizia, ma allenò il corpo alle fatiche e resse animosamente i pericoli. Neppure ebbe smodatamente cara la ricchezza di denaro, bensì fruì dei beni del momento come si confà ad un mortale e fu sollecito di quanto possedeva come si confà ad un immortale. Né usava egli governare la sua vita con miserevole servilismo; essendo anzi amante del bello, munifico e alla mano con gli amici. Faceva inoltre più conto dei galantuomini che aveva intorno che di quanti gli erano congiunti per parentela, giacché riteneva che socialmente valessero molto di più la natura della legge, il carattere della  parentela e la proairesi della necessità. Se volessimo enumerare tutte le sue gesta, l’intero tempo a nostra disposizione verrebbe meno. Le illustreremo con precisione in altre occasioni, mentre ora abbiamo composto e rendiamo pubblico un abbozzo della natura di Ipponico, mirando al quale come ad un paradigma bisogna che tu viva, ritenendo per te una legge il suo modo di condursi e facendoti imitatore ed emulo della virtù di tuo padre; giacché, se i pittori raffigurano le bellezze degli esseri viventi, è vergognoso che i figli non imitino i genitori quando costoro sono dei galantuomini. E sta pur certo che a nessun atleta conviene così tanto esercitarsi per combattere gli avversari come conviene a te considerare quale sia il miglior modo per diventare, quanto a condotta di vita, un degno competitore di tuo padre. Ma è impossibile che sia disposta in questo modo l’intelligenza di chi non è equipaggiato di molti e buoni ammaestramenti, giacché per natura i corpi si rafforzano grazie a fatiche fisiche ben equilibrate e l’animo con ragionamenti da galantuomini. Perciò io proverò a sottoporti succintamente le condotte di vita grazie alle quali io penserei che tu possa fare il massimo profitto nella virtù ed ottenere il plauso di tutti gli altri uomini. In primo luogo mostrati pio e devoto nelle faccende che attengono agli dei, non soltanto con l’offrire sacrifici ma col mantenere fede ai giuramenti. Infatti l’offrire sacrifici è segno di abbondanza di denaro, mentre il rispetto dei giuramenti è garanzia certa di nobiltà ed eccellenza di carattere. Rendi onore al potere divino sempre, e soprattutto in occasioni pubbliche: giacché così facendo apparirai sacrificare agli dei e contemporaneamente attenerti alle leggi. Nei confronti dei genitori procura di comportarti come ti augureresti che si comportassero i tuoi figli con te. Quanto al corpo, fa gli esercizi ginnici che giovano alla sua salute, non quelli che ne accentuano il vigore. Ed otterrai questo risultato interrompendo gli esercizi faticosi quando hai ancora molte energie di riserva. Non mostrare apprezzamento per risate precipitose e non approvare un discorso sfrontato, giacché la prima è cosa dissennata e la seconda è roba da pazzi. Ciò che è vergognoso fare, ritienilo neppur bello da dire. Abituati ad essere non accigliato bensì riflessivo, giacché nel primo caso sembrerai scostante e nel secondo invece saggio. Credi fermamente che a te convengano soprattutto decoro, verecondia, giustizia e temperanza, giacché il carattere dei giovanetti appare essere tenuto a freno soprattutto da queste virtù tutte insieme. Se hai fatto una cosa vergognosa, non sperare mai che essa rimanga nascosta, giacché se pur essa restasse nascosta agli altri, ne avrai conoscenza tu. Abbi timore degli dei, onora i genitori, rispetta gli amici, ubbidisci alle leggi. Va’ a caccia dei piaceri che comportano buona fama, giacché il diletto che s’accompagna al bello è cosa ottima, ma senza di esso è la peggior cosa che ci sia. Guardati dalle calunnie, anche qualora siano false: giacché i più ignorano la verità e han lo sguardo volto all’opinione. Mostra di fare ogni cosa come se nessuna di esse rimanesse nascosta: giacché se pur sul momento tu potessi nasconderla, in seguito essa sarà di certo risaputa.       Avresti il plauso di molti soprattutto qualora tu apparissi non effettuare cose che rimprovereresti agli altri di fare.   Se sei desideroso di apprendere, apprenderai molte cose. Quelle che sai con certezza, custodiscile con l’esercizio; mentre quelle che non hai appreso fa’ di aggiungerle alle tue conoscenze, giacché l’ascoltare un ragionamento proficuo e non apprenderlo è simile al non accettare un bel dono offertoti da degli amici. Spendi il tempo libero che avrai in vita nell’ascoltare con attenzione i discorsi ben ragionati, giacché in questo modo ti accadrà di apprendere con facilità ciò che altri hanno inventato con grande difficoltà. Tieni per certo che molti ammaestramenti valgono ben più di molto denaro; giacché quest’ultimo lo si perde in fretta, mentre quelli restano con te per sempre: di tutti i possessi, infatti, solo la sapienza è immortale. Non ti rincresca, dunque, di fare un lungo cammino per raggiungere quanti professano di insegnare qualcosa di proficuo; giacché è vergognoso che i mercanti trapassino mari tanto vasti al fine di incrementare le loro esistenti sostanze e che invece i giovanetti non reggano neppure la fatica di un viaggio per terra al fine di rendere migliore il loro intelletto.    