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Omaggio a Socrate – Apologia di Socrate  Riassunto secondo il testo del dialogo di Platone

APOLOGIA DI SOCRATE

Primo discorso: sulla colpevolezza  di Socrate (17a-35d) 

1) Esordio
Io, a differenza dei miei accusatori, dirò soltanto la verità; e lo farò esprimendomi nel modo che mi è solito (17a-18a)

2) Piano di sviluppo della mia difesa 
Io mi difenderò innanzitutto dalla marea dei miei antichi accusatori, Aristofane in testa, che fanno di me un ‘pensatore della natura’ interessato ai fenomeni celesti e sotterranei; nonché un ‘sofista’ capace di far prevalere il falso e l’ingiusto sul vero e sul giusto. Mi difenderò poi dalle accuse recenti di Anito e dei suoi compari (18a-19a)

3) Confutazione (19a-28)

3a) Confutazione degli antichi accusatori (19a-24b)

3aa) Chi io non sono (19a-20c)

3aaa) Io non sono un ‘pensatore della natura’, e per dimostrarlo mi basta fare appello alla testimonianza personale della stragrande maggioranza dei giudici presenti, che mi conoscono bene (19a-19d) 

3aab) Io non sono un ‘sofista’ come Gorgia di Leontini, Prodico di Ceo o Ippia di Elide. Costoro si dichiarano capaci di trasmettere un sapere che permette ai giovani di raggiungere quell’eccellenza che conviene a chi è uomo e cittadino, e si fanno pagare per questo. Ma io purtroppo non possiedo questo sapere; tant’è vero che il facoltosissimo Callia, interrogato una volta in proposito proprio da me, affermava di voler affidare l’educazione dei suoi due figli  non a me ma ad Eveno di Paro (19d-20c) 

3ab) Chi io sono, e qual è l’origine delle calunnie contro di me (20c-24b)

3aba) Io non parteggio per nessuna delle fazioni politiche della città; non sono un poeta; non esercito alcun mestiere artigianale. Di cosa mi occupo dunque? Donde  vengono le calunnie di cui sono vittima? (20c) 

3abaa) Oggetto del mio sapere sono i giudizi capaci di fare di un ‘essere umano’ un ‘uomo che vive bene’. Sono dunque qualcosa di nuovo. Io sono un ‘filosofo’. E’ possibile che il sapere di Gorgia, di Prodico e di Ippia sia di un rango superiore alla ‘filosofia’, ma  in ogni caso io non possiedo questo sapere. Chi afferma il contrario dice una menzogna e mi calunnia (20d-20e) 

3abab) Sulla esistenza e sulla natura di questo mio sapere, sulla ‘filosofia’, io chiamo come testimone Apollo, il dio di Delfi (20e) 

3abac) Infatti Cherefonte, mio amico d’infanzia, osò una volta interrogare l’oracolo di Delfi per domandare se esistesse qualcuno più sapiente di me. La Pizia rispose che nessuno era più sapiente di me. Poiché Cherefonte è ormai morto, io chiamo a testimone di questo fatto il fratello di lui, Cherecrate (21a)
 
3abb) La mia inchiesta sul significato del responso dell’oracolo è all’origine delle calunnie di cui sono vittima (21b-22e) 

3abba) Non ritenendomi sapiente dei comuni saperi e siccome, però, Apollo non poteva mentire, mi risolsi di interrogare coloro che sono solitamente considerati sapienti. Se, tra di loro, io avessi potuto trovare qualcuno più sapiente di me, ecco che l’oracolo sarebbe stato provato falso (21b-21c)   

3abbb) La prima categoria di persone che interrogai fu quella dei cosiddetti politici. Oggetto del loro sapere sono i giudizi che portano alla conquista ed al mantenimento del ‘potere politico’. Questi individui passano agli occhi di molta gente, e soprattutto ai loro stessi occhi, per sapienti. Ma così non è. Io sono più sapiente di loro in quanto, almeno, so di non  sapere come si possa conquistare e  mantenere il ‘potere politico’. Essi immaginano, invece, di saperlo anche se, a causa della imprevedibilità degli esiti delle lotte di fazione, essi in realtà non lo sanno. Il risultato di questa inchiesta fu, per me, quello di attirarmi l’inimicizia dei ‘politici’ e dei loro galoppini (21c-21e) 

3abbc) La seconda categoria di persone che interrogai fu quella dei poeti. Portando con me le loro opere migliori, mi recai dai poeti e li interrogai incessantemente sul cosa avevano voluto dire nelle loro composizioni. Scoprii così che essi erano incapaci di rispondere alle mie domande, e mi convinsi che le loro composizioni non scaturiscono da un sapere ma da una disposizione naturale e da una possessione divina simile a quella di coloro che fanno profezie o rendono oracoli. Io sono più sapiente di loro in quanto, almeno, so di non sapere