Categories
Uncategorized

I RICORDI – LA TRADUZIONE

[I,1,1] Da mio nonno Vero: il buon carattere e la non inclinazione all’ira.

[I,2,1] Dalla fama e dalla memoria che si ha di colui che mi generò: il rispetto di sé e degli altri e la maschiezza.

[I,3,1] Da mia madre: la devozione, la generosità, l’astenersi non soltanto dal malfare ma anche dall’addivenire ad un siffatto concetto; [I,3,2] e inoltre la frugalità nella dieta, lontana dal tenore di vita delle persone ricche di denaro.

[I,4,1] Dal mio bisnonno: non avere frequentato scuole pubbliche [I,4,2] ma avere potuto servirmi di eccellenti insegnanti in casa; [I,4,3] e riconoscere che per questo genere di cose vale la pena di spendere con larghezza.

[I,5,1] Dal mio aio: non essere diventato tifoso né dei Verdi né degli Azzurri, né dei Palmulari né degli Scutari. [I,5,2] Inoltre la resistenza alla fatica, la parsimonia, la capacità di lavoro manuale, il non essere un ficcanaso [I,5,3] e la refrattarietà alle calunnie.

[I,6,1] Da Diogneto: il disinteresse per le bagattelle [I,6,2] e la diffidenza per le parole di fattucchiere e stregoni che dicono di poter fare incantesimi, esorcismo di demoni e siffatte ciarlatanerie. [I,6,3] Il non giocare a colpire le quaglie e il non appassionarsi a siffatti passatempi; [I,6,4] la tolleranza per la libertà di parola; [I,6,5] l’avere familiarizzato con la filosofia [I,6,6] ascoltando dapprima le lezioni di Bacchio, poi quelle di Tantaside e di Marciano; [I,6,7] l’avere scritto dialoghi quand’ero fanciullo [I,6,8] e la smania per un pagliericcio coperto di pelle e quant’altre cose del genere avevano a che fare col sistema di educazione greco.

[I,7,1] Da Rustico: accogliere la rappresentazione che il mio carattere aveva bisogno di correzione e di cura. [I,7,2] Il non essere stato fuorviato verso uno zelo sofistico né verso la compilazione di trattati speculativi, la redazione di dialoghetti esortativi o il fare colpo sull’altrui fantasia sfoggiando me stesso come modello di asceta o di benefattore. [I,7,3] L’essermi distornato dalla retorica, dalla poesia e dalle spiritosaggini; [I,7,4] il non girare su e giù per casa in abiti eleganti né fare altre cose del genere. [I,7,5] La semplicità nello scrivere le lettere, semplicità di cui è esempio ciò che proprio lui scrisse a mia madre da Sinuessa. [I,7,6] Il diportarmi senza rancore e in modo conciliante verso coloro che ci esasperano e commettono dei falli contro di noi, non appena costoro scelgano di rivenire sui loro passi. [I,7,7] A leggere un testo con precisione; a non accontentarsi di intenderlo genericamente e a non assentire in fretta a coloro che ne vanno cianciando. [I,7,8] E l’essermi imbattuto nelle ‘Memorie’ di Epitteto, delle quali egli mi fece parte traendole dalla biblioteca di casa sua. 

[I,8,1] Da Apollonio: la libertà e l’indisputabile avversione all’azzardo; [I,8,2] il non volgere lo sguardo ad altro, neppure per poco, che alla ragione; [I,8,3] l’essere sempre identico in mezzo a sofferenze acute, in occasione della perdita di un figlio, nel corso di lunghe malattie. [I,8,4] Il vedere con evidenza un paradigma vivente del fatto che la stessa persona può essere sommamente energica e anche rilassata; [I,8,5] il non spazientirsi mai nel corso delle spiegazioni; [I,8,6] il vedere un uomo che riteneva chiaramente minime delle proprie buone doti la perizia e l’abilità nel trasmettere i principi generali della filosofia, [I,8,7] e l’imparare come si debbano prendere dagli amici quei che han sembiante di favori, senza sentirsene obbligati e senza metterli da parte per insensibilità. 

[I,9,1] Da Sesto: la pazienza [I,9,2] e il paradigma di una casa paternamente governata; [I,9,3] il concetto del vivere secondo la natura delle cose; [I,9,4] la solennità non artefatta; [I,9,5] la provvida presupposizione delle richieste degli amici; [I,9,6] la tolleranza per le persone comuni e per coloro che presumono ascientificamente. [I,9,7] Poi l’adattabilità verso tutti, sicché la sua conversazione era gradevole più di qualunque adulazione nel momento stesso in cui egli era, per i suoi interlocutori, la più rispettabile delle persone. [I,9,8] La capacità di scovare e ordinare con perfetta certezza e con metodo i giudizi necessari per vivere; [I,9,9] il non esibire mai ira né qualche altra passione, ma l’essere allo stesso tempo spassionatissimo ed affettuosissimo; [I,9,10] l’inclinazione ad elogiare senza fare baccano; [I,9,11] ed una poliedrica erudizione senza pose.

[I,10,1] Da Alessandro il grammatico: non censurare [I,10,2] e redarguire con acrimonia coloro che proferiscono un barbarismo, un solecismo o qualche parola stonata, bensì soltanto a proferire a mia volta destramente l’espressione corretta, a modo di risposta o di testimonianza o di considerazione congiunta alla faccenda in questione e non al vocabolo usato erroneamente; oppure attraverso qualche altra siffatta garbata menzione.

[I,11,1] Da Frontone: aver soppesato la malignità, varietà di sotterfugi e ipocrisia della quale è capace un tiranno; e come coloro che chiamiamo patrizi siano, per lo più, le persone meno affettuose che esistono.

[I,12,1] Da Alessandro il Platonico: non dire a qualcuno o scrivere in una lettera, spesso anche senza necessità, che sono impegnato; né ad accampare il pretesto di affari pressanti al fine di schivare continuamente, in questo modo, cose da parte mia doverose per le relazioni con i conviventi.

[I,13,1] Da Catulo: non trattare con negligenza l’amico che ti accagiona di qualcosa, anche se capita che lo faccia irrazionalmente, ma anzi provare a ristabilire con lui il rapporto consueto; [I,13,2] e l’elogio di cuore dei propri insegnanti, come raccontano i fatti memorabili riguardanti Domizio e Atenodoto; [I,13,3] ed a nutrire vera amorevolezza per i figli. 

[I,14,1] Da Severo: l’amore per la famiglia, la verità e la giustizia. [I,14,2] L’avere riconosciuto grazie a lui che uomini erano Trasea, Elvidio, Catone, Dione, Bruto e accolto la rappresentazione di un Stato con una legge uguale per tutti, governato secondo uguaglianza politica ed uguale diritto di parola; e di una monarchia che onori al di sopra ogni cosa la libertà dei sudditi. [I,14,3] E ancora, il dare un onore equilibrato ed uniforme alla filosofia; [I,14,4] l’inclinazione alla beneficenza e la liberalità con larghezza; [I,14,5] l’ottimismo e la fiducia nell’amore degli amici; [I,14,6] la spigliatezza con coloro che gli capitava di riprovare, [I,14,7] come pure il fatto che i suoi amici non abbisognavano di presupposizioni per capire cosa volesse, talmente era manifesto.

[I,15,1] Da Massimo: padroneggiare se stessi e il non lasciarsi trascinare in nulla da impulsi passeggeri. [I,15,2] Il buon umore nelle altre circostanze difficili e nelle malattie. [I,15,3] Il contemperamento di blando e di grave nel carattere. [I,15,4] L’espletamento non improvvisato degli obiettivi prefissi. [I,15,5] Il fatto che tutti si fidavano che egli dicesse ciò che davvero pensava e che facesse quel che faceva senza secondi fini. [I,15,6] Non stupirsi, non sbigottirsi, non mostrarsi mai frettoloso o titubante o imbarazzato o accasciato o sguaiato oppure, ancora, rancoroso o sospettoso. [I,15,7] Il beneficare, il perdonare e la sincerità. [I,15,8] Il palesare l’immagine di una proairesi non pervertita piuttosto che quella di una che fosse stata corretta. [I,15,9] E che nessuno credette mai di essere disdegnato da lui né avrebbe retto di concepirglisi superiore. [I,15,10] E l’essere amabilmente arguto.

[I,16,1] Da mio padre: la mansuetudine e la fermezza irremovibile nelle determinazioni prese dopo attenta indagine; [I,16,2] l’assenza di vanagloria per quei che han sembiante di onori; [I,16,3] la laboriosità e l’assiduità nell’impegno; [I,16,4] la capacità di prestare ascolto a quanti hanno qualcosa di comune giovamento da suggerire; [I,16,5] il non sviarsi nell’assegnare a ciascuno secondo il proprio valore; [I,16,6] la perizia nel capire dove c’era bisogno di tenere la briglia corta e dove invece era il caso di lasciarla lunga; [I,16,7] l’aver fatto cessare gli episodi di passione amorosa per gli adolescenti; [I,16,8] il senso della comunanza civile e l’autorizzazione agli amici di non essergli ad ogni costo commensali né di accompagnarlo per forza in viaggio, e il farsi ritrovare sempre l’identica persona da coloro che erano rimasti indietro per qualche bisogno; [I,16,9] la ricerca precisa e tenace del meglio nelle riunioni con i consiglieri; [I,16,10] la capacità di serbare a dovere gli amici senza presto saziarsene o infatuarsene; [I,16,11] l’autosufficienza in tutto e un aspetto raggiante; [I,16,12] la previsione a lunga scadenza e il regolare, senza pose eroiche, anche i minimi particolari; [I,16,13] le restrizioni imposte alle acclamazioni pubbliche e ad ogni forma di adulazione alla sua persona; [I,16,14] la costante custodia delle risorse necessarie all’Impero, la gestione di tesoreria delle sue spese e la capacità di reggere un’incolpazione su faccende siffatte. [I,16,15] Antonino non nutriva superstizioni circa gli dei e non era demagogico con gli uomini, non era un piaggiatore e non corteggiava la turba ma era sobrio in tutto, saldo, mai privo del senso del bello e lontano da ogni smania di novità. [I,16,16] Utilizzava quegli oggetti che apportano comodità alla vita e che la fortuna procura a profusione, con modestia e insieme senza esitazione, cosicché si accostava alla buona a quelli presenti e non abbisognava di quelli assenti. [I,16,17] Di lui nessuno avrebbe potuto dire che era un sofista, un buffone o un pedante, ma che era un uomo maturo, completo, insensibile all’adulazione, capace di capeggiare se stesso ed altri. [I,16,18] Inoltre egli ha impersonato l’onore riservato a chi viveva davvero la filosofia, senza tuttavia essere ingiurioso con gli altri né credulone. [I,16,19] E ancora, l’affabilità e la buonagrazia senza esagerazioni. [I,16,20] La misurata sollecitudine per il proprio corpo, non come di chi sia attaccato alla vita, né per imbellettarsi né con negligenza, ma in modo da avere bisogno il meno possibile, grazie alla propria attenzione, dell’arte medica o di farmaci e di applicazioni esterne. [I,16,21] Soprattutto la rinuncia senza malignità a qualunque pretesa in favore di chi aveva acquisito qualche arte o facoltà, come la capacità espressiva o quella derivante dall’investigazione delle leggi, dei costumi o di altre faccende, e la premurosità nei loro riguardi affinché ciascuno di essi ottenesse la buona fama che meritavano i suoi pregi in un dato campo. Così pure, il fare tutto secondo i patrii usi e l’occuparsi a far sì che questo non apparisse. [I,16,22] Antonino non era mai in preda ad instabilità o irrequietezza, ma si intratteneva volentieri nelle stesse faccende e negli stessi luoghi. [I,16,23] Dopo un attacco parossistico di cefalalgia ritornava subito ai consueti lavori con giovanile vigore. [I,16,24] Non aveva molti segreti, anzi pochissimi, ben di rado e solo su affari di Stato. [I,16,25] Mostrava un assennato scrupolo nell’allestimento di spettacoli, nella fabbricazione di opere pubbliche, nelle elargizioni e in altre attività siffatte, da uomo che guata ciò che bisogna fare e non la buona fama che può derivare dall’averlo fatto. [I,16,26] Non faceva bagni ad ore inopportune; non aveva la smania delle costruzioni; non pensava troppo ai suoi pasti, né ai tessuti e alla coloritura dei suoi vestiti, né alla grazia degli schiavi. [I,16,27] La galleria di Lorio, che viene verso l’alto dalla casa di campagna in basso; i molti fatti che accaddero a Lanuvio; [I,16,28] e come trattò, a Tuscolo, il doganiere che lo schivava e tutti gli altri fatti analoghi. [I,16,29] Nulla di ruvido, di inesorabile, di furioso; nulla di cui si potesse dire ‘fino al sudore’; ma tutto egli discerneva al modo di chi ha fatto i suoi conti, con agio, senza sconcerto, con ordine, gagliardamente e in sinfonia. [I,16,30] Gli si adatterebbe bene quel che si rammemora di Socrate, ossia che poteva astenersi e poteva godere di ciò di cui molti sono deboli nell’astinenza e arrendevoli nel godimento. [I,16,31] Ora, essere potente, saper perseverare ed essere sobrio sia nell’uno che nell’altro caso è proprio di un animo integro e invitto come, ad esempio, nella malattia di Massimo. 

[I,17,1] Dagli immortali: avere avuto buoni nonni, buoni parenti, una buona sorella, buoni insegnanti, buoni familiari, congeneri, amici, quasi tutti. [I,17,2] Non essere stato precipitoso a commettere falli contro nessuno di loro, pur avendo io una disposizione naturale tale che avrei potuto, se fosse capitato, fare qualcosa del genere. Ed è una beneficenza degli immortali quella per cui non si è mai verificato un concorso di circostanze tali da riscontrarmi. [I,17,3] Non essere stato allevato oltre presso la concubina di mio nonno. [I,17,4] Avere preservato il fior degli anni miei, non avendo io raggiunto la maturità sessuale anzitempo ma per avere essa, anzi, preso del tempo. [I,17,5] Essere rimasto subordinato al mio condottiero e padre, le cui intenzioni erano quelle di eliminare del tutto la mia vanità, conducendomi al concetto che è possibile, pur vivendo a corte, non avere bisogno né di guardie del corpo, né di vestiti ricercati, né di certi candelabri, né di certe statue né di simile pompa, ma che ci si può restringere molto vicino al tenore di vita della persona comune senza per questo sentirsi più miserabili o più pigri verso ciò che si deve operare, da capi, per lo Stato. [I,17,6] Essermi capitato un fratello capace, col suo carattere, di svegliarmi alla sollecitudine per me stesso e, insieme, di allietarmi con il suo onore e il suo affetto. [I,17,7] Non essere diventati i miei bambini né inetti né fisicamente deformi. [I,17,8] Non avere io fatto troppi progressi in retorica, in poesia e in altre occupazioni, nelle quali forse mi sarei trattenuto se mi fossi accorto di star procedendo con libero corso. [I,17,9] Avere ben presto istituito i miei precettori ad un posto elevato, per il quale mi sembrava smaniassero; e non averlo rimandato nella speranza, dato che erano ancora giovani, di farlo poscia. [I,17,10] Avere conosciuto Apollonio, Rustico e Massimo. [I,17,11] Essere stato capace di rappresentarmi, con evidenza e spesso, il vivere in armonia con la natura delle cose; cosicché, per quanto attiene agli immortali e alle loro reciprocità, soccorsi e ispirazioni, nulla mi impedisce di vivere già ora in armonia con la natura delle cose e, se qualcosa al riguardo rimane indietro, ne sono io la causa; perché non serbo a dovere i loro rammentamenti e pressoché insegnamenti. [I,17,12] Avere il mio corpo tenuto duro per così tanto in una vita siffatta. [I,17,13] Non essermi accostato sessualmente né a Benedetta né a Teodoto e anche poscia, quando fui preda di passione erotica, esserne risanato. [I,17,14] Non essere andato oltre, quando mi sono spesso esasperato con Rustico, facendo cose di cui poi avrei provato rimorso. [I,17,15] Avere potuto colei che mi procreò, la quale doveva morire giovane, comunque abitare con me i suoi ultimi anni di vita. [I,17,16] Avere potuto prestare aiuto, quante volte così ho deciso, a qualcuno in stato di indigenza oppure in bisogno di qualcos’altro, senza sentirmi dire che non avevo i denari per farlo. [I,17,17] Non essermi contemporaneamente accaduto di avere io stesso un simile bisogno di ricevere aiuto da un altro. [I,17,18] L’essere mia moglie la donna che è, così sottomessa eppure così affettuosa e semplice. [I,17,19] Avere avuto abbondanza di idonei precettori per i miei bambini. [I,17,20] Avere ricevuto aiuti attraverso i sogni, in particolare contro lo sputo di sangue e contro le vertigini; [I,17,21] e il responso dell’oracolo a Gaeta. [I,17,22] Non essere caduto, quando smaniavo per la filosofia, nelle mani di nessun sofista; non essermi seduto in disparte per compilare luoghi comuni o risolvere sillogismi o applicarmi allo studio dei fenomeni celesti. [I,17,23] Giacché tutto questo abbisogna dell’aiuto degli immortali e del favore della fortuna.
(Scritto nel territorio dei Quadi*, presso il fiume Granua**)

*****

LIBRO II

[II,1,1] Fin dal mattino devi predire a te stesso: m’imbatterò in un intrigante, in un ingrato, in chi oltraggia, in una canaglia, in una persona maligna, in una antisociale. [II,1,2] Tutte queste aberrazioni sono loro avvenute a causa dell’ignoranza del bene e del male. [II,1,3] Io invece, avendo chiara conoscenza della natura del bene: che è bello; e di quella del male: che è vergognoso; e inoltre della natura di colui che aberra: che mi è congenere, non di un medesimo sangue e di un medesimo sperma ma di una medesima mente e in quanto partecipe di una divina particella, neppure posso essere danneggiato da uno di loro. Nessuno, infatti, mi precingerà di vergogna; né io posso adirarmi con chi mi è congenere né averlo in odio. [II,1,4] Giacché siamo nati per la cooperazione: come i piedi, le mani, le palpebre, le chiostre dei denti di sopra e di sotto. [II,1,5] Operare gli uni contro gli altri è dunque contrario alla natura delle cose; fremere di odio e distogliersi dalla cooperazione è quindi operare contro di essa.

[II,2,1] Qualunque cosa mai io sia, è carne, pneuma, l’egemonico. [II,2,2] Tralascia i libri, non ambasciartene più: non ti è stato dato. Invece, come qualcuno ormai morente, giudicati pure superiore alla tua carne: è sangue coagulato, ossa, un reticolo di nervi, di vene, di arterie. [II,2,3] Osserva anche cos’è il tuo pneuma: aria in movimento, non sempre la stessa ma ogni momento espirata e poi di nuovo inspirata. [II,2,4] E terzo viene il tuo egemonico. Qui pensaci: sei vecchio; non permettergli più di essere servo; non permettergli più di essere mosso come una marionetta da impulsi antisociali; non permettergli più di essere malcontento del destino presente o di rifiutare quello futuro.

[II,3,1] Le opere degli immortali sono intrise di Prònoia; quelle della Fortuna non mancano di legame con la Natura o della trama e dell’ordito di quelle governate dalla prònoia: tutto scorre di là. [II,3,2] In aggiunta vi è la Necessità e quel che è utile al cosmo nella sua interezza, del quale sei una parte. Bene per qualunque parte della natura è inoltre ciò che la natura del cosmo apporta e ciò che la salvaguarda. E come salvaguardano il cosmo le trasformazioni degli elementi naturali, così pure lo salvaguardano quelle delle sostanze composte. [II,3,3] Questo ti basti, se sono giudizi che hai fatto tuoi. Scaccia invece la sete di libri, per non morire brontolando ma davvero pacificato e grato di cuore agli immortali.

[II,4,1] Ricorda da quanto tempo rimandi questi conti e quanto spesso, pur prendendo proroghe dagli immortali, non le utilizzi. [II,4,2] Bisogna ormai che tu ti accorga una buona volta di quale cosmo sei parte; a quale governante del cosmo sottostai quale emanazione; e che vi è per te un limite circoscritto di tempo il quale, se non te ne servirai per darti aria pulita, disparirà e non vi sarà più un daccapo.

[II,5,1] Ogni ora preoccupati seriamente, da Romano e da maschio, di effettuare ciò che hai per le mani con precisa e non artefatta solennità, con affettuosità, libertà e giustezza; e di provvederti agio da qualunque altra rappresentazione. [II,5,2] E te lo provvederai se esegui ciascuna azione come se fosse l’estrema della vita, essendoti allontanato da ogni avventatezza, da emotivo distoglimento dalla ragione che opera la diairesi, da ipocrisia, malinteso egoismo e dispiacere per gli avvenimenti compartiti dalla sorte. [II,5,3] Vedi quante poche sono le cose padroneggiando le quali si può vivere una vita serena e da dio; giacché gli immortali non richiederanno nulla di più a chi custodisce questi giudizi.

[II,6,1] Oltraggia, oltraggia te stesso, o animo! Di renderti onore non avrai più occasione. Non è, infatti, breve la vita concessa a ciascuno di noi? [II,6,2] E questa vita per te è ormai quasi conclusa; per te che non hai avuto rispetto di te stesso ma hai posto negli animi di altri la tua buona sorte.

[II,7,1] Gli accidenti esteriori ti distraggono? Procurati agio di apprendere qualcosa di buono in più e cessa di girovagare di qua e di là. [II,7,2] Ma bisogna anche stare in guardia dall’altra condotta: giacché vaneggiano in pratica anche coloro i quali, stanchi della vita, non hanno uno scopo sul quale indirizzare una volta per tutte ogni impulso e rappresentazione.

[II,8,1] Difficilmente si vede qualcuno infelice perchè non riesce a soppesare ciò che succede nell’animo di un altro. È invece necessario che non conoscano felicità gli esseri che non hanno la comprensione delle mosse del proprio animo.

[II,9,1] Bisogna sempre ricordare questo: quale sia la natura del cosmo; quale sia la mia natura e in quale relazione questa stia con quella; quale parte di quale cosmo essa sia; che nessuno può impedire di fare e di dire sempre ciò che è conseguente con la natura della quale sei parte.

[II,10,1] Come chi paragonasse le aberrazioni nel modo più comune, Teofrasto afferma, da filosofo, che siffatti falli sono più gravi se commessi per smania che per rancore. [II,10,2] Chi è preda del rancore, infatti, mostra di essersi distolto dalla ragione con una certa afflizione ed una latente contrizione. Chi invece aberra per smania, vinto dall’ebbrezza, appare in un certo modo più impudente ed effeminato nelle aberrazioni. [II,10,3] Rettamente da filosofo, pertanto, Teofrasto ha detto che è maggior crimine l’aberrare con ebbrezza che con afflizione. Insomma, l’uno assomiglia di più a chi abbia prima subito un’ingiustizia e sia stato costretto dalla propria afflizione ad infuriarsi; mentre l’altro si è mosso spontaneamente verso un’azione ingiusta, portato dalla propria smania a fare qualcosa di aberrante. 

[II,11,1] Fare, dire, pensare ogni cosa come chi può ormai uscire dalla vita. [II,11,2] L’andarsene via dagli uomini, se esistono degli immortali, nulla è di terribile; giacché essi non ti precingerebbero di un male. Se poi degli immortali non esistono oppure non importa loro delle umane vicende, cos’è per me il vivere in un cosmo vacuo di immortali e di prònoia? [II,11,3] Ma essi esistono, importa loro delle vicende umane ed hanno posto in esclusivo potere dell’uomo tutto ciò che gli permette di non incappare nei mali veri. E se qualcuna delle altre cose fosse un male, anche questo avrebbero previsto, affinché fosse del tutto in potere dell’uomo non incapparvi. [II,11,4] Ciò che non fa peggiore un uomo, come potrebbe fare peggiore la sua vita? [II,11,5] La natura non avrebbe trascurato queste cose né per ignoranza né, sapendolo, per incapacità di prevenirle o di correggerle e neppure avrebbe aberrato a tal punto, o per impotenza o per imperizia, da far sì che tanto i beni quanto i mali capitassero in modo pasticciato e parimenti sia ai virtuosi che ai viziosi. [II,11,6] Morte e vita, gloria e discredito, dolore e piacere fisico, ricchezza e povertà di denaro: tutte queste cose, che non sono né belle né vergognose, capitano parimenti sia ai virtuosi che ai viziosi. Dunque esse non sono né beni né mali.

[II,12,1] Tocca alla facoltà cognitiva soppesare come tutto scompaia in fretta: i corpi stessi nel cosmo, nell’eternità la loro memoria; quale natura abbiano tutte le cose sensibili e soprattutto quelle che ci adescano col piacere o ci impauriscono col dolore fisico o sono all’ultimo grido della vanità umana; come esse siano da poco, spregevoli, sozze, deteriorabili, cadaveriche. [II,12,2] E poi chi siano costoro le cui concezioni e le cui voci appiccano ad alcuni buona fama o discredito; [II,12,3] cosa sia il morire e che, se uno guarderà la cosa in se stessa e con la partizione del concetto dissolverà le immaginazioni ad essa associate, lo concepirà essere null’altro che un’opera di natura; e se uno ha paura di un’opera di natura è un bambino. E nondimeno esso è non soltanto un’opera di natura ma anche un’opera utile ad essa. [II,12,4] Come, infine, l’uomo si accosti a un dio, grazie a quale sua parte e quando questa parte costitutiva dell’uomo si trovi in quale disposizione. 

[II,13,1] Niente è più meschino di colui che fa il giro intorno ad ogni cosa, ed ‘inquisisce’, come dice il poeta, ‘i sotterranei’ e cerca di arguire da segni esteriori cosa ci sia negli animi di chi gli sta intorno; senza accorgersi, invece, che gli basta stare in compagnia del demone che è dentro di lui ed accudirlo genuinamente. [II,13,2] Averne cura è serbarlo a dovere puro da passione, da avventatezza, da dispiacere per ciò che gli viene dagli dei e dagli uomini. [II,13,3] Ciò che viene dagli immortali, infatti, è rispettabile per virtù; e ciò che viene dagli uomini è caro per congenericità e, a volte e in un certo modo, anche degno di commiserazione per la loro ignoranza del bene e del male; storpiatura, questa, non minore di quella che defrauda della capacità di discriminare il bianco dal nero.

[II,14,1] Anche se tu stessi per vivere tremila anni e altrettante volte diecimila anni, comunque ricorda che nessuno perde altra vita che questa che vive, e non vive altra vita che questa che perde. [II,14,2] Pertanto, una vita lunghissima e una vita brevissima si riducono alla stessa cosa. [II,14,3] Il presente, infatti, è uguale per tutti e quindi quel che sfuma è uguale e quel che si perde compare, così, infinitesimo. [II,14,4] Uno non potrebbe perdere né il passato né il futuro. Come potrebbe, infatti, essergli sottratto ciò che non ha? [II,14,5] Bisogna dunque ricordare sempre queste due cose: primo, che tutto è da sempre conforme, ciclico, e non fa alcuna differenza vedere le stesse cose in cento anni o in duecento o in un tempo infinito; secondo, che chi vive moltissimo e chi muore prestissimo subiscono uguale perdita. [II,14,6] E’ soltanto il presente quello di cui si può essere defraudati, dato che è l’unica cosa che si ha, e nessuno perde ciò che non ha.

[II,15,1] “Che tutto è concezione”. Queste parole riferite al cinico Monimo sono chiare ed è manifesta anche la loro utilità, se uno ne accoglierà il veritiero sapore.

[II,16,1] L’animo umano oltraggia se stesso soprattutto quando diventa, per quanto è in suo esclusivo potere, un ascesso e come un tumore del cosmo. [II,16,2] Infatti, l’essere malcontenti di qualche evento è diserzione dalla natura delle cose, nel cui contesto sono incluse le nature di ciascuno degli altri esseri umani. [II,16,3] In secondo luogo l’animo umano oltraggia se stesso quando si distolga da qualcuno o gli si porti contro col proposito di danneggiarlo, come nel caso degli animi iracondi. [II,16,4] In terzo luogo oltraggia se stesso quando si lascia vincere dal piacere o dal dolore fisico. [II,16,5] In quarto luogo quando recita e fa o dice qualcosa per finta e senza verità. [II,16,6] In quinto luogo quando lasci senza uno scopo qualche sua azione e impulso, ma esegua una cosa qualunque a casaccio e senza comprenderlo, mentre invece anche le più piccole azioni devono avvenire in riferimento ad un fine. E il fine delle creature razionali è quello di seguire ragione e statuto della città e del regime primigenio.

[II,17,1] La durata della vita umana è un attimo; la sostanza, un continuo fluire; la sensazione, ottusa; il composto dell’intero corpo va in putrefazione facilmente; l’animo è un girovago; la fortuna, indecifrabile; la notorietà, spregiudicata. [II,17,2] Per dirla in breve: tutto quanto concerne il corpo è un fiume; quanto concerne l’animo è sogno e vanità; la vita è guerra e soggiorno di uno straniero; la fama presso i posteri, oblio. [II,17,3] Cosa può farci mettere da parte tutto ciò? Solo e soltanto la filosofia. [II,17,4] Ed essa consiste nel serbare il proprio demone interiore indenne da oltraggi fatti o subiti, superiore ai piaceri e ai dolori fisici, capace di non operare nulla a casaccio né da mendace e da ipocrita, libero dal bisogno che un altro faccia o non faccia qualcosa. E ancora: capace di accogliere le contingenze assegnategli come provenienti da un qualche di là donde lui stesso è venuto. E soprattutto capace di attendere la morte con pacificata intelligenza, cosciente che la morte non è altro che la risoluzione degli elementi naturali dei quali ogni creatura è composta. [II,17,5] Se non vi è nulla di terribile per gli elementi naturali nel trasformarsi senza interruzione l’uno nell’altro, perché si dovrebbe guardare con sospetto la trasformazione e la dissoluzione di tutte le creature? Essa è secondo natura, e nessun male è secondo la natura delle cose.

*****

LIBRO III

(Scritto a Carnunto*)

[III,1,1] Non bisogna conteggiare soltanto il fatto che giorno dopo giorno la vita è distrutta e ne rimane una parte sempre minore, ma anche il fatto che, se uno vivesse più a lungo, è dubbio se l’intelletto sarebbe poi egualmente bastante per l’accorta comprensione dei fatti e per quelle conoscenze che hanno per intento la nostra perizia nelle cose umane e divine. [III,1,2] Se, infatti, comincerà a sragionare, però il traspirare, nutrirsi, immaginare, impellere e tutto il resto non verrà meno; mentre invece la sua autocoscienza, la precisa enumerazione di ciò che è doveroso, l’articolazione di ciò che appare ai sensi, il soppesare su di sé per capire se ormai non sia tempo per lui di uscire dalla vita, e quant’altro ha bisogno di un raziocinio molto ben allenato, si sono ormai estinti prima. [III,1,3] Occorre dunque fare presto, non soltanto perché la morte diventa ciascun momento più vicina, ma anche perché la facoltà di concettualizzazione dei fatti e la loro comprensione si esaurisce prima di morire.

[III,2,1] Occorre inoltre tenere ben presente che anche gli accessori degli eventi naturali hanno aspetti graziosi e attraenti. [III,2,2] Per esempio, quando si cuoce il pane alcune sue parti si screpolano e queste screpolature, pur in un certo modo contrarie all’arte professata dalla panificazione, gli danno come un risalto e stimolano uno slancio peculiare verso il cibo. [III,2,3] A loro volta i fichi, quando sono ben maturi, si aprono. [III,2,4] E nelle olive maturate sull’albero, proprio l’essere vicine a marcire addiziona al frutto una peculiare leggiadria. [III,2,5] Le spighe di grano incurvate fino al suolo, il cipiglio del leone, la schiuma che scorre fuor di bocca ai cinghiali e molti altri particolari, considerati uno per uno, pur essendo lontani dalla bellezza, tuttavia per il fatto di essere conseguenze di fenomeni naturali, li ornano e li rendono accattivanti; sicché se uno ha passione e un concetto più approfondito di ciò che succede nel cosmo, quasi nulla, anche di ciò che avviene per conseguenza, non gli parrà comporsi al resto con una certa qual piacevolezza. [III,2,6] Costui guarderà le vere fauci delle belve non meno piacevolmente di quanto guarda quelle che pittori e scultori mostrano imitando la natura. Sarà capace di vedere con i suoi occhi temperanti il colmo dell’autunno di una vecchia e di un vecchio, e tutta la vezzosità che è nei fanciulli. E molte altre osservazioni siffatte, non persuasive per tutti, incoglieranno soltanto chi si è genuinamente familiarizzato con la natura e le sue opere.

[III,3,1] Dopo avere guarito molte malattie, Ippocrate stesso si ammalò e morì. [III,3,2] I Caldei predissero le morti di molte persone e poi la fatalità afferrò anche loro. [III,3,3] Alessandro, Pompeo, Gaio Cesare dopo avere fatto così tante volte sparire dalle fondamenta intere città e macellato molte decine di migliaia di cavalieri e di fanti schierati, anch’essi a un certo punto uscirono di vita. [III,3,4] Dopo avere tanto scientificamente discusso circa la conflagrazione cosmica, Eraclito si ammalò di idropisia e morì col corpo imbrattato di letame. [III,3,5] I pidocchi uccisero Democrito e altri pidocchi uccisero Socrate. [III,3,6] E allora? Ti sei imbarcato, hai navigato, sei arrivato in porto: sbarca. Se verso un’altra vita, là pure nulla sarà vuoto di immortali. Se, invece, verso uno stato di assenza di sensazioni, cesserai di sopportare piaceri e dolori fisici e di rendere culto ad un recipiente tanto peggiore di ciò cui rende servizio: questo, infatti, è mente e demone; l’altro, terra e sangue coagulato. 