Diventa un uomo cortese nei modi e affabile nei discorsi, appartenendosi alla cortesia dei modi il rivolgere la parola a coloro che si incontrano e all’affabilità il colloquiare familiarmente con loro. Tratta piacevolmente con tutti, ma intrattieniti con i migliori; giacché così facendo non risulterai odioso ai primi e diventerai amico dei secondi. Non fare frequenti colloqui con le medesime persone e non intrattenerti a lungo sui medesimi argomenti, giacché di tutto c’è sazietà. Allenati a sopportare fatiche scelte da te volontariamente, così da poter poi reggere quelle che non sei stato tu a scegliere. Su tutte le passioni dalle quali è vergognoso che l’animo sia padroneggiato: dunque sulla cupidigia di guadagno, sull’ira, sui piaceri fisici, sull’afflizione, esercitati ad avere piena padronanza. E l’avrai se legittimerai come guadagno le azioni da cui otterrai buona fama e non quelle dalle quali ricaverai denaro in abbondanza. Quanto all’ira, se avrai verso coloro che aberrano un atteggiamento simile a quello che apprezzeresti che gli altri avessero nei tuoi confronti quando fossi tu a commettere qualcosa di aberrante. Nel caso poi delle azioni dilettevoli, se concepirai come vergognoso comandare ai domestici ed essere invece servo dei piaceri fisici; e nel caso dei dispiaceri, se getterai uno sguardo alle sfortune altrui e ti ricorderai di essere un uomo.  Serba le confidenze che ricevi con maggior cura dei depositi di denaro, giacché bisogna che gli uomini dabbene si mostrino dotati di un carattere più affidabile e leale di un giuramento. E credi che tanta è la sfiducia che conviene avere per i malvagi quanta è la fiducia che s’ha da avere per i probi. Circa i segreti, non parlarne ad alcuno: ma solo se sarà similmente utile a te che ne parli ed a coloro che li ascoltano che i fatti rimangano taciuti. Accetta che ti sia imposto di giurare soltanto in due occasioni: o per sciogliere te stesso da un’accusa infamante, o per salvare degli amici in grandi pericoli. In ogni caso, per faccende di denaro non giurare mai su alcun dio, neppure se tu intendessi giurare il vero; giacché alcuni penserebbero che stai giurando il falso, mentre altri che lo fai per amore del denaro.  Non farti amico di persona alcuna prima d’avere accuratamente indagato come in precedenza costui abbia trattato gli amici; giacché ti devi aspettare che egli si comporterà così come si è comportato con quelli. Diventa amico di qualcuno poco per volta, ma quando tu lo sia diventato prova a rimanerlo; giacché è similmente vergognoso non avere neppure un amico e cambiare molte compagnie. Non mettere alla prova gli amici con tuo danno, e però non voler avere dei compagni che tu non abbia messo alla prova. Questo riuscirai a fare, se simulerai il bisogno di qualcosa pur non avendone bisogno. Mettili quindi a parte di notizie che possono essere divulgate, come se fossero dei segreti. In caso di insuccesso, non ne subirai alcun danno; e in caso di successo stabilirai meglio il loro carattere. Valuta gli amici dalle loro reazioni sia davanti alle sfortune della vita che dalla comunanza con te nei pericoli; giacché noi saggiamo ciò che è d’oro col fuoco e vagliamo gli amici nelle sfortune. Sicché tu tratterai nel miglior modo possibile gli amici se non aspetterai che essi abbiano bisogno di te, bensì se spontaneamente sarai loro d’aiuto nei momenti opportuni. Legittima quindi come cose similmente vergognose sia il lasciarsi vincere dai nemici nel fare il male, sia il lasciarsi sconfiggere dagli amici nel fare il bene. Accogli quali compagni non soltanto coloro che si rammaricano delle tue disgrazie, ma anche coloro che non ti invidiano per i tuoi successi; giacché molti stanno in pena per gli amici quando sono sfortunati e però li invidiano quando se la passano bene. Ricorda gli amici assenti a quelli presenti, affinché non paia che tu ti darai ben poco pensiero dei presenti quando saranno assenti.  In fatto di abbigliamento, prendi la decisione d’essere uomo di buon gusto e non un bellimbusto. Dell’uomo di buon gusto è caratteristica l’eleganza, del bellimbusto la stravaganza. Circa i beni che possiede, non aver cara la smisuratezza del patrimonio, bensì la sua equilibrata fruizione. Disprezza coloro che s’industriano per arricchirsi e sono incapaci di usare i beni che hanno; giacché costoro patiscono una sorte simile a quella di chi acquisisse un ottimo cavallo e però fosse un pessimo cavaliere. Prova a suddividere la ricchezza in beni d’uso e beni di proprietà. I beni d’uso sono adatti per quanti sanno fruirne, le proprietà per quanti possono acquisirle. Apprezza le sostanze che possiedi per due motivi: il primo è per poter pagare una grande multa; il secondo è per aiutare un amico galantuomo che si trovi in difficoltà. Per ogni altro rispetto abbile care non oltremisura ma con equilibrio. Sii affezionato a quel che hai, ma ricerca il meglio. Non rinfacciare ad alcuno una sua sventura, giacché comune è la fortuna e imprevedibile è il futuro. 