[III,4,1] Non sciupare la parte di vita che ti sopravanza in immaginazioni circa altre persone e faccende, quando questo non faccia riferimento a qualcosa di comune giovamento: cioè immaginando cosa faccia il tale e perché; cosa dica, ponderi o macchini e tutto quanto ti fa divagare dalla disamina del tuo proprio egemonico. [III,4,2] Occorre dunque circostanziare nella sequela delle rappresentazioni quanto è a casaccio e soprattutto ciò che è da intriganti e da individui di cattivo carattere. [III,4,3] Abituati ad immaginare soltanto cose circa le quali, se qualcuno improvvisamente ti interrogasse chiedendoti: ‘Cosa stai pensando?’ potresti rispondere immediatamente con libertà di parola: ‘Questo e quest’altro’. Così che dalle tue parole stesse sia subito manifesto che tutto in te è schietto e paziente, degno di una creatura socievole, che ha negletto le fantasticherie di ebbrezze o, in una parola, di godimento, e quelle dell’ambizione, della malignità, del sospetto o di qualcos’altro di cui arrossiresti spiegando ciò che avevi in mente. [III,4,4] L’uomo siffatto, colui che non pospone più la sua entrata tra i migliori in assoluto, è un sacerdote e un ministro di immortali dal momento in cui utilizza quell’egemonico che ha sede nel suo intimo e che rende l’uomo incontaminato dai piaceri volgari, invulnerabile a qualunque dolore, intangibile da qualunque oltraggio, insensibile a qualunque malvagità, un atleta della contesa più grande: quella per non essere abbattuti da nessuna passione. Immerso a fondo nella giustizia, egli accetta di buon grado e con tutto l’animo ciò che avviene e che gli è assegnato; non spesso, e soltanto per necessità grandi e di comune giovamento, disponendosi ad immaginare cosa un’altra persona dica, faccia o pensi. [III,4,5] Egli fa attenzione soltanto a come potrebbe eseguire le cose che sono in suo esclusivo potere e concettualizza ininterrottamente quali siano quelle che gli sono intessute dalla fabbrica dell’universo. E mentre procura che le prime siano rette, è persuaso che le seconde possano essere beni. [III,4,6] Giacché la sorte dispensata a ciascuno di noi è un elemento tanto condizionato quanto condizionante. [III,4,7] Egli si ricorda anche che tutto ciò che è razionale è congenere e che tutelare tutti gli uomini è in accordo con la natura umana. Non bisogna tuttavia attenersi all’opinione di tutti, ma soltanto a quella di coloro che vivono ammissibilmente con la natura delle cose. [III,4,8] Perciò egli ricorda in continuazione che genere di persone siano coloro che non vivono così, sia dentro casa che fuori di casa, e con chi si lordino di notte e di giorno. [III,4,9] Non tiene perciò in nessun conto la lode di gente siffatta, che non gradisce neppure se stessa.

[III,5,1] Non agire indeliberatamente, in modo antisociale, incontrollato, lasciandoti tirare in direzione contraria da altri. L’affettazione non imbelletti il tuo intelletto. Non essere verboso né ficcanaso. [III,5,2] Il dio che è dentro di te sia patrocinatore di una creatura maschia, provetta, politica, di un romano, di un condottiero predispostosi come chi attendesse il segnale della ritirata dalla vita con scioltezza e non abbisognasse né di giuramenti né di testimoni. [III,5,3] Dentro raggiante, non bisognevole di servizi dall’esterno e di una quiete procurata da altri. [III,5,4] Occorre essere retti, non corretti.

[III,6,1] Se tu scopri nella vita umana qualcosa di migliore della giustizia, della verità, della temperanza, della virilità e, in una parola, del fatto che il tuo intelletto sia pago di se stesso in quei giudizi che ti fanno agire in armonia con la retta ragione e col destino in ciò che di aproairetico ci è assegnato; se, dico, vedi qualcosa migliore di questo, volgiti ad esso con tutto l’animo e godi del meglio in assoluto che hai scoperto. [III,6,2] Se invece nulla ti appare migliore di quel demone che ha sede in te, che ha subordinato a se stesso i tuoi impulsi, che indaga le rappresentazioni, che ha estirpato da sé, come diceva Socrate, le passioni dei sensi, che si è subordinato agli immortali e si dà pensiero degli uomini; [III,6,3] se trovi tutto il resto più piccolo e più da poco di questo: non dare spazio ad altro, propendendo ed inclinando al quale una volta sola potresti poi non preferire più quel bene tuo proprio senza distrazioni. [III,6,4] Al bene della ragione e dello Stato è infatti illecito contrapporre qualunque cosa d’altro genere, come la lode dei più o le cariche pubbliche o la ricchezza di denaro o godimenti di ebbrezze. [III,6,5] Tutte queste cose, anche se sembrassero per un po’ accordarsi, improvvisamente assoggettano e travolgono. [III,6,6] Tu invece, dico, scegli schiettamente e liberamente il meglio e attieniti ad esso. Ma il meglio è l’utile. [III,6,7] Se intendi utile a te come creatura razionale, serba questa scelta. Se intendi utile a te come animale, dichiara e custodisci senza tante storie la risoluzione. Bada soltanto di fare l’indagine con sicurezza.

[III,7,1] Non onorare mai come tuo utile ciò che un giorno ti costringerà a contravvenire alla lealtà, gettarti alle spalle il rispetto di te e degli altri, odiare qualcuno, sospettare, maledire, recitare una parte ipocrita, smaniare per qualcosa che abbisogna di muri e cortine. [III,7,2] Giacché chi presceglie la propria mente, il proprio demone e il sacro culto della sua virtù, non fa tragedie, non sospira, non abbisognerà né di isolamento né di pienone; e poi la cosa più grande di tutte: vivrà senza inseguire e senza fuggire nulla. [III,7,3] A lui non importa un bel nulla se disporrà di un animo circondato dal corpo più o meno a lungo. [III,7,4] E se dovesse ormai allontanarsene, se ne andrà con tale scioltezza come se eseguisse un’altra qualunque delle azioni che possono essere eseguite con rispetto di sé e degli altri e con compostezza, dopo avere per tutta la vita usato cautela soltanto su questo, ossia che il suo intelletto non prendesse un rivolgimento inappropriato ad una creatura cognitiva e politica.

[III,8,1] Nell’intelletto dell’uomo castigato e purgato non scopriresti nulla di purulento né di insudiciato né di fradicio. [III,8,2] E quando la fatalità afferra la sua vita, essa non è incompiuta, come si direbbe di un attore tragico che si allontana prima di ultimare la recitazione del dramma. [III,8,3] Inoltre non vi è nulla di servo, di affettato, né di dipendente, né di frammentato, nulla di cui sia tenuta a render conto e nulla in agguato.

[III,9,1] Venera la facoltà di concepire i giudizi. Dipende interamente da questa che nel tuo egemonico non si ingeneri più una concezione inconseguente alla natura delle cose e alla struttura della creatura razionale. [III,9,2] Questa inoltre professa la non precipitosità, la dimestichezza con gli uomini e il conformarsi agli immortali.

[III,10,1] Scacciati dunque tutti gli altri giudizi, dà continuità a questi pochi soltanto e insieme rammemora a te stesso che ognuno vive soltanto questo brevissimo presente, mentre tutto il resto o è stato già vissuto o è in dubbio. [III,10,2] Breve è dunque il tempo che ciascuno vive e piccolo è l’angolino di terra dove vive. Ben poca cosa è anche la più lunga fama postuma, tramandata per successione di ometti che prestissimo moriranno senza avere conosciuto neppure se stessi e tanto meno chi è morto da moltissimo tempo. 

[III,11,1] Ai suddetti precetti se ne aggiunga ancora uno, ossia quello di dare sempre la definizione o fare la descrizione di ciò di cui ci accade di avere la rappresentazione, così da vederlo qual è nella sostanza, nudo e distintamente in ogni sua parte; e da poterci dire il suo nome proprio e i nomi dei componenti di cui è composto e nei quali sarà ridissolto. [III,11,2] Nulla è, infatti, tanto produttivo di giudizi disinteressati quanto il poter riscontrare con metodo e verità ciascuno degli accadimenti della vita e guardare ad essi così da congetturare a quale bisogno di quale cosmo sopperiscano, che valore abbiano riguardo al tutto e riguardo all’uomo in quanto cittadino della città suprema, della quale le restanti città sono come delle case; [III,11,3] cos’è e da cos’è composto, per quanto tempo è nato per permanere questo oggetto che ora produce in me questa rappresentazione; di quale virtù c’è ora bisogno nei suoi confronti: per esempio di mansuetudine, di virilità, verità, lealtà, semplicità, autosufficienza, eccetera. [III,11,4] Perciò bisogna dire su ciascuno: questo è giunto dalla divinità; questo secondo la congiunzione e la trama compartita dalla necessità; questo secondo quella certa coincidenza legata alla fortuna; questo da un individuo della mia stessa razza, da un congenere, da un compagno che però ignora che cos’è per lui secondo la natura delle cose. [III,11,5] Io, invece, non lo ignoro e per questo tratto lui secondo la legge naturale della società, con pazienza e con giustizia, e nel contempo ho di mira, in ciò che è né buono né cattivo, il suo reale valore.

[III,12,1] Se esegui il presente incarico seguendo la retta ragione con industria, gagliardia, pazienza e serbi puro non qualche appendice ma il demone che è in te, come se fosse già tempo di restituirlo; se a questo ti rannoderai senza nulla attendere né fuggire, pago della presente attività in accordo con la natura delle cose e della romana verità in ciò che dici e proclami, tu vivrai bene. [III,12,2] E non v’è nessuno che può impedirtelo.

[III,13,1] Come i medici hanno sempre a portata di mano gli strumenti e i ferri per le cure d’emergenza, così tu abbi pronti i giudizi per conoscere il divino e l’umano e per fare anche la più piccola azione come chi ricorda il reciproco legame tra ambedue. [III,13,2] Giacché non riuscirai bene in nulla di umano ignorando la correlazione con il divino, né viceversa.

[III,14,1] Non andare più errando qual e là. Non sei più in condizione di leggere i tuoi Appunti né le Gesta degli antichi Romani e degli antichi Greci, né le Selezioni di quelle compilazioni che ti eri messo in serbo per la vecchiaia. Affrettati dunque al fine e, tralasciate le vuote speranze, aiuta te stesso, se t’importa qualcosa di te, finché ne hai la potestà.

[III,15,1] Non sanno quante cose significa ‘rubare’, ‘inseminare’, ‘comperare’, ‘acquietarsi’, ‘vedere il da farsi’, ciò che non avviene con gli occhi ma con un’altra vista.

[III,16,1] Corpo, animo, mente. Del corpo, le sensazioni; dell’animo, gli impulsi; della mente, i giudizi. [III,16,2] Essere modellati dalle rappresentazioni è proprio anche del bestiame; essere mossi come marionette dagli impulsi è proprio anche delle belve, degli androgini, di un Falaride o di un Nerone; avere la mente come duce su quanto appare doveroso è proprio anche di coloro che non legittimano gli dei, che si gettano alle spalle la patria e che, una volta chiuse le porte, commettono i peggiori misfatti. [III,16,3] Se dunque il resto è comune con i suddetti, ebbene è proprio del virtuoso amare ed accettare di buon grado gli avvenimenti intessuti per lui; non lordare né mettere in trambusto con una turba di rappresentazioni il demone che ha sede nel suo petto, ma serbarlo a dovere pacificato, compostamente al seguito della divinità, lontano dal proclamare qualcosa contrario alla verità o eseguire qualcosa contrario alla giustizia. [III,16,4] Se poi tutta la gente diffida di lui perché vive con schiettezza, rispetto di sé e degli altri e buon umore, egli non si esaspera con nessuno di loro né si svia dalla strada che conduce al fine della vita, cui bisogna pervenire puri, tranquilli, con scioltezza, conciliati senza sforzo con la propria sorte.

* Carnunto era la sede del quartier generale di Marco Aurelio nel 171-173 d.C., all’epoca della guerra contro i Quadi e i Marcomanni. La località si trova poche decine di chilometri ad est di Vienna.

*****

LIBRO IV

[IV,1,1] La facoltà che signoreggia dentro di noi, qualora sia atteggiata secondo la natura delle cose, sta di fronte agli avvenimenti così da allogarsi sempre facilmente a quello dato. [IV,1,2] Essa infatti non ama specificatamente alcun materiale ed impelle ad essi all’inizio con riserva ma poi, in compenso, ne fa materiale per se stessa. Proprio come il fuoco, quando riesce vittorioso su quanto gli cade sopra. Una lucernina ne sarebbe stata spenta; invece un fuoco vivido assimila rapidamente ciò che gli si accumula sopra, lo consuma e grazie ad esso si leva più grande.

[IV,2,1] Non si esegua alcuna operazione a casaccio né altrimenti che secondo il principio generale completivo dell’arte.

[IV,3,1] Molti vanno in cerca per sé di ricetti agresti, di spiagge e monti. [IV,3,2] Ma tutto questo è cosa da gente affatto comune, dato che ti è lecito, in qualunque momento lo disponga, ritirarti in te stesso. In nessun luogo, infatti, un uomo si ritira con maggiore tranquillità e minori grattacapi che nel suo stesso animo; soprattutto chiunque ha dentro di sé giudizi tali che, chinandosi su di essi, subito si ritrova interamente a suo comodo: e chiamo comodità nient’altro che il buon ordine interiore. [IV,3,3] Concediti dunque continuamente questo ricetto e rinnovati. Brevi ed elementari siano le massime che, appena incontrate, basteranno a dilavare tutto il dispiacere ed a farti accomiatare non più malcontento di quegli impegni ai quali rivieni. [IV,3,4] Per cosa, infatti, sei malcontento? Per la viziosità degli esseri umani? Facendo la somma della determinazione che le creature razionali sono nate le une per le altre; che sopportare l’intemperanza altrui è parte della giustizia; che gli esseri umani aberrano loro malgrado; che tanti sono coloro che dopo inimicizie, sospetti, odi, dopo essersi combattuti con le lance giacciono distesi sul letto di morte e sono ridotti in cenere; ebbene cessa una buona volta di essere malcontento! [IV,3,5] O sei malcontento anche per ciò che ti è assegnato dall’universo? Smettila, rinnovando la considerazione della proposizione disgiuntiva: ‘O prònoia o atomi’; e di quante volte è stato dimostrato che il cosmo è come se fosse una città. [IV,3,6] Le passioni del corpo ti si accosteranno ancora? Smettila, riconsiderando il concetto che l’intelletto, una volta ripresosi in se stesso e riconosciuto quanto è in sua propria potestà, non si mescola più ai moti dolci e piacevoli oppure aspri e dolorosi dello pneuma; e inoltre a quante massime sul dolore e sul piacere fisico hai prestato ascolto e dato il tuo assenso. [IV,3,7] Sei malcontento perché sarai distratto dalla fama? Smettila, riguardando la rapidità dell’oblio di tutto; il subisso dell’eternità infinita nel passato e nel futuro; la vacuità della risonanza; la mutabilità e spregiudicatezza di coloro che sembrano elogiare; e la ristrettezza del luogo in cui la fama si circoscrive. [IV,3,8] Giacché la terra nella sua interezza è un puntino, e questa tua dimora quale angolino è mai di essa? E quanti sono e chi sono qui coloro che ti loderanno? [IV,3,9] Orbene, ricordati del ritiro in questo tuo campicello e prima di tutto non ambasciarti e non sforzarti, ma sii libero e guarda i fatti da uomo, da essere umano, da cittadino, da creatura mortale. [IV,3,10] Infine, tra le massime che devi avere più a portata di mano e sulle quali chinarti, vi siano queste due. L’una: i fatti non si accostano all’animo ma se ne stanno fuori immobili, mentre i fastidi ci provengono soltanto dalla nostra interiore concezione di essi. [IV,3,11] L’altra: tutte le cose che vedi, in men che non si dica si trasformeranno e non saranno più come ora; e pensa continuamente alle trasformazioni di quante ti è capitato di assistere. [IV,3,12] Il cosmo è cambiamento, la vita è concezione.

[IV,4,1] Se la cognitività ci è comune, anche la ragione, grazie alla quale siamo creature razionali, è comune. Se è così, anche la ragione imperativa di ciò che va fatto o non va fatto è comune. Se è così, anche la legge è comune. Se è così, noi siamo cittadini. Se è così, noi partecipiamo di uno Stato. Se è così, il cosmo è come se fosse una città. [IV,4,2] Di quale altro Stato, infatti, si dirà che tutto il genere umano partecipa? È di là, da questa comune città, che ci viene anche la nostra cognitività, logicità e legalità. O se no, da dove? [IV,4,3] Come, infatti, la mia componente terrosa mi viene per scompartimento dell’elemento terra, quella umida per scompartimento di un altro elemento, lo pneuma da un’altra sorgente e la componente calda e ignea da un’altra specifica sorgente; e poiché nulla viene dal nulla come neppure se ne va via verso il non essere, così anche la cognitività è giunta da qualche parte.

[IV,5,1] La morte è tale e quale la genesi: mistero di natura, composizione dai medesimi elementi e dissoluzione nei medesimi elementi. Insomma, qualcosa di cui non ci si vergognerebbe. Essa, infatti, non è contraria alla condizione di creatura cognitiva né è razionalmente contraria alla sua preparazione.

[IV,6,1] Queste cose debbono per natura accadere di necessità così ad opera di siffatti elementi; e chi non vuole questo, vuole che il fico non abbia un lattice. [IV,6,2] Insomma, ricorda che entro pochissimo tempo sia tu che costui sarete morti e che, tra breve, di voi non sopravanzerà neppure il nome.

[IV,7,1] Rimuovine la concezione, ed ecco che è stato rimosso il “sono stato danneggiato”. Rimuovi il “sono stato danneggiato”, ed ecco che è stato rimosso il danno.

[IV,8,1] Ciò che non fa l’uomo peggiore di se stesso non rende peggiore la sua vita e non lo danneggia, né dal di fuori né dal di dentro.

[IV,9,1] La natura dell’utile [è tale che la proairesi] è stata costretta a fare questo.

[IV,10,1] Ricorda che tutto ciò che avviene, avviene giustamente: lo scoprirai se ne terrai ben nota con precisione. Non lo dico soltanto intendendo dire che avviene come conseguenza, ma che avviene secondo giustizia: come se fosse opera di qualcuno che assegna secondo il merito. [IV,10,2] Tienine dunque ben nota, come hai cominciato a fare, e qualunque cosa tu faccia, falla da virtuoso, ossia secondo la cognizione che ne ha propriamente il virtuoso. [IV,10,3] E salvaguarda questo proposito in ogni attività.

[IV,11,1] Non concepire i giudizi che muovono chi oltraggia o quelli che egli decide che tu abbia, ma guarda ai giudizi che sono in armonia con la verità.

[IV,12,1] Bisogna sempre avere queste due prontezze: prontezza a fare soltanto ciò che la ragione di imperatore e legislatore ti sottoponga a giovamento degli uomini; e prontezza ad allogarti diversamente ove vi sia qualcuno in grado di correggerti e dissuaderti da una qualche presunzione. [IV,12,2] Questo mutamento d’avviso deve avvenire sempre per persuasive ragioni di giustizia e di comune giovamento, e ciò che gli dà nuova forma deve essere di siffatta natura e non qualcosa che sia apparso piacevole o fonte di celebrità.

[IV,13,1] Hai la ragione? Sì. Perché non la usi? Se, infatti, la ragione fa ciò che le è proprio, cos’altro vuoi?

[IV,14,1] Tu sei venuto a sussistenza come parte. Scomparirai in ciò che genera, o piuttosto sarai riassunto, per trasformazione, nella sua ragione seminale. 

[IV,15,1] Molti pezzettini di incenso sullo stesso altare: uno vi è caduto sopra prima, un altro poscia; ma non fa alcuna differenza.

[IV,16,1] Entro dieci giorni sembrerai un dio a coloro cui adesso sembri una belva o una scimmia se, quanto a retti giudizi e venerazione della ragione, ripieghi indietro.

[IV,17,1] Non vivere come se avessi dinanzi diecimila anni. Il fato pende sulla tua testa: finché vivi, finché ne hai la potestà, diventa virtuoso.

[IV,18,1] Convinciti di quanto bell’agio guadagna chi non guarda cosa ha detto o fatto o pensato chi gli sta intorno, ma soltanto quel che fa lui, affinché proprio questo sia giusto, sacrosanto e in armonia col bene. Nessun carattere nero, nessun guardarsi attorno, ma correre in linea retta senza dimenarsi di qua e di là. 

[IV,19,1] Chi è appassionato della fama postuma non immagina che ciascuno di coloro che si ricorderanno di lui prestissimo morirà; poi morirà a sua volta il successore fino a che ogni memoria, procedendo attraverso accensioni e spegnimenti successivi, si estinguerà del tutto. [IV,19,2] Presupponi adesso che anche coloro che si ricorderanno di te siano immortali, e immortale la memoria: che vantaggio te ne viene? E non dico: nessun vantaggio da morto; ma: che vantaggio viene dalla lode a chi è vivo? Eccetto che per un qualche vantaggio economico. [IV,19,3] Eppure tu ora pretermetti intempestivamente la donazione che la natura ti ha fatto [ossia la tua proairesi] e ti preoccupi di qualcos’altro.

[IV,20,1] Orbene, tutto il bello in qualunque modo bello è bello di per se stesso e si esaurisce in se stesso, non avendo in esso parte alcuna la lode. [IV,20,2] Dunque, ciò che è lodato non diventa né peggiore né migliore. Dico questo anche a proposito di ciò che è detto bello comunemente, per esempio gli oggetti materiali e le opere d’arte. Quanto è per essenza bello, ha bisogno di qualcosa? No; non più della legge, della verità, della benevolenza, del rispetto di sé e degli altri. [IV,20,3] Quale di queste cose è bella a causa delle lodi che riceve o si rovina se è denigrata? Lo smeraldo diventa peggiore se non è lodato? E cosa diventano l’oro, l’avorio, la porpora, la lira, il coltello, il fiorellino, l’alberello?

[IV,21,1] Se gli animi sopravvivono, come può l’aria avere spazio per tutti da sempre? [IV,21,2] Come la terra ha spazio per i corpi tumulativi da così tanto tempo. Infatti, come qui la loro trasformazione e dissoluzione fa spazio ad altri cadaveri, così gli animi trasferitisi nell’aria, dopo esservi restati per un certo tempo si trasformano, traboccano, s’infiammano e sono riassunti nella ragione seminale del tutto e in questo modo procurano spazio a quelli che ne prendono il posto in aggiunta. Questa è la risposta che si darebbe, nell’ipotesi che gli animi sopravvivano. [IV,21,3] Ma non occorre soltanto ponderare lo stuolo dei corpi così tumulati, ma anche lo stuolo degli animali mangiati ogni giorno da noi e dagli altri animali. [IV,21,4] Quanto è grande il numero di quelli consumati e, come dire, tumulati negli organismi di coloro che se ne nutrono? Eppure vi è lo spazio per accoglierli, grazie alla loro trasformazione in sangue e ai cambiamenti in elemento aeriforme o igneo. [IV,21,5] Qual è, in proposito, l’investigazione che porta alla verità? La diairesi tra componente materiale e componente causale.

[IV,22,1] Non divagare, ma per ogni impulso esplicare il giusto e per ogni rappresentazione salvaguardare il catalettico.

[IV,23,1] Tutto ciò che ben si adatta a te, o cosmo, si concilia con me. Quel che è tempestivo per te, per me è né prematuro né tardivo. [IV,23,2] Tutto è frutto per me, o natura, quello che apportano le tue stagioni. Tutto da te, tutto in te, tutto per te. [IV,23,3] Quel poeta dice: “Salve, o cara città di Cecrope”; e tu invece non dirai: “Salve, o cara città di Zeus”?

[IV,24,1] ‘Fa poco’ -dice- ‘se vuoi vivere di buon umore’. Non è meglio fare ciò che è necessario e quanto sceglie la ragione dell’animale politico per natura, e farlo come essa lo sceglie? [IV,24,2] Questo, infatti, non soltanto apporta il buon umore derivante dal fare bene ma anche quello dal fare poco. [IV,24,3] Giacché se uno si togliesse d’attorno la maggior parte delle cose che diciamo e facciamo e che non sono necessarie, potrebbe starsene più a bell’agio e dominare meglio lo sconcerto. [IV,24,4] Da cui deriva che in ogni occasione dobbiamo rammentare a noi stessi: ‘È questa una delle cose non necessarie?’ [IV,24,5] E bisogna togliersi d’attorno non soltanto le azioni ma anche le rappresentazioni non necessarie, giacché in questo modo neppure ne conseguiranno azioni superflue.

[IV,25,1] Esperimenta come ti riesce anche la vita dell’uomo virtuoso, il quale gradisce quel che il cosmo assegna a ciascuno ed è pago della sua propria azione giusta e disposizione paziente.

[IV,26,1] Hai visto quelle cose? Guarda anche queste. [IV,26,2] Non sconcertarti, sii schietto. [IV,26,3] Qualcuno aberra? Aberra a suo danno. [IV,26,4] Ti è successo qualcosa? Bene, quel che ti succede era stato predestinato e intessuto per te dal cosmo fin dall’inizio. [IV,26,5] Insomma, la vita è breve e il presente va guadagnato con razionalità e giustizia. [IV,26,6] E sii sobrio quando ti rilassi.

[IV,27,1] O un cosmo organizzato o un guazzabuglio raccogliticcio ma disordinato. [IV,27,2] Oppure può sussistere in te un ordine mentre nell’universo c’è disordine, e ciò avvenire mentre tutte le cose sono così scriminate, effuse e consentanee?

[IV,28,1] Un carattere nero, un carattere effeminato, un carattere arido, belluino, brutale, puerile, infingardo, disonesto, parassita, mercenario, tirannico.

[IV,29,1] Se straniero nel cosmo è chi non conosce gli esseri che lo abitano, non meno straniero è chi non conosce i fatti che vi succedono. [IV,29,2] Esule è chi esula dalla ragione di questo stato; cieco è chi tiene chiuso l’occhio cognitivo; poveraccio è chi è bisognoso dell’altrui e non ha con sé tutto ciò che è proficuo per la vita. [IV,29,3] Ascesso del cosmo è chi si distorna e spazieggia se stesso dalla ragione della comune natura dispiacendosi di ciò che avviene; giacché la natura che apporta questo evento è quella che ha portato al mondo anche te. Frammento staccato della città è chi frammenta il proprio animo da quello, che è uno solo, delle creature razionali.

[IV,30,1] Uno vive da filosofo senza avere una tunica, un altro senza avere un libro. Quest’altro, mezzo nudo, dice: “Non ho pane e rimango fedele alla ragione”. Io invece ho il cibo che proviene dalle nozioni filosofiche e non le rimango fedele.

[IV,31,1] Ama la piccola arte che hai imparato e trova conforto in essa. Attraversa la restante parte della tua vita come colui che ha affidato tutto se stesso agli immortali dal profondo dell’animo, senza istituirsi né tiranno né servo di alcun uomo.

[IV,32,1] Pensa, faccio per dire, ai tempi di Vespasiano e vedrai tutte le stesse cose: sposarsi, allevare bambini, ammalarsi, morire, guerreggiare, festeggiare, commerciare, coltivare la terra, adulare, vantarsi, sospettare, tramare insidie, auspicare la morte di qualcuno, brontolare sul presente, fare l’amore, tesaurizzare, smaniare per il consolato o per un trono. Ebbene, di quelle vite non rimane più nulla da nessuna parte. [IV,32,2] Adesso va oltre, ai tempi di Traiano: di nuovo tutte le stesse cose. E anche quelle vite non ci sono più. [IV,32,3] Accerta similmente le documentazioni riferentisi ad altri tempi e ad altre popolazioni intere, e guarda quanti individui, dopo tanti sforzi per affermarsi, dopo breve sono caduti e sono stati ridissolti negli elementi naturali. [IV,32,4] Soprattutto sono da rivangare coloro che tu stesso riconosci essersi ambasciati invano, avendo tralasciato di fare ciò che era in armonia con la propria struttura, di attenersi pervicacemente ad essa e di essere paghi di ciò. [IV,32,5] Qui è poi necessario ricordare che anche la diligenza per ciascuna nostra azione ha un proprio ben proporzionato valore. Non ti sentirai un malcapitato, infatti, se non ti applicherai a cose minori più di quanto conviene.

[IV,33,1] Le parole un tempo consuete adesso sono arcaismi, e così anche i nomi di persone un tempo molto decantate adesso sono in un certo modo arcaismi: Camillo, Cesone, Voleso, Dentato; tra poco anche Scipione e Catone, poi anche Augusto e poi Adriano e Antonino. Giacché tutto svanisce, diventa in fretta leggendario e poi in fretta il definitivo oblio lo ricopre. [IV,33,2] E dico questo a proposito degli individui stupendamente brillanti giacché i restanti, una volta esalato l’ultimo respiro, sono “ignoti, sconosciuti”. Ma cos’è, insomma, l’indimenticabilità? Vuoto assoluto. [IV,33,3] A cosa dobbiamo dunque rivolgere la nostra industria? A questo soltanto: giusto intelletto, azioni socievoli, discorsi non mendaci, disposizione ad accettare di buon grado tutto ciò che avviene in quanto necessario, conosciuto, scorrente dalla medesima causa basilare e fonte.

[IV,34,1] Di proposito offriti intero a Cloto, acconsentendole di filarti insieme a qualunque fatto ella decida.

[IV,35,1] Tutto è effimero, sia il rammemorante, sia il rammemorato.

[IV,36,1] Conosci con chiarezza che tutto ininterrottamente nasce per trasformazione, e abituati a pensare che la natura dell’universo nulla ama tanto quanto trasformare le cose esistenti e farne nuove di simili. [IV,36,2] Tutto ciò che esiste, infatti, è in un certo modo semenza di ciò che da esso deriverà. [IV,36,3] La sola semenza che tu immagini è quella gettata nella terra o nell’utero, ma questa è un’immagine da gente davvero troppo comune.

[IV,37,1] Tra poco sarai morto e non sei ancora né schietto, né capace di dominare lo sconcerto, né capace di dominare il sospetto che potresti essere danneggiato dall’esterno, né benigno con tutti, né qualcuno che pone la saggezza nel solo operare il giusto.

[IV,38,1] Fissa lo sguardo sui loro egemonici e su quali cose essi fuggano e quali cose inseguano.

[IV,39,1] Il tuo male non sta in un egemonico allotrio e di sicuro neppure in qualche rivolgimento e alterazione di ciò che ti circonda. [IV,39,2] Dunque dov’è? È laddove sta la tua facoltà di concepire giudizi circa i mali. Questa facoltà non li concepisca e tutto sta bene. [IV,39,3] E se ciò che le è più vicino, ossia il corpo, fosse tagliato, bruciato, suppurasse o imputridisse, tuttavia la parte costitutiva che concepisce i giudizi su queste cose si acquieti, cioè giudichi che è né un bene né un male ciò che può avvenire parimenti ad un uomo virtuoso e ad un vizioso. [IV,39,4] Infatti, ciò che avviene parimenti a chi vive contro la natura delle cose e a chi vive secondo la natura delle cose è secondo natura e non contro natura.

[IV,40,1] Devi continuamente pensare il cosmo come una sola creatura, espressione di una sola sostanza e di un solo animo; come tutto si accomuni in una sola sua sensazione; come quest’essere operi tutto con un solo impulso; come tutto sia concausa di tutto quel che succede e quali ne siano le connessioni e le compartizioni.

[IV,41,1] Sei un’animuzza che sorregge un cadavere, come diceva Epitteto.

[IV,42,1] Non vi è male alcuno nelle cose che si trasformano, così come non vi è bene alcuno in quelle che traggono sussistenza dalla trasformazione.

[IV,43,1] L’eternità è un fiume di eventi e una corrente violenta. Ciascuna cosa, non appena emerge alla vista è spazzata via; poi ne passa un’altra, che a sua volta sarà portata via.

[IV,44,1] Tutto ciò che avviene è tanto noto e consueto quanto le rose in primavera e la frutta d’estate. Tali sono la malattia, la morte, la maldicenza, l’insidia e quant’altre cose allietano o affliggono gli stupidi.

[IV,45,1] Le cose che vengono dopo susseguono sempre in affinità a quelle che le precedono. Non si tratta, infatti, come di una enumerazione di cose sconnesse avente soltanto cogenza, ma di un contatto ben logico. E come le cose che sono, sono state conciliate e coordinate, così nelle cose che nascono traspare non una mera successione, ma una certa mirabile affinità.

[IV,46,1] Bisogna sempre ricordarsi del detto di Eraclito che “morte della terra è diventare acqua, morte dell’acqua è diventare aria, e l’aria fuoco e poi così viceversa”. [IV,46,2] Bisogna anche ricordarsi di “colui che ha dimenticato dove conduce la strada”. [IV,46,3] E che: “gli uomini soprattutto litigano grazie a ciò, ossia la ragione che tutto governa, per cui possono ininterrottamente capirsi conversando”. E che: “ciò che gli uomini si trovano di fronte ogni giorno è ciò che loro appare strambo”. [IV,46,4] E che: “nulla bisogna fare né dire come se si stesse dormendo” giacché anche allora ci sembra di fare e di dire delle cose. [IV,46,5] E che non bisogna agire “come fanciulli di genitori” ossia secondo il mero “secondoché abbiamo assunto”.

[IV,47,1] Come se uno degli dei ti avesse detto: “Domani o dopodomani sarai certamente morto”; tu non daresti maggiore importanza al morire domani o dopodomani, a meno che non fossi una persona di estrema ignobiltà (quant’è grande, infatti, ‘il frattempo’?); così legittima pure il pensiero che non è un grande affare morire tra molti anni invece che domani.

[IV,48,1] Devi farti continuamente il concetto di quanti medici siano morti dopo avere aggrottato spesso le sopracciglia sugli infermi. Quanti astrologi dopo avere predetto, come se fosse qualcosa di grande, le morti altrui; quanti filosofi, dopo essersi dilungati miriadi di volte in discorsi sulla morte e sull’immortalità; quanti capi, dopo avere ucciso tanta gente; quanti tiranni, dopo avere usato con terribile arroganza la loro potestà di vita e di morte, come se fossero immortali; quante città intere sono, per dire così, morte: Elice, Pompei, Ercolano e innumerabili altre. [IV,48,2] Passa anche in rassegna tutti quelli che sai, uno dopo l’altro. Dopo avere fatto il funerale a questo, quello è disteso sul letto di morte e un altro gli fa il funerale. E il tutto avviene in un breve volgere di tempo. [IV,48,3] Insomma, bisogna sempre guardare dall’alto le vicende umane come effimere e da poco: ieri moccicaglia, domani mummia e cenere. [IV,48,4] Questo tempo brevissimo bisogna dunque traversarlo restando in armonia con la natura delle cose e poi disciogliersene pacificati; come un’oliva che, divenuta matura, cade elogiando la natura che l’ha apportata e rendendo grazie all’albero che l’ha generata.

[IV,49,1] Essere simile al promontorio contro il quale i flutti ininterrottamente si frangono. Il promontorio sta immoto e intorno a lui il ribollire delle acque si calma. [IV,49,2] “Sfortunato me perché mi avvenne questo!” Nient’affatto, ma: “Fortunato me perché, pur essendomi avvenuto questo, continuo a saper dominare l’afflizione, a non essere fracassato dal presente ed a non avere paura di quel che si approssima”. [IV,49,3] Giacché qualcosa di siffatto poteva avvenire a tutti ma non tutti, per questo, avrebbero continuato a saper dominare l’afflizione. Perché dunque quella una sfortuna piuttosto che questa una fortuna? [IV,49,4] Insomma dici sfortuna dell’uomo ciò che non è un traviamento della natura dell’uomo? E reputi un traviamento della natura dell’uomo ciò che non è contro il piano della sua natura? E dunque? [IV,49,5] Hai imparato il piano della natura dell’uomo. Dunque l’accidente ti impedisce di essere giusto, magnanimo, temperante, assennato, non precipitoso, sincero, rispettoso di te e degli altri, libero, e le altre cose grazie alla cui compresenza la natura dell’uomo incorpora in sè il fine che le è proprio? [IV,49,6] Orbene, di fronte ad ogni cosa che ti promuova ad una afflizione, ricordati di usare questo giudizio: “Non che questo è una sfortuna, ma che il portarlo nobilmente è una fortuna”.

[IV,50,1] Un aiuto da gente comune e tuttavia efficace per tenere in spregio la morte viene dal rivangare il ricordo di coloro che si sono cocciutamente intrattenuti oltre nella vita. [IV,50,2] Cosa hanno ottenuto più di coloro che sono morti inopportunamente? [IV,50,3] Cecidiano, Fabio, Giuliano, Lepido o altri come loro che hanno sepolto molti e poi sono stati sepolti, certamente giacciono anch’essi da qualche parte. Ben piccolo è l’intervallo di tempo [della nostra vita], che svuotiamo come la sentina di una nave con quante fatiche, in compagnia di chi e dentro quale corpo! [IV,50,4] Dunque, non considerarlo un affare! [IV,50,5] Guarda alle tue spalle l’abisso dell’eternità e innanzi a te un altro tempo infinito. [IV,50,6] In questa immensità, che differenza c’è tra chi ha vissuto tre giorni e chi ha vissuto tre volte la vita di Nestore?

[IV,51,1] Corri sempre per la via più spiccia, e quella più spiccia è la via in armonia con la natura delle cose, così da dire e fare tutto nel modo più valido. [IV,51,2] Un siffatto proposito, infatti, allontana dal tedio, dal tentennamento, dalla considerazione di ogni vantaggio economico e da ogni affettazione.

*****

LIBRO V

[V,1,1] All’alba, quando ti risvegli di malavoglia, abbi a portata di mano il giudizio: ‘Mi desto in vista di un lavoro da uomo’. Dunque sono ancora scontroso se m’incammino a fare ciò per cui sono nato e per cui sono stato promosso al mondo? Oppure sono stato strutturato per starmene al calduccio sotto le coperte? [V,1,2] “Ma questo è più piacevole!” Dunque sei nato per godere nella carne? Insomma per la passività o per l’attività? Non vedi i vegetali, i passerotti, le formiche, i ragni, le api che fanno ognuno quel che è loro peculiare e che, per quanto sta a loro, forgiano il cosmo? [V,1,3] E poi tu non vuoi fare ciò che è proprio dell’uomo? Non corri a far ciò che è in armonia con la tua natura? [V,1,4] “Ma bisogna anche riposarsi!” Certo, bisogna; lo dico anch’io. La natura ha dato dei metri anche per questo. Li ha dati anche per il mangiare e per il bere, e nonostante questo tu avanzi al di là di quanto basta? Non ancora, però, nelle azioni, ma ‘entro il possibile’. [V,1,5] Infatti tu non ami te stesso, giacché allora ameresti tanto la tua natura quanto il suo piano. [V,1,6] Altri amano le loro arti così profondamente da fondersi nei loro lavori, senza lavarsi e senza mangiare. Tu invece onori la tua natura meno di quanto il cesellatore onori la toreutica, il danzatore la danza, l’avaro il denaro e il vanaglorioso la fama. [V,1,7] Costoro, qualora si struggano per qualcosa, non vogliono né mangiare né andare a letto pur di incrementare ciò cui sono portati; mentre a te le azioni socievoli appaiono cose da poco e degne di minore industria?

[V,2,1] Com’è agevole respingere e scancellare ogni rappresentazione fastidiosa o inappropriata ed essere subito in totale bonaccia. 

[V,3,1] Giudicati degno di qualunque parola e di qualunque opera che sia in accordo con la natura delle cose. Se poi ne conseguirà il biasimo o le chiacchiere di alcuni, questo non ti imbarazzi ma, dovendo qualcosa di buono essere fatto o detto, non stimartene indegno. [V,3,2] Quelli, infatti, hanno il loro proprio egemonico ed utilizzano il loro proprio impulso. Tu non guardare torno torno a questo, ma procedi per la diritta via conformandoti alla natura tua propria e a quella delle cose, che è comune per tutti. Giacché di ambedue unica è la via.

[V,4,1] M’incammino attraverso attività in armonia con la natura fino a che, dopo essere spirato in questo elemento [l’aria] da cui ogni giorno traggo respiro, mi riposerò; cadendo in questo elemento [il fuoco] da cui anche mio padre raccolse lo sperma, mia madre il sangue, la mia balia il latte; grazie a cui quotidianamente da tanti anni mi pasco e mi disseto [l’acqua]; che mi porta mentre incedo [la terra] e che sfrutto per tanti scopi.

[V,5,1] Gli altri non hanno modo di ammirarti per acume: e sia. Ma vi sono molte altre buone qualità per le quali non hai modo di dire: ‘giacché non sono nato per questo’. [V,5,2] Metti dunque in atto queste, che sono proprio tutte in tuo esclusivo potere: autenticità, solennità, resistenza alla fatica, disinteresse per i piaceri fisici, accettazione della sorte, parsimonia, pazienza, libertà, morigeratezza, avversione alle chiacchiere, munificenza. [V,5,3] Non ti accorgi quante buone qualità, per le quali non sono possibili pretesti di inettitudine naturale o di inidoneità, puoi mettere in atto da subito e delle quali tu invece resti al disotto di proposito? [V,5,4] Oppure sei costretto a brontolare, ad essere spilorcio, ad adulare, a dare la colpa al tuo corpo, a piaggiare, a fare il frivolo e agitare tante idee nel tuo animo a causa dell’essere stato strutturato naturalmente inetto ad altro? [V,5,5] No, per gli dei! Già da tempo avresti potuto allontanarti da questi difetti ed essere soltanto accusato, se davvero è così, di essere più lento e duro di comprendonio di altri; e anche in questo bisogna esercitarsi, senza infischiarsene e senza crogiolarsi nell’indolenza.

[V,6,1] Persone di un certo tipo, quando abbiano operato con destrezza per qualcuno, sono anche pronte a presentargli il conto per i favori che gli hanno fatto. [V,6,2] Persone di un altro tipo non sono subito pronte a presentare il conto, ma tra sé e sé pensano all’altro come a un debitore e sanno quel che hanno fatto. [V,6,3] Un altro tipo di persone ancora, in un certo qual modo neppure sa quel che ha fatto ed è simile ad una vite che ha apportato il grappolo e che, una volta apportato il proprio frutto, non va ulteriormente in cerca d’altro. [V,6,4] L’uomo che opera bene non cerca di attirarsi una ricompensa ma passa oltre, come la vite passa ad apportare di nuovo il grappolo nella stagione stabilita, come fa un cavallo quando corre, un cane quando bracca, l’ape quando fa il miele. [V,6,5] In queste faccende bisogna dunque essere di quelli che fanno bene senza, in un certo qual modo, comprenderlo. [V,6,6] “Sì, ma bisogna comprendere proprio questo; giacché, si dice, peculiare della creatura socievole è il rendersi conto di agire socievolmente e, per Zeus, decidere che anche chi gli è compagno se ne accorga”. [V,6,7] Quello che dici è vero, ma tu fraintendi quello che ho appena detto. Per questo sarai uno di quelli che menzionavo in precedenza, giacché anch’essi sono influenzati da una certa qual persuasività logica dei loro giudizi. [V,6,8] Se invece vorrai capir bene di cosa si sta parlando, al contrario sta sicuro che non ometterai, per questo, un’opera socievole.

[V,7,1] Auspicio degli Ateniesi : “Piovi, piovi, o caro Zeus, sui campi e sui pianori degli Ateniesi”. [V,7,2] O non si devono fare auspici, oppure si deve auspicare così, con schiettezza e libertà.

[V,8,1] Come si dice: ‘Asclepio ha prescritto a costui di andare a cavallo o di fare dei bagni freddi oppure di andare scalzo’; così si dice: ‘La natura ha prescritto a costui una malattia o una storpiatura o una perdita o qualcos’altro di siffatto’. [V,8,2] Nel primo caso ‘ha prescritto’ significa qualcosa del genere: ‘ha ordinato a costui questo come consono alla sua salute’. Nel secondo caso, ciò che avviene a ciascuno di noi è stato in qualche modo ordinato per noi dalla natura come consono al nostro destino. [V,8,3] Diciamo pure che queste cose ‘capitano’, come anche gli artefici dicono che le pietre squadrate ‘capitano’ a puntino nelle mura di una città o nelle piramidi, intendendo dire che si conciliano bene l’una con l’altra in una certa combinazione. [V,8,4] Insomma l’armonia è una. E come il cosmo è il corpo che è, essendo il complesso di tutti i corpi; così il destino è la causa che è, essendo il complesso di tutte le cause. [V,8,5] Di ciò che dico hanno cognizione anche le persone appieno comuni, giacché esse dicono: ‘Il destino gli ha portato questo’. [V,8,6] Dunque questo gli è stato portato e questo gli è stato prescritto. [V,8,7] Accogliamo allora queste prescrizioni come accogliamo quelle di Asclepio. [V,8,8] Anche tra quelle ve ne sono molte aspre e dolorose, ma noi le accettiamo di buon grado nella speranza di ritrovare la salute. [V,8,9] Reputa quindi che il compimento e l’adempimento di quel che pare bene alla natura comune a tutti, sia qualcosa come la tua salute. [V,8,10] E così accetta di buon grado tutto quel che succede, anche se ti sembrerà la cosa più ruvida da fare, pensando che conduce là, alla salute del cosmo, al libero corso e al felice successo di Zeus. [V,8,11] Il quale, infatti, non apporterebbe qualcosa a qualcuno se ciò non fosse utile all’insieme del cosmo. né una natura, qualunque capiti, apporta qualcosa che non sia consono a ciò che da essa è governato. [V,8,12] Per due ragioni, dunque, occorre che tu sia contento di quel che ti avviene: la prima, perché è successo per te, per te è stato prescritto e perchè aveva a che fare in qualche modo con te, intessuto fin dall’origine con i fili delle cause primigenie; la seconda, perché a ciò che governa il tutto [ossia all’egemonico del cosmo] è causa di libero corso, di compimento e, per Zeus, della sua permanenza stessa. [V,8,13] L’integrità è storpiata, se frantumerai un elemento qualunque del contatto e della continuità tanto delle parti costitutive quanto delle cause. E tu lo frantumi e in un certo modo, per quanto è in tuo esclusivo potere, lo fai sparire quando fai il dispiaciuto.

[V,9,1] Non avere ribrezzo, non capitolare, non sentirti un malcapitato se ciascuna tua azione non è un condensato di retti giudizi. Se ti sei stornato da essi, ritorna alla filosofia ed esulta se la maggior parte di quelle azioni è stata da uomo. Ama ciò su cui rivieni, senza ritornare alla filosofia come ad un pedagogo, ma come il malato d’occhi ritorna alla spugnetta e al bianco d’uovo, un altro ad un impiastro o ad un impacco. [V,9,2] In questo modo non farai vacuo sfoggio di obbedienza alla ragione, ma troverai conforto in essa. [V,9,3] Ricorda che la filosofia non dispone altro che ciò che dispone la tua natura di uomo, mentre tu volevi qualcos’altro che non era in armonia con la natura delle cose. [V,9,4] E quali gradevolezze sono maggiori di queste? L’ebbrezza non alletta grazie a questo? Invece tu osserva se non sia più gradevole la magnanimità, la libertà, la schiettezza, la costumatezza, la santità. [V,9,5] Qualora tu abbia ponderato come la facoltà che è comprensione e scienza non ti porti a passi falsi e ti offra serenità in ogni circostanza, cosa c’è di più gradevole della saggezza stessa?

[V,10,1] La realtà è, in un certo modo, avvolta in tali velami che a non pochi filosofi, e non dei primi che capitano, essa è sembrata totalmente inintelligibile; e peraltro agli stessi Stoici essa appare di difficile intelligibilità. [V,10,2] E ogni nostro assenso è volubile: dov’è, infatti, la persona dai giudizi immutabili? [V,10,3] Passa adesso a considerare gli oggetti esterni e vedi come essi sono di breve durata, da poco, passibili di essere in possesso di un cinedo, di una prostituta o di un rapinatore. [V,10,4] Dopo di ciò, passa in rassegna i caratteri dei tuoi conviventi, dei quali è appena appena sopportabile il più raffinato; per non dire che uno già a stento regge se stesso. [V,10,5] In siffatte tenebre e sudiciume, in così grande flusso di sostanza, di tempo, di movimento e di cose mosse, non penso che qualcosa possa ancora avere un valore supremo o insomma meritare la nostra industria. [V,10,6] Al contrario, bisogna consolarsi di attendere la nostra naturale risoluzione e non bisogna costernarsi nell’attesa, ma trovare conforto in questi giudizi: uno è che non mi avverrà nulla che non sia in armonia con la natura; l’altro è che ho la potestà di non fare nulla che sia in contrasto con il dio e il demone che mi porto dentro. [V,10,7] Nessuno, infatti, può costringermi a contravvenire ai suoi comandi.

[V,11,1] ‘Verso quale meta, dunque, uso ora il mio animo?’ In ciascuna situazione bisogna interrogarsi ed indagare che cosa ci sia adesso in questa mia parte costitutiva che chiamano appunto ‘egemonico’, e di chi io abbia adesso l’animo. Ho forse l’animo di un bambino? o di un adolescente? o di una femminetta? o di un tiranno? o di un capo di bestiame? o di una belva?

[V,12,1] Di quale natura siano le cose che ai più sembrano beni, potresti prenderne coscienza anche da questo. [V,12,2] Se, infatti, uno pensasse che ci sono certe virtù, quali la saggezza, la temperanza, la giustizia e la virilità, che sono davvero beni, pensando in anticipo a queste non potrebbe più sentir dire che qualcosa è ‘bene’, giacché nulla si adatterebbe ad essere definito così. Quando uno invece pensa in anticipo a quelli che appaiono ‘beni’ ai più, allora sentirà dire e accoglierà con facilità come appropriatamente soggiunta l’espressione del poeta comico. [V,12,3] Così, anche i più si rappresentano la differenza. Giacché questa espressione offenderebbe e sarebbe stimata indegna, e quanto è detto sulla ricchezza di denaro e i colpi di fortuna che portano lusso o fama noi non li accoglieremmo come cose dette decentemente e spiritosamente. [V,12,4] Procedi e domandati se meritino onore e si debbano concepire ‘beni’ oggetti siffatti, pensando in anticipo ai quali si inferirebbe appropriatamente che ‘chi li ha acquisiti, in grazia della sua prosperità, non ha dove cacare’.

[V,13,1] Io consto di una componente causale e di una componente materiale. Nessuna delle due rovinerà nel nulla, così come neppure sussistette dal nulla. [V,13,2] Quindi ogni parte di me sarà ridisposta per trasformazione in qualche parte del cosmo, poi a sua volta quella si trasformerà in un’altra parte del cosmo e così all’infinito. [V,13,3] Anch’io sussistei in armonia con siffatta trasformazione, così come coloro che mi generarono e così, a ritroso, all’infinito. [V,13,4] Nulla impedisce di parlare così, pur se il cosmo si governasse secondo determinati periodi ciclici.

[V,14,1] Ragione e logica sono arti e facoltà paghe di se stesse e delle opere in armonia con loro stesse. [V,14,2] Esse prendono spunto dalla causa appropriata e quindi si avviano verso l’obiettivo che hanno come fine; onde tali operati sono denominati operati retti, per significare la dirittura della via che seguono. 

[V,15,1] L’uomo non deve serbare per sé nessuna delle cose che non spettano all’uomo in quanto è uomo. [V,15,2] Queste cose non sono requisiti dell’uomo, la natura umana non le professa e neppure esse sono completezze della natura umana. [V,15,3] Pertanto neppure il fine dell’uomo è giacente in esse e neppure lo è ciò che è completivo del suo fine: il bene. [V,15,4] Inoltre, se qualcuna di esse gli spettasse come uomo, non gli spetterebbe di guardarle con austerità né di essere in rivolta contro di esse, non sarebbe lodevole chi fa in modo di non esserne bisognevole e neppure, se davvero esse fossero beni, sarebbe virtuoso chi si autolimita in qualcuna di esse. [V,15,5] Ora, invece, quanto più uno fa a meno di queste o di altre cose siffatte oppure tollera di essere costretto a farne a meno, tanto più è virtuoso.

[V,16,1] Tale sarà il tuo intelletto quale tu l’abbia spesso rappresentato a te stesso, giacché l’animo è immerso nelle rappresentazioni. [V,16,2] Immergilo dunque in continuità in rappresentazioni come queste: dove ci è dato di vivere, là ci è anche dato di vivere bene. Ci è dato di vivere a corte, dunque ci è anche dato di vivere bene a corte. [V,16,3] E ancora: ciascun essere è portato a ciò per cui è stato strutturato, e ciò verso cui è portato è il suo fine. Laddove è il fine, là è anche l’utile e il bene di ciascuno. Bene della creatura razionale, pertanto, è la vita in società. [V,16,4] Che noi siamo nati per la vita in società, infatti, è stato mostrato da tempo. [V,16,5] O non era evidente che gli esseri inferiori esistono per i superiori, e i superiori gli uni per gli altri? Gli esseri animati, inoltre, sono superiori a quelli inanimati e, tra gli esseri animati, i superiori sono gli esseri razionali.

[V,17,1] Inseguire l’impossibile è cosa da pazzi; ma è impossibile che gli insipienti non facciano qualcosa del genere.

[V,18,1] A nessuno avviene qualcosa che egli non possa per natura portare con pazienza. [V,18,2] Ad un altro avvengono le stesse cose ed egli, o perché ignora che sono avvenute o perché vuole sfoggiare grandezza d’animo, resta ben stabile e ne esce illeso. [V,18,3] È terribile che l’ignoranza e la piaggeria siano più potenti della saggezza.

[V,19,1] Le cose di per sé non s’accostano in alcun modo al nostro animo né vi hanno accesso né possono farlo volgere o farlo smuovere. Esso soltanto volge e smuove se stesso e rende le cose che gli si presentano dal di fuori tali quali sono le determinazioni delle quali si ritenga degno.

[V,20,1] D’altra parte l’uomo ci è familiare strettissimo, secondo che bisogna far bene nei loro riguardi e sopportarli; ma, quanto a coloro che recalcitrano davanti alle opere proprie dell’uomo, l’uomo diventa per me una qualunque delle entità indifferenti, non meno del sole, del vento o di una belva. [V,20,2] Ammettiamo che una qualche attività fosse stata intralciata da un’entità indifferente. Ciò non diventa affatto un intralcio dell’impulso e della disposizione d’animo, grazie alla riserva cui io li sottopongo e al capovolgimento che posso effettuarne. [V,20,3] L’intelletto, infatti, è capace di capovolgere e di sgombrare qualunque impedimento all’attività che è il suo fine cardinale [ossia quello di mantenersi in accordo con la natura delle cose]. E così ciò che impacciava quell’attività va a vantaggio di questa seconda opera; ciò che ostacolava quella via diventa un vantaggio per compiere quest’altra.

[V,21,1] Rendi onore alla più possente delle cause basilari che sono nel cosmo: questo è ciò che tutto usa e tutto dirige. [V,21,2] Similmente rendi onore a quella che in te è più possente. Questa è omogenea a quella. [V,21,3] Questa è in te la facoltà che usa le altre facoltà, e la tua vita da questa facoltà è governata.

[V,22,1] Ciò che non è dannoso per la città, neppure danneggia il cittadino. [V,22,2] Ad ogni rappresentazione di essere stato danneggiato, applica questo canone: ‘Se la città non ne è danneggiata, neppure io sono stato danneggiato’. E se la città è danneggiata, non bisogna adirarsi con chi danneggia, ma mostragli che cosa ha travisato.

[V,23,1] Pondera spesso la rapidità con la quale è spazzato via e sottratto alla vista l’esistente e il diveniente. [V,23,2] Giacché la sostanza è come un fiume in flusso ininterrotto, le attività sono in continua trasformazione, le cause vi agiscono in miriadi di rivolgimenti e quasi nulla è stabile, né l’istante né il passato prossimo, mentre l’infinito del passato e del futuro sono abissi in cui tutto scompare. [V,23,3] Come fa a non essere stupido chi in queste circostanze si boria, si ambascia, si cruccia come se qualcosa potesse disturbarlo a lungo? 

[V,24,1] Ricordati della totalità della sostanza, della quale partecipi per pochissima parte; dell’eternità intera, di cui ti è stato demarcato un intervallo infinitesimamente breve; e del destino, di cui quanta parte sei!

[V,25,1] Un altro individuo aberra in qualcosa nei miei confronti? Affar suo; giacché quella disposizione di proairesi è sua peculiare, quell’attività è sua peculiare. [V,25,2] Io ho in questo momento quella disposizione di proairesi che la natura delle cose, comune per tutti, dispone che io abbia; ed opero ciò che la mia natura di uomo dispone che io operi ora.

[V,26,1] L’egemonico che signoreggia il tuo animo, sia parte non coinvolta nei movimenti dolci e piacevoli o aspri e dolorosi della carne e non se immischi, ma si circoscriva in se stesso e releghi quelle affezioni nelle loro parti costitutive. [V,26,2] Qualora però esse si accomunino verso l’alto fino all’intelletto, a causa di quel genere di consentaneità che lega le parti del corpo in una unità organica, allora non bisogna provare ad andare contro la sensazione, in quanto essa è fisica; tuttavia l’egemonico non deve addizionarle, traendola da se stesso, la concezione che si tratti di un bene o di un male.

[V,27,1] Convivere con gli dei. Convive con gli dei chi continuamente mostra loro che il proprio animo gradisce la parte assegnatagli ed opera quanto decide il demone che Zeus ha dato, una scintilla di se stesso, a ciascun essere umano quale patrocinatore e duce. [V,27,2] E questo è la mente e la ragione di ciascuno di noi.

[V,28,1] Ti adiri con chi puzza di caprone? Ti adiri con chi ha l’alito cattivo? E che ti faranno mai? Uno ha una bocca siffatta, un altro le ascelle siffatte: è necessario che ne sortiscano effluvi siffatti. [V,28,2] “Ma l’uomo”, dice, “è dotato di ragione e, soppesando, può capacitarsi in cosa commette dei falli”. [V,28,3] Bravissimo! Ebbene, anche tu hai la ragione. Con la tua disposizione razionale smuovi la sua, mostragliela, rammentagliela. Giacché se ti intende, così lo curerai e non ci sarà bisogno d’ira. [V,28,4] né attore tragico né prostituta.

[V,29,1] Come pensi di poter vivere uscendo di qui, così hai la potestà di vivere qui. Se non te lo concedono, allora esci dalla vita; ma non davvero come se patissi qualche male. [V,29,2] C’è fumo e dunque me ne vado via. Che problema ci vedi? Finché a trarmi fuori non è un fumo del genere, io resto libero e nessuno mi impedirà di fare quello che dispongo. E io dispongo di fare ciò che è in armonia con la natura della creatura razionale e socievole.

[V,30,1] La mente del cosmo è socievole. Ha fatto le creature inferiori in vista di quelle superiori e conciliato le superiori una con l’altra. [V,30,2] Vedi come ha subordinato, coordinato, assegnato a ciascuno secondo il suo valore e come ha aggregato le creature più eccellenti in concordia reciproca.

[V,31,1] Come ti sei comportato fino ad ora con dei, parenti, fratelli, moglie, figli, insegnanti, precettori, amici, familiari, domestici? Se verso tutti costoro fino ad ora vale per te il verso
‘non fare né dire nulla di anomalo’
[V,31,2] allora sovvieniti anche di quali vicende hai traversato e quali pesi sei bastato a reggere; [V,31,3] che la tua storia di vita è ormai compiuta; finale l’ufficio che presti; di quante cose belle hai visto; di quanti piaceri e dolori fisici hai disdegnato; di quante occasioni di celebrità hai trascurato; con quante persone scostumate sei stato costumato.

[V,32,1] Perché animi imperiti ed incolti riescono a sconfonderne uno che ha arte e scienza? [V,32,2] Quale animo, allora, ha arte e scienza? Quell’animo che sa principio e fine, che conosce la ragione che pervade la sostanza tutta e come questa ragione amministri l’universo, secondo periodi ciclici ordinati, per l’eternità.

[V,33,1] Quanto prima sarai cenere, o scheletro, e un nome, oppure neanche un nome. E il nome è comunque soltanto un rumore e un’eco lontana. [V,33,2] Le cose tanto onorate in vita sono vacuità, schifezze, piccolezze, cagnetti che si mordono l’un l’altro, bambini ambiziosi che prima ridono ma poi subito dopo si mettono a singhiozzare. [V,33,3] Lealtà, rispetto di sé e degli altri, giustizia, verità ‘lungi dalla terra spaziosa, verso l’Olimpo…’ [V,33,4] Cosa dunque ti trattiene ancora qui? Se gli oggetti sensibili sono facilmente mutevoli e instabili, i nostri sensi ottusi e facili da ingannare con false impressioni, la nostra animuzza stessa una esalazione proveniente dal sangue: allora ottenere buona fama presso individui siffatti è pura vacuità. [V,33,5] E allora? Attenderai con animo pacificato o il tuo spegnimento o il tuo cambio di dimora. [V,33,6] Ma finché il tempo li tiene in sospeso, cosa ti basta? Cos’altro se non venerare ed elogiare gli dei, far bene riguardo agli uomini, sopportarli quando sono intolleranti e astenerti dall’intolleranza. Quanto poi sta fuori dei limiti di questo pezzetto di carne e del tuo pneuma, ricordati che non è tuo e che non è in tuo esclusivo potere.

[V,34,1] Puoi sempre essere sereno, se appunto l’animo tuo può avere libero corso e se appunto puoi concepire ed operare con metodo. [V,34,2] Queste sono le due caratteristiche comuni all’animo della divinità, dell’uomo e di ogni creatura razionale: quella di non poter essere intralciato da un altro e quella di porre il bene in una disposizione e una pratica di vita socievoli, qui facendo esaurire il desiderio.

[V,35,1] Se questo atto è né un mio vizio né una mia attività viziosa e lo Stato non ne è danneggiato, perché litigo riguardo ad esso? Che danno ne ha lo Stato?

[V,36,1] Non bisogna lasciarsi genericamente rapire dalla rappresentazione, ma aiutare gli altri secondo possibilità e secondo il valore della faccenda e, qualora essi siano menomati in cose che non sono né bene né male, non immaginarlo un danno, giacché questa è una cattiva abitudine. [V,36,2] Ma, come nel caso di quel vecchio che, andandosene via, richiedeva la trottola del suo pupillo, pur ricordando che era solo una trottola, così anche qui circa i paletti… [V,36,3] O uomo, hai dimenticato di cosa si trattava? ‘Sì, ma per costoro sono cose altamente desiderabili’. E per questo anche tu devi diventare stupido?

[V,37,1] Un tempo io fui, ovunque mi ritrovassi, un uomo baciato dalla buona sorte. Ma ha buona sorte chi assegna a se stesso una sorte buona; e una sorte buona sono buoni rivolgimenti dell’animo, buoni impulsi, buone azioni.

*****

LIBRO VI

[VI,1,1] La sostanza del cosmo è obbediente e duttile. La ragione che la governa non ha in sé causa alcuna di malfare, giacché non ha vizio, non fa nulla male e nulla è da lei danneggiato. [VI,1,2] Tutto nasce e si realizza in armonia con quella ragione.

[VI,2,1] Se operi quanto è confacente, non fare differenza se lo operi soffrendo il freddo o al calduccio, cascando dal sonno o dopo avere sufficientemente dormito, mentre senti che si sparla di te o che ti si elogia, morendo o facendo qualcos’altro. [VI,2,2] Anche morire, infatti, è una delle azioni della vita: dunque basta fare buon uso del presente anche per questa.

[VI,3,1] Guarda dentro: né la qualità peculiare né il valore di una cosa qualunque sorpassino quelle che hai tu.

[VI,4,1] Tutti gli oggetti si trasformeranno molto in fretta e, o svaporeranno, se davvero la sostanza è una sola, oppure saranno dispersi.

[VI,5,1] La ragione che governa sa come si diporta, cosa fa e su quale materiale.

[VI,6,1] Il miglior modo in assoluto di difendersi da un nemico è quello di non rassomigliargli.

[VI,7,1] Di una sola cosa deliziati ed in una sola trova conforto: passare da un’azione socievole ad un’altra socievole, memore della divinità.

[VI,8,1] È l’egemonico quello che desta se stesso e volge e fa di sé quello che dispone di essere; e che inoltre fa apparire a se stesso tutto ciò che avviene quello che egli stesso dispone.

[VI,9,1] Ogni cosa si realizza in armonia con la natura del tutto, non secondo una qualche altra natura che la circondi dal di fuori o che sia inclusa al suo interno o esista sconnessa fuori di essa.

[VI,10,1] O guazzabuglio, groviglio e dispersione oppure unione, ordine e prònoia. [VI,10,2] Se è vera la prima ipotesi, perché smanio ancora di intrattenermi oltre in un’accozzaglia fortuita e in un garbuglio del genere? [VI,10,3] Che m’importa d’altro se non del modo in cui continuare a vivere? [VI,10,4] E perché sconcertarmi? La dispersione, infatti, giungerà anche per me qualunque cosa io faccia. [VI,10,5] Ma se è vera la seconda ipotesi, io venero, sono ben stabile ed ho confidenza in chi governa.

[VI,11,1] Qualora tu sia costretto dalle circostanze ad essere come gettato nello sconcerto, rientra in fretta in te stesso e non uscir di ritmo al di là del necessario. Sarai, infatti, molto più padrone dell’armonia con te stesso col rivenire continuamente ad essa.

[VI,12,1] Se tu avessi sia una matrigna che una madre, accudiresti la prima ma faresti continuamente ricorso alla seconda. [VI,12,2] Questo sono per te, adesso, la corte imperiale e la filosofia. Qui ritorna spesso e trova conforto in questa, grazie alla quale le vicende della corte ti appaiono sopportabili e tu appari sopportabile in esse.