Isocrate (436-338 a.C.)

Fa’ del bene ai buoni, giacché il favore di cui un galantuomo ci sia debitore è un gran bel tesoro. Se invece farai del bene ai malvagi, patirai la sorte che tocca a quanti danno del cibo ai cani altrui. Questi, infatti, abbaiano non meno a costoro che ai passanti, e i malvagi sono ingiusti tanto con chi loro giova quanto con chi reca loro danno. Odia gli adulatori come gli ingannatori; infatti entrambi, ottenuta la fiducia, sono ingiusti con chi ha dato loro fiducia. Se tu accoglierai come amici quanti ti favoriscono nel perseguimento di ciò ch’è volgarissimo, non avrai in vita tua amici invisi perché perseguono ciò ch’è nobilissimo. Sii conversevole con chi ti avvicina, e non fare il solenne. Anche gli schiavi faticherebbero a tollerare l’arroganza di quanti li guardano dall’alto in basso, mentre tutti sopportano con piacere persone di carattere conversevole. E sarai persona conversevole se non sarai litigioso, indisponente, uno che vuole sempre avere ragione con tutti, che s’avventa con violenza contro il prossimo in preda all’ira anche quando capita che sia ingiustamente adirato, bensì uno che lo lascia sfogare quando è nel pieno dell’ira e poi gli ribatte quando si sia calmato; uno che non tratta seriamente le cose da ridere e non gode di mettersi a ridere delle cose serie (giacché le azioni fuori tempo sono ovunque moleste); uno che se fa dei favori non li fa con mal garbo, come invece sperimentano i più, i quali li fanno e però rendono il servizio agli amici di malavoglia; uno che non fa le pulci su tutto, che è cosa pesante da sopportare; uno che non è censorio, che è cosa esasperante. Usa la massima cautela nei simposi, e se mai ti capiterà l’occasione di parteciparvi levati e vattene prima di essere ubriaco. Infatti la mente, qualora sia obnubilata dal vino, subisce la stessa sorte dei carri che proiettano a terra l’auriga; giacché allora i carri, privi di chi li dirige, avanzano nel più completo disordine, e pure l’animo traballa e cade in continuazione quando l’intelletto è stravolto.  Pensa da immortale con l’essere magnanimo; e da mortale col fruire in modo equilibrato dei beni che possiedi. Sta sicuro che l’educazione è un bene tanto maggiore della maleducazione quanto è certo che tutti effettuano altre malvagità guadagnandoci, ma che la maleducazione già di per se sola è una punizione per l’uomo. Spesso, infatti, i maleducati pagano nei fatti il fio di offese fatte a parole. Se vorrai farti degli amici, dì qualcosa di buono a loro riguardo a coloro che gliene saranno messaggeri; giacché fondamento dell’amicizia è una lode, come una denigrazione lo è dell’inimicizia.  Se ti consigli sul da farsi, fa’ degli avvenimenti passati un modello di quelli futuri; giacché la diagnosi più rapida su ciò ch’è oscuro si ottiene da ciò ch’è chiaro. Consigliati con lentezza sul da farsi, ma poi realizza rapidamente le decisioni prese; e tieni bene a mente che fattori decisivi per un successo sono: ad opera degli dei, la buona sorte; e nostra propria, il buon consiglio. Su faccende circa le quali avessi ritegno di parlare apertamente e volessi conferirne con alcuni tuoi amici, parlane loro come se si trattasse di cosa che riguarda qualcun altro. In questo modo ti renderai conto del loro pensiero e non sarà evidente il tuo. Qualora tu abbia intenzione di chiedere consiglio a qualcuno su tue faccende personali, considera per prima cosa come costui abbia governato le sue, giacché chi ha avuto cattivo intendimento nei fatti propri non darà mai buoni consigli su quelli altrui. Il massimo incentivo a consigliarsi è la considerazione delle sventure che discenderebbero dal non farlo, giacché noi abbiamo la massima cura della salute proprio quando rammentiamo le afflizioni che le ci infermità causano.  Imita i costumi dei re e persegui le loro imprese cui, giacché così parrai approvarli ed emularli. In questo modo ti accadrà di ottenere il plauso popolare, e di vedere rinsaldata la benevolenza dei re nei tuoi confronti. Ottempera alle leggi promulgate dai re, e tuttavia ritieni che legge suprema sia il loro modo di agire. Infatti, come chi fa politica in una democrazia deve prendersi cura del popolo, così a chi dimora in una monarchia conviene provare ammirazione per il re. Una volta assunto un posto di comando, non servirti per il governo di alcun uomo malvagio; giacché di tutti i falli che quello commetterà, la causa ne sarà fatta risalire a te. E ritirati dagli impieghi pubblici non più ricco ma più stimato, giacché la lode popolare è più importante di molto denaro. Non associarti e non farti avvocato di alcuna faccenda malvagia; giacché se aiuterai gli altri ad effettuarle, parrà che tu pure faccia le stesse cose.  Fa’ in modo di trovarti in una posizione di vantaggio rispetto agli altri e però tollera d’avere pari pari quel che hanno loro, affinché tu appaia desiderare la giustizia non per debolezza bensì per spirito di equità. Accogli pertanto con favore una povertà frutto di giustizia, piuttosto che una ricchezza frutto di ingiustizia. La giustizia, infatti, è tanto migliore del denaro quanto è inoppugnabile che il denaro giovi soltanto in vita, mentre la giustizia prepara una fama che dura anche dopo la morte, e che il denaro appartiene anche agli uomini da nulla, mentre con la giustizia è impossibile che i malvagi abbiano alcunché da spartire. Non emulare nessuno di coloro che traggono guadagno dall’ingiustizia, ed accogli piuttosto con favore coloro che soffrono perdite pecuniarie a motivo di giustizia; giacché i giusti sono avvantaggiati rispetto agli ingiusti se non altro per questo: il superarli in buone e nobili speranze. Abbi sollecitudine per tutto ciò che riguarda la tua vita ma soprattutto esercita la tua saggezza, giacché la cosa più grande contenuta in una piccolissima è una nobile mente in un corpo umano.  Quanto al corpo prova ad essere amante della fatica e quanto all’animo filosofo, affinché col primo tu possa realizzare quanto hai deliberato e col secondo tu sappia prevedere ciò che ti è utile fare. Qualunque cosa tu stia per dire, sopravvedila prima con intelligenza, giacché in molte persone la lingua corre ben più veloce dell’intelletto. Fa’ in modo che siano due i momenti opportuni per parlare: o su cose che chiaramente sai o su cose di cui è necessario parlare. Soltanto in queste due occasioni la parola vale più del silenzio, e nelle altre è meglio tacere che parlare. Abbi per legge che nessuna cosa umana è salda e sicura: così non sarai troppo lieto nella buona fortuna né troppo afflitto in quella cattiva. Rallegrati per le cose buone che ti accadono e affliggiti moderatamente per le cattive; ma in entrambi i casi non farlo vedere agli altri, giacché è assurdo tener nascoste in casa le proprie sostanze e poi andare in giro con stampato in fronte quel che si pensa.  Guardati con più cura da una denigrazione che da un pericolo, giacché bisogna che la morte sia una cosa spaventosa per gli uomini da nulla e che per i galantuomini lo sia invece il discredito in vita. Prova in ogni modo a vivere in sicurezza; e se ti avverrà di correre un pericolo, in caso di guerra cerca una salvezza cui si associ buona fama e non una nomea vergognosa. Il fato, infatti, ci ha condannati tutti a morte, e soltanto ai galantuomini ha riservato il privilegio di morire bene. Non meravigliarti se molte delle cose dette non si confanno all’età che hai ora. Ciò non mi è sfuggito, ma ho scelto deliberatamente di offrirti in un unico trattatello dei consigli che riguardano la tua vita presente e insieme di lasciarti delle prescrizioni valide per il futuro. Di queste ultime conoscerai facilmente l’utilità, mentre ti sarà ben arduo trovare chi ti dia consigli con animo benevolo. Io pertanto ho creduto di non dover pretermettere neppure uno di quelli che ho da darti, affinché tu non vada a cercare i restanti da qualcun altro ma possa trarli da questo mio scritto come da uno scrigno. 