[VI,13,1] Per esempio, davanti alle carni cotte ed altri alimenti del genere accogliere la rappresentazione che: questo è il cadavere di un pesce; questo è il cadavere di un uccello o di un porcello. E, di nuovo, che il vino Falerno è succo d’uva; la toga porporata è pelame di pecora bagnato nel sangue d’una conchiglia. E circa il coito che è lo sfregamento d’un budellino e l’escrezione di moccicaglia accompagnata da un certo spasmo. [VI,13,2] Ora, come queste sono rappresentazioni che vanno al fondo dei fatti e li particolareggiano in modo da farci vedere di cosa davvero si tratta, [VI,13,3] così bisogna fare per la vita intera, e mettere a nudo i fatti proprio laddove li immaginiamo troppo credibili, guardandone dall’alto la bassezza e togliendo loro d’attorno la storia di cui vanno solenni. [VI,13,4] La vanità, infatti, è una terribile sragionatrice e soprattutto quando reputi di applicarti a cose della massima importanza, proprio allora ti ritrovi turlupinato. [VI,13,5] Vedi, ad esempio, cosa dice Cratete dello stesso Senocrate.

[VI,14,1] La maggior parte delle cose che la folla delle persone ammira si possono ricondurre, in genere, ad oggetti tenuti insieme da uno stato fisico, come pietre e legno; oppure dalla natura, come fichi, viti, olivi. Quelle che suscitano l’ammirazione delle persone di poco meno mediocri sono entità tenute insieme da un animo, come greggi e mandrie. Quelle che suscitano l’ammirazione delle persone ancora più raffinate sono entità tenute insieme da un animo razionale, ma non in quanto razionale bensì in quanto animo capace d’arte o altrimenti di qualche altra abilità pratica, o meramente dell’acquisizione di uno stuolo di schiavi. [VI,14,2] Chi, invece, ha in onore l’animo razionale e politico, non si impensierisce più di nessun’altra cosa ma, al di sopra di tutto, preserva il proprio animo in quello stato e moto razionale e socievole e coopera a questo con chi gli è omogeneo. 

[VI,15,1] Alcuni esseri han fretta di nascere, altri di sparire, e di ciò che è appena nato già qualcosa si è estinto. Flussi e cambiamenti rinnovano senza interruzione il cosmo, così come l’incessante corso del tempo rende sempre giovane l’eternità infinita. [VI,15,2] In questa fiumana non è dato di trovare a quale degli esseri che ci scorrono accanto uno potrebbe dare un valore supremo. È come se uno cominciasse ad amare uno dei passerotti che gli frullano accanto, ed ecco che quello è già sparito di vista. [VI,15,3] Anche la vita di ciascuno di noi è qualcosa come l’esalazione proveniente dal sangue e la respirazione dell’aria. [VI,15,4] Giacché quale è un singolo atto d’aspirazione e d’espirazione dell’aria, cosa che facciamo ogni momento; tale è anche il restituire l’intera facoltà respiratoria, che ieri o l’altro ieri hai acquisito col parto, là donde dapprima l’hai cavata.

[VI,16,1] Onorevole per l’uomo non è traspirare come fanno i vegetali, né respirare come fa il bestiame e fanno le belve, né il modellarsi a seconda delle rappresentazioni, né il muoversi come una marionetta a seconda degli impulsi, né lo stare in branco, né il nutrirsi: tutte queste operazioni, infatti, sono eguali a quella di defecare. [VI,16,2] Cos’è, dunque, onorevole? Essere applaudito? No. [VI,16,3] Dunque, neppure essere applaudito dalle lingue; giacché gli elogi dei più non sono altro che un applauso di lingue. [VI,16,4] Bene, hai tralasciato la gloria. Che cosa, allora, rimane onorevole? Reputo che sia il muoversi e l’arrestarsi in armonia con la nostra propria struttura di uomini, che è il risultato al quale conducono anche gli studi e le arti. [VI,16,5] Questo, infatti, ha di mira ogni arte: che la struttura risulti idonea all’opera per la quale è stata strutturata. Il giardiniere che coltiva con sollecitudine la vite, il domatore di cavalli, l’addestratore di cani vanno in cerca di questo risultato. [VI,16,6] Gli insegnamenti dei pedagoghi e dei maestri a cosa ci affrettano? Qui, dunque, è ciò che è onorevole. [VI,16,7] E una volta che esso stia bene, non cercherai di procacciarti altro. [VI,16,8] Non cesserai di onorare anche molte altre cose? Allora non sarai mai libero, né autosufficiente, né capace di dominare le passioni. [VI,16,9] È infatti necessario invidiare, essere geloso, guardare con sospetto coloro che possono sottrartele, insidiare coloro che posseggono ciò che tu tieni in onore. Insomma è necessario che chi è bisognoso di qualcuna di quelle cose sia lordo e inoltre che biasimi gli immortali per molti motivi. [VI,16,10] Invece il rispetto e l’onore per il tuo proprio intelletto ti farà gradito a te stesso, ben adattabile agli uomini e in sinfonia con gli immortali, ossia capace di lodare quanto essi attribuiscono ed hanno organizzato. 

[VI,17,1] Su, giù, in circolo, sono i corsi degli elementi naturali. [VI,17,2] Il movimento della virtù non rientra in nessuno di questi ma è qualcosa di più divino ed ha libero corso procedendo per una via difficile da pensare.

[VI,18,1] Com’è [ridicolo] quel che fanno [gli insipienti]! Non vogliono elogiare i contemporanei che vivono con loro, mentre danno un grandissimo valore all’essere elogiati dai posteri, gente che essi non hanno mai visto né mai vedranno. [VI,18,2] Il che è vicino all’affliggersi perché anche i tuoi più lontani progenitori non ebbero parole di elogio nei tuoi confronti.

[VI,19,1] Se qualcosa è disagevole per te personalmente, non devi concepire che sia impossibile per l’uomo; ma se qualcosa è possibile ed appropriato per l’uomo, legittimalo come accessibile anche a te.

[VI,20,1] In palestra qualcuno può graffiarci con le unghie o darci una testata, ma noi non lo segnaliamo né ci offendiamo con lui né lo guardiamo con sospetto che ci trami poscia qualche insidia. Nondimeno stiamo in guardia nei suoi confronti, non come fosse un nemico personale e neppure con sospetto, ma con paziente avversione. [VI,20,2] Facciamo in modo che qualcosa di siffatto avvenga anche nelle altre parti della nostra vita e cerchiamo di infischiarcene di molte azioni dei nostri, per così dire, allenatori. [VI,20,3] Giacché è in nostra potestà evitarli, come dicevo, e farlo senza sospettare e senza averli in odio.

[VI,21,1] Se qualcuno è capace di riscontrarmi ed evidenziare che concepisco o faccio qualcosa non rettamente, mi rallegro di allogarmi diversamente. [VI,21,2] Infatti, io vado in cerca della verità, dalla quale nessuno è mai stato danneggiato. Piuttosto, danneggia se stesso chi persiste nel proprio inganno e nella propria ignoranza.

[VI,22,1] Io faccio quello che è per me doveroso. Tutto il resto non mi distrae, giacché si tratta di entità o inanimate o irrazionali o che sono andate errando ed ignorano la via.

[VI,23,1] In quanto sei una creatura dotata di ragione, usa con grandezza d’animo e con libertà le creature irrazionali e, in generale, faccende e oggetti privi di ragione; ma usa degli uomini con socievolezza, in quanto creature dotate di ragione. [VI,23,2] Invoca in ogni circostanza gli immortali, e non fare differenza su quanto tempo potrai operare così; giacché bastano anche tre ore vissute così.

[VI,24,1] Alessandro il Macedone e il suo mulattiere, da morti si ridussero nella stessa condizione, giacché o furono riassunti nelle medesime ragioni seminali del cosmo oppure furono similmente sparpagliati negli atomi.

[VI,25,1] Pondera quanti fenomeni, sia somatici sia psichici, contemporaneamente avvengono in ciascuno di noi in un medesimo brevissimo tempo; e così non ti stupirai se molti di più, anzi tutti i fenomeni che avvengono in quella unica totalità che denominiamo cosmo, vengono a sussistenza contemporaneamente. 

[VI,26,1] Se qualcuno ti propone la domanda: “Come si scrive il nome ‘Antonino’?”; non ti sforzerai di proferire ciascun singolo elemento di quel nome? Non procederai ad elencare pacatamente ciascuna lettera? [VI,26,2] E cosa succede se i tuoi interlocutori si adirano? Ti adirerai a tua volta contro di loro? [VI,26,3] Allo stesso modo ricorda che anche nella vita tutto ciò che è doveroso fare risulta dal complesso di un certo numero di giudizi. Serba gli occhi fissi su questi e realizza con metodo l’obiettivo senza vacillare e senza mostrare a tua volta malcontento verso coloro che si mostrano malcontenti. 

[VI,27,1] Com’è crudele non concedere agli uomini di impellere verso ciò che appare loro appropriato ed utile! Eppure, in qualche modo tu non consenti loro di fare proprio questo, quando fremi di odio perché aberrano. [VI,27,2] Essi vi sono certamente portati come verso qualcosa di appropriato ed utile per loro. [VI,27,3] “Ma le cose non stanno così!” Dunque insegnalo e mostralo loro senza fremere di odio.

[VI,28,1] La morte è requie dalle impressioni dei sensi e dagli impulsi che ti fanno muovere come una marionetta; è chiusura della via d’uscita dell’intelletto e fine degli uffici che rendiamo alla carne.

[VI,29,1] In una vita in cui il tuo corpo non capitola, è vergognoso che sia l’animo a capitolare per primo.

[VI,30,1] Vedi di non essere ‘cesarificato’, di non esserci immerso; perché succede. [VI,30,2] Serbati dunque schietto, buono, integro, solenne, senza fronzoli, amante della giustizia, devoto, paziente, affettuoso, gagliardo nelle opere cui si confà gagliardia. [VI,30,3] Gareggia per restare l’uomo che la filosofia dispose di fare di te. [VI,30,4] Rispetta gli immortali, salva gli uomini. Breve è la vita. Solo frutto dell’esistenza terrestre sono una disposizione conforme alle leggi divine e azioni socievoli. [VI,30,5] Sempre come discepolo di Antonino: quella sua giusta tensione ad operare in armonia con i dettati della ragione, la regolarità ovunque, la santità, la pace del volto, il blando, il non vanaglorioso, e il farsi un punto d’onore del cercare sempre di avere un’apprensione certa delle cose. [VI,30,6] E che egli non avrebbe insomma mai pretermesso una questione se in precedenza non ne avesse avuta una buonissima visione dall’alto e una chiara cognizione; [VI,30,7] come portava pazienza con coloro che lo biasimavano ingiustamente senza, a sua volta, biasimarli; come non aveva mai fretta e non accoglieva le calunnie; [VI,30,8] come era preciso indagatore di caratteri e di azioni. Antonino non era acrimonioso, non era pauroso del minimo rumore, né sospettoso, né sofista. [VI,30,9] Si accontentava di poco quanto ad abitazione, giaciglio, vestiti, cibo, servizio. [VI,30,10] Era laborioso e longanime; e come…[VI,30,11] fino a sera, grazie alla dieta frugale e senza bisogno di defecare che all’ora consueta. [VI,30,12] Ricorda la saldezza e la costanza delle sue amicizie; [VI,30,13] come sopportava coloro che andavano contro i suoi pareri con libertà di parola e si rallegrava se qualcuno ne mostrava uno migliore; [VI,30,14] e com’era devoto senza essere superstizioso. [VI,30,15] Affinché l’ultima ora possa presentarsi a te e trovarti, come lui, con la coscienza pura.

[VI,31,1] Torna sobrio, rianimati, e una volta ridestatoti e fattoti il concetto che erano sogni quelli che ti disturbavano, guarda queste realtà come guardavi a quei sogni.

[VI,32,1] Sono fatto di corpo e di animo. Per il corpo, tutto è indifferente, giacché esso neppure può metter bocca al riguardo. [VI,32,2] Per l’intelletto, invece, indifferente è tutto ciò che non è operazione sua, mentre quanto lo è, ebbene, questo è in suo esclusivo potere. [VI,32,3] Di queste operazioni, poi, l’intelletto si affaccenda soltanto in quelle presenti, mentre le sue operazioni passate e future sono anch’esse indifferenti.

[VI,33,1] Il dolore alla mano o al piede non è contrario alla natura, finché il piede fa il piede e la mano fa la mano. [VI,33,2] Allo stesso modo, pertanto, il dolore fisico non è contrario alla natura per l’uomo in quanto uomo, finché egli fa l’uomo. [VI,33,3] E se dunque non è per lui contrario alla natura, non è per lui neppure un male. 

[VI,34,1] Che grandi ebbrezze godono rapinatori, cinedi, parricidi e tiranni!

[VI,35,1] Non vedi quanti artefici artigianali si acconciano fino ad un certo punto ai giudizi delle persone comuni e nondimeno si attengono ai principi fondamentali della loro arte e non reggono di distornarsene? [VI,35,2] Non è dunque terribile che l’architetto e il medico rispettino i principi fondamentali della loro arte più di quanto l’uomo rispetti la propria ragione, quel principio fondamentale che egli ha in comune con gli dei?

[VI,36,1] L’Asia, l’Europa sono angoli del cosmo; il mare nella sua interezza è una goccia del cosmo; il monte Athos è un pezzettino del cosmo; ogni istante è un attimo dell’eternità: tutto è piccolo, versatile, destinato a scomparire. [VI,36,2] E tutto questo perviene di là, avendo preso impulso da quel comune egemonico del cosmo o per diretta conseguenza. [VI,36,3] Anche le fauci del leone, il veleno, ogni malanno, così come le spine, come la melma, sono consequenzialità di quei buoni e solenni impulsi. [VI,36,4] Tu dunque non immaginare che queste cose siano aliene all’egemonico del cosmo che tu veneri, ma fa calcolo della fonte del tutto.

[VI,37,1] Chi vede la realtà di adesso ha visto tutto quanto è successo da sempre fino ad ora e quanto sarà nell’infinito futuro: tutto, infatti, è omogeneo e conforme.

[VI,38,1] Pondera spesso circa collegamento di tutte le cose nel cosmo e sulla loro relazione reciproca. [VI,38,2] In qualche modo, infatti, esse sono tutte intrecciate le une alle altre e tutte hanno perciò rapporti di mutua solidarietà. Peraltro questo consegue al movimento tonico, alla cospirazione e all’unione della sostanza.

[VI,39,1] Concìliati con le faccende cui sei stato abbinato ed ama gli uomini cui sei stato unito, ma davvero.

[VI,40,1] Ogni strumento, attrezzo, suppellettile, sta bene se fa ciò per cui è stato strutturato, anche se chi l’ha costruito è fuori dai piedi. [VI,40,2] Nel caso delle entità che stanno insieme per natura, invece, la forza che le ha strutturate è al loro interno e qui permane: ragion per cui bisogna rispettarla ancora di più e ritenere legittimo che, se tu vivi in duratura armonia col piano della natura, tutto ti va secondo intendimento. [VI,40,3] E così, anche per il cosmo tutto va secondo intendimento.

[VI,41,1] Qualunque cosa aproairetica tu ponga per te a fondamento del bene o del male, è del tutto necessario che tu, per il fatto di incappare in quel certo male o di fallire l’ottenimento di quel certo bene, biasimi gli dei ed odi gli uomini che sono la causa vera o presunta che ti ha fatto fallire l’ottenimento del bene o incappare nel male. E noi commettiamo molte ingiustizie a causa dei nostri dissidi al riguardo. [VI,41,2] Se invece noi giudichiamo bene o male unicamente ciò che è in nostro esclusivo potere, non rimane più alcun motivo né per incolpare gli dei né per stare in posizione polemica verso gli uomini.

[VI,42,1] Tutti noi cooperiamo ad un unico risultato finale, alcuni con consapevole comprensione, altri inconsapevolmente; proprio nel senso in cui Eraclito, presumo, dice lavoratori e cooperatori degli eventi cosmici anche coloro che stanno dormendo. [VI,42,2] Si coopera chi in modo chi in un altro e, per giunta, coopera anche colui che biasima e prova ad andare contro e a far sparire quel che succede. Il cosmo, infatti, aveva bisogno anche di uno come lui. [VI,42,3] Orbene, cerca di capir bene con quali uomini ti ridisponi, perché il cosmo che tutto governa farà certamente buon uso di te e ti accoglierà in una delle schiere dei suoi cooperatori. [VI,42,4] Tu bada, pertanto, di non fare la parte di quel verso da poco e ridicolo, nel dramma che Crisippo ricorda.

[VI,43,1] Il sole sollecita forse di fare lui quel che fa la pioggia? E Asclepio quel che fa Demetra portatrice di frutti? E ogni singolo astro? Entità differenti non cooperano dunque ad un medesimo risultato?

[VI,44,1] Se dunque gli dei hanno deliberato riguardo a me ed a quanto deve avvenirmi, hanno deliberato certo bene; in quanto un dio abulico non è facile da pensare e, d’altra parte, per quale motivo avrebbero dovuto gli dei provare l’impulso di maltrattarmi? [VI,44,2] In questo caso, cosa ne promanerebbe per loro e per il cosmo del quale soprattutto si fanno mente? [VI,44,3] Se invece non hanno deliberato riguardo a me in particolare, hanno certamente deliberato riguardo al cosmo, ed io devo accettare di buon grado ed essere contento anche di quel che avviene in conseguenza di quelle deliberazioni. [VI,44,4] Se davvero gli dei non deliberano su nulla, fidarsi di essi non è santità; e allora che non si facciano sacrifici, che non si traggano auspici, non si giuri e non si facciano tutte le altre cose che noi tutte facciamo come se gli dei fossero presenti e con noi conviventi. Se essi non deliberano circa nulla di ciò che ci riguarda, io ho però la potestà di deliberare circa me stesso e di analizzare ciò che mi è utile. [VI,44,5] A ciascun essere è utile ciò che è in armonia con la propria struttura e con la propria natura: e la mia natura è razionale e politica. [VI,44,6] Roma è la mia città e la mia patria in quanto Antonino; il cosmo lo è in quanto uomo. Dunque soltanto ciò che giova a queste due città è bene per me.

[VI,45,1] Tutto quanto avviene a ciascuna parte è utile all’insieme. Basterebbe dire questo. [VI,45,2] Ma se ne tieni ben nota, vedrai inoltre che quanto avviene ad un uomo per lo più è utile o a lui o agli altri uomini. [VI,45,3] Il termine ‘utile’ va qui preso nel suo senso più comune, ossia riferito alle cose che non sono né bene né male.

[VI,46,1] Come i giochi nell’anfiteatro e in luoghi del genere ti vengono a noia perchè si vedono sempre le stesse cose e la monotonia dello spettacolo produce sazietà, così tu sperimenti questa noia anche per quanto riguarda la vita intera. Infatti, si tratta sempre suppergiù delle stesse cose ad opera delle stesse cause. Fino a quando, dunque?

[VI,47,1] Fatti continuamente il concetto di quanti uomini di tutti i tipi, d’ogni genere di occupazioni e d’ogni sorta di popolazioni, sono morti; e poi vieni giù giù fino a Filistione, a Febo e Origanione. [VI,47,2] Passa adesso a considerare altre genti. [VI,47,3] Dovremo davvero trasformarci e finire anche noi là dove sono finiti così valenti oratori, filosofi così solenni come Eraclito, come Pitagora, come Socrate e ancora in precedenza tanti eroi, e poscia tanti generali e tiranni. [VI,47,4] E inoltre Eudosso, Ipparco, Archimede, altri ingegni acuti, disinteressati, laboriosi, e poi furbastri, vantoni, schernitori proprio di questa vita fragile ed effimera, come Menippo e altri come lui. [VI,47,5] Fatti il concetto che tutti costoro da tempo giacciono morti. Che c’è di terribile, in questo, per loro? E per coloro che non hanno neppure un nome? [VI,47,6] Una sola cosa quaggiù sulla terra è molto degna: trascorrere la vita con verità, giustizia e pazienza verso i bugiardi e gli ingiusti.

[VI,48,1] Qualora tu disponga di allietarti, pondera i pregi di coloro che convivono con te: per esempio, l’operosità di uno; il rispetto di sé e degli altri di un altro, la liberalità di un altro ancora, ed altro per altri. [VI,48,2] Giacché nulla allieta tanto quanto quei simulacri di virtù, e possibilmente se accadono combinati assieme, che traspaiono nei caratteri dei conviventi. [VI,48,3] Perciò bisogna averli sempre a portata di mano.

[VI,49,1] Sei malcontento di pesare quelle tante libbre e non trecento? Così pure di dover vivere fino ad certo numero di anni e non di più? Come sei contento della quantità di sostanza per te demarcata, così siilo anche a proposito del tempo.

[VI,50,1] Prova a persuaderli, e tuttavia opera anche loro malgrado qualora ragioni di giustizia a questo conducano. [VI,50,2] Nel caso qualcuno opponga resistenza ed utilizzi per di più la violenza, passa oltre, ad un contegno compiaciuto e impassibile, ed approfitta dell’impedimento per esercitare ancora un’altra virtù. E ricorda che usavi l’impulso con riserva, giacché non desideravi ciò che è impossibile. [VI,50,3] Cosa desideravi dunque? Desideravi un certo impulso proprio come questo. Questo l’hai centrato. Ciò per cui fummo promossi al mondo è successo.

[VI,51,1] Chi è attaccato alla fama concepisce come proprio bene un’attività allotria; chi è attaccato all’ebbrezza concepisce come bene la propria passività; chi ha senno concepisce come bene la propria azione.

[VI,52,1] Tu hai la potestà di non concepire nulla su questo fatto e di non provarne alcun fastidio nell’animo. [VI,52,2] Infatti, queste faccende non hanno natura di essere fattive delle nostre risoluzioni.

[VI,53,1] Abituati a non essere sciatto nei confronti di ciò che un altro dice e, per quanto possibile, immedesimati con l’animo di chi parla.

[VI,54,1] Ciò che non è utile per lo sciame non è utile neppure per l’ape.

[VI,55,1] Se i pazienti parlassero male di chi fa il medico o i marinai di chi pilota, farebbero essi attenzione a qualcos’altro se non a come uno esegue quanto è salvifico per i passeggeri e l’altro quanto è salutare per i malati?

[VI,56,1] Quanti, con i quali sono venuto al mondo, se ne sono già andati via!

[VI,57,1] Il miele pare amaro agli itterici; l’acqua fa paura agli idrofobi e la palla pare bella ai bambini. [VI,57,2] Perché dunque mi adiro? O ti sembra che il giudizio mendace abbia minore potenza della bile per l’itterico o della bava velenosa per l’idrofobo?

[VI,58,1] Nessuno ti impedisce di vivere in armonia con la ragione della tua natura, e nulla mai ti avverrà che sia contrario alla ragione della comune natura.

[VI,59,1] Che razza di gente è quella alla quale vogliono riuscire graditi, per che razza di preminenze e attraverso quali attività! [VI,59,2] L’eternità rapidamente occulterà tutto, e quante cose essa ha già occultato!

*****

LIBRO VII

[VII,1,1] Cos’è il vizio? È ciò che hai già visto spesso. Qualunque cosa succeda, abbi a portata di mano il giudizio: è ciò che hai già visto tante volte. [VII,1,2] Insomma troverai sempre suppergiù le stesse cose, di cui sono piene le storie d’antica data, quelle dell’età di mezzo e quelle recenti; di cui adesso sono piene le città e le case. [VII,1,3] Nessuna novità. Tutto è consueto e di breve durata.

[VII,2,1] Come altrimenti possono i nostri giudizi andare in necrosi se non spegnendo le rappresentazioni loro consone, rappresentazioni che è ininterrottamente in tuo esclusivo potere ravvivare di nuovo? [VII,2,2] Io ho il potere di concepire al riguardo quel che bisogna concepire. E se ho questo potere, perché mi sconcerto? Tutto ciò che è fuori della mia proairesi è assolutamente nulla per la mia proairesi. [VII,2,3] Impara questo e sei un uomo retto. Hai la potestà di rivivere. Guarda di nuovo le faccende come solevi vederle: giacché in questo consiste il rivivere.

[VII,3,1] Vacua premura per un pomposo corteo, messa in scena di drammi, greggi, mandrie, combattimenti con le lance, un osso buttato via a dei cagnetti, briciole nelle vasche dei pesci, formiche che tribolano e trasportano dei pesi, corse qua e là di topolini terrorizzati, marionette tirate da fili. [VII,3,2] Di fronte a questi spettacoli occorre stare pazienti e non sbuffare, comprendendo tuttavia che ciascuno di noi di tanto è degno quanto vale ciò su cui si è industriato.

[VII,4,1] Bisogna comprendere, parola per parola, i discorsi che si fanno; e, impulso per impulso, gli eventi che ne conseguono. Per gli eventi, vedere subito a quale scopo fa riferimento l’impulso; per i discorsi, tenere ben presente il loro significato.

[VII,5,1] Il mio intelletto è bastante a quest’opera oppure no? [VII,5,2] Se è bastante, lo utilizzo per compiere l’opera, come strumento datomi dalla natura. Se però non è bastante, o rinuncio all’opera in favore di chi può portarla a termine meglio di me oppure, se questo non è doveroso per un altro, la compio io come posso associandomi chi può, con l’utilizzo per di più del mio egemonico, fare ciò che al momento è congruo e proficuo per lo Stato. [VII,5,3] Giacché qualunque opera io compia, solo o con un altro, occorre avere come unico intento ciò che è proficuo e ben adattabile allo Stato.

[VII,6,1] Quanti, dopo essere stati molto decantati, sono ormai stati consegnati all’oblio; e quanti, dopo avere decantato costoro, sono da tempo fuori dai piedi!

[VII,7,1] Non vergognarti di essere aiutato, giacché il tuo obiettivo è di eseguire quel che ti spetta, come un soldato in battaglia sulle mura. [VII,7,2] E allora, se tu zoppicante non fossi in grado di salire da solo sugli spalti e lo potessi fare grazie all’aiuto di un altro?

[VII,8,1] Il futuro non ti sconcerti. Vi giungerai infatti, se bisognerà arrivarci, portando con te la stessa ragione della quale ora ti servi nel presente.

[VII,9,1] Tutte le cose sono intrecciate le une alle altre, il loro legame è sacro e non v’è praticamente nulla di allotrio tra l’una e l’altra, giacché esse sono disposte con armonia ed adornano insieme il medesimo cosmo. [VII,9,2] Uno è il cosmo formato da tutte le cose e uno è il dio che tutte le pervade. Una è la sostanza e una è la legge. Comune è la ragione di tutte le creature cognitive. Una è la verità, se una appunto è anche la perfezione delle creature omogenee e partecipi della medesima ragione.

[VII,10,1] Tutto ciò che è materialità scompare molto in fretta nella sostanza del cosmo; tutto ciò che è causale molto in fretta è riassunto nella ragione del cosmo e la memoria d’ogni cosa molto in fretta si inabissa nell’eternità.

[VII,11,1] Per la creatura razionale, la medesima azione è in accordo con la natura delle cose e con la ragione.

[VII,12,1] Uomo retto, non uomo corretto.

[VII,13,1] Le creature razionali sono state strutturate per una certa cooperazione reciproca tra individui disparati ed hanno tra di loro lo stesso rapporto che si ha tra le membra del corpo negli organismi singoli. [VII,13,2] La cognizione di questo rapporto ti incoglierà meglio se ti dirai spesso di essere un ‘membro’ del sistema formato dagli esseri razionali. [VII,13,3] Se, invece, con la lettera ‘r’ muti il termine ‘melos=membro’ in ‘meros=parte’, e ti dirai di essere una sua ‘parte’, non ami ancora gli uomini dal profondo del cuore e il beneficare non ti allieta ancora con perfetta certezza; ma lo fai come cosa meramente confacente, non ancora come se facessi del bene a te stesso.

[VII,14,1] Che una qualunque cosa esterna incolga pure quelle parti di me che possono patire a seguito di questo colpo. [VII,14,2] La parte che lo vorrà, infatti, potrà mettersi a biasimare quei colpi. Io invece, se concepirò che l’accidente non è un male, neppure ne sono stato danneggiato. Ed io ho la potestà di non concepirlo.

[VII,15,1] Qualunque cosa un altro dica o faccia, io devo essere un uomo virtuoso. Come se l’oro o lo smeraldo o la porpora dicessero sempre: ‘Qualunque cosa uno faccia o dica, io devo sempre essere smeraldo ed avere il mio colore’.

[VII,16,1] L’egemonico [del cosmo] non reca disturbo a se stesso, non impaurisce e non affligge se stesso, non si volge a smaniare per qualcosa. [VII,16,2] Se qualcun altro può far sì che esso si impaurisca o che si affligga, lo faccia. Ma esso non volgerà mai se stesso, per propria concezione, a siffatto rivolgimento. [VII,16,3] Quanto al nostro corpo, s’affanni lui a non patire qualche infermità, se può; e se invece la patisce, che lo dica. L’animuzza poi, quella che ha paura, quella che si affligge, quella che, insomma, prende la parola a questo riguardo, fa’ in modo che non patisca per nulla, giacché non la vedrai mai prendere da sola questa risoluzione. [VII,16,4] L’egemonico dell’uomo, per quanto è in suo esclusivo potere, non è invece bisognevole; a meno che non si faccia esso stesso carente di qualcosa. Allo stesso modo esso sa dominare lo sconcerto e non è soggetto ad intralci, se da se stesso non si sconcerta e non si intralcia.

[VII,17,1] La felicità è un demone buono oppure un egemonico buono. [VII,17,2] Cosa fai dunque qui, o rappresentazione? Vattene via, per gli dei, come sei venuta! Non ho bisogno di te. [VII,17,3] Sei venuta secondo l’antica abitudine. Non sono adirato con te; soltanto vattene.

[VII,18,1] Qualcuno ha paura del mutamento? E cosa può avvenire senza mutamento? Che cos’è più caro e appropriato alla natura? [VII,18,2] Proprio tu, puoi fare un bagno caldo se la legna non si trasforma? Puoi nutrirti, se gli alimenti non si trasformano? Quale altra opera proficua può essere portata a compimento senza trasformazione? [VII,18,3] Non vedi dunque che anche il tuo stesso trasformarsi è un processo simile e similmente necessario alla natura?

[VII,19,1] Attraverso la sostanza delle cose tutte come attraverso un fiume in piena fanno il loro viaggio tutti i corpi, connaturati e cooperatori di quel tutto come lo sono le parti del nostro corpo l’una per l’altra. [VII,19,2] Quanti Crisippo, quanti Socrate, quanti Epitteto l’eternità ha già ingoiato? [VII,19,3] Questa stessa riflessione possa incoglierti a proposito di qualunque uomo e di qualunque faccenda. 

[VII,20,1] Una sola determinazione mi sprona: quella di non fare ciò che la struttura dell’uomo non vuole, o come non vuole, oppure ciò che adesso non vuole.

[VII,21,1] Vicino è l’oblio di tutto da parte tua; vicino è l’oblio di te da parte di tutti.

[VII,22,1] Proprio dell’uomo è amare anche coloro che toppano. [VII,22,2] E questo succede se vi aggiungerai a commento che essi ti sono congeneri, che aberrano per ignoranza e loro malgrado, che dopo poco tempo ambedue sarete morti e innanzitutto che chi sbaglia non ti danneggia, giacché non rende il tuo egemonico peggiore di quanto fosse prima.

[VII,23,1] Usando la sostanza del cosmo come fosse cera, la natura plasma adesso un cavallo, poi lo sconfonde ed approfitta di questo materiale per plasmare un alberello, poi un ometto, poi qualcos’altro; e ciascuna di queste creature sussiste per pochissimo. [VII,23,2] Anche per un cofano è nulla di terribile l’essere smontato e l’essere rimontato.

[VII,24,1] L’indignazione del volto è d’assai contraria alla natura delle cose. Qualora il decoro muoia spesso sul tuo volto, da ultimo esso si estingue tanto da non poterlo assolutamente più riaccendere. [VII,24,2] Prova a comprendere che ciò è contrario alla ragione. Giacché se disparirà la percezione di aberrare, che motivo c’è di vivere ancora?

[VII,25,1] La natura che tutto governa, tra poco trasformerà tutto quello che vedi e con la sua sostanza farà altre cose e poi di nuovo altre con la sostanza di quelle, così che il cosmo sia sempre giovanile.

[VII,26,1] Qualora qualcuno aberri in qualcosa nei tuoi confronti, pondera subito la concezione di quale bene o di quale male lo abbia indotto a tale aberrazione; giacché, compreso ciò, lo commisererai e non te ne stupirai né ti adirerai. [VII,26,2] E certo, o tu pure concepisci ancora essere bene la stessa cosa, o qualcos’altro di conforme: e allora lo devi perdonare; [VII,26,3] oppure, se non concepisci più che beni e mali siano cose siffatte, sarai più facilmente paziente con chi trascura [la natura delle cose].

[VII,27,1] Non bisogna farsi il concetto delle cose assenti come di cose già esistenti, ma eleggersi le più care e preziose delle presenti e rammentarsi, al riguardo, come le esigeremmo se non ci fossero. [VII,27,2] Nel contempo sta in guardia, per il fatto di esultare tanto di esse, a non abituarti a dare loro un valore supremo, così da essere poi sconcertato se mai non fossero più presenti.

[VII,28,1] Raccogliti in te stesso. Natura dell’egemonico razionale è quella di essere pago di se stesso operando il giusto e, così facendo, trovare bonaccia.

[VII,29,1] Cancella la rappresentazione. [VII,29,2] Ferma gli impulsi che fanno di te una marionetta. [VII,29,3] Circoscrivi l’istante. [VII,29,4] Riconosci quel che avviene a te o ad un altro. [VII,29,5] Usa la diairesi e spartisci l’oggetto in componente causale e materiale. [VII,29,6] Pensa all’ora estrema. [VII,29,7] Abbandona l’aberrazione al suo autore, là dove l’aberrazione stava.

[VII,30,1] Bisogna che la cognizione sia coestensiva a quanto si dice, e bisogna che la mente penetri anche nelle cause basilari degli eventi.

[VII,31,1] Sii raggiante di schiettezza, di rispetto di te e degli altri, di indifferenza per ciò che sta in mezzo tra la virtù e il vizio. [VII,31,2] Ama il genere umano. [VII,31,3] Conformati a dio. [VII,31,4] Quel noto filosofo dice: ‘Tutto per convenzione, in realtà solo gli elementi’. Basta ricordare: tutto per convenzione. 

[VII,32,1] O dispersione, se gli atomi. Se unione, o spegnimento o cambio di dimora.

[VII,33,1] Il dolore fisico insopportabile trae fuori di vita, quello cronico è sopportabile. L’intelletto serba a dovere la sua bonaccia per interclusione in se stesso e l’egemonico non diventa peggiore. [VII,33,2] Quanto alle parti del corpo che sono maltrattate dal dolore, se possono, lo dichiarino.

[VII,34,1] Guarda le loro proairesi, quali sono, che razza di cose fuggono, che razza di cose inseguono. [VII,34,2] E vedi che, come i banchi di sabbia accumulandosi uno sull’altro nascondono i precedenti, così nella vita le fame precedenti sono prestissimo occultate da quelle che si sovrappongono loro.

[VII,35,1] “Chi dunque ha un intelletto davvero da grand’uomo e capace di contemplare la totalità del tempo e della sostanza; ebbene, presumi tu che egli reputi un gran che la vita umana?” 
“È impossibile” rispose lui
“Ed egli riterrà che la morte è qualcosa di terribile?”
“No, per niente”.

[VII,36,1]                          “È da re agire bene e sentir parlare male di sé”

[VII,37,1] È vergognoso che il volto sia ossequente, si foggi e si componga come intima la proairesi, ed essa invece non si foggi e non si componga da se stessa come si deve.

[VII,38,1]                         “Non è legge del fato il provare rancore contro i fatti,
giacché ai fatti del nostro rancore non importa proprio nulla”

[VII,39,1]                        “Possa tu dare motivi di gioia agli dei immortali ed a noi”

[VII,40,1]                                 “Mietere la vita come una spiga fruttuosa, 
ed uno esistere, l’altro no”

[VII,41,1]                             “Se gli dei han negletto pure i miei due fanciulli, 
una ragione v’è anche per questo”

[VII,42,1]                                     “Il bene e la giustizia sono con me”

[VII,43,1]                                  “Non unirti a quei lamenti, non provare batticuori”

[VII,44,1] “Io gli ribatterei giustamente: non parli bene, mio caro, se presumi che un uomo, per pochi spiccioli che valga, debba fare il computo del pericolo di vivere o di morire e non invece, quando fa qualcosa, considerare soltanto se fa qualcosa di giusto o di ingiusto, qualcosa da uomo virtuoso o da vizioso”.

[VII,45,1] “Le cose stanno in verità, o Ateniesi, proprio così: che dove uno prenda posizione ritenendola la migliore possibile o dove gli sia ordinato da un comandante di prenderla, là, a me sembra, egli deve restare affrontando i pericoli senza computare la morte né null’altro più della vergogna”.

[VII,46,1] “Ma, o beato, vedi se bene e nobiltà non siano altro che salvare la vita altrui e la propria; e se l’essere umano davvero uomo non debba dismettere il calcolo di quanto tempo vivere e non restare amante della vita bensì, affidandosi in questo al dio e fidandosi di quel detto donnesco secondo cui nessuno potrebbe scampare al proprio destino, analizzare in che modo vivere il meglio possibile il tempo che gli tocca vivere”.

[VII,47,1] Bisogna osservare torno torno i percorsi degli astri, come ruotando insieme a loro; e pensare continuamente alle trasformazioni degli elementi uno nell’altro, [VII,47,2] giacché queste rappresentazioni ripuliscono il sudiciume di una vita vissuta terra terra. 

[VII,48,1] E invero bisogna che chi discorre di uomini sopravveda le vicende terrestri come dall’alto in basso: mandrie, eserciti, campi coltivati, matrimoni, divorzi, genesi, morti, trambusto nei tribunali, paesi isolati, popolazioni variegate di barbari, feste, lamenti funebri, mercati, confusione e tutto l’insieme adornato dai contrari.

[VII,49,1] Esaminare a fondo le vicende passate e le tante e grandi trasformazioni che succedono: si possono [così] anche presagire le future. [VII,49,2] Giacché esse saranno del tutto conformi, e non è possibile che si svolgano con un ritmo diverso dalle attuali. Ragion per cui è uguale investigare la vita umana su un arco di quarant’anni o di diecimila anni. Cosa si vedrà di più?

[VII,50,1]                   “Tornano alla terra le creature che dalla terra sono germinate
e alla volta eterea le stirpi
 da seme etereo germogliate”

[VII,51,1]                                “Con vivande, con bevande e con sortilegi 
deviando il corso della vita così da non morire”
[VII,51,2]                                 “Senza lamenti l”aura che spira dal cielo 
pur tra le pene dobbiamo sopportare”

[VII,52,1] Più abile a fare lo sgambetto, ma non più socievole, più rispettoso di sé e degli altri, più disciplinato di fronte agli avvenimenti, più paziente verso le trascuratezze di chi gli sta intorno.

[VII,53,1] Laddove un’opera può essere portata a termine secondo quella ragione che è comune agli uomini e agli dei, non vi è nulla di terribile da temere. Giacché quando è lecito centrare il giovamento che proviene da un’attività che procede per un libero corso ed è in armonia con la nostra struttura, ebbene ad essa non bisogna guardare col sospetto di alcun danno.

[VII,54,1] Dovunque e senza interruzione è in tuo esclusivo potere compiacerti devotamente dell’evenienza presente, comportarti secondo giustizia con le persone presenti e lavorare con arte alla rappresentazione del momento affinché non vi si insinui qualcosa di non catalettico.

[VII,55,1] Non guardare attorno a te gli egemonici allotrii ma guarda diritto alla meta cui ti guida la natura, sia la natura del tutto attraverso quel che ti avviene, sia la tua attraverso le opere che compi. [VII,55,2] A ciascuna creatura tocca fare ciò che consegue alla propria struttura. Ora, tutte le altre creature sono strutturate in vista delle creature razionali -e in ogni caso le inferiori lo sono in vista delle superiori- mentre le creature logiche lo sono l’una in vista dell’altra. [VII,55,3] Dunque ciò che è cardinale nella struttura dell’uomo è la socievolezza. [VII,55,4] Seconda viene la sua capacità di non cedere alle passioni del corpo, essendo peculiare del moto razionale e cognitivo dell’uomo la capacità di delimitarsi in se stesso e di non essere mai vinto né dal moto dei sensi né da quello degli impulsi istintivi. Entrambi questi moti sono infatti animaleschi, mentre il movimento cognitivo dispone sempre di primeggiare e mai di essere assoggettato a quelli. E invero giustamente, giacché esso è nato per usare tutti quelli. [VII,55,5] Terza, nella struttura razionale dell’uomo, viene poi la sua capacità di non essere precipitoso nei giudizi e di tenersi al riparo dall’inganno. [VII,55,6] Avendo queste caratteristiche, l’egemonico proceda per la diritta via ed avrà così ciò che gli appartiene.

[VII,56,1] Bisogna che chi ha vissuto fino ad ora come se fosse morto, viva in armonia con la natura delle cose il resto del tempo che gli avanza.

[VII,57,1] Amare unicamente quel che gli avviene ed è intessuto per lui. Cosa potrebbe, infatti, essere più acconcio?

[VII,58,1] Per ciascun caso della vita, avere davanti agli occhi coloro ai quali sono avvenuti gli stessi casi e che solevano adontarsene, sbalordirsene, biasimarli. Dove sono costoro, adesso? Da nessuna parte. E allora? Vuoi comportarti anche tu similmente? [VII,58,2] Non abbandonare, piuttosto, i rivolgimenti impropri ai conturbatori e ai conturbati, e tu invece concentrarti interamente sul come servirti di quei casi della vita? [VII,58,3] Giacché te ne servirai bene e sarà materiale per te. Soltanto fa’ attenzione a disporre di essere bello dentro in ogni cosa che fai, e ricordati di entrambe le cose, ossia…[che il caso della vita è indifferente mentre non è indifferente l’uso che ne fai]…con la tua azione.

[VII,59,1] Scava dentro. Dentro è la fonte del bene che sempre può sgorgare, se sempre scavi.

[VII,60,1] Bisogna che anche il corpo sia ben piantato e non si dimeni di qua e di là, tanto in movimento quanto in posizione di riposo. [VII,60,2] Infatti, come la retta proairesi procura al nostro volto un’espressione che lo mantiene intelligente e decoroso, qualcosa del genere va richiesto anche per tutto il corpo. [VII,60,3] E dobbiamo badare a raggiungere questo risultato alla buona. 

[VII,61,1] L’arte della vita è più simile alla lotta corpo a corpo che alla danza, per via dello star pronti e incrollabili agli accidenti non pronosticabili.

[VII,62,1] Soppesare continuamente chi siano costoro dai quali intendi ottenere una testimonianza favorevole di te e quali egemonici essi abbiano. [VII,62,2] Giacché non biasimerai coloro che toppano indeliberatamente né abbisognerai di quella corroborazione se guardi ben dentro, alle fonti della loro concezione e del loro impulso. 

[VII,63,1] Ogni animo, dice, si priva della verità suo malgrado. Dunque è così anche della giustizia, della temperanza, della pazienza e di tutto ciò che è siffatto. [VII,63,2] E’ oltremodo necessario ricordarsi ininterrottamente di questo, giacché così sarai più mite con tutti.

[VII,64,1] Di fronte ad ogni dolore fisico, abbi a portata di mano il giudizio che esso non è una vergogna; che non rende peggiore quell’intelletto che pilota né lo corrompe come facoltà razionale o socievole. [VII,64,2] Per la maggior parte dei dolori ti sia di aiuto anche il detto di Epicuro: ‘Il dolore fisico è né insopportabile né eterno’; così che tu possa rammemorare i suoi limiti e non opinare nulla di più. [VII,64,3] Ricordati inoltre di questo, cioè che ci sfugge come molte altre faccende che ci rendono malcontenti siano dei dolori camuffati: per esempio il cascare dal sonno, il morire di caldo, l’essere inappetenti. [VII,64,4] Qualora dunque tu ti dispiaccia per qualcuna di queste faccende, dì a te stesso che ti arrendi al dolore.

[VII,65,1] Guarda di non sperimentare verso gli esseri umani che non sono uomini, quel che gli esseri umani sperimentano verso gli uomini.

[VII,66,1] Come facciamo a sapere se Telauge non fosse migliore di Socrate quanto a disposizione interiore? [VII,66,2] Non basta, infatti, che Socrate abbia fatto una morte più celebre; che fosse più abile nel dialogare con i sofisti; che potesse passare una nottata al gelo con straordinaria forza d’animo; che, essendogli intimato di condurre in arresto Leonte di Salamina, così nobilmente pensasse bene di andare contro l’ordine; che camminasse per le vie [di Atene] con aria spavalda (cosa, questa, della quale si potrebbe davvero diffidare che sia proprio vera). [VII,66,3] Bisogna invece considerare quale tipo di animo avesse Socrate e se poteva accontentarsi di essere giusto verso gli uomini e santo verso gli dei; senza fremere di odio contro il vizio; senza essere servo dell’ignoranza di qualcosa; senza accogliere come straniera qualcuna delle cose che ci sono assegnate dall’universo o reggerla come se fosse insopportabile; e senza fare della mente qualcosa di consentaneo alle passioni della carne.

[VII,67,1] La natura non ti ha commisto in un composto in modo tale da non autorizzarti a delimitare te stesso ed a far sì che ciò che è tuo non sia in tuo esclusivo potere; infatti è d’assai fattibile per un uomo diventare come un dio e non essere riconosciuto come tale da nessuno. [VII,67,2] Ricordatene sempre e ricorda anche che il vivere felicemente giace in pochissime cose. [VII,67,3] Non disperare, inoltre, di essere libero, rispettoso di te e degli altri, socievole, obbediente a chi è immortale, dal momento che hai perso la speranza di essere un giorno esperto in dialettica e in fisica.

[VII,68,1] Senza sforzo, puoi passare la vita nella massima contentezza anche se tutti ti urlassero contro quel che vogliono, anche se belve dilaniassero le povere membra di questo impasto rappreso. [VII,68,2] Che cosa impedisce, infatti, che in tutte queste circostanze la proairesi si salvaguardi in bonaccia; capace della risoluzione veritiera circa ciò che la circonda; pronta all’uso di ciò che le è sottoposto? [VII,68,3] Così che la proairesi in quanto risoluzione, possa dire a ciò che la incoglie: “Tu nella sostanza sei questo, anche se all’opinione appari essere quest’altro”; e in quanto uso, possa dire a quel che accade: “Andavo in cerca proprio di te, giacché il presente è sempre il materiale della mia virtù razionale e politica e, in complesso, dell’arte di un uomo soggetto alla stessa legge cui è soggetto dio”. [VII,68,4] Tutto quel che avviene è infatti assimilabile ad una causa divina o umana e non è mai una novità né è difficile da trattare, ma è noto e facile da lavorare.

[VII,69,1] La completezza del carattere è questa: tragittare l’intera giornata come se fosse l’ultima, senza provare batticuori, senza intorpidirsi, senza recitare una parte.

[VII,70,1] Gli dei, essendo immortali, non sono malcontenti di dover certamente sempre sopportare per così tanto tempo tale e tanta quantità di insipienti; e per di più si prendono cura di loro in ogni genere di modi. [VII,70,2] E tu che stai per farla finita tra non molto, invece capitoli? E questo quando tu sei uno di quegli insipienti?

[VII,71,1] Ridicolo è il fatto che noi non scansiamo la nostra propria viziosità, cosa che è possibile; mentre vorremmo scansare la viziosità degli altri, cosa invece impossibile.

[VII,72,1] Ciò che la facoltà che è insieme razionale e politica trovi non essere né cognitivo né socievole, ben logicamente lo giudica ancora più bisognevole di se stessa.

[VII,73,1] Qualora tu abbia fatto qualcosa di buono e un altro ne abbia sperimentato un bene; perché, oltre questi due, cerchi, come fanno gli stupidi, un terzo risultato, ossia di centrare anche la fama di benefattore o il contraccambio?

[VII,74,1] Nessuno si stanca se gli si giova, e il giovare è azione in armonia con la natura. Dunque non stancarti se ti si giova dal momento che, così facendo, tu giovi ad altri.

[VII,75,1] La natura ha dato l’impulso alla fabbrica del cosmo. Ora, o tutto ciò che succede succede per conseguenza, oppure anche le creature principali [ossia gli uomini] attraverso le quali l’egemonico del cosmo si fa impulso privato e personale, sono creature prive di ragione. [VII,75,2] Rammemorare questo ti riporterà in bonaccia verso molte cose.

*****

LIBRO VIII

[VIII,1,1] Al disprezzo della vanagloria porta anche questo, ossia il fatto che non puoi più dire di avere vissuto sempre, o almeno fin dalla giovinezza, una vita da filosofo. È ormai diventato manifesto a molti altri e pure a te stesso che sei ben lontano dalla filosofia. [VIII,1,2] Dunque, sei lordo; sicché l’acquisire fama di filosofo per te non è più facile, ed anche la tua ipotesi di vita è in antagonismo con ciò. [VIII,1,3] Se davvero hai visto dove giace il problema, tralascia, allora, la preoccupazione di chi sembrerai e accontentati di riuscire eventualmente a vivere il resto della tua vita come la natura delle cose dispone. [VIII,1,4] Sviscera ciò ch’essa dispone e null’altro ti distragga. Infatti, hai provato a te stesso, dopo essere andato errando intorno a tante cose, di non avere trovato il ‘vivere bene’. [VIII,1,5] Non l’hai trovato nei sillogismi, né nella ricchezza di denaro, né nella gloria, né nel godimento né da nessuna parte. [VIII,1,6] E dunque dov’è? Il vivere bene sta nel fare ciò che la natura dell’uomo esige. E questo, come lo farai? Se avrai i giudizi dai quali far discendere impulsi ed azioni. Quali giudizi? Quelli sul bene e sul male, per cui nessun giudizio è bene per l’uomo se non lo rende giusto, temperante, virile, liberale; e nessun giudizio è male se non lo rende il contrario di quanto appena detto. 

[VIII,2,1] Per ciascuna tua azione domanda a te stesso: “Come mi si addice quest’azione? Non avrò a pentirmene?” Tra breve sarò morto e tutto sarà tolto di mezzo. [VIII,2,2] Se la presente mia opera è opera di una creatura cognitiva, socievole, soggetta alla stessa legge cui è soggetto dio, cosa esigo di più?

[VIII,3,1] Cosa sono Alessandro, Gaio Cesare, Pompeo a confronto di Diogene, Eraclito, Socrate? [VIII,3,2] Questi si resero ben conto dei fatti, delle cause, dei materiali con i quali avevano a che fare ed i loro egemonici erano autonomi. Là, invece, privilegio di quali e servitù di quanti!

[VIII,4,1] Essi faranno nondimeno le medesime cose, anche se tu crepassi di rabbia.

[VIII,5,1] In primo luogo, non sconcertarti; giacché tutto avviene in armonia con la natura e tra breve tu, come Adriano e come Augusto, non esisterai più da nessuna parte. [VIII,5,2] In secondo luogo, tieni lo sguardo teso alla faccenda in questione e, rammemorando insieme cosa richiede la natura umana e il fatto che tu devi essere un uomo virtuoso, fa quel che devi senza voltarti indietro e come ti appare più giusto; e fallo con pazienza, rispetto di te e degli altri, senza ipocrisia.

[VIII,6,1] La natura in generale fa questo lavoro: traslocare là le cose che sono qui, trasformare, sollevare di qua e portare là. [VIII,6,2] Tutti rivolgimenti che non sono da temersi come una novità, ma che sono tutti consueti.

[VIII,7,1] Ogni natura che abbia libero corso è paga di se stessa. La natura razionale ha libero corso quando, nel caso delle rappresentazioni, nega il proprio assenso ad una rappresentazione falsa o dubbia; quando indirizza gli impulsi verso opere socievoli; quando desidera ed avversa unicamente cose che sono in suo esclusivo potere e, per il resto, accetta di buon grado tutto ciò che le è assegnato dalla comune natura. [VIII,7,2] Di questa comune natura, infatti, essa è una parte; come la foglia lo è di un vegetale. Eccetto che, in questo caso, la natura della foglia è parte di una natura priva di sensazioni, irrazionale, soggetta ad intralci; mentre la natura dell’uomo è parte di una natura che non è soggetta ad intralci, che è cognitiva e giusta, dato che fa per ciascun uomo partizioni uguali e secondo il valore di tempo, di sostanza, di causa, di attività e di evenienza, ed uguali assegnazioni. [VIII,7,3] Considera, cioè, non se troverai questi fattori uguali uno per uno per ogni singolo uomo, ma se il totale assegnato ad uno equivale nell’assieme al totale toccato ad un altro.

[VIII,8,1] Non vi è la possibilità di leggere. Ma vi è la possibilità di reprimere lo stimolo ad oltraggiare; di prevalere sui piaceri e i dolori fisici; di essere ben al di sopra della fama; di non nutrire rancore per gli insensibili e gli ingrati e, per di più, di prendersi cura di loro.

[VIII,9,1] Che nessuno, neppure tu stesso, ti senta più vituperare la vita di corte.

[VIII,10,1] Il pentimento è uno scossone di biasimo che si dà a se stessi per avere pretermesso qualcosa di proficuo. Ciò che è proficuo deve essere un bene, e al virtuoso tocca avere ogni sollecitudine per esso. Ora, nessun uomo virtuoso si pentirebbe mai per avere trascurato una qualche ebbrezza: dunque l’ebbrezza non è proficua e non è un bene.

[VIII,11,1] Cos’è questo in se stesso per sua propria struttura? Quali sono il suo sostanziale e il suo materiale? Quale la sua causa? Cosa fa nel cosmo? Per quanto tempo sussiste?

[VIII,12,1] Qualora ti desti malcontento dal sonno, sovvieniti che l’esplicare azioni socievoli è in armonia con la tua struttura e con la natura umana, mentre il dormire è comune anche alle creature irrazionali. Ciò che è in armonia con la natura di ognuno è pertanto ciò che gli è più appropriato, più naturalmente appartenente, più gradevole.

[VIII,13,1] Bisogna applicare la fisica, l’etica, la dialettica ininterrottamente e, per quanto è possibile, su ogni rappresentazione.

[VIII,14,1] In chiunque t’imbatta, per prima cosa dì a te stesso: ‘Che giudizi ha costui sul bene e sul male?’ [VIII,14,2] Giacché se ha sul piacere fisico, sul dolore fisico e su ciò che è produttivo di entrambi, sulla fama, sul discredito, sulla morte e sulla vita un certo tipo di giudizi, non c’è da stupirsi e non mi sembrerà strano che egli faccia quel che consegue a quei giudizi; e mi ricorderò pure che egli è costretto ad agire così.

[VIII,15,1] Ricorda che come è vergognoso sbalordirsi se un fico apporta dei fichi, così è vergognoso sbalordirsi se il cosmo apporta ciò di cui è portatore. Anche per un medico o per un pilota è vergognoso sbalordirsi se qualcuno ha la febbre o se soffia un vento contrario.

[VIII,16,1] Ricorda che anche l’allogarti diversamente ed il seguire colui che ti corregge è egualmente un atto di libertà. [VIII,16,2] Infatti, è una tua attività realizzata secondo il tuo impulso e la tua risoluzione e quindi anche secondo il tuo intendimento.

[VIII,17,1] Se è in tuo esclusivo potere, perché lo fai? Se invece è in potere d’altri, chi biasimi? Gli atomi o gli dei? Ambedue le alternative sono pura pazzia. [VIII,17,2] Non bisogna biasimare nessuno. Se infatti lo puoi, correggi l’uomo. Se non lo puoi, correggi il fatto stesso. Se non puoi neppure questo, a cosa ancora è utile il biasimare? Giacché non bisogna fare nulla a casaccio.

[VIII,18,1] Ciò che muore non casca fuori del cosmo. [VIII,18,2] Se qua resta, allora qua si trasforma e si dissolve negli elementi naturali del cosmo. E questi stessi si trasformano e non brontolano.

[VIII,19,1] Ciascun essere, sia esso un cavallo o una vite, è nato per qualcosa. Perché te ne stupisci? Anche il sole dirà: ‘Sono nato per compiere una certa opera’. E così diranno il resto degli dei. [VIII,19,2] E tu per cosa sei nato? Per godere nella carne? Vedi se il concetto è tollerabile.

[VIII,20,1] La natura ha avuto di mira l’esaurimento di ciascuna cosa non meno che il suo principio e il suo tragitto, così come avviene a colui che lancia in alto la palla. [VIII,20,2] Per la palla, che bene c’è nel portarsi in alto, e che male c’è nel ricadere e nel cascare a terra? [VIII,20,3] Per una bolla d’aria, che bene c’è nel formarsi e che male c’è nel dissolversi? Considerazioni simili si potrebbero fare anche per una lucerna.

[VIII,21,1] Rivolta il corpo e osservalo qual è e quale diventa quando invecchia, è ammalato, soffre dolori. [VIII,21,2] Breve vita hanno tanto chi loda quanto chi è lodato; tanto chi rammemora quanto chi è rammemorato. [VIII,21,3] Per di più in un angolo di questa regione del cosmo, dove non vanno neppure tutti d’accordo e neppure ciascuno con se stesso, mentre la terra intera è un puntino.

[VIII,22,1] Fa attenzione all’oggetto, all’attività, al giudizio, al significato. [VIII,22,2] È giusto che patisca, giacché vuoi diventare virtuoso domani piuttosto che esserlo oggi.

[VIII,23,1] Faccio qualcosa? Lo faccio riferendolo ad una beneficenza per gli uomini. Mi capita qualcosa? Lo accolgo riferendolo agli immortali e alla sorgente di tutte le cose, da cui tutti gli eventi sono compartiti.

[VIII,24,1] Quale ti appare il fare un bagno caldo: olio, sudore, sudiciume, acqua emulsionata, tutte cose che fanno ribrezzo; tale è ogni parte della vita e ogni oggetto.

[VIII,25,1] Lucilla ha sepolto Vero, poi è toccato a Lucilla. Seconda ha sepolto Massimo, poi è toccato a Seconda. Epitincano ha sepolto Diotimo, poi è toccato a Diotimo. Faustina ha sepolto Antonino, poi è toccato a Faustina. Così è sempre. Celere ha sepolto Adriano, poi è toccato a Celere. [VIII,25,2] Dove sono quegli ingegni sottili, pronosticatori, vanitosi, come Carace, Demetrio il platonico, Eudemone ed altri come loro? [VIII,25,3] Tutti effimeri, morti da tempo. Taluni neppure rammemorati per un momento, altri trasformati in leggende, altri ancora svaniti pure dalle leggende. [VIII,25,4] Ricordati, allora, che il tuo corpo composto dovrà essere disperso, e lo pneuma spento o trasferito e ridisposto altrove.

[VIII,26,1] La letizia dell’uomo consiste nel fare ciò che dell’uomo è peculiare. [VIII,26,2] E peculiare dell’uomo è la benevolenza verso chi gli è consimile, il disdegno dei moti dei sensi, la discriminazione delle rappresentazioni speciosamente persuasive, l’accertamento della natura delle cose e di ciò che avviene in armonia con essa.

[VIII,27,1] Tre relazioni: quella con il recipiente che mi porto addosso; quella con la causa materiale dalla quale tutto deriva per tutti; quella con i conviventi.

[VIII,28,1] Il dolore fisico è un male o per il corpo: e allora il corpo lo dichiari; oppure per l’animo: ma l’animo ha la potestà di custodire intatto in se stesso cielo sereno e bonaccia, concependo che esso non è un male. [VIII,28,2] Giacché ogni risoluzione, ogni impulso, ogni desiderio, ogni avversione nascono dentro di noi e nulla di esteriore sale fin qui [nel nostro egemonico].

[VIII,29,1] Cancella le rappresentazioni dicendo continuamente a te stesso: adesso è in mio esclusivo potere far sì che in quest’animo non vi sia alcuna malvagità, né smania, né assolutamente sconcerto; e che, invece, guardando tutto per quello che è, io utilizzi ciascuna cosa secondo il suo valore. [VIII,29,2] Ricorda che hai questa potestà.

[VIII,30,1] Chiacchierare con naturalezza sia in Senato che con chiunque, compostamente e senza ricercatezza. E usare un linguaggio sano.

[VIII,31,1] Guarda la corte di Augusto, la moglie, la figlia, i nipoti, i figliastri, la sorella, Agrippa, i congeneri, i familiari, gli amici, Ario, Mecenate, i medici, gli addetti ai sacrifici: la morte dell’intera corte. [VIII,31,2] Dopo di che passa in rassegna le altre corti e la loro scomparsa, poi quella di intere città come Pompei, non la morte di singoli individui. [VIII,31,3] Fa anche calcolo di quell’epigrafe tombale che dice ‘Ultimo della sua stirpe’, e di quanto si ambasciarono gli avi per poter lasciare un erede; e poi considera che di necessità qualcuno deve diventare ultimo. E così è di nuovo la morte dell’intera stirpe.

[VIII,32,1] Bisogna comporre la vita azione per azione ed essere paghi se ciascuna di esse incorpora in sé, al possibile, il proprio fine. E che essa lo incorpori in sé, nessuno può impedirtelo. [VIII,32,2] ‘Ma qualcosa di esterno opporrà resistenza!’ Nulla opporrà resistenza a che tu concepisca con giustizia, temperanza, razionalità. [VIII,32,3] Forse sarà impedito qualche altro momento operativo, ma grazie al compiacerti proprio dell’impedimento e grazie alla costumata transizione che tu opererai dinanzi al dato di fatto, ecco che un’altra azione si è sostituita, la quale si accorda alla combinazione di vita della quale stiamo parlando.

[VIII,33,1] Prendere con modestia, lasciare con scioltezza.

[VIII,34,1] Se hai mai visto una mano recisa o un piede o una testa mozzata e giacente in disparte dal resto del corpo, sappi che tale si rende, per quanto è in suo esclusivo potere, chi non accetta ciò che avviene e se ne frammenta, oppure colui che fa qualcosa di antisociale. [VIII,34,2] Ti sei bandito da quell’unione che è secondo natura, giacché eri nato per esserne una parte e adesso te ne sei reciso. [VIII,34,3] Ma nel caso dell’uomo il fatto ingegnoso è questo: che hai la potestà di rientrare di nuovo nell’unione. [VIII,34,4] La Materia Immortale non ha concesso a nessun’altra sua parte, una volta spazieggiata e frantumata, il privilegio di ricongiungersi così. [VIII,34,5] Analizza la probità con la quale essa ha reso onore all’uomo. Infatti essa ha posto in suo esclusivo potere, da principio, la possibilità di non rescindersi dall’intero; e poi, una volta rescissosi, di rivenire di nuovo nell’unione, di riconnaturarsi ad essa e riprendere la posizione di parte.

[VIII,35,1] Come la natura delle creature razionali ha dato a ciascuna di esse le altre facoltà quasi come un dono, così noi abbiamo preso da essa natura anche la nostra ragione. [VIII,35,2] E nel modo in cui la natura ribalta tutto ciò che oppone resistenza e le va contro, lo ridispone in riga col destino e ne fa una parte di se stessa, così anche la creatura razionale può fare di ogni impedimento un materiale per se stesso [ossia per la propria proairesi] ed utilizzarlo per lo scopo al quale impellesse.

[VIII,36,1] Non farti sconfondere dalla rappresentazione della vita nel suo insieme. Non stare a pensare a quali e quanti lavori penosi verosimilmente ne saranno susseguiti ma, per ciascuno di quelli presenti, interpella te stesso su cosa ci sia di insopportabile e di intollerabile in esso. [VIII,36,2] Ti vergognerai di ammetterlo. Poi sovvieniti che ad appesantirti non sono mai né il futuro né il passato, ma sempre il presente. [VIII,36,3] E questo rimpicciolisce, se soltanto lo delimiterai e confuterai la tua proairesi, quando essa affermi di non poter tenere duro dinanzi a questo mero presente.

[VIII,37,1] Panteia o Pergamo siedono adesso accanto all’urna con le ceneri di Vero? Cosa? E Cabria e Diotimo accanto a quella con le ceneri di Adriano? Cosa? Se essi fossero seduti lì accanto, Vero e Adriano dovrebbero accorgersene? Cosa? E se se ne accorgessero, dovrebbero gioirne? E se ne gioissero, Panteia e gli altri dovrebbero essere immortali? [VIII,37,2] Non era destino che anche costoro diventassero dapprima vecchiarde e vecchiardi e poi morissero? Cosa avrebbero dovuto fare poscia, una volta che Vero e Adriano erano morti?

[VIII,38,1] Tutto questo è putredine e sangue coagulato in un sacco. Se hai la vista acuta, guarda.

[VIII,39,1] Giudicando con i più saggi, si dice, non vedo nella struttura della creatura razionale una virtù in rivolta contro la giustizia; mentre invece ne vedo una, la padronanza di sé, che è in rivolta contro l’ebbrezza.

[VIII,40,1] Se eliminerai la tua concezione circa ciò che ti pare causa di afflizione, ‘tu’ sei nella condizione più sicura possibile. [VIII,40,2] ‘Quale ‘tu’’? La ragione. [VIII,40,3] ‘Ma io non sono ragione’. Va bene: allora la ragione non affligga se stessa. Se poi qualcos’altro ti fa stare male, l’afflizione la concepisca quello di se stesso.

[VIII,41,1] Ciò che è capace di intralciare la sensazione rappresenta un male per la natura animale. Similmente, ciò che è capace di intralciare l’impulso rappresenta un male per la natura animale. [VIII,41,2] Similmente vi è qualcos’altro capace di intralciare, e dunque è un male per la struttura vegetale. Così pertanto, ciò che è capace di intralciare la mente è male per una natura cognitiva. [VIII,41,3] Trasponi adesso tutto ciò su te stesso. Un dolore o un piacere fisico ti si accostano. Questo è affare della facoltà percettiva. [VIII,41,4] Un ostacolo si è frapposto alla esecuzione di un tuo impulso. Se tu usi l’impulso senza fare eccezioni, già questo è male per una creatura razionale. Se invece tu hai anticipato l’impedimento, non ne sei stato danneggiato né intralciato. [VIII,41,5] Null’altro, però, suole intralciare l’attività propria della mente, giacché né fuoco, né ferro, né un tiranno, né delle invettive blasfeme, né qualunque altra cosa possono accostarlesi: quando essa diventi ‘globo arrotondato [che gioisce della sua circolare unicità]’, tale resta.

[VIII,42,1] Io non sono degno di affliggere me stesso, giacché non ho mai di proposito afflitto nessun altro.