Isocrate

Io sarei già molto grato agli dei se l’opinione che ho di te fosse non completamente errata; giacché troveremo che la maggior parte degli altri uomini, come si rallegra di consumare i cibi più piacevoli al gusto invece di quelli più salubri; così pure s’accosta di più, nel caso degli amici, a quelli disposti a delinquere con loro che non a quelli che li avvertono ed ammoniscono. Io però ritengo di avere conosciuto in te una persona che è il contrario di costoro, e ne prendo a garanzia la laboriosità che mostri per un’educazione ben diversa; giacché chi impone a se stesso di effettuare le azioni più nobili, degli altri uomini approva verosimilmente coloro che invitano alla virtù. E soprattutto ti infiammeresti di desiderio per le opere belle se capissi a fondo che da esse noi traiamo i piaceri veri e genuini. Se si è pigri e si hanno cari gli eccessi, tosto le afflizioni s’infiggono dentro i piaceri. Invece l’applicazione laboriosa alla virtù e il saggio governo della nostra vita, sempre ci danno le gioie sincere e più salde. E mentre nel primo caso, prima godiamo poi ci affliggiamo, nel secondo dopo le afflizioni abbiamo i piaceri. In tutte le opere che compiamo, noi non conserviamo tanto il ricordo del loro inizio quanto invece abbiamo chiara percezione della loro fine, giacché la maggior parte delle cose che riguardano la nostra vita noi non le effettuiamo per loro stesse, bensì ci affatichiamo in vista dei risultati che ne otterremo.  Pondera altresì che l’operare a casaccio è cosa che s’attaglia agli uomini da nulla, giacché su questo fondamento si basa fin dal principio la loro vita; mentre è impossibile che i saggi si disinteressino della virtù, poiché sono molti coloro che in questo caso li censurerebbero. Tutti gli uomini, infatti, non odiano i delinquenti tanto quanto coloro che affermano di essere persone per bene e invece non differiscono affatto da quelle volgari. Ed è verosimile che sia così, giacché se noi riproviamo coloro che mentono solo a parole, perché non chiameremo uomini da nulla quanti degradano se stessi con la vita intera? E giustamente si concepirebbe di costoro che non soltanto essi aberrano contro se stessi ma che tradiscono anche la fortuna. La fortuna, infatti, ha messo nelle loro mani denaro, fama, amici, ed invece essi si sono resi indegni della felicità a loro disposizione. Se, pur essendo io un mortale, bisogna che congetturi il pensiero degli dei, ritengo che essi manifestino soprattutto nel trattamento dei loro più stretti familiari quale disposizione hanno verso gli uomini da nulla e verso i galantuomini. Infatti, secondo quanto dicono i miti ed è creduto da tutti, avendo Zeus generato Ercole e Tantalo, per la sua virtù fece il primo immortale e punì invece il secondo con i più atroci supplizi per la sua malvagità. Utilizzando questi esempi, tu devi desiderare la nobiltà d’animo ed attenerti non soltanto ai precetti da noi esposti, ma apprendere le migliori opere dei poeti e leggere quelle degli altri sapienti, ove esse contengano qualcosa di proficuo. Infatti, come vediamo fare all’ape, la quale si posa su tutti i fiori e da ciascuno prende il meglio; così bisogna che quanti desiderano educarsi, di nulla siano inesperti ma raccolgano ciò ch’è proficuo dovunque si trovi. A stento, infatti, anche con tanta solerzia si riuscirebbe ad avere la preminenza sugli errori della natura.            

In molte cose, o Demonico, si vede essere non piccola varietà dai pensieri degli uomini buoni e d’assai a quelli delle persone triste e da poco, ma molto più si discorda l’una dall’altra gente nell’uso dell’amicizia. Perocché questi si sforzano di fare onore agli amici allora solamente che gli hanno dinanzi, quelli anco da lontano gli amano; e le familiarità dei tristi in piccolo tempo si sciolgono, ma le amicizie dei buoni nessuno spazio di tempo è bastevole a scancellarle. Adunque stimando essere conveniente che gli uomini desiderosi di fama e dediti alle lettere piglino a imitare non mica i tristi ma i buoni, mandoti donando questo discorso in segno così dell’amicizia che è tra noi due, come della dimestichezza ch’io ebbi già con Ipponico. Perocché bene è ragionevole che i figliuoli succedano nelle amicizie dei padri siccome nelle sostanze. Veggo ancora che la fortuna e il tempo ci favoriscono e ci sono a proposito, atteso che tu sei vago d’imparare, io procaccio d’insegnare altrui, e tu di presente attendi a filosofare, io sto indirizzando gli altri in questa medesima opera.