[VIII,43,1] Una cosa allieta uno, un’altra un altro. Io, invece, mi allieto se il mio egemonico è sano, se non rifugge l’uomo né alcuna delle cose che avvengono agli uomini; se è capace di vedere tutto con occhi pazienti e di accogliere ed usare ogni cosa secondo il suo valore.

[VIII,44,1] Vedi di farti la grazia di questo tempo presente. [VIII,44,2] Coloro che inseguono piuttosto la fama presso i posteri, non conteggiano il fatto che i posteri saranno tali e quali agli uomini di adesso che essi aborrono, e anch’essi mortali. [VIII,44,3] Insomma, che importa a te se quelli faranno echeggiare lontano il tuo nome con certe voci o avranno di te una certa concezione?

[VIII,45,1] Sollevami e buttami dove disponi tu. Anche là avrò il mio demone pacificato, cioè pago di essere e di agire in armonia con quanto consegue alla sua peculiare struttura. [VIII,45,2] Il valore di questa cosa è forse tale che per causa sua l’animo mio debba star male ed essere peggiore di quel che è: che ne sia avvilito, rammaricato, sommerso, attonito? E cosa troverai degno di ciò?

[VIII,46,1] All’uomo nulla può avvenire che non sia un caso umano, né ad un bue che non sia un caso bovino, né ad una vite che non sia un caso viticolo, né ad una pietra che non sia un caso litico. [VIII,46,2] Se dunque a ciascuno avviene ciò che gli è solito e per cui è nato, perché dovresti essere malcontento? La comune natura, infatti, non ti ha apportato qualcosa di insopportabile.

[VIII,47,1] Se ti affliggi per qualcuna delle cose di fuori, non è quella a disturbarti ma la tua determinazione su di essa. [VIII,47,2] E cancellare questa determinazione è senz’altro in tuo esclusivo potere. [VIII,47,3] Se ad affliggerti è una di quelle cose che sono a tua disposizione, chi può impedirti di correggerla? Similmente, se ti affliggi perché non esegui un’opera che ti appare valida, perché non la esegui invece di affliggerti? [VIII,47,4] “Ma qualcosa più potente di me oppone resistenza”. Dunque non affliggerti, giacché la causa del tuo non agire non sta in te. [VIII,47,5] “Ma non è degno vivere se non eseguo quest’opera”. Allora vattene con pazienza dalla vita, nella quale anche chi esegue quell’opera muore, ma pacificato con ciò che oppone resistenza.

[VIII,48,1] Ricorda che l’egemonico diventa imbattibile qualora, racchiuso in se stesso, sia pago di non fare ciò che non dispone di fare, anche se si è schierato così irrazionalmente. [VIII,48,2] Che dire, dunque, qualora abbia invece giudicato con piena ponderazione su qualcosa? [VIII,48,3] Questo è il motivo per cui l’intelletto libero da passioni è un’acropoli; e l’uomo non ha nulla di meglio fortificato rifugiandosi nel quale poi sarebbe inespugnabile. [VIII,48,4] Chi non ha visto quest’acropoli è un incolto, mentre chi l’ha vista e non vi si rifugia è uno sfortunato. 

[VIII,49,1] Non dire a te stesso nulla di più di ciò che ti annunciano le rappresentazioni immediate. [VIII,49,2] Ti è stato riferito che il tale parla male di te. Questo ti è stato riferito. Non ti è stato riferito che sei stato danneggiato. [VIII,49,3] Vedo che il bambino è ammalato. Lo vedo. Non vedo che è in pericolo di vita. [VIII,49,4] A questo modo, dunque, rimani sempre alle prime rappresentazioni, non soggiungere nulla dal di dentro, e non ti succede nulla. Piuttosto soggiungi che conosci tutto quello che può avvenire in questo mondo.

[VIII,50,1] Un cetriolo amaro: tralascialo. Rovi sulla strada: evitali. Basta che tu non dica in aggiunta: perché esistono nel cosmo cose come queste? Giacché allora sarai deriso dallo studioso della natura, come lo saresti da un falegname o da un calzolaio se li accusassi perché vedi nel loro laboratorio dei trucioli o dei ritagli di ciò che hanno fabbricato. [VIII,50,2] Eppure essi hanno dove buttare via questi rifiuti. La natura, invece, non ha nulla al di fuori di sé, e quel che è stupendo dell’arte sua è il fatto che essa si autodelimita e trasforma entro se stessa tutto ciò che al suo interno pare corrompersi, invecchiare ed essere improficuo, facendone altre cose giovanili, senza utilizzare sostanza dall’esterno né avere inoltre bisogno di un luogo dove espellere ciò che è più schifoso. [VIII,50,3] Essa è paga, dunque, del suo spazio, del suo materiale, della sua propria arte. 

[VIII,51,1] Non essere negligente nelle azioni né pasticciato nelle conversazioni, e non vagabondare da una rappresentazione a un’altra. Non rinchiuderti tutto nel tuo animo e non sbalzartene tutto fuori, e non essere senza posa impegnato nelle miserie della vita. [VIII,51,2] Ammazzano, fanno a pezzi, perseguitano con maledizioni. Che c’entra questo con il fatto che l’intelletto resti puro, sensato, temperante e giusto? È come se uno stesse accanto ad una sorgente di acqua limpida e dolce e lanciasse contro di lei delle invettive blasfeme. Non per questo dalla sorgente cessa di sgorgare acqua potabile. E anche se qualcuno vi getta dentro del fango o dello sterco, la sorgente rapidamente li sparpaglierà, li laverà via e in nessun modo ne rimarrà tinta. [VIII,51,3] Come potrai dunque avere in te una sorgente perenne? Se baderai, con l’essere paziente, schietto, rispettoso di te e degli altri, a mantenerti in ogni momento un uomo libero.

[VIII,52,1] Chi non sa che esiste un cosmo, non sa dove esso sia. Chi non sa per cosa il cosmo è nato, non sa chi esso sia. [VIII,52,2] Chi lascia addietro una di queste conoscenze non saprebbe neppure dire per cosa egli stesso sia nato. [VIII,52,3] Chi ti appare essere colui che insegue il rumore degli applausi di persone che non sanno riconoscere né dove sono né chi sono?

[VIII,53,1] Vuoi essere lodato da un individuo che maledice se stesso tre volte all’ora? Vuoi riuscire gradito ad una persona che non gradisce se stessa? [VIII,53,2] Gradisce se stesso chi si pente di quasi tutto quel che fa?

[VIII,54,1] Non bisogna soltanto più respirare insieme con l’aria che ci circonda, ma ormai anche cointelligere con quella cognitività che tutto circonda. [VIII,54,2] La facoltà cognitiva è stata, infatti, riversata dappertutto ed ha permeato chi è capace di cavarla, non meno di quanto l’elemento aeriforme permei chi è capace di respirarlo.

[VIII,55,1] Il vizio, in genere, non danneggia affatto il cosmo. In particolare, poi, il vizio di un individuo non ne danneggia affatto un altro. Il vizio è dannoso soltanto a colui cui è anche concesso di allontanarsene non appena così disponga.

[VIII,56,1] Per la mia proairesi, la proairesi di chi mi sta intorno mi è altrettanto indifferente quanto il suo pneuma o la sua carne. [VIII,56,2] Giacché se pur siamo venuti al mondo soprattutto per aiutarci l’un l’altro, tuttavia i nostri egemonici hanno ciascuno la signoria assoluta in casa propria. Diversamente, la viziosità di chi mi sta intorno dovrebbe essere un male per me. Ma non parve bene alla Materia Immortale che io fossi sfortunato se non per colpa mia.

[VIII,57,1] Il sole sembra versarsi sopra di noi e, in effetti, riversarsi dappertutto ma senza dissiparsi. Questo riversarsi, infatti, è un suo irradiarsi. [VIII,57,2] E i fulgori del sole si dicono appunto ‘raggi’ perché sono entità che si ‘irraggiano’. [VIII,57,3] Quale specie di cosa sia un raggio, lo potresti vedere se osservassi la luce del sole che penetra attraverso una via stretta e finisce su una casa in ombra. Essa si propaga, infatti, in linea retta e si infigge su qualunque oggetto solido incontri, separando l’aria interposta. Qui si ferma e non scivola né cade. [VIII,57,4] Occorre dunque che siffatto sia anche il riversarsi e l’effondersi dell’intelletto, non un dissiparsi ma un irradiarsi. Occorre poi che il suo appoggio sugli impedimenti che incontra non sia violento né impetuoso e che esso non tracolli ma si fermi ad illuminare ciò che lo accoglie. Giacché ciò che non lo riflette defrauderà se stesso del fulgore dell’intelletto.

[VIII,58,1] Chi ha paura della morte teme o l’assenza di sensazioni o sensazioni d’altra specie. [VIII,58,2] Ma allora, se non vi sono più sensazioni neppure percepirai alcun male. Se invece acquisirai una sensibilità differente, sarai un’altra creatura e non cesserai di vivere.

[VIII,59,1] Gli uomini sono venuti al mondo gli uni per gli altri: ammaestrali, dunque, o porta pazienza.

[VIII,60,1] Freccia e mente si portano ben altrimenti. Eppure la mente, anche procedendo cauta e rigirandosi nell’analisi, si porta in linea retta, non meno della freccia, sull’obiettivo. 

[VIII,61,1] Presentarsi all’egemonico di ciascuno. Ma acconsentire anche a chiunque altro di presentarsi al proprio.

*****

LIBRO IX

[IX,1,1] Chi commette un’ingiustizia commette un’empietà. Infatti, siccome la natura ha strutturato le creature razionali le une per le altre in modo che si giovassero reciprocamente secondo il loro valore e non perché si danneggiassero, colui che contravviene al piano della natura commette manifestamente empietà verso la primigenia delle divinità. [IX,1,2] Anche chi mente commette un’empietà nei confronti della medesima divinità, giacché la natura è natura delle cose che sono e le cose che sono hanno intima connessione con i loro attributi veri. [IX,1,3] E inoltre essa è anche denominata Verità ed è la causa prima di tutte le cose vere. [IX,1,4] Chi dunque mente di proposito commette un’empietà inquantoché, ingannando, commette un’ingiustizia. Ma costui è anche empio suo malgrado, in quanto è in disarmonia con la natura e in quanto produce disordine contraddicendo la natura del cosmo. [IX,1,5] Chi si atteggia in modo contrario alla verità, infatti, è in contraddizione con se stesso, giacché la natura gli ha bensì anticipato delle risorse ma poi egli le ha neglette e non è più in grado di discriminare il falso dal vero. [IX,1,6] Empio è invero anche chi insegue i piaceri fisici come se fossero beni e fugge dai dolori fisici come se fossero mali. Un individuo siffatto necessariamente biasima spesso la comune natura perché, a suo parere, non assegna secondo il valore ciò che dà agli insipienti e ciò che dà ai virtuosi. Spesso, infatti, gli insipienti sguazzano nei piaceri ed acquisiscono i mezzi per procurarseli, mentre i virtuosi incappano nel dolore fisico e in quanto lo procura. [IX,1,7] Inoltre, chi ha paura del dolore fisico come se fosse un male, prima o poi avrà paura di qualcosa che pur dovrà succedere nel cosmo; e già questo è cosa empia. [IX,1,8] Colui che insegue i piaceri fisici, a sua volta, non si asterrà dal commettere qualche ingiustizia; e anche questo è evidentemente cosa empia. [IX,1,9] Siccome la comune natura non farebbe ambedue le cose [ossia qualcosa e il suo contrario] se essa non si atteggiasse parimenti verso ambedue, occorre che anche coloro che decidono di seguire la natura delle cose siano unanimi nel diportarsi parimenti con le cose verso cui la natura si atteggia parimenti. È dunque manifesto che chiunque non si atteggia parimenti verso dolore e piacere fisico, morte e vita, gloria e discredito -cose di cui la natura parimenti si serve- commette un’empietà. [IX,1,10] Dico che la comune natura si serve parimenti di queste, per dire che tutte avvengono parimenti, in conseguenza di un succedere ed un susseguirsi di eventi originati da un qualche primitivo impulso della prònoia, col quale essa diede inizio da principio a questo buon ordine del cosmo, dopo avere concepito certe ragioni delle cose future e demarcato facoltà generative di tali basi sostanziali, trasformazioni e successioni.

[IX,2,1] Sarebbe certo da uomo più raffinato andarsene via dal mondo senza avere mai provato il gusto della menzogna, di qualsiasi forma di ipocrisia, di mollezza e di vanità. [IX,2,2] Almeno, stronfiare nauseato da questa robaccia è la seconda navigazione da scegliere. [IX,2,3] Oppure invece tu hai prescelto di accomodarti al vizio e neppure l’esperienza ti persuade ancora a fuggire da questa peste? [IX,2,4] Giacché la corruzione dell’intelletto è peste molto più di quel certo squilibrato rivolgimento dello pneuma sparso intorno a noi. [IX,2,5] Questa è peste per gli animali in quanto animali. Quella è peste per gli uomini in quanto uomini.

[IX,3,1] Non giudicarti superiore alla morte, ma compiacitene perché anche questo è uno degli eventi disposti dalla natura. [IX,3,2] Come l’essere giovani e l’invecchiare, il crescere, raggiungere la maturità, mettere i denti, la barba, la canizie, inseminare, essere gravida, sgravare e le altre naturali operazioni che le stagioni della vita comportano, così è anche l’essere dissolto. [IX,3,3] È dunque da uomo che ha fatto i suoi conti non atteggiarsi verso la morte genericamente, con rigetto o con tracotanza, ma attenderla come una delle attività naturali. [IX,3,4] E come adesso attendi che il feto esca dal ventre della tua donna, così devi aspettare l’ora in cui la tua animuzza fuoriuscirà da questo involucro. [IX,3,5] Se poi vuoi anche una regola da gente comune ma che tocca il cuore, ti renderà agevole pensare alla morte soprattutto la riflessione sugli oggetti dai quali ti distornerai e con quali creature non dovrai più lordarti. [IX,3,6] Non bisogna per niente sentirsi offesi da esse, ma anzi prenderne cura e portare pacatamente pazienza, e però ricordare che il tuo allontanamento non sarà da uomini che hanno giudizi identici ai tuoi. [IX,3,7] Questo soltanto, semmai, potrebbe tirarti in direzione contraria e trattenerti in questa vita, ossia se fossi autorizzato a convivere con persone che condividono i tuoi stessi giudizi. [IX,3,8] Invece, vedi quanto è grande adesso il tedio della disarmonia nella convivenza, tanto da far dire: “Possa tu venire in fretta, o morte; che anch’io, per avventura, non dimentichi chi sono”.

[IX,4,1] Chi aberra, aberra contro se stesso. Chi commette un’ingiustizia maltratta se stesso facendosi vizioso.

[IX,5,1] Spesso commette un’ingiustizia non soltanto chi fa qualcosa, ma chi non fa qualcosa.

[IX,6,1] La presente concezione dotata di perfetta certezza, la presente azione socievole, la presente disposizione a compiacersi di tutto ciò che avviene ad opera della causa esterna: basta questo.

[IX,7,1] Cancella la rappresentazione; ferma l’impulso; spegni il desiderio: l’egemonico deve averli in suo esclusivo potere.

[IX,8,1] Un unico animo è stato suddiviso tra tutte le creature irrazionali, un unico animo cognitivo è stato spartito tra tutte le creature razionali. [IX,8,2] Come pure vi è un’unica terra per tutto ciò che è terroso e unica è la luce grazie alla quale vediamo, unica è l’aria che respiriamo, tutti quanti noi esseri animati e dotati di vista.

[IX,9,1] Tutte le cose che partecipano di un elemento comune, s’affrettano ad unirsi all’elemento che è loro omogeneo. [IX,9,2] Tutto ciò che è terroso ha propensione per l’elemento terra; tutto l’umido è confluente; e l’identica cosa vale per ciò che è aeriforme, sicché vi è bisogno di barriere e di violenza per tenerli separati. [IX,9,3] Il fuoco tende verso l’alto per via del fuoco elementare [che contiene], ed ha una tale prontezza ad avvampare con ogni fuoco quaggiù, che qualunque materiale soltanto un po’ secco è facilmente infiammabile, essendogli intimamente mescolato in quantità minore ciò che è di impedimento alla combustione. [IX,9,4] Quindi in identico modo, o anche di più, tutto ciò che partecipa di una natura cognitiva s’affretta ad unirsi a ciò che gli è congenere. [IX,9,5] E quanto più è superiore rispetto ad altri esseri, tanto più è pronto ad immischiarsi e sconfondersi con chi gli è familiare. [IX,9,6] Per gli esseri irrazionali ben presto questa tendenza prese la forma di sciami, mandrie, nidiate e, per dir così, passioni amorose giacché in queste creature vi erano già degli animi; e la spinta all’aggregazione, nel migliore, vi si trovava intensificata e quale non esisteva né nei vegetali, né nelle pietre, né nelle piante. [IX,9,7] Per gli esseri razionali, invece, questa tendenza prese la forma di Stati, amicizie, casate, raduni, patti e tregue di guerra. [IX,9,8] Per gli esseri ancora superiori, questa tendenza sottostette a modo di una certa unione delle parti disparate tra di loro, quale vi è tra gli astri. [IX,9,9] In questo modo, la tendenza ad ascendere verso ciò che è superiore può elaborare una consentaneità anche fra esseri disparati. [IX,9,10] Vedi adesso quel che succede: soltanto gli esseri cognitivi si sono dimenticati della reciproca premura e tendenza all’unione, soltanto qui non si guarda al confluente. [IX,9,11] Eppure anche fuggendo, essi sono circondati e chiusi da ogni lato, perché la natura padroneggia. Lo vedrai se tieni ben presente quel che dico: [IX,9,12] si troverebbe invero più in fretta qualcosa di terroso appiccato a qualcosa di non terroso che un uomo frammentato dall’uomo.

[IX,10,1] Portano frutto e uomo e dio e il cosmo, e ciascuna cosa porta frutto nelle stagioni appropriate. [IX,10,2] Non importa se la consuetudine ha logorato il termine ‘frutto’ riferendolo principalmente alla vite e a cose simili. [IX,10,3] La ragione ha un frutto sia comune che individuale e da essa nascono altri frutti siffatti, qualunque cosa sia in se stessa la ragione. 

[IX,11,1] Se ne sei capace, insegnagli una via migliore; se non ne sei capace, ricorda che per questo ti è stata data la pazienza. [IX,11,2] Anche gli dei sono pazienti con gente siffatta, e sono così probi che cooperano addirittura con essi al raggiungimento di talune cose come la salute, la ricchezza di denaro, la fama. Anche tu hai questa potestà; oppure dimmi chi te lo impedisce.

[IX,12,1] Compi la tua fatica non da meschino, non per essere commiserato o per essere ammirato, bensì disponi questo soltanto: di muoverti e di arrestarti come solleciti la ragion di Stato.

[IX,13,1] Oggi ‘sono uscito’ da ogni circostanza difficile o piuttosto ‘ho espulso’ ogni circostanza difficile. Giacché essa non era fuori di me ma dentro di me, nelle concezioni [della mia proairesi].

[IX,14,1] Tutte consuete nell’esperienza, effimere nel tempo, sozze nel materiale. [IX,14,2] E tutte, ora, tali e quali erano al tempo di coloro che abbiamo sotterrato.

[IX,15,1] I fatti esteriori se ne stanno fuori della porta, chiusi in se stessi, senza nulla sapere né dichiarare di sé. Cos’è, allora, che dichiara qualcosa su di essi? La proairesi. 

[IX,16,1] Il bene e il male dell’uomo, creatura razionale e politica, non stanno nella passività ma nell’attività. Così anche la sua virtù e il suo vizio non stanno nella passività ma nell’attività. 

[IX,17,1] Per la pietra lanciata in aria non v’è alcun male nel ricadere né alcun bene nel portarsi in alto.

[IX,18,1] Traversa dentro i loro egemonici e vedrai chi sono i giudici dei quali hai paura ed anche che razza di giudici essi sono di se stessi.

[IX,19,1] Tutto è in trasformazione. Tu stesso sei in ininterrotto cambiamento e, per certi aspetti, rovina. E anche il cosmo nella sua interezza lo è. 

[IX,20,1] L’aberrazione di un altro va abbandonata là dov’è.

[IX,21,1] L’esaurimento di un’attività, di un impulso, di una concezione è una pausa, come una morte, ma non è un male. [IX,21,2] Passa ora a considerare le varie età della vita: l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, la vecchiaia. Ogni trasformazione dall’una all’altra è come una morte. Ciò è stato terribile? [IX,21,3] Passa ora a considerare la tua vita sotto la tutela del nonno, poi di tua madre, poi di tuo padre; e trovando molti altri corrompimenti e trasformazioni ed esaurimenti, interpella te stesso: ciò è stato terribile? Pertanto, neppure la terminazione, la pausa, la trasformazione della tua vita intera sarà qualcosa di terribile.

[IX,22,1] Corri al tuo egemonico, a quello del cosmo ed a quello di costui. [IX,22,2] Al tuo, per renderlo incline alla giustizia. A quello del cosmo per rammemorare insieme di chi sei una parte. A quello di costui per soppesare se è ignoranza o intelligenza ed insieme per tener conto del fatto che ti è congenere.

[IX,23,1] Come proprio tu sei completivo del sistema politico, così ogni tua azione sia completiva di una vita politica. [IX,23,2] Se, infatti, la tua azione non ha a riferimento, da presso o da lungi, un fine socievole, dilania quella vita, non le permette di essere unitaria e diventa generatrice di guerra civile; come, tra il popolo, colui che si dispara, per parte sua, da siffatta armonia. 

[IX,24,1] Collere di bambini, scherzi, pneumi che sorreggono cadaveri. Tutto questo avviene così che lo spettacolo dell’evocazione dei Morti ci incolga con maggiore evidenza.

[IX,25,1] Va’ alla qualità di ciò che è causa e, una volta circoscrittolo dal materiale, osservalo bene. Poi delimita anche il tempo massimo che questa certa qualità in particolare può per natura sussistere.

[IX,26,1] Miriadi di volte hai sofferto per non esser stato pago di fare ciò che il tuo egemonico è stato strutturato per fare. Ma basta!

[IX,27,1] Qualora un altro ti denigri o ti odi o si vociferi in siffatti termini contro di te, pervieni alle loro animuzze, traversa dentro e guarda che razza di persone sono. [IX,27,2] Vedrai che non devi ambasciarti perché essi abbiano di te una certa qual opinione. Pertanto, devi provare benevolenza nei loro confronti, in quanto sono tuoi amici per natura. [IX,27,3] Anche a loro gli dei danno ogni genere di aiuti attraverso sogni, attraverso profezie, per l’ottenimento proprio di quelle cose per le quali essi litigano.

[IX,28,1] Questi sono i cicli del cosmo, su e giù, dall’eternità per l’eternità. [IX,28,2] O l’intelletto del cosmo dà un impulso nel caso di ciascun singolo fenomeno e, se è così, accogli ciò che è messo in moto da tale impulso; oppure ha dato un impulso una volta sola e il resto ne è seguito per conseguenza. Perché hai il nervoso? In un certo modo: o atomi o destino. [IX,28,3] E il cosmo: o è dio, e allora tutto sta bene. Oppure è casualità pura, e tu però non operare a casaccio. 
[IX,28,4] Presto della terra ci occulterà tutti, poi anch’essa si trasformerà e anche quello all’infinito si trasformerà e poi di nuovo quell’altro all’infinito. [IX,28,5] Chi pondera su queste ondate successive di trasformazioni e cambiamenti e sulla loro rapidità, non potrà che giudicarsi superiore a qualunque cosa mortale.

[IX,29,1] La causa del cosmo è un fiume in piena che porta via qualunque cosa. [IX,29,2] E come sono da poco questi omiciattoli che si occupano di politica e presumono di praticarla da filosofi, mentre non sono che dei mocciosi. [IX,29,3] Uomo, e allora? Fa’ ciò che la natura delle cose adesso richiede. [IX,29,4] Impelli, se ti è dato; e non guardare attorno cercando che lo si sappia. [IX,29,5] Non sperare la Repubblica di Platone, ma sii pago del più breve avanzamento e pensa, proprio di quest’esito, che esso non è piccola cosa. [IX,29,6] Chi, infatti, trasformerà il giudizio di quei mocciosi? E senza la trasformazione dei giudizi, che altro vi può essere se non servitù di gente che geme e simula di obbedire? [IX,29,7] Orsù, adesso parlami di Alessandro, di Filippo, di Demetrio [Falereo]. Guarderò se han visto cosa dispone la natura delle cose ed educarono se stessi [all’uso della diairesi]. Se, invece, recitavano una parte in tragedia, nessuno mi ha condannato ad imitarli. [IX,29,8] L’opera della filosofia è schietta e rispettosa di sé e degli altri: non menarmi all’alterigia.

[IX,30,1] Accerta dall’alto le miriadi di mandrie, miriadi di cerimonie, ogni genere di navigazioni tra le bufere e in bonaccia, le vicissitudini di quanti nascono, si accoppiano, decedono. [IX,30,2] Pensa anche alla vita vissuta un tempo da altri, a quella che altri vivranno dopo di te e a quella che si vive adesso tra le popolazioni barbare. Pensa a quanti non conoscono neppure il tuo nome, a quanti prestissimo lo dimenticheranno, a quanti adesso forse ti lodano ma presto ti denigreranno. E pensa che né la memoria è rimarchevole, né la fama né, nell’insieme, altro.

[IX,31,1] Dominio sullo sconcerto davanti ai fatti che avvengono per la causa esteriore e giustezza, invece, in quelli agiti dalla causa tua interiore. [IX,31,2] Cioè impulso ed azione esaurentisi nel mero agire socievolmente, in quanto questo è per te in accordo con la natura delle cose.

[IX,32,1] Tu puoi toglierti d’attorno molti crucci superflui che ti disturbano e che giacciono tutti nel tuo modo di concepire, procacciandoti così un ampio spazio [di serenità]. [IX,32,2] Devi abbracciare con l’intelligenza il cosmo nella sua interezza; intendere la sempiternità; pensare alla rapida trasformazione delle parti di ciascuna cosa; che breve è il tempo tra la genesi e la dissoluzione; che prima della genesi vi è un abisso e che anche dopo la dissoluzione vi è egualmente l’infinito.

[IX,33,1] Tutte ciò che vedi molto rapidamente rovinerà, e coloro che lo rimireranno in rovina molto rapidamente rovineranno anch’essi. [IX,33,2] E chi muore nella più tarda vecchiaia sarà ridotto ad ugual condizione di chi è morto prematuramente.

[IX,34,1] Che razza di egemonici sono gli egemonici di costoro; per che genere di cose si sono industriati e che genere di cose amano ed onorano! Giudica pure legittimo guardare le loro animuzze nude. [IX,34,2] Quando reputano di danneggiare denigrando oppure di giovare inneggiando, quanta presunzione!

[IX,35,1] La perdita non è altro che trasformazione. E la natura di questo si rallegra; natura in armonia con la quale tutto avviene, tutto è avvenuto in modo conforme fin dall’eternità e tutto sarà tale e quale, all’infinito. [IX,35,2] E allora? Tu dici che tutto è sempre avvenuto male e sarà male, e che tra tanti dei non s’è mai scovata una facoltà capace di correggere questa situazione, ma che il cosmo è stato condannato ad essere intrappolato in mali incessanti?

[IX,36,1] La putredine del materiale che sta alla base di ciascuno [di noi] è acqua, polvere, ossa, lezzo. A loro volta, i marmi sono concrezioni di terra, oro e argento sono sedimenti, i vestiti sono pelame, la porpora è sangue, e così via tutto il resto. [IX,36,2] Anche lo pneuma è qualcos’altro di siffatto, che passa da questi a quest’altri.

[IX,37,1] Basta di una vita meschina, di brontolare, di scimmiottare! [IX,37,2] Perché ti sconcerti? Cosa c’è di nuovo in questo? Cosa ti fa uscir fuori di te? La causa? Guardala in faccia. Il materiale? Guardalo in faccia, giacché non vi è nulla al di fuori di queste due cose. [IX,37,3] Ma per gli dei, diventa infine più schietto e più probo! 
[IX,37,4] Investigare queste cose per cent’anni o per tre, è uguale.

[IX,38,1] Se [la proairesi] ha aberrato, là sta il male; ma può darsi che non abbia aberrato.

[IX,39,1] O tutto sopravviene da una sola fonte cognitiva come ad un corpo unitario e la parte non deve biasimare ciò che succede a favore dell’organismo nella sua interezza; oppure tutto è atomi e null’altro che guazzabuglio e dispersione. [IX,39,2] Perché dunque ti sconcerti? Dì al tuo egemonico: ‘Sei una cosa morta, rovinata, imbestialita. Tu reciti una parte, stai nel branco e pascoli [con le altre bestie]’. 

[IX,40,1] Gli dei o non possono nulla o possono. [IX,40,2] Se non possono nulla, perché preghi? Se invece possono, perché non auspichi piuttosto che essi ti diano il non avere paura, il non smaniare, il non affliggerti per qualcuna di queste cose [esterne ed aproairetiche], invece di pregare perchè qualcuna di esse sia presente o non sia presente? [IX,40,3] Infatti, se gli dei possono cooperare con gli uomini, possono certamente cooperare anche a questo fine. [IX,40,4] Ma forse tu dirai: ‘Gli dei hanno posto queste cose [interiori e proairetiche] in mio esclusivo potere’. [IX,40,5] E allora non è meglio utilizzare ciò che è in tuo esclusivo potere con libertà invece di litigare, con miserabile servitù, per ciò che non è tuo esclusivo potere? Chi ti ha detto che gli dei non ci soccorrono anche riguardo a ciò che è in nostro esclusivo potere? [IX,40,6] Comincia, dunque, ad auspicare questo e vedrai. [IX,40,7] Costui prega così: ‘Oh, potessi andare a letto con quella ragazza!’. Tu invece auspica così: ‘Possa io non smaniare di andare a letto con quella ragazza!’. [IX,40,8] Un altro prega: ‘Oh, potessi disfarmi di quel tale!’. Tu: ‘Possa io non avere bisogno di disfarmi di nessuno!’. [IX,40,9] Un altro ancora: ‘Oh, potessi non perdere il figliolo!’. Tu: ‘Possa io non avere paura di perderlo!’. [IX,40,10] Insomma, converti così i tuoi auspici e contempla cosa succede.

[IX,41,1] Epicuro dice: ‘Nella malattia, le mie conversazioni non riguardavano i patimenti del corpo e neppure -dice- chiacchieravo di questo con chi mi si presentava dinnanzi; ma continuavo a discutere scientificamente dei principi cardinali della natura e, in particolare, di come l’intelletto, pur compartecipando dei moti tanto forti della carne, mantenga il dominio sullo sconcerto e serbi intatto il proprio bene. Neppure davo ai medici la possibilità -dice- di sbuffare di fierezza come se stessero facendo chissà che, ma continuavo a condurre bene e virtuosamente la mia vita’. [IX,41,2] Tu fa’ come lui, nella malattia e in altre circostanze difficili; giacché non distornarsi dalla filosofia qualunque cosa ci incolga e non unirsi alle sciocchezze di cui parla la persona comune e priva di conoscenze scientifiche è comune precetto di ogni scuola di pensiero. [IX,41,3] Fa inoltre attenzione soltanto a quello che stai facendo ora e allo strumento grazie al quale lo fai.

[IX,42,1] Quando ti offendi per la sfacciataggine di qualcuno, chiediti subito: ‘Nel cosmo possono non esserci degli sfacciati?’ Non possono. [IX,42,2] Dunque non richiedere l’impossibile, giacché anche costui è uno di quegli sfacciati che sono necessari nel cosmo. [IX,42,3] Abbi a portata di mano lo stesso giudizio anche nel caso di un furbastro, di una persona sleale, di chiunque si macchi di qualunque altro tipo di aberrazione. [IX,42,4] Rammentandoti, infatti, che è impossibile che un siffatto genere di persone non esista, sarai più paziente verso ciascuno di essi singolarmente. [IX,42,5] È poi profittevole pensare subito a quale specifica virtù la natura abbia dato all’uomo per contrastare questa aberrazione. Giacché come antidoto verso chi è scostumato la natura ci ha dato la mitezza, e verso qualcun altro qualche altra facoltà. [IX,42,6] Insomma, hai la potestà di insegnare una via migliore a chi è andato errando. Chiunque aberra, infatti, aberra dal suo obiettivo e perciò è andato errando. [IX,42,7] E tu ne sei stato forse danneggiato? Troverai, infatti, che nessuno di costoro contro i quali ti esacerbi ha fatto qualcosa di tale per cui il tuo intelletto ne starebbe per diventare peggiore; mentre il tuo male e il tuo danno hanno qui [nel tuo egemonico] tutta la loro base. [IX,42,8] Che c’è di male o di strano se chi non è educato all’uso della diairesi fa ciò che è proprio di chi non è educato in materia? Guarda se tu non debba piuttosto incolpare te stesso, per non avere supposto che costui avrebbe aberrato. [IX,42,9] La ragione ti aveva infatti dato le risorse per ponderare che probabilmente costui avrebbe commesso questa aberrazione e nonostante ciò tu l’hai dimenticato e adesso ti stupisci se ha aberrato. [IX,42,10] E soprattutto quando biasimi qualcuno per la sua slealtà o per la sua ingratitudine, impensierisciti di te stesso. [IX,42,11] Manifestamente, infatti, l’aberrazione è tua, sia perché ti fidavi che costui avesse disposizione a custodire lealtà verso di te; sia perché, facendogli un favore, non lo hai fatto con la perfetta certezza del risultato né assaporando tutto il frutto della tua azione nel semplice averla compiuta. [IX,42,12] Cosa vuoi di più, infatti, del fare bene riguardo ad un uomo? Non ti basta d’aver fatto qualcosa che è in armonia con la tua natura e invece vai in cerca del soldo per questo? È come se l’occhio richiedesse un contraccambio perché vede o i piedi perché camminano. [IX,42,13] Come infatti queste parti del nostro corpo sono nate per qualcosa facendo il quale esse eseguono quanto è in armonia con la loro struttura ed incorporano in se stesse il loro proprio fine; così anche l’uomo, che è nato per fare bene, ogni volta che fa qualcosa di benefico ha fatto ciò per cui è stato strutturato ed ha ciò che è suo.

*****

LIBRO X

[X,1,1] Animo mio, sarai mai una volta buono, schietto, uno e nudo, più appariscente del corpo che ti porti addosso? Gusterai mai la disposizione amorevole e affezionata? [X,1,2] Sarai mai una volta compiuto, libero dal bisogno, dalla folle brama di qualcosa, dalla smania per ciò che, animato o inanimato, ha di mira i godimenti di ebbrezze, o per il tempo nel quale ti sarà dato di godere più a lungo, o per l’opportunità di godere di un luogo, di un paese, di certe arie, o dell’adattabilità umana? [X,1,3] Sarai pago del tuo stato presente e gioirai di quanto hai? Ti convincerai che quanto hai ti viene dagli immortali e che per te sta bene e starà bene tutto ciò che ad essi è caro e che essi intendono dare per la salvezza della creatura completa, buona, giusta, bella, che genera, dà continuità, circonda e abbraccia tutte le entità che si dissolvono per la genesi di altre simili a loro? [X,1,4] Sarai mai una volta tale da essere concittadino di dei e di uomini, tale da non biasimarli per qualcosa né essere da loro accusato? 

[X,2,1] Disamina cosa esige la tua natura in quanto essere governato dalla sola natura fisica. E poi, se la tua natura di creatura animale non ne scapita, fallo e approvalo. [X,2,2] In seguito devi disaminare cosa esige la tua natura in quanto creatura animale e, se non ne scapita la tua natura in quanto animale dotato di ragione, assumerlo completamente. [X,2,3] Ma l’animale dotato di ragione è subito anche un animale politico. Utilizzando questi canoni, non intrigare oltre.

[X,3,1] Quanto avviene, o avviene così come tu sei nato per portare con pazienza oppure come non sei nato per portare con pazienza. [X,3,2] Se ti avviene come tu sei nato per portare con pazienza, non essere malcontento ma portalo con pazienza come sei nato per fare. Se invece avviene come non sei nato per portare con pazienza, non essere malcontento giacché il malcontento ti avrà già distrutto prima. [X,3,3] Ricorda poi che sei nato per portare con pazienza tutto ciò di cui ti è possibile concepire la sopportabilità e la tollerabilità, grazie alla rappresentazione della sua utilità o della doverosità per te di fare questa certa cosa. 

[X,4,1] Se uno inciampa, avere la pazienza di ammaestrarlo e di mostrargli quel che ha travisato. [X,4,2] Se ne sei incapace, accagionare te stesso, oppure neanche te stesso. 

[X,5,1] Qualunque cosa ti succeda è stata prestabilita per te fin dall’eternità, e l’intreccio delle cause ha intessuto da sempre la tua base sostanziale e questa evenienza.

[X,6,1] Sia che si tratti di atomi, sia che si tratti di natura, resti in primo luogo stabilito questo: io sono una parte dell’insieme governato dalla natura. In secondo luogo: io ho una qualche intima connessione con le parti che mi sono omogenee. [X,6,2] Ricordati questi principi, io, secondoché sono una parte, non mi dispiacerò di nessuna delle cose assegnatemi dall’insieme, giacché nulla di ciò che è utile all’insieme è dannoso per una sua parte. L’insieme, infatti, non ha parti che non gli siano utili. [X,6,3] Avendo tutte le nature in comune questa caratteristica ed avendo in più la natura del cosmo quella di non poter essere costretta da una causa a lei esterna a generare qualcosa di dannoso per se stessa, ricordando che io sono una parte di un insieme siffatto, mi compiacerò di qualunque occorrenza. [X,6,4] Inquantoché, poi, io ho una qualche intima connessione con le parti che mi sono omogenee, non farò nulla di antisociale, ma piuttosto avrò di mira le parti che mi sono omogenee e condurrò ogni mio impulso verso l’utile comune, disviandomi dal contrario. [X,6,5] Realizzandosi le cose in questo modo, la mia vita sarà di necessità serena; come potresti pensare serena quella di un cittadino la cui vita procede attraverso azioni vantaggiose per i cittadini, e che accetta di buon grado ciò che la città gli assegna. 

[X,7,1] Per le parti del tutto -quante, dico, sono incluse nel cosmo- è una necessità l’andare in rovina; e questo sia detto nel significato di ‘diventare altro’. [X,7,2] Se però, dico, questo è per esse, in quanto parti che vanno a diventare altro e che sono state strutturate per rovinare, un male ed insieme una necessità, allora il tutto non se la tragitterebbe bene. [X,7,3] La natura stessa mise mano a maltrattare le sue proprie parti, a farle tali che incappassero nel male e che fossero di necessità proclivi a fare il male? Oppure alla natura è sfuggito che avvenivano tali cose? Ambedue le ipotesi sono assurde. [X,7,4] Se qualcuno, tralasciata la natura, spiegasse che queste parti sono nate proprio per diventare altro, sarebbe però ridicolo sentirlo poi affermare che le parti del tutto sono nate per trasformarsi e contemporaneamente stupirsene come di qualcosa che avviene contro natura o altrimenti essere malcontento per la dissoluzione che c’è negli elementi di cui ciascuna di esse consta. [X,7,5] Infatti, o vi è dispersione degli elementi di cui la parte era composta oppure vi è rivolgimento di ciò che è solido verso l’elemento terroso e di ciò che è pneuma verso l’elemento aeriforme, così da essere riassunti nella ragione del tutto o attraverso una periodica conflagrazione cosmica o per rinnovamento attraverso un perpetuo ricambio. [X,7,6] Non immaginare il solido e lo pneuma come quelli del momento della genesi della parte. [X,7,7] Tutto ciò è stato preso ieri o ieri l’altro attraverso le vivande e l’aria aspirata. [X,7,8] Si trasforma dunque questo che è stato preso da poco, non quello che la madre procreò. [X,7,9] Presupponi pure che quello ti intrecci d’assai alla tua qualità personale di uomo: essa, presumo, non ha rilievo alcuno in rapporto a quanto ora detto.

[X,8,1] Dopo esserti posto questi nomi appellativi: buono, rispettoso di sé e degli altri, verace, assennato, docile, austero; fa attenzione a non mutarli in altri ed a non mandarli in malora. In questo caso, fa di ritornare rapidamente ad essi. [X,8,2] Ricorda anche che ‘assennato’ voleva significare per te l’accurata riflessione su ogni cosa e il rifiuto della sciatteria; ‘docile’ il deliberato accoglimento di quanto ci è assegnato dalla comune natura; ‘austero’ l’elevazione della tua parte costitutiva pensante al di sopra dei moti dolci e piacevoli o aspri e dolorosi della carne, al di sopra della fama, della morte e di ogni altra cosa siffatta. [X,8,3] Se serberai a dovere te stesso all’altezza di questi nomi appellativi e non agognerai soltanto ad essere denominato così dagli altri, sarai un uomo diverso ed entrerai in una vita diversa. [X,8,4] Giacché rimanere quello che sei stato finora e continuare a straziarti e insudiciarti in una vita siffatta è d’assai da individuo incosciente e pusillanime, simile a quei bestiarii mezzo divorati dalle belve i quali, pieni di ferite e di sangue coagulato, implorano nondimeno di essere conservati in vita per la caccia dell’indomani, al fine di essere offerti in quello stato agli stessi artigli e agli stessi morsi ferini. [X,8,5] Sali dunque a bordo di questi pochi nomi appellativi e se sarai capace di restarvi, restaci come se stessi emigrando verso certe Isole dei Beati. Se invece ti accorgerai che ne stai fuoriuscendo o che non ne hai il controllo, vattene con confidenza in qualche angolo dove tu possa padroneggiarli oppure esci totalmente dalla vita senza adirarti ma schiettamente, liberamente, rispettosamente, pur se la sola cosa che hai fatto in vita tua è di uscirne così. [X,8,6] Al fine di ricordare questi nomi appellativi ti soccorrerà poi grandemente il ricordarti degli immortali e del fatto che essi dispongono non di essere adulati, ma che tutte le creature razionali rassomiglino ad essi e così che il fico svolga i compiti del fico, il cane quelli del cane, l’ape quelli dell’ape e l’uomo quelli dell’uomo.

[X,9,1] Pestilenza, guerra, terrore, torpore, servitù, giorno per giorno scancelleranno tutti quei tuoi sacri giudizi che ti rappresenti senza discuterli scientificamente e poi metti da parte. [X,9,2] Eppure bisogna guardare e fare tutto così da portare a compimento, nello stesso momento in cui si esegue la teoria, ciò che la contingenza richiede e salvaguardare, latente ma non nascosto, ciò che in te trae vanto dalla scienza che ha di ciascuna cosa. [X,9,3] Quando, infatti, trarrai godimento dalla schiettezza? Quando dalla solennità? Quando dalla conoscenza di ciascuna cosa: cos’è nella sua sostanza e quale rango ha nel cosmo, per sussistere quanto tempo è nata, di quali elementi è composta, a chi può appartenere, chi può darla e può sottrarla?

[X,10,1] Un ragnetto, quando abbia preso una mosca, ha un gran concetto di sé. Un altro ce l’ha quando cattura un leprotto; un altro quando ha pescato un’acciuga con la rete; un altro quando ha acchiappato dei maialini da latte; un altro quando ha cacciato degli orsi; un altro quando ha fatto prigionieri dei Sarmati. [X,10,2] Se indaghi i loro giudizi, costoro non sono dei rapinatori?

[X,11,1] Devi acquisire un metodo che ti permetta la chiara conoscenza di come tutte le cose si trasformino una nell’altra, e fa attenzione ad allenarti senza interruzione in questa branca di studi, giacché nulla è tanto produttivo di giudizi disinteressati. [X,11,2] Chi fa questo si è spogliato del corpo e, pensando che ben presto dovrà abbandonare tutto e andarsene dagli uomini, rimette se stesso intero alla giustizia per le attività che sono in suo esclusivo potere, ed alla natura per quelle che avvengono diversamente. [X,11,3] A cosa uno dirà, concepirà di lui o farà contro di lui, egli non pone affatto mente, pago di queste due certezze: operare il giusto nelle azioni presenti e amare ciò che ora gli è assegnato [dalla sorte] tralasciando ogni altro impegno e industria. [X,11,4] E non decide altro che di procedere per la diritta via attraverso la legge e di seguire il dio che procede per la diritta via. 

[X,12,1] Che bisogno c’è di sottintesi quando è possibile considerare cosa bisogna fare e, se lo scorgi, dipende soltanto da te il procedervi senza voltarti indietro? Se non lo scorgi, il sospendere il giudizio e servirti dei consiglieri migliori in assoluto? Se altre circostanze andranno contro queste decisioni, il procedere secondo le risorse a disposizione attenendoti, al modo di chi ha fatto i suoi conti, a ciò che appare giusto? Ecco, centrare in pieno questo obiettivo è la miglior cosa, poiché fallimento è proprio il mancarlo. [X,12,2] Chi segue la ragione in tutto è un essere quieto e insieme agile, raggiante e insieme compatto.

[X,13,1] Non appena esci dal sonno devi chiederti subito: ‘Per te, farà qualche differenza se un altro denigrerà ciò che è giusto e perbene?’. Non farà alcuna differenza. [X,13,2] Hai dimenticato chi sono a letto, a tavola, costoro che fanno tanto gli alteri nel lodare e nel denigrare gli altri; e cosa fanno, cosa fuggono, cosa inseguono, cosa rubano, cosa ghermiscono, non con le mani e con i piedi ma con la loro parte più onorevole, quella capace di diventare, quando così lo disponga, lealtà, rispetto di sé e degli altri, verità, legge, demone buono?

[X,14,1] Alla natura che tutto dà e tutto riprende, chi è stato educato all’uso della diairesi, l’uomo rispettoso di sé e degli altri dice: “Dà quel che disponi; riprenditi quel che disponi”. [X,14,2] E glielo dice senza animosità ma solo in obbedienza e benevolenza a lei.

[X,15,1] Il tempo che sopravanza è poco. [X,15,2] Vivilo come in marcia. Non fa differenza alcuna vivere qua o là, se uno vive dovunque nel cosmo come in un’unica città. [X,15,3] Che gli uomini vedano, che investighino su un uomo vero che vive in armonia con la natura delle cose. [X,15,4] Se non portano pazienza, che lo uccidano. Giacché è meglio morire che vivere così come vivono loro.

[X,16,1] Non devi assolutamente più dialogare su quale uomo sia il virtuoso, ma esserlo.

[X,17,1] Devi avere continuamente presente la rappresentazione dell’eternità del tempo e dell’insieme della sostanza del cosmo; e il giudizio che ogni singola parte è, rispetto alla sostanza, un semino di fico; e, rispetto al tempo, un giro di trapano.

[X,18,1] Soppesando ciascun oggetto materiale, bisogna pensarlo già dissolto e in trasformazione, e quale diventa per marcimento o dispersione ovvero pensare che ogni oggetto è nato come per morire.

[X,19,1] Guardali mangiare, dormire, montare la femmina, evacuare, eccetera. [X,19,2] Poi guardali darsi arie da pastori di uomini, pavoneggiarsi, esasperarsi e censurare gli altri dall’alto della loro eccellenza. [X,19,3] Poco fa, di quanti e di quante cose erano servi e per quali motivi! E tra poco saranno di nuovo alle prese con faccende siffatte.

[X,20,1] Utile a ciascuno è ciò che la natura a ciascuno apporta. E allora è utile, quando essa lo apporta.

[X,21,1] ‘La terra fa l’amore con gli acquazzoni, fa l’amore l’etere solenne’; e il cosmo desidera fare l’amore con qualunque cosa debba succedere. Io dico dunque al cosmo: ‘Faccio l’amore insieme con te’. [X,21,2] Non si dice anche: ‘questo ama succedere’?

[X,22,1] O vivi qui e ormai ci sei abituato; o te ne vai fuori e questo era quello che volevi; o muori e hai lasciato così il tuo ufficio. Questo è tutto. Dunque sta di buon umore!

[X,23,1] Ti sia sempre evidente che la campagna è un posto qualunque e che tutti i posti sono gli stessi: quaggiù, in vetta ad un monte o su una spiaggia o dove vorrai andare. [X,23,2] Infatti ti troverai dirimpetto le parole di Platone: “Chiuso” dice “in un recinto su un monte” e “mungere pecore belanti”.

[X,24,1] Cos’è per me il mio egemonico, in quale modo lo atteggio adesso, per cosa mai lo sto usando adesso? È vuoto di mente, indipendente e spiccato dalla socialità, fuso e mischiato alla carne così da voltolarsi con questa?

[X,25,1] Lo schiavo che fugge dal suo padrone è uno schiavo fuggiasco. La legge è il nostro padrone e chi la trasgredisce è uno schiavo fuggiasco. [X,25,2] Ma anche chi si affligge, si adira, ha paura, lo fa perché vuole che non sia avvenuto, che non avvenga o che debba in futuro non avvenire qualcosa che è stato ordinato dalla natura che tutto governa, la quale è legge che dispensa a ciascuno quanto gli spetta. [X,25,3] Dunque chi ha paura, è afflitto o si adira è uno schiavo fuggiasco.

[X,26,1] Dopo avere rilasciato lo sperma nell’utero, [il maschio] si tira indietro e da quel momento in poi un’altra causa lo assume, lo elabora e ne fa finalmente risultare il neonato. Da quale principio a quale fine! [X,26,2] Di nuovo: [il neonato] rilascia il cibo attraverso la gola e da quel momento in poi un’altra causa assume il cibo e lo fa diventare sensazione, impulso, l’intera vita animale, la vigoria e quante e quali altre cose! [X,26,3] Bisogna dunque conoscere i principi generali di fenomeni come questi che avvengono sotto tali velami e vedervi, non con gli occhi ma con non minore evidenza, la forza che li causa, così come vediamo quella che fa piegare in basso e quella che fa tendere verso l’alto.

[X,27,1] Devi continuamente pensare che tutto ciò che succede adesso è già successo anche prima, e pensare che succederà. [X,27,2] Poniti davanti agli occhi tutti i drammi e le scene conformi che conosci per esperienza personale e dalla storia più remota. Per esempio, tutta la corte di Adriano, tutta la corte di Antonino, tutta la corte di Filippo, di Alessandro, di Creso. Tali erano tutti quei drammi, soltanto con attori diversi.

[X,28,1] Rappresentati sempre chi si affligge o si dispiace per una cosa qualunque, come simile al porcellino che viene sacrificato e che scalcia e strilla. [X,28,2] Simile a costui è anche chi, tutto solo nel suo lettuccio, mugugna in silenzio sulle nostre catene. Soltanto alle creature razionali è dato di seguire deliberatamente gli eventi, mentre il mero seguirli è necessario per tutti.

[X,29,1] Una per una, soppesa ciascuna delle cose che fai e interpellati: “E’ la morte terribile perché di questa mi priva”. 

[X,30,1] Qualora tu ti offenda per l’aberrazione di qualcuno, passa subito a far calcolo di tue aberrazioni molto simili, per esempio quando giudichi che sono un bene l’ebbrezza, la fama e cose di tal sorta. [X,30,2] Spostando su questo la tua attenzione, dimenticherai in fretta l’ira, aggiungendovi a commento che egli è forzato ad agire così. Cosa puoi fare tu? [X,30,3] Se ne sei capace, eliminagli ciò che lo forza.

[X,31,1] Quando vedi Satirione, immagina di vedere Socratico o Eutiche o Imeno. E quando vedi Eufrate, immagina di vedere Eutichione o Silvano. Quando vedi Alcifrone, immagina di vedere Tropeoforo. Quando vedi Senofonte, immagina di vedere Critone o Severo. Quando ti riguardi allo specchio, immagina di vedere uno dei Cesari e fa analoga operazione su ogni persona. [X,31,2] Dopo di che aggiungigli a commento: “Dunque dove sono costoro?” Da nessuna parte o da qualche parte. [X,31,3] Giacché in questo modo potrai osservare continuamente come le vicende umane siano fumo e nullità, soprattutto se insieme rammemorerai che qualunque cosa, una volta sola trasformatasi, non sarà mai più quella di prima nel tempo infinito. [X,31,4] Perché, dunque, hai il nervoso? Perché non ti basta oltrepassare compostamente questo breve confine? [X,31,5] Quale materiale e quale ipotesi stai fuggendo? Cos’altro sono i materiali della vita e il tuo ruolo in essa se non esercizi da palestra per una ragione che ha visto con precisione e da studiosa della natura cosa avviene nella vita? [X,31,6] Rimani, dunque, fino a che avrai assimilato anche questo; come lo stomaco gagliardo che assimila tutto; come il fuoco vivido che fa di qualunque cosa gli getti dentro, vampa e fulgore.

[X,32,1] Nessuno abbia la potestà di dire con verità nei tuoi riguardi che non sei un uomo schietto o che non sei virtuoso; e mentisca chiunque concepisce uno di questi giudizi su di te. [X,32,2] Tutto ciò è in tuo esclusivo potere. Chi, infatti, potrà impedirti di essere virtuoso e schietto? E determina di non vivere neppure più se tale non sarai. Giacché neppure la ragione sceglierà che tu viva, se tale non sei.

[X,33,1] Su questo materiale, cos’è che può essere fatto o detto nel modo più valido possibile? Qualunque cosa questo sia, si ha la potestà di farlo o dirlo; e non accampare il pretesto che puoi esserne impedito. [X,33,2] Non cesserai mai di gemere se in precedenza non avrai sperimentato di persona che per te il fare, sul materiale che ti è sottoposto e che ti accade di avere per le mani, ciò che è proprio della struttura dell’uomo equivale a ciò che la mollezza è per le persone sensuali. Giacché ogni creatura che ha la potestà di eseguire qualcosa in armonia con la propria natura deve concepirne un godimento. E tu ne hai la potestà dovunque. [X,33,3] Al cilindro, infatti, non è dato dovunque di portarsi secondo il peculiare movimento che inerisce alla sua forma, né all’acqua, né al fuoco, né a tutte le altre entità che sono governate dalla natura o da un animo irrazionale, poiché molte sono le barriere e le cose che oppongono resistenza. [X,33,4] La mente e la ragione, invece, possono incamminarsi attraverso qualunque obiezione, come sono nati per fare e quando lo dispongono. [X,33,5] Quando tu ti sia posto davanti agli occhi questo toccasana, grazie al quale la ragione sarà portata attraverso tutto così come il fuoco va in su, una pietra in giù e un cilindro in declivio, non esigere più altro; [X,33,6] giacché i restanti intoppi o sono tali per il nostro corpo inteso come cadavere oppure non fracassano né producono il benché minimo male senza una [previa] concezione da parte della ragione e senza il suo consenso, giacché altrimenti anche chi li subisce diventerebbe subito un vizioso. [X,33,7] Nel caso di tutte le altre entità strutturate, qualunque sia il male che loro avviene, è ciò che lo subisce a diventare peggiore; mentre invece qui, nel caso della ragione, se così si può dire, l’uomo diventa migliore e più lodevole poiché ha utilizzato rettamente le difficili circostanze dalle quali è stato incolto. [X,33,8] Insomma, ricorda che ciò che non danneggia la città neppure danneggia chi per natura è suo cittadino; e che ciò che non danneggia la legge neppure danneggia la città. Ora, di queste cosiddette disgrazie nessuna danneggia la legge. Pertanto ciò che non danneggia la legge non danneggia né la città né il cittadino.

[X,34,1] A colui che è stato morso dai giudizi veri, basta anche l’accenno più breve e a portata di tutti per rammentarsi del dominio sull’afflizione e sulla paura. [X,34,2] Ad esempio:
‘e il vento a terra le foglie riversa,
come stirpi di uomini’

[X,34,3] Foglioline sono anche i tuoi figlioli; foglioline è questa calca che ti acclama in buona fede e ti glorifica oppure, al contrario, ti maledice o, sotto sotto, ti denigra e ti schernisce. Foglioline sono similmente i successori che tramanderanno la fama postuma. [X,34,4] Tutte queste sono creature che:
‘si susseguono a primavera’

ma che poi il vento ha abbattuto. E successivamente la materia immortale ne fa germinare altre al loro posto. [X,34,5] Comune a tutte le cose è la breve durata mentre tu, invece, le insegui e le fuggi come se fossero eterne. [X,34,6] Tra breve chiuderai gli occhi, ed ecco che un altro innalzerà il lamento funebre per il tuo seppellitore.

[X,35,1] L’occhio sano deve vedere tutto il visibile e non dire: “Voglio le cose gialloverdi”; giacché questo lo dice un malato d’occhi. [X,35,2] L’udito e l’odorato sani devono essere pronti per tutti i suoni e tutti gli odori; [X,35,3] lo stomaco sano per tutte le cibarie similmente, come una macina è pronta a macinare tutto ciò che è stata fabbricata per macinare. [X,35,4] Pertanto la proairesi sana deve essere pronta per tutto quanto avviene. Quella invece che dice: “Si salvino i miei figlioli!” e “Tutti mi lodino qualunque cosa io faccia!”, è un occhio che va in cerca del gialloverde o denti che vanno in cerca di cibi delicati.

[X,36,1] Nessuno ha così buona ventura che non stiano accanto al suo letto di morte alcuni i quali saluteranno con intima soddisfazione l’evento ferale. [X,36,2] Un uomo era virtuoso e saggio. Eppure ci sarà qualcuno che alla fin fine dirà tra sé e sé: ‘Finalmente respireremo da questo pedagogo! Con nessuno di noi era acre; ma mi accorgevo che, sotto sotto, ci accusava di tutto’. [X,36,3] Questo per l’uomo virtuoso. A nostro riguardo, quanti altri sono i motivi che ha chi molto desidera liberarsi di noi! [X,36,4] Ti farai dunque questo concetto morendo, ed uscirai di vita più agevolmente facendo conto che: ‘Me ne vado via da una vita dalla quale persino i miei compagni, per i quali ho tanto lottato, auspicato e mi sono preoccupato, vogliono che io vada fuori e sperano da ciò per loro, se capita, qualche altro toccasana’. [X,36,5] Perché dunque ci si dovrebbe attenere ad indugiare più a lungo in questa vita? [X,36,6] Nonostante questo, non andartene meno paziente verso di loro e preserva la tua abitudine di essere amico benevolo e benigno. E ancora: non andartene come se fossi spiccato ma, come quando un uomo muore bene la sua animuzza sguscia via agevolmente dal corpo, così dev’essere anche il tuo distacco da loro, giacché la natura ti ha rannodato e composto a costoro. [X,36,7] Ma ora te ne dissolve. Me ne dissolvo come da familiari, non tirandomi in direzione contraria ma senza sforzo. Giacché anche questa è una cosa secondo natura. 

[X,37,1] Davanti a qualunque azione altrui, per quanto ne sei capace abituati ad esigere tra te e te una risposta alla domanda: ‘Costui a cosa riferisce quel che fa?’. [X,37,2] Comincia però da te ed indaga per primo te stesso.

[X,38,1] Ricorda che chi tira le fila è quel qualcosa che si rimpiatta in noi: quella è l’autorità, la vita e, per dir così, l’uomo. [X,38,2] Non stare mai ad immaginarlo insieme al recipiente che si porta addosso e agli organi che ha spalmati intorno. [X,38,3] Questi sono simili all’ascia, e ne differiscono soltanto secondoché gli sono naturalmente appartenenti. [X,38,4] Poiché nessuna di queste parti costitutive, senza la causa che la muove e la arresta vale più della spola per la tessitrice, della penna per chi scrive e della frusta per l’auriga.

*****

LIBRO XI

[XI,1,1] Le peculiarità dell’animo razionale: vede se stesso, articola se stesso, rende se stesso quale decide di essere, fruisce lui stesso del frutto che apporta -mentre sono altri a fruire dei frutti dei vegetali e dell’analogo dei frutti nel caso degli animali-, centra il proprio fine ovunque sia stabilito il terminale della vita. [XI,1,2] Nella danza, nella recitazione e nel corso di siffatti spettacoli, l’intera azione riesce imperfetta se vi è un intoppo. Invece l’animo razionale, in qualunque parte e in qualunque momento sia sorpreso, fa risultare compiuto e non bisognevole di ritocchi ciò che si era proposto, tanto da poter dire: ‘Io incorporo in me stesso tutto ciò che è mio!’. [XI,1,3] Inoltre spazia per il cosmo nella sua interezza e il vuoto che lo circonda, ne percepisce la foggia, si distende nell’infinità del tempo, abbraccia nel suo complesso ed intende la periodica palingenesi del tutto, conosce con chiarezza che niente di nuovo vedranno i nostri discendenti e che i nostri antenati non hanno visto nulla di più; sicché, in un certo modo, il quarantenne che abbia un po’ di senno può essere certo di avere già visto il passato e il futuro, data la loro conformità. [XI,1,4] Altre peculiarità dell’animo razionale sono l’amore per chi gli sta intorno, la verità, il rispetto di sé e degli altri, il non preferire null’altro a se stesso: caratteristica, questa, che è propria anche della legge. [XI,1,5] Così in nulla differiscono retta ragione e ragione di giustizia.

[XI,2,1] Ti giudicherai superiore ad un canto dilettoso, una danza, un incontro di pancrazio se ripartirai la voce armoniosa in ciascuna delle sue note e per ciascuna di esse ti chiederai se tu sia da meno di lei. Lo scarterai, e farai analoga operazione per ciascun movimento o posizione di riposo della danza; e lo stesso per il pancrazio. [XI,2,2] Esclusa dunque interamente la virtù e quanto partecipa della virtù, ricorda allora di correre subito all’esame delle singole parti di qualcosa e di andare a giudicarlo inferiore a te attraverso la loro diairesi. Trasponi anche lo stesso procedimento alle vicende della vita intera.

[XI,3,1] Quando ormai debba congedarsi dal corpo ed essere spento o disperso o restargli unito, di cos’è capace l’animo dell’uomo pronto a questo passo! [XI,3,2] Ma questa prontezza, per pervenire da una risoluzione propriamente personale non deve essere frutto di mero schieramento [come fanno i Cristiani], bensì la scelta di chi ha fatto i suoi conti, solenne e, per essere capace di persuadere anche altri, immune da pose eroiche.

[XI,4,1] Ho fatto qualcosa in modo socievole, dunque ho giovato a me stesso. Fa di avere sempre a portata di mano questo giudizio, e non cessare mai.

[XI,5,1] Qual è la tua arte? “Quella di essere virtuoso”. E come altrimenti può succedere ciò se non grazie alla conoscenza dei principi generali circa la natura del cosmo e la struttura propria dell’uomo?

[XI,6,1] Dapprima furono messe in scena le tragedie, per rievocare le vicende che avvengono e il fatto che esse succedono così per natura; e affinché non vi adontiate quando accadono sulla scena maggiore della vita quelle che sono accattivanti a teatro. [XI,6,2] Vedete, infatti, che esse così devono realizzarsi e che portano pazienza anche coloro che strillano ‘Ahimé, Citerone!’. [XI,6,3] I drammaturghi dicono comunque anche delle cose proficue come, per esempio, soprattutto questa: 
‘Se gli dei han negletto pure i miei due fanciulli, una ragione v’è anche per questo’;
e ancora: 
‘Giacché è insensato provare rancore contro i fatti’;
e poi: 
‘Mietere la vita come una spiga fruttuosa’;
e quante sono siffatte. [XI,6,4] Dopo la Tragedia fu messa in scena la Commedia Antica, che aveva una pedagogica libertà di parola e che, grazie alla propria franchezza, ci rammentava non improficuamente la modestia; fine per il quale anche Diogene assunse il medesimo ruolo. [XI,6,5] Dopo la Commedia Antica, la Commedia di Mezzo e infine la Commedia Nuova, la quale a poco a poco dall’imitazione della natura sfociò in virtuosistico amore dell’artificio, per cosa mai sono state messe in scena? [XI,6,6] Non si può ignorare che alcune cose proficue vengono dette anche da questi commediografi, ma il progetto nel suo insieme di siffatta poesia drammaturgica, a quale scopo mai volgeva lo sguardo?

[XI,7,1] Come riesce evidente che non vi è altra ipotesi di vita così idonea alla pratica della filosofia, quanto questa nella quale ora ti capita di essere!

[XI,8,1] Un ramo reciso dal ramo contiguo non può non essere stato reciso anche dal vegetale nella sua interezza. [XI,8,2] Allo stesso modo anche l’uomo, una volta frammentatosi dall’essere un uomo si è segregato dall’intera società. [XI,8,3] Dunque, a recidere il ramo è un altro; l’uomo, invece, è lui stesso a spazieggiarsi da chi gli sta intorno quando lo odia e se ne distoglie; ignorando però che così si è contemporaneamente mozzato via dall’intera comunità civile. [XI,8,4] Eccezion fatta proprio per quel dono di Zeus istitutore della società: giacché noi abbiamo la potestà di connaturarci di nuovo con chi ci è contiguo e di ridiventare completivi dell’intero. [XI,8,5] Se tuttavia ciò che consegue a siffatta diairesi avviene troppe volte, ciò rende la parte distaccata difficile da riunire e reintegrare. [XI,8,6] Insomma, il ramo che fin dal principio è germogliato ed è restato cospirante con la pianta non è identico a quello che è stato daccapo reinnestato dopo esserne stato reciso, come dicono pressappoco i giardinieri. [XI,8,7] ‘Essere dell’identico tronco, ma non d’identici giudizi’.

XI,9,1] Coloro che oppongono resistenza al tuo procedere secondo retta ragione, come non potranno distoglierti dal sano operare, così possano non stornarti dalla tua pazienza verso di essi. Sta in guardia in ambedue le direzioni similmente: non soltanto circa la stabilità della tua risoluzione ad agire, ma anche circa la tua mitezza nei confronti di coloro che mettono mano ad impedirlo. [XI,9,2] L’esasperarsi con loro, infatti, è segno di debolezza, come lo sarebbe il distornarsi dall’azione e l’arrendersi atterrito. Giacché sono ambedue parimente disertori sia colui che tremola di paura, sia colui che si è alienato da chi gli è per natura congenere e amico.

[XI,10,1] Non esiste nessun prodotto della natura che sia peggiore di un’opera d’arte, e infatti le arti imitano la natura. [XI,10,2] Se è così, la natura in generale, che è perfettissima e inclusiva di tutte le nature particolari, non potrebbe certo rimanere indietro rispetto all’abilità inventiva di un artista. [XI,10,3] In tutte le arti ciò che è inferiore è fatto in vista di ciò che è superiore, sicché questo fa anche la comune natura. [XI,10,4] E di qui ha genesi la giustizia, alla quale sottostanno poi tutte le altre virtù. Infatti il giusto non potrà essere serbato se litighiamo per ciò che è né bene né male o siamo facilmente ingannabili o precipitosi o volubili.