Quelli per tanto che scrivono ai loro amici certi tali discorsi per muovergli allo studio della eloquenza, fanno cosa buona, ma essi però non si adoperano intorno alla parte principale della letteratura. Coloro che ai giovanetti porgono di quegli avvertimenti e consigli che riguardano non a fargli esercitare nella eloquenza, ma sì a fargli venire in grado che essi, in quanto ai costumi, sieno riputati buoni e bennati, riescono di tanto maggiore utilità che non fanno gli altri sopraddetti, quanto che questi gli spronano allo studio del dire, quelli danno ordine e modo ai loro costumi. Onde io per tal cagione appigliandomi a questo secondo genere di scrittura, intendo proporti a quali cose debbano i giovanetti volgere il desiderio, quali azioni schifare, con quali uomini usare, come governare la loro vita. Ed abbi per fermo che solo per questa via la quale io m’ingegnerò di mostrarti, sono potuti gli uomini veramente giungere alla virtù, bene assai più pregevole e più durabile che qualunque altro. La bellezza o per età si consuma o si guasta per malattia. La ricchezza serve più alla tristizia ed alla dappocaggine che alla bontà ed al valore, come quella che dà luogo ed agio al vivere ozioso e che invita i giovani alle voluttà del corpo. La forza congiunta colla saviezza suole essere di profitto, ma divisa da quella è usata piuttosto di nuocere a chi la possiede; e come ella adorna il corpo di chi la esercita, così reca impedimento alla coltura dell’animo. Sola di tutti i beni la virtù vera e pura invecchia insieme con quelli nei quali nata, crebbe altresì con loro; questa val più che la ricchezza, fa più frutto che la nobiltà; per questa si rendono possibili quelle cose che sono impossibili altrimenti, quelle che sono spaventose alla moltitudine, essa intrepida le sostiene; reputa la oziosità vergogna, l’affaticarsi lode.

Ciò si comprende agevolmente dalle imprese d’Ercole e di Teseo, la virtù dei quali fece le opere loro tanto gloriose, che la memoria di quelle anco dalla eternità intiera non potrà essere spenta. Ma oltre di questo, se tu ricorderai col pensiero i costumi e i portamenti di tuo padre, avrai per tal modo un bello e domestico esempio di quello a che io mi propongo di confortarti. Perocché tuo padre non ebbe in piccolo conto l’essere virtuoso, non visse una vita pigra e codarda, anzi esercitava il corpo colle fatiche, coll’animo sosteneva fortemente i pericoli. Non amava le ricchezze fuori di modo, ma usando come mortale i beni che aveva, a un medesimo tempo teneva tanta cura delle cose sue, come se fosse stato immortale. Non fu nel tenore della sua vita abbietto e spregevole, anzi amatore dell’onesto e del decoroso, anzi magnifico, ed agli amici cortese e largo. Faceva più conto di quelli che lo amavano e si adoperavano per lui, che di chi gli era congiunto di parentela, perocché stimava che in quanto all’amicizia, valesse più la natura che la legge, i costumi che il sangue, la elezione volontaria che la necessità. Il tempo mi verrebbe meno se io volessi annoverare tutti i suoi fatti. In altre occasioni ci proveremo di esporli accuratamente. Ora ho voluto farti, come a dire, un abbozzo della sua natura, nel quale mirando, come in uno esempio, ti conviene regolare e formare la propria vita, proponendoti i costumi d’Ipponico quasi per legge, e facendoti imitatore della virtù paterna. Imperocché gran vergogna sarebbe che, dove i pittori si studiano di ritrarre le persone belle, i figliuoli non imitassero i genitori buoni. E sta sicuro che egli non si conviene tanto a nessuno atleta di esercitarsi per combattere cogli avversari, quanto a te di porre ogni studio per avere a essere buon concorrente d’Ipponico nei costumi e negl’instituti della vita. Ma di una sì fatta cosa è impossibile venire a capo, chi non abbia l’animo pieno di molti e begli ammaestramenti; essendo che, siccome colle temperate fatiche i corpi, così gli animi per natura si migliorano coi buoni ragionamenti dei letterati. Per le quali cose io mi sforzerò di mostrarti succintamente con quali instituti io creda che tu possa fare nella virtù il progresso maggiore, ed essere più riputato e lodato da tutti gli uomini.

Primieramente osserva ogni debito di pietà verso gli Dei, non solo con sacrificare, ma con mantenere i giuramenti, la qual cosa è indizio di costumi onesti e buoni, laddove il sacrificare è segno di ricchezza. Onoragli in qualunque tempo, ma specialmente insieme colla città, donde a un’ora medesima tu ti mostrerai pietoso verso di quelli ed ossequioso alle leggi. Circa i genitori pòrtati in quel modo appunto, come tu vorresti che i tuoi figliuoli si portassero verso di te. Degli esercizi del corpo fa di usare quelli che giovano alla sanità, non quelli che conducono alla robustezza, e questo ti verrà fatto se piglierai per costume di rimanerti dalla fatica innanzi che tu non la possa più sostenere. Guardati dal ridere smoderato e dalla baldanza nel parlare, perché quello è proprio degli sciocchi e questa dei pazzi. Pensa che quelle cose che sono vergogna a farle non sono anche oneste a dirle. Avvezzati a dimostrarti di una cera non mica accigliata, ma sì pensierosa e grave, perché da quella si acquista nome di superbo, da questa di assennato. Fa ragione che ti si convenga sopra tutto di essere composto, verecondo, giusto, temperante; perocché la costumatezza dei giovani pare che consista principalmente in queste cose. Non isperar mai, commessa un’azione brutta, che ella abbia a restare occulta. Imperocché quando ella rimanesse nascosta a tutti gli altri, sarebbe pur manifesta a te medesimo. Temi Iddio. Onora chi ti generò. Abbi verecondia degli amici. Ubbidisci alle leggi. Attendi a procacciare di quei diletti che sono congiunti all’onore e alla lode, perocché il piacere accompagnato coll’onesto è cosa ottima, altrimenti è la peggior cosa del mondo. Fa di tenerti libero da qualsivoglia imputazione, eziandio falsa; perché il più della gente non sanno la verità delle cose e guardano alla opinione. Governati in maniera come se ogni tuo fatto fosse per essere conosciuto da tutti gli uomini. Perocché se anco avrai facoltà di nasconderlo di presente, verrà tempo che egli si risaprà.

Volendo avere una buona riputazione, ingegnati massimamente di non far cosa che tu fossi per biasimare in altri che la facessero.

Molte cose saprai se tu sarai vago di sapere. Conservati coll’esercizio le cognizioni acquistate, e fa ogni diligenza d’imparare quello che tu non sai, considerando che non men brutta cosa è a non apprendere un buono ammaestramento che tu abbi udito, che a non accettare un dono che ti sia pòrto da un amico. Quel tempo che avrai libero dai negozi, spendilo nello ascoltare i letterati, e per tal modo t’interverrà di apprendere agevolmente quello che dagli altri fu trovato con difficoltà. E hai da tenere per certo che di così fatte cose sono molte che l’averle imparate val più di molte ricchezze, atteso che queste mancano in poco d’ora, ma quello si è un bene che resta sempre. Perciocché, di tutti gli averi, solo la sapienza non è sottoposta a potersi perdere. Non ti rincresca di pigliare un lungo cammino per andare a trovar quelli che fanno professione d’insegnar qualche cosa utile, perché certo egli è una vergogna a pensare che i mercatanti per accrescere le loro sostanze valichino tanti mari, e i giovani non sostengano di fare un poco strada per terra, a fine di migliorare le loro menti.

Dimóstrati nei modi gentile e compagnevole, al che si appartiene il salutare, l’interrogare e simili, di proprio moto; nelle parole attabile, al che si aspetta l’essere nei colloqui facile e famigliare. Usa cortesemente con chicchessia, ma dimesticamente solo coi migliori. Così gli uni non ti vorranno male e gli altri ti diventeranno amici. Non volerti intrattenere né molto spesso colle medesime persone, né molto lungamente sopra le stesse materie, perché tutto sazia a lungo andare. Di tratto in tratto pigliati qualche fatica volontariamente per assuefarti, sicché tu possa reggere a quelle che ti converrà pigliare per necessità. Sfòrzati di signoreggiare tutte quelle passioni dalle quali si disdice all’uomo di essere signoreggiato; ciò sono la cupidigia della roba, l’ira, la sensualità, la tristezza. Ed egli ti avverrà di signoreggiarle se tu reputerai per guadagno quelle cose per le quali tu sarai, non più ricco, ma più pregiato; se per li mancamenti degli altri tu non ti adirerai più di quello che tu vorresti che gli altri si adirassero teco ove tu fallassi; se giudicherai star male e disconvenirsi all’uomo comandare ai famigli e servire alle libidini; se in ogni tuo sinistro ti rivolgerai per la mente le calamità degli altri e la condizione della tua natura.

Metti più diligenza in serbare i depositi, per dir così, di parole, che quelli di danari; perciocché ogni uomo da bene dee dare a vedere che più fede si meritino i suoi costumi che i suoi giuramenti. Fa conto che egli bisogna così diffidarsi dei tristi come fidarsi dei buoni. Non comunicare i segreti a chicchessia, salvo se il tacerli non fosse utile a quelli a cui tu gli rivelassi, non meno che a te proprio. Non pigliare a far giuramento se non se per l’una delle due cause, o di liberarti da una imputazione ignominiosa, o di salvare un amico da qualche pericolo. Ma per causa di danari o di roba non voler mai giurare a nessuno iddio, se bene tu fossi per farlo con verità; perché la gente penserebbe che tu spergiurassi o che tu ti movessi per avarizia.

Non ti obbligar per amico a nessuno che tu non abbia indagato il modo come egli sarà proceduto verso gli amici accostatiglisi prima, perché non hai da aspettare che egli ti riesca diverso da quello che avrà fatto a loro. A prendere le amicizie si vuole andare a rilento, ma prese, sforzarsi di conservarle, perch’egli è disdicevole parimente a non avere nessuno amico e a mutargli spesso. Non si vuol fare esperienza degli amici con proprio danno, né starsene senz’avergli provati. Per questo tu dei fingere alcun bisogno che tu non abbi, e comunicare agli amici alcuna cosa la quale si possa divulgare, e raccomandarla che se l’abbiano in segreto. Così, quando essi ti manchino, tu non ne riceverai nocumento, e quando non ti manchino, tu gli conoscerai meglio. Giudicagli massimamente secondo che ti riescono nelle sventure e nei pericoli che ti occorrono, essendo che egli si conosce l’oro nel fuoco e gli amici nelle avversità. Per la tua parte, tu procederai verso loro nel miglior modo, se non aspetterai che essi ti richieggano, ma spontaneamente, quando lor farà di mestieri, gli aiuterai. E pensa che a lasciarsi vincere dagli amici nei benefizi è cosa non manco vituperevole che a lasciarsi superare nelle offese dagl’inimici. Abbi in molto pregio non solamente quelli de’ tuoi familiari che si attristano del tuo male, ma eziandio quelli che non si attristano del tuo bene, imperocché sono molti che pigliano dispiacere delle avversità dell’amico, e nelle prosperità gli hanno invidia. Degli amici assenti fanne menzione coi presenti alcuna volta, acciocché questi pensino che, eziandio lontani, tu non mancherai d’avergli a memoria.

Nel vestire segui la eleganza e la magnificenza, ma non le attillature e le squisitezze. Non amar che la roba ti soprabbondi ma sì bene di usarla moderatamente. Fatti beffe di quelli che vanno dietro alle ricchezze e non sono buoni a servirsi di quel che hanno, perché questi tali sono come chi avesse un cavallo bellissimo e non sapesse cavalcare. In somma ingegnati di sapere e goder le ricchezze ed usarle bene. E fa molto conto della tua roba per due rispetti: l’uno, per poter pagare, occorrendo, una multa grossa; l’altro, per poterne sovvenire a un amico d’assai che fosse in qualche miseria. Per ogni altro rispetto non volerla stimare più che mezzanamente. Abbiti per lieto e pago della tua condizione: tuttavia cerca di vantaggiarti. Non rimproverare a persona del mondo una sua mala ventura; perché la fortuna è comune e l’avvenire incerto.