[XI,11,1] Le faccende importanti, l’inseguimento delle quali o la fuga dalle quali ti mette in trambusto, non ti vengono addosso ma, in un certo modo, sei tu che vai addosso a loro. Pertanto, la determinazione su di esse si acquieti e anch’esse resteranno immobili, e non ti si vedrà più né inseguirle né fuggirle.

[XI,12,1] Sfera di fulgida luce è l’animo quando non si distenda su qualcosa, non si contragga in sé, non si esalti, non si deprima ma brilli di quella luce con la quale vede la verità delle cose tutte e quella che in lui è.

Per un ulteriore chiarimento sul profondo significato filosofico e fisico-matematico di questo frammento XI,12 di Marco Aurelio clicca qui

[XI,13,1] Qualcuno mi disprezzerà? Affar suo. Io vedrò di non farmi trovare a fare o dire qualcosa degno di disprezzo. [XI,13,2] Qualcuno mi odierà? Affar suo. Io sarò paziente e benevolo con chiunque; pronto a mostrare a lui in persona quel che ha travisato, senza acrimonia né con l’intenzione di mettere in mostra la mia sopportazione ma genuinamente e con probità o come fece quel famoso Focione, se non simulava. [XI,13,3] Giacché la mia interiorità così dev’essere e gli immortali devono vedere in me un uomo che non si induce a fremere di odio né a coltivare il corruccio verso nulla. [XI,13,4] Che male te ne viene, se ora fai ciò che è proprio della tua natura ed accogli ciò che adesso è tempestivo per la natura in generale, proteso a che accada in ogni modo ciò che è utile alla comunità?

[XI,14,1] Si disprezzano a vicenda e si piaggiano l’un l’altro; vogliono avere il sopravvento l’uno sull’altro e si fanno gli inchini a vicenda.

[XI,15,1] Com’è schifoso e disonesto chi dice: “Ho prescelto di comportarmi con te con schiettezza”. [XI,15,2] O uomo, che fai? Non devi predire questo. [XI,15,3] Apparirà da sé. Deve essere scritto in fronte; lo echeggia subito la voce; spunta dagli occhi, così come l’amato capisce subito tutto dallo sguardo degli amanti. [XI,15,4] Insomma, l’uomo schietto e virtuoso così dev’essere, come chi puzza di caprone; perché chi gli sta accanto se ne accorga, voglia o non voglia, appena lui si appressa. La leziosità nella schiettezza, invece, è un pugnale. [XI,15,5] Nulla è più vergognoso dell’amicizia da lupi: fuggila al di sopra di ogni altra cosa. [XI,15,6] L’uomo virtuoso, schietto, paziente, tutto questo l’ha negli occhi, e non è latente.

[XI,16,1] Bisogna vivere il meglio possibile; e questa facoltà sta nell’animo quando si resti indifferenti alle cose indifferenti. [XI,16,2] L’uomo resterà indifferente se conoscerà i principi per giudicare, distintamente e in termini generali, ciascuna di esse, e si ricorderà che nessuna di esse ci infonde una concezione di sé né ci perviene addosso, ma che invece esse se ne stanno immobili, mentre siamo noi quelli che generano le risoluzioni al loro riguardo; che quasi le scriviamo in noi stessi pur avendo la potestà di non scrivere nulla oppure, se qualcosa è latente da qualche parte, di cancellarlo subito. [XI,16,3] Se poi le tue risoluzioni sono in accordo con la natura delle cose, rallegratene e la vita ti sarà facile. Se invece esse non sono in accordo con la natura delle cose, cerca cos’è per te in accordo con la tua natura ed a ciò affrettati, anche se ti fosse causa di discredito. Giacché si perdona a chi cerca il proprio bene.

[XI,17,1] Abbi presente donde ciascuna cosa è pervenuta, di quali substrati consta, in cosa si trasforma, quale sarà dopo la trasformazione e che non subirà alcun male.

[XI,18,1] Primo: quale sia la mia relazione con loro e che siamo nati gli uni per gli altri, e d’altro canto che io sono nato per capeggiarli, come il montone un gregge o il toro una mandria. Risali allora a monte di ciò: se non siamo in balia degli atomi, allora è la natura a governare il tutto. [XI,18,2] Se è così, le creature inferiori nascono per servire quelle superiori e queste, a loro volta, per servirsi le une le altre. [XI,18,3] Secondo: considera quale specie di persone essi siano a tavola, a letto e così via; soprattutto a quali necessità imposte dai loro giudizi soggiacciano e con quale vanità le soddisfino. [XI,18,4] Terzo: ricorda che se essi fanno queste cose rettamente non devi esserne malcontento, mentre se le fanno non rettamente è manifesto che operano così per ignoranza e loro malgrado. [XI,18,5] Giacché ogni animo si priva suo malgrado tanto della verità quanto della possibilità di comportarsi con ciascuno secondo il suo valore. [XI,18,6] Essi dunque si adontano quando sentono dirsi di essere ingiusti, scostumati, avidi e, in una parola, soggetti ad aberrare circa chi hanno intorno. [XI,18,7] Quarto: ricorda che anche tu commetti molte aberrazioni, che sei un altro individuo siffatto. E se pur ti astieni da certe aberrazioni, hai però una postura ad esse accline, anche se ti astieni da identiche aberrazioni per viltà o per ambizione di gloria o per qualche altro vizio siffatto. [XI,18,8] Quinto: constata che neppure afferri con sicurezza se essi aberrino, giacché molte cose succedono per vantaggi economici. [XI,18,9] E generalmente bisogna in precedenza imparare molte cose per poter dichiarare qualcosa con perfetta certezza circa un’azione allotria. [XI,18,10] Sesto: qualora tu frema di odio o sia troppo insofferente per qualcosa, ricorda che la vita umana è brevissima e che dopo poco tempo tutti siamo distesi sul letto di morte. [XI,18,11] Settimo: considera che a disturbarci non sono le loro azioni, giacché queste sono in potere dei loro egemonici, ma le nostre concezioni a loro riguardo. [XI,18,12] Leva via queste concezioni, disponi di tralasciare la risoluzione che si tratti di una cosa terribile ed ecco che l’ira è sparita. [XI,18,13] E come le leverai via? Conteggiando che quelle azioni non sono una tua vergogna. Se infatti non fosse vero che soltanto ciò che è vergognoso è male, di necessità anche tu aberreresti e diventeresti un rapinatore ed ogni genere di delinquente a causa delle aberrazioni di quelli. [XI,18,14] Ottavo: quanto l’ira e l’afflizione per cose siffatte ci infliggono un danno più acre dei fatti stessi per i quali ci adiriamo ed affliggiamo. [XI,18,15] Nono: ricorda che la pazienza è invincibile quando sia genuina, priva di falsi sorrisi e di ipocrisia. [XI,18,16] Cosa può mai farti, infatti, l’individuo anche più oltraggioso se tu continui ad essere paziente verso di lui e, se capita, ad ammonirlo pacatamente; e gli insegni con bell’agio una via migliore nel momento stesso in cui egli mette mano a maltrattarti? ‘No, figlio; siamo nati per un altro scopo. Io non mi danneggerò di certo; tu stai danneggiando te stesso, figlio!’ [XI,18,17] Ed a mostrargli con tatto ed in termini generali che così stanno le cose; che quel che fa lui non lo fanno le api né tutti gli altri animali che sono nati per stare in branco. [XI,18,18] Devi però farlo senza ironia e senza acrimonia; non come se fossi a scuola né in modo da stupire chi vi sta accanto, ma come se foste soli anche se vi sono dei circostanti. [XI,18,19] Ricordati di questi nove punti capitali come se li avessi presi in dono dalle Muse e comincia una buona volta ad essere uomo, finché sei in vita. [XI,18,20] Devi poi stare in guardia parimenti dall’adularli e dall’adirarti con loro, giacché ambedue questi modi di fare sono antisociali e comportano un danno. [XI,18,21] Quando ti adiri, devi avere a portata di mano il giudizio che l’essere preda del rancore non è mascolino ma che, come mitezza e mansuetudine sono più umane, così esse fanno anche più maschiezza; in quanto potenza, saldezza di nervi e virilità hanno a che vedere con costui e non con chi freme di odio e si dispiace. [XI,18,22] Quanta più familiarità ha poi un egemonico con il dominio sulle passioni, tanta più ne ha con la forza. [XI,18,23] E come l’afflizione è propria di un egemonico debole, così lo è l’ira. Ambedue, infatti, sono egemonici che sono stati feriti e che si sono arresi. [XI,18,24] Se infine lo decidi, prendi anche un decimo dono da Apollo Musagete e ricorda che sollecitare gli insipienti a non aberrare è una cosa da pazzi, giacché mira a qualcosa di impossibile. [XI,18,25] Consentire che altri siano siffatti e poi sollecitare che essi non aberrino nei tuoi confronti è, infatti, da individuo scostumato e tirannico.

[XI,19,1] Bisogna senza interruzione tenere ben presente soprattutto quattro rivolgimenti dell’egemonico e, avendoli rintracciati, scancellarli soggiungendo così davanti a ciascuno di essi: ‘Questa fantasticheria non è necessaria’; ‘Questo [impulso] è causa di lisi della società’; ‘Questo [assenso] che stai per dare non viene dal tuo intimo’. E dire qualcosa che non proviene dal proprio intimo, legittimalo pure tra le più grandi utopie. [XI,19,2] Il quarto orientamento dell’egemonico è quello per cui tu rinfaccerai a te stesso: ‘Questo è segno che la tua parte più divina è vinta e inchinata alla porzione più disonorevole e mortale, al corpo ed alle sue crasse ebbrezze’.

[XI,20,1] Tutto il tuo pneuma e l’elemento igneo, in quanto in te intimamente mescolati, seppure siano per natura elementi che tendono verso l’alto, tuttavia obbediscono all’organizzazione del tutto e si bloccano quaggiù nella sostanza composta. [XI,20,2] Anche tutto il tuo elemento terroso e quello umido, seppure tendenti verso il basso, tuttavia sono -come dire- desti, e stanno in una posizione che non è di per sé la loro. [XI,20,3] Così, pertanto, anche gli elementi naturali danno retta al tutto, distribuendosi là dove sono stati ridisposti finché dal tutto non venga loro di nuovo significata l’intonatura della dissoluzione. [XI,20,4] Non è dunque terribile che la tua parte cognitiva sia l’unica disobbediente e che freme di odio per il rango assegnatole dal tutto? Eppure all’egemonico non viene ingiunto nulla che gli faccia violenza, ma soltanto quanto è per lui in armonia con la natura delle cose. Nondimeno l’egemonico non lo sopporta e si atteggia in modo contrario ad essa. [XI,20,5] Infatti il nostro moto verso l’ingiustizia, l’impudenza, l’ira, l’afflizione, la paura non è altro che il moto di un egemonico che si distorna dalla natura delle cose. [XI,20,6] E quando l’egemonico è malcontento di qualcuna delle cose che succedono, anche allora sta abbandonando il proprio rango. Giacché esso è stato strutturato per la santità e la venerazione degli immortali non meno che per la giustizia. [XI,20,7] Anche queste, infatti, sono incluse in entità della sorta della sociabilità e sono molto più anziane della pratica della giustizia.

[XI,21,1] Chi non ha nella vita un unico e sempre medesimo scopo, non può essere per tutta la vita un unico e medesimo uomo. [XI,21,2] Questo detto non basta, se non gli addizionerai quale deve essere questo scopo. [XI,21,3] Come, infatti, la concezione di tutti quelli che sono comunque reputati beni dalla maggioranza non è identica, mentre lo è quella di certi beni, cioè di quelli comuni; così bisogna che lo scopo sottostante sia il bene comune e politico. [XI,21,4] Chi indirizza a questo fine i propri impulsi esplicherà anche in modo simile tutte le sue azioni e così sarà sempre il medesimo uomo.

[XI,22,1] Ricordati del topo di montagna e del topo con dimora in città, e il terrore e la trepidazione di quest’ultimo.

[XI,23,1] Socrate usava chiamare i giudizi dei più anche ‘Lamie’, ossia babau per bambini.

[XI,24,1] In occasione degli spettacoli pubblici, gli Spartani ponevano all’ombra gli scranni per gli stranieri, e invece essi si sedevano dove capitava.

[XI,25,1] Circa il non venire alla sua corte, Socrate diceva a Perdicca: “per non perire della peggiore sciagura”; cioè non poter contraccambiare un beneficio ricevuto.

[XI,26,1] Nelle lettere degli Epicurei si trovava l’ingiunzione di rammentarsi continuamente di qualche personaggio d’antica data che avesse praticato la virtù.

[XI,27,1] I Pitagorici dicono di riguardare il cielo al mattino, affinché possiamo rammentarci di quegli esseri che sempre secondo le stesse regole e nello stesso modo concludono l’opera loro e del loro ordine, purezza e nudità. [XI,27,2] Non hanno veli, gli astri.

[XI,28,1] Ammirevole fu Socrate quando si cinse i fianchi con un vello di pecora, dopo che Santippe gli aveva preso la toga e se n’era uscita di casa. E ammirevole fu anche quello che Socrate disse ai suoi sodali che si ritiravano rispettosamente, quando lo videro così conciato.

[XI,29,1] Non inizierai a leggere e a scrivere se in precedenza qualcuno non ti avrà iniziato alla lettura e alla scrittura. Questo è tanto più vero nel caso della vita.

[XI,30,1] Tu sei per natura servo, non hai a che fare con la ragione.

[XI,31,1] E il mio caro cuore rideva.

[XI,32,1] Biasimeranno la virtù, acri parole favellando.

[XI,33,1] Andare in cerca di un fico d’inverno è cosa da pazzi, e tale è chi cerca il bambino quando non gli è più dato averne.

[XI,34,1] Epitteto soleva affermare che, mentre si bacia il proprio bambino, bisogna esclamare dentro di sé: ‘Forse domani morirai’. ‘Ma queste sono parole di malaugurio!’ ‘Nessun malaugurio’, diceva ‘ma parole che significano un’opera del tutto naturale. Oppure, allora, è anche di malaugurio dire che le spighe di grano devono essere mietute’.

[XI,35,1] Uva acerba, uva matura, uva passa: tutte trasformazioni non in qualcosa che non esiste, ma in qualcosa che adesso non esiste.

[XI,36,1] Epitteto dice: ‘Un rapinatore di proairesi non esiste’.

[XI,37,1] Epitteto dice che si deve trovare un’arte circa l’assentire e, nell’ambito degli impulsi, di custodire quanto fa attenti affinché siano con riserva, socievoli e secondo il valore. [XI,37,2] E di astenersi totalmente dal desiderio ed usare l’avversione per nulla di quanto non è in nostro esclusivo potere.

[XI,38,1] Epitteto dice che la gara, dunque, non è su quel che capita ma sull’essere pazzi oppure no.

[XI,39,1] Socrate dice: “Che volete? Avere animo di creature razionali o irrazionali?” “Razionali”. “E di quali creature razionali? Sane o insipienti?” “Sane”. “Perché dunque non cercate di averlo?” “Perché l’abbiamo”. “Perché dunque vi contraddite e litigate?”.

*****

LIBRO XII

[XII,1,1] Tutti quei successi cui periodicamente auspichi di pervenire, puoi averli adesso se non te li denegherai tu stesso. [XII,1,2] E cioè: se abbandonerai il passato, affiderai il futuro nelle mani della prònoia e indirizzerai il presente soltanto verso santità e giustizia. [XII,1,3] Santità in primo luogo, per amare ciò che ti è assegnato, giacché la natura apportava questo a te e te a questo. [XII,1,4] Giustizia in secondo luogo, perché tu possa dire liberamente e senza giri di parole la verità ed operare secondo la legge e il valore di ciascuno. E non ti siano di intralcio né la viziosità allotria né le concezioni o le voci allotrie e neppure le sensazioni legate alla carne rappresa intorno al tuo egemonico: al riguardo se la vedrà la parte soggetta a patire. [XII,1,5] Se dunque, qualunque sia il momento in cui uscirai di scena, abbandonato tutto il resto renderai onore soltanto al tuo egemonico, alla tua parte divina, ed avrai paura non di cessare di vivere ma di non avere mai cominciato a vivere in armonia con la natura delle cose, allora sarai un uomo degno del cosmo che ti ha generato e cesserai di essere uno straniero in patria, uno che si stupisce degli eventi quotidiani come di fatti inattesi e che è appeso a questo e a quest’altro.

[XII,2,1] Zeus vede gli egemonici di tutti gli uomini nudi dei loro involucri materiali, delle loro bucce e scorie. Con la sua sola cognitività, infatti, egli s’accosta solo con quanto da sé è scorso ed è stato incanalato negli egemonici. [XII,2,2] Se anche tu ti abituerai a fare così, toglierai d’attorno molte tue distrazioni. [XII,2,3] Chi non guarda i pezzetti di carne che gli egemonici si portano addosso, davvero sarà impegnato a osservare vestito, casa, fama e siffatti apparati e scenari?

[XII,3,1] Tre sono i componenti di cui tu consti: corpo, pneuma, mente. [XII,3,2] Di questi, i primi due sono tuoi fino al punto che devi averne sollecitudine, mentre soltanto il terzo è principalmente tuo. [XII,3,3] Ora, se tu spazieggerai da te stesso, cioè dal tuo intelletto, tutto ciò che gli altri fanno o dicono; tutto ciò che tu stesso hai fatto o detto; tutto quel futuro che ti sconcerta; tutto quanto del corpo che ti porti addosso o dello pneuma che ti è congenito è aproairetico; tutto ciò che il turbine vorticante fuori di te mulina; in modo che la tua facoltà cognitiva, emancipata dagli eventi condeterminati dal destino possa vivere pura e indipendente per se stessa: capace di operare il giusto, di accettare gli avvenimenti, di dire la verità; [XII,3,4] se tu spazieggerai, dico, da questo tuo egemonico tutto ciò che vi è appiccicato per inclinazione passionale, quanto è interposto nel futuro oppure nel passato; ebbene farai di te, come Empedocle,
‘globo arrotondato, che gioisce della sua circolare unicità’;
ebbene studierai con cura di vivere soltanto il tempo che vivi, cioè il presente; e potrai trascorrere la vita che ti sopravanza senza sconcerti, paziente e benigno col tuo demone fino al momento della morte.

[XII,4,1] Spesso mi sono stupito di come ciascuno di noi ami se stesso più di ogni altra cosa e poi tenga la concezione che ha di sé in minor conto di quella che gli altri hanno di lui. [XII,4,2] In effetti, se un dio o un assennato maestro si presentassero a qualcuno e gli intimassero di non ponderare né pensare su di sé nulla che non possa profferire ad alta voce, costui non reggerà l’ingiunzione neppure per un giorno. [XII,4,3] In questo modo rispettiamo di più quello che il prossimo pensa di noi che noi stessi.

[XII,5,1] Come mai gli immortali, dopo avere organizzato ogni cosa bene e filantropicamente, hanno trascurato questo soltanto, cioè che taluni uomini davvero molto probi e posti quaggiù più di tutto come viventi contratti con il divino, dopo essere entrati in ancor maggiore consuetudine con esso attraverso opere sante e sacre funzioni, una volta morti non nascono daccapo, ma sono definitivamente estinti? [XII,5,2] Se dunque le cose stanno proprio così, sappi bene che se esse dovessero stare in un altro modo, gli immortali lo avrebbero fatto. [XII,5,3] Giacché se questa cosa fosse giusta sarebbe anche possibile; e se essa fosse in armonia con la natura delle cose, la natura ad essa avrebbe portato. [XII,5,4] Dal fatto, invece, che le cose non stanno così, e se proprio così non è, sta garantito che così non doveva essere. [XII,5,5] Infatti, vedi tu stesso che cercando erroneamente questo tu stai mettendo la divinità sul banco degli accusati. E se gli immortali non sono gli esseri migliori e più giusti in assoluto, noi neppure dialogheremmo con essi. [XII,5,6] Ma se essi sono tali, non avrebbero permesso, ingiustamente e irrazionalmente, che qualcosa essenziale al buon ordine del cosmo rimanesse negletto.

[XII,6,1] Abituati anche a praticare tutti quegli esercizi nei quali disperi di riuscire. [XII,6,2] Anche la mano sinistra, infatti, pur tarda in altri esercizi perché non avvezza ad essi, padroneggia le redini più gagliardamente della mano destra, perché a questo è abituata.

[XII,7,1] Pensa di che sorta sia una creatura che deve essere afferrata dalla morte nel corpo e nell’animo. Pensa alla brevità della vita; all’abisso dell’eternità alle nostre spalle e innanzi a noi; alla debolezza di ogni materiale.

[XII,8,1] Osservare le cause nude delle loro bucce; a cosa fanno riferimento le azioni; cos’è il dolore fisico; cos’è il piacere fisico; cos’è la morte; cos’è la gloria; chi è causa del proprio disagio; come nessuno è intralciato da altri; che tutto è concezione.

[XII,9,1] Nell’uso dei giudizi devi essere simile al pancraziaste e non al gladiatore. Infatti il gladiatore depone la spada che usa ed è tolto di mezzo; mentre invece il pancraziaste ha sempre la mano e non deve fare altro che racchiuderla a pugno.

[XII,10,1] È possibile vedere quali siano le cose distinguendo in esse il materiale, la causa, il riferimento.

[XII,11,1] L’uomo ha la potestà di non fare altro che ciò che Zeus loderà e di accogliere tutto ciò che Zeus gli dispensa.

[XII,12,1] Non bisogna biasimare gli immortali, giacché essi non aberrano né di proposito né loro malgrado. E neppure bisogna biasimare gli uomini, giacché essi sempre aberrano loro malgrado. Dunque non bisogna biasimare nessuno.

[XII,13,1] Com’è ridicolo e straniero nel cosmo chi si stupisce di una qualunque delle cose che succedono nella vita!

[XII,14,1] Esistono o una necessità e un ordinamento inviolabile, o una prònoia propizia o un garbuglio di fortuità senza governo. [XII,14,2] Se la necessità è inviolabile, perché contendi con essa? [XII,14,3] Se la prònoia è compatibile con l’esserci propizia, renditi degno dell’aiuto che ti viene da ciò che è divino. [XII,14,4] Se il garbuglio è privo di guida esulta, perché in siffatta tempesta tu però hai in te stesso una mente che ti è duce. [XII,14,5] Se la tempesta ti travolge, che travolga pure la carne, lo pneuma e il resto, ma non travolgerà la mente. [15] O invece la luce della lucerna risplende e non perde fulgore finché non sia spenta, mentre la verità, la giustizia, la temperanza che sono in te si estingueranno prima?

[XII,16,1] Se qualcuno ti procura la rappresentazione di uno che aberra, devi dirti: ‘E come faccio a sapere se questa è un’aberrazione?’. Se poi egli ha davvero commesso un’aberrazione, devi dirti: ‘Costui ha condannato se stesso, ed il suo comportamento è identico a quello di chi si sia graffiato tutto il viso’. [XII,16,2] Giacché chi pretende che l’insipiente non aberri è identico a colui che pretende che il fico non apporti lattice ai suoi fichi, che i neonati non vagiscano, che il cavallo non nitrisca e quant’altro deve avvenire per necessità. [XII,16,3] Cosa potrebbe sperimentare, infatti, chi ha siffatta postura? Se poi tu sei un tipo focoso, allora curagliela.

[XII,17,1] Se qualcosa non è doveroso, non farlo; se non è vero, non dirlo. [XII,17,2] Il tuo impulso sia stabile.

[XII,18,1] Devi sempre vedere cosa effettivamente sia quello che produce in te la rappresentazione, e svelarlo distinguendone la causa, il materiale, il riferimento e il tempo entro cui deve essere cessato.

[XII,19,1] Accorgiti una buona volta che hai in te stesso qualcosa di superiore e più demonico di ciò che produce le passioni e di ciò che, in una parola, ti muove come una marionetta. [XII,19,2] Cos’è adesso la mia proairesi? E’ paura? Sospetto? Smania o qualcos’altro di siffatto?

[XII,20,1] In primo luogo, non agire a casaccio né senza riferimento a qualcosa. [XII,20,2] In secondo luogo, non partire con la prua rivolta ad altro che ad un fine socievole.

[XII,21,1] Pensa che tra non molto tu non sarai più nessuno da nessuna parte, né lo sarà qualcuna delle cose che ora ti vedi intorno, né lo sarà qualcuno di coloro che adesso sono vivi. [XII,21,2] Giacché tutto è nato per trasformarsi, trasmutare, rovinare così che altre cose possano di seguito nascerne.

[XII,22,1] Tutto è concezione e la concezione è in tuo esclusivo potere. Leva dunque via, quando lo disponi, la concezione; e, come per chi doppia il promontorio, c’è bonaccia, tutto si è placato e il golfo è riparato dai flutti. 

[XII,23,1] Una qualunque attività che cessi al momento congruo non patisce alcun male per il fatto di essere cessata. E neppure chi fa l’azione in questione ha patito alcun male per il fatto che quell’azione è cessata. [XII,23,2] Similmente, quindi, se il sistema formato da tutte le nostre azioni -che è la vita- cesserà in tempo congruo, essa non patisce alcun male per il fatto di cessare. E neppure chi ha conchiuso questa sequela di azioni in tempo congruo è malridotto. [XII,23,3] Ora, tempo congruo e limite per la vita, li dà la natura. A volte la natura individuale, come nel caso della vecchiaia. Ma certamente tempo congruo e limite li dà la natura in generale e, grazie alla trasformazione delle sue parti, la totalità del cosmo sopravvive sempre giovanile e in pieno vigore. [XII,23,4] Ciò che è utile al tutto risulta, così, sempre bello e pienamente maturo. [XII,23,5] Dunque la conchiusione della vita, se appunto si tratta di qualcosa di aproairetico e di non antisociale, non essendo una cosa vergognosa non è un male per l’individuo, ma piuttosto un bene in quanto è congrua al cosmo tutto, è utile ad esso e diretta al suo meglio. [XII,23,6] Pertanto risulta divinamente ispirato chi si lascia portare lungo questa stessa via dalla divinità e verso questa stessa via dalla propria intelligenza. 

[XII,24,1] Bisogna avere a portata di mano queste tre considerazioni. Circa ciò che fai, se non sia fatto a casaccio oppure altrimenti da come la giustizia in persona lo eseguirebbe. Circa ciò che avviene al di fuori di te, che esso avviene o per coincidenza casuale oppure per prònoia e che non bisogna biasimare la coincidenza casuale né incolpare la prònoia. [XII,24,2] Seconda considerazione: quale creatura ciascuno di noi è, partendo dall’inorganicità fino alla nostra animazione e poi dall’animazione fino alla restituzione dell’animo; e di quali elementi noi siamo la composizione e in quali ci risolviamo. [XII,24,3] Terza considerazione: se, librandoti in cielo, tu potessi analizzare sotto di te la svariatezza delle vicende umane, le apprezzeresti assai poco; essendo ormai in grado di scorgere contemporaneamente la vastità dello spazio occupato dai corpi aerei e celesti. Inoltre, per quante volte tu ti librassi in cielo, comunque vedresti sempre le medesime vicende umane, la loro conformità e breve durata. [XII,24,4] E su queste si esercita la vanità. 

[XII,25,1] Butta fuori la concezione: sei salvo. E chi ti impedisce di espellerla?

[XII,26,1] Quando mal sopporti qualcosa, tu dimentichi che tutto succede secondo natura, che l’aberrazione altrui è cosa allotria e, oltre a questo, che tutto quel che succede così è sempre successo, succederà e adesso succede dovunque. Tu dimentichi pure quanto sia grande la congenericità dell’uomo con tutto il genere umano, giacché essa non è società di sangue e di sperma ma di mente. [XII,26,2] Inoltre dimentichi che la mente di ciascun uomo è dio e di là è scorsa; che nulla [di aproairetico] è proprietà di nessuno, ma che il figliolo, il corpo, l’animuzza animale stessa sono pervenuti di là; che tutto è concezione; che ognuno vive solo nel presente e questo perde.

[XII,27,1] Bisogna continuamente rivangare coloro che troppo fremevano di odio per un nonnulla, di coloro che hanno toccato il culmine in fatto di fama, di guai, di faide private o dei più diversi tipi di fortuna e poi soppesare dove sia adesso tutto questo: fumo, cenere, leggenda o neppure una leggenda è il commento da aggiungere. [XII,27,2] E anche tutto ciò che è siffatto: come il caso di Fabio Catullino a proposito di una campagna; di Lusio Lupo a proposito di certi giardini; quello di Stertinio a Baia, di Tiberio a Capri, di Velio Rufo e, insomma, i dissidi per una cosa qualunque scatenati con presunzione. Com’era da poco tutto ciò per cui costoro si sforzavano e quanto più da filosofo è il palesarsi con semplicità, sul materiale datoci, giusti, temperanti, seguaci degli dei! [XII,27,3] La vanità, poi, che si vanta della modestia è la più esasperante di tutte.

[XII,28,1] A coloro che esigono una risposta alla domanda : “Dove hai visto gli dei, o donde afferri che essi esistono per venerarli così?”, rispondi che, in primo luogo, essi sono visibili anche alla vista; poi, in secondo luogo, che io non ho visto nemmeno il mio animo, eppure lo onoro. [XII,28,2] Così dunque anche gli dei: afferro che essi esistono da ciò per cui ciascun momento esperimento il loro potere e pertanto li rispetto.

[XII,29,1] La salvezza della vita umana consiste nel vedere nella sua interezza che cos’è ciascuna cosa, ossia quale ne è l’elemento materiale e quale quello causale; [XII,29,2] e poi, con tutto l’animo, nell’operare il giusto e nel dire il vero. [XII,29,3] Cos’altro poi resta da fare se non godersi la vita e rannodare un bene dopo l’altro così da non lasciare addietro, tra di essi, neppure il più breve intervallo?

[XII,30,1] Una sola è la luce del sole, anche se essa trova barriere in muri, monti e altre miriadi di oggetti. [XII,30,2] Una sola è la comune sostanza, anche se è separata in miriadi di corpi con certe particolari qualità. [XII,30,3] Uno solo è l’animo, anche se è separato in miriadi di nature e individualità specifiche. [XII,30,4] Uno solo è l’animo cognitivo, anche se sembra essere stato scriminato. [XII,30,5] Le altre parti dei suddetti esseri, poi, come lo pneuma e gli elementi al di sotto di questo sono privi di sensazioni ed estranei gli uni agli altri; sebbene anche ad essi dia continuità la forza che li fa piegare in basso ed unirsi al loro medesimo elemento. [XII,30,6] L’intelletto, infine, si propaga specificamente verso ciò che gli è consimile [ossia il fuoco], di esso consta e la sua affezione per ciò che gli è comune non trova barriere. 

[XII,31,1] Cosa esigi? Di continuare a vivere? Ma continuare a vivere è avere sensazioni, impulsi, crescere, poi daccapo farla finita di usare la voce, farla finita di pensare. Quale di queste cose ti sembra degna di brama? [XII,31,2] Se ciascuna di esse è spregevole, procedi da ultimo a seguire la ragione e Zeus. Adontarsi se si viene privati di quelle cose a causa della morte, contraddice l’onore in cui teniamo il seguire la ragione e Zeus.

[XII,32,1] Quale parte dell’infinito abisso del tempo è stata scompartita per ciascuno di noi? Essa molto rapidamente scompare nell’eternità. [XII,32,2] Quale frazione della sostanza del cosmo? Quale frazione dell’animo del cosmo? Sopra quale minuscolo pezzettino della terra intera vai strisciando? [XII,32,3] Se ponderi tutte queste cose, non immaginare che vi sia qualcos’altro di grande eccetto questo: operare come la tua natura conduce a fare e subire quel che la comune natura comporta.

[XII,33,1] Il nostro egemonico, come tratta se stesso? Tutto il problema sta qui. [XII,33,2] Il resto sono o cose proairetiche oppure cose aproairetiche, e queste ultime sono cadaveri e fumo.

[XII,34,1] Ottimo svegliarino a farci giudicare superiori alla morte è il pensiero che anche coloro che giudicano il piacere fisico un bene e il dolore fisico un male, comunque le si sono sentiti superiori. 

[XII,35,1] Colui per il quale soltanto il bene è tempestivo, per il quale è uguale esplicare molte o poche azioni secondo retta ragione, per il quale conoscere i principi generali del cosmo per un tempo maggiore o minore non fa differenza: ebbene a costui la morte non fa paura.

[XII,36,1] Uomo, sei stato cittadino di questo grande Stato. Che differenza ti fa se per cinque anni o per cinquanta? Ciò che è in armonia con le sue leggi è uguale per tutti. [XII,36,2] Cosa c’è dunque di terribile se ad accomiatarti dalla città non è un tiranno né un giudice ingiusto ma la natura che ti ci ha introdotto? È come se il pretore-impresario congedasse dalla scena un attore che ha assunto. [XII,36,3] ‘Non ho recitato cinque atti ma soltanto tre!’ Hai recitato bene: nella tua vita i tre atti sono tutto il dramma. [XII,36,4] Che sia completo, infatti, lo fissa colui che è causa, allora della tua composizione e adesso della tua dissoluzione; mentre tu sei irresponsabile di ambedue. [XII,36,5] Vattene dunque pacificato; anche il cosmo che ti congeda lo è.