Fa beneficio ai buoni. Perocché se un uomo da bene ci ha obbligo di un servigio, egli è come avere un bel capitale riposto. A giovare ai malvagi, t’interverrà come a quelli che danno mangiare ai cani altrui, perché questi abbaiano non meno a chi porge loro che agli altri, e i malvagi fanno parimente ingiuria a chi gli benefica e a chi gli offende. Non altrimenti abbi in odio chi ti adula che chi t’inganna, perché gli uni e gli altri, se tu li credi, ti nocciono. Se tu accarezzerai quegli amici che ti gratificheranno in cose cattive e brutte, tu non ne avrai di quelli che per fin di bene si mettano a pericolo di venirti in odio. Nel conversare dimostrati umano e trattabile, che è cosa che piace a tutti; non duro, non disdegnoso, che non lo possono patire appena gli schiavi. A volere esser trattabile e conversevole, ti bisogna fuggire la ritrosia, non istare troppo in sui punti, non appiccar lite per ogni cosa; quando altri si adira, eziandio se a torto, non te gli avventar fieramente addosso colle parole, ma cedergli in su quel suo caldo, poi riposato quell’impeto, allora riprenderlo; non trattar gravemente le cose da ridere, né pigliare in giuoco le gravi, imperocché tutto quello che è fuor di luogo rincresce sempre; e quando tu fai piacere agli altri, non farlo spiacevolmente, a uso di molti, che ben fanno servigio agli amici, ma con mal garbo e come di mala voglia; e non esser vago di querelare altrui, che è cosa molesta, né di riprendere, che suole irritare gli animi. Dalle compagnie del bere guardati più che puoi. Ma occorrendoti di trovarti a qualcuna, levati su prima di esserne alterato, perocché la mente che sia stravolta dal vino è simile a un carro, il quale, perduto il cocchiere, non avendo chi lo indirizzi, è tirato qua e là scompigliatamente. E così quella, per avere l’intelletto guasto, incorre in mille disordini.

Tu dèi sentire e operare più che umanamente, con essere generoso e magnanimo; ma tu hai da procedere come uomo, con fare un misurato uso delle tue facoltà. Considera che la scienza e la erudizione tanto è più da anteporre all’essere degl’idioti, quanto che tutte le altre cose cattive si usano con profitto proprio, ma la ignoranza sola è di pregiudizio a coloro che l’hanno in se. Ai quali spesse volte accade che avendo offeso altrui con parole, essi ne portano pena di fatto. Volendo entrare in amicizia con qualcuno, tocca una cosa o un’altra in lode di quello a tali che gliel rapportino. Perocché la lode è seme di amicizia, siccome di nimistà il biasimo.

Nel deliberare proponti dinanzi agli occhi, quasi come esempi, le cose passate, e pigliane argomento delle future. Imperciocché la via più spedita a conoscere le cose occulte, si è di farne giudizio dalle palesi. Delibera adagio ed eseguisci spacciatamente. E ricordati che i due beni maggiori che possa aver l’uomo al mondo, sono, da Dio la buona fortuna, e da se medesimo il buon consiglio. In caso che tu volessi conferire di alcuna tua faccenda con uno amico, e ti vergognassi a favellargliene apertamente, favella mostrando che egli sia fatto d’altri, e per questo modo ti verrà conosciuto il parere dell’amico senza scoprirti. Quando tu sei per chieder consiglio ad alcuno sopra i casi tuoi, guarda innanzi tutto come egli si è governato nei casi propri; perché quelli che nei fatti loro provveggono male, non troveranno mai buon partito nei fatti d’altri. A procedere poi consigliatamente in ogni negozio t’indurrà sopra ogni altra cosa il pensiero dei mali che nascono dalla inconsiderazione, nel modo che egli si ha più cura della sanità quando altri si ricorda dei patimenti che porta seco la mala abitudine corporale.

Imita i costumi dei principi, e va dietro a quelle medesime cose a cui vanno essi; perch’egli parrà che tu gli approvi e che tu li reputi per esempi da seguitare; onde t’interverrà che la moltitudine ti avrà maggiore opinione, e la grazia di quelli ti verrà conservata meglio. Anco le leggi state poste dai principi ti si convengono osservare, ma tu dei far conto che la legge più forte di qualunque altra, sieno i costumi di essi principi; atteso che siccome a quelli che vivono laddove il reggimento è del popolo, bisogna gratificare alla moltitudine, così quelli che dimorano laddove è monarchia, deggiono coltivare il re. Assunto a qualche magistrato, non volerti servire di gente trista a nessuno ufficio, imperocché le persone daranno la colpa a te del male che faranno quelli. Procaccia di uscire delle amministrazioni pubbliche non più ricco di prima, ma più lodato, perciocché la lode dell’universale val iù che non poche ricchezze. Non intervenire a misfatti e non pigliarne a patrocinare, perché altri penserà che tu faccia di cotali azioni quali saranno quelle agli operatori delle quali tu t’impaccerai di dare aiuto.

Fa di condurti in grado tale, che tu possa avvantaggiarti dagli altri se tu volessi, ma contentati della condizione uguale alla loro. Acciocché tu mostri di seguitare il giusto, non per impotenza, ma per moderazione d’animo. Abbi più cara una povertà congiunta colla giustizia, che una ricchezza ingiusta. Perocché le ricchezze non giovano all’uomo se non solamente in vita, dove che la giustizia ci fa gloriosi anche dopo morte; e di quelle partecipano ancora i malvagi, ma di questa non possono mai essere a parte. Non avere invidia a nessuno il quale tu vegga far guadagno per via d’ingiustizia, ma piuttosto ama ed onora quelli che scapitano per amore della rettitudine. Imperocché i giusti, quando nessun altro vantaggio abbiano dagl’iniqui, certamente gli vincono nelle buone speranze. Abbi cura di tutto ciò che ti si appartiene, ma sopra tutto di addestrare ed esercitare il senno tuo proprio. Cosa grandissima, contenuta in una picciolissima, si è in un corpo umano una mente buona.

Ama e proccura l’uso delle fatiche nel corpo, la sapienza nell’animo, acciocché tu possa coll’uno recare ad effetto le risoluzioni prese, coll’altro conoscere i partiti migliori. Nessun detto mai ti esca di bocca, che tu non lo abbi considerato prima nel tuo pensiero; contro all’usanza di molti, nei quali la lingua precorre all’intendimento. Se niuna cosa umana reputerai stabile e ferma, tu non sarai troppo lieto nella fortuna prospera né soverchiamente tristo nella contraria. Non si vuol favellare se non solamente in due casi: o quando la necessità lo richiede, o quando altri ha piena contezza di ciò che egli è per dire; poiché solo in questi due casi meglio è parlare che tacersi; dove al contrario in tutti gli altri, meglio è il silenzio che la favella. Rallégrati delle prosperità e dolgati degl’infortuni moderatamente, ma non lasciare scorgere agli altri né quella tua letizia né questo dolore; perché certo ella è cosa stoltissima tener le robe riposte e celate in casa, e andar coll’animo scoperto e visibile a tutti.

Guàrdati più dalla mala fama che dai pericoli, essendo che egli si convenga ai tristi e agli sciocchi temere la fine della vita, agli uomini buoni e savi temere di essere sottoposti all’infamia vivendo. Ingegnati sì bene di vivere in sicurtà. Ma in caso che egli ti avvenga di correre alcun pericolo, cerca nella guerra quello scampo che è congiunto alla buona, non quello che alla cattiva fama. Perciocché tutti parimente ci condannò il fato a morire, ma solo ai valorosi e buoni assegnò la natura un fine onorato. E non ti maravigliare se molte delle cose dette di sopra non sono acconce alla età nella quale ti ritrovi ora; perciocché ancora io lo sapeva bene, ma ti ho voluto in una scrittura medesima porgere di quei consigli che si confacessero alla tua vita presente, e lasciarti di quelli che si appartenessero alla futura. Dei quali, come sarà tempo, tu conoscerai facilmente la opportunità, ma non così di leggeri troverai chi si faccia con animo benevolo a consigliarti. Perciò m’è paruto non lasciar cosa alcuna indietro di quelle che mi sovvenissero da proporti a osservare, a fine che tu non avessi a procacciar da altri quelle che mancassero qui, ma nella occorrenza tu le potessi cavare da questo ragionamento, come da un ripostiglio.

Io sarei tenuto agli Dei come di un beneficio grande se la opinione che ho di te non riuscisse vana. Noi veggiamo la più parte degli altri, siccome tra i cibi anteporre i più dilettevoli ai più salubri, così degli amici accostarsi a quelli che si fanno loro compagni nelle opere biasimevoli, piuttosto che a quelli che gli avvertono ed ammoniscono. Ma riguardando alla diligenza e prontezza che tu dimostri negli altri tuoi studi ed esercizi, io mi persuado che tu sia d’opinione e d’animo contrario a costoro: imperciocché uno che da se stesso s’induce a seguitare le cose buone, è da credere che abbia in grado coloro che lo esortano alla virtù. Ed all’amore delle cose onorate questa considerazione sopra ogni altra t’infiammerà, che da quelle noi riceviamo i diletti più puri e più veraci del mondo. Perciocché nell’uso della infingardaggine e della lussuria, tosto i dolori e le molestie s’appigliano e si mescolano alle dolcezze, ma dall’esercizio della virtù e dalla modestia della vita, sempre si raccolgono piaceri schietti e durabili. E dove da quelle altre cose prima riceviamo il piacere e poscia il contrario, da queste all’incontro dopo i travagli si riportano le dolcezze. Ora in ciascheduna cosa noi sentiamo il fine assai più che non abbiamo a memoria il cominciamento, e la maggior parte delle azioni si fanno, non per se, ma per rispetto di quello che ne dee nascere.

Considera altresì che agli sciocchi e da poco è lecito operare a caso, per aversi eletta insino da principio questa cotal maniera di vita; ma quelli che vogliono parere assennati e valenti non possono mancare di attendere alla virtù, o bisogna loro incorrere nella riprensione di molti. Perocché non tanto sono odiati quelli che procedono male, quanto coloro che fanno professione di costumi lodevoli, e negli effetti non si diversificano punto dalle persone volgari. E in verità se quelli che dicono bugia pur di parole sono riprovati da ciascuno, molto ragionevolmente saranno reputati tristi coloro che mentiscono, per dir così, con tutta la vita. E si potrebbe dire che questi tali non solamente peccano contra se stessi ma sono eziando traditori nella fortuna, la quale gli fornì di ricchezze, di riputazione e di amici, ed eglino si sono renduti indegni della felicità ricevuta. Che se ad uomo mortale non si disdice far qualche congettura dell’animo degli Dei, pare a me che anche questi abbiano dato ad intendere in che disposizione sieno verso i malvagi uomini e verso i buoni, e ciò massimamente in certi a se congiuntissimi di sangue. Imperciocché avendo Giove, secondo che narrano le favole ed è creduto da tutti, generato Ercole e Tantalo, l’uno per la sua virtù fece immortale, l’altro per la tristizia punì con supplicii gravissimi. Ai quali esempi guardando, si vuol fare ogni sforzo di giungere alla costumatezza e alla virtù, e non solo osservare le cose dette da noi, ma imparare oltre di ciò le migliori che abbiano scritte i poeti, e se gli altri sofisti hanno detto alcuna cosa utile, pigliare la fatica di leggerle. Imperciocché nel modo che noi veggiamo fare alla pecchia, la quale si posa in su tutti i fiori e da ciascuno prende quello che le fa profitto, medesimamente coloro che vogliono essere bene instituiti ed ammaestrati, debbono assaggiare, per dir così, di ogni cosa e da tutte le parti raccorre insegnamenti utili; essendo che, eziandio con questa fatica, appena si possono vincere i difetti della natura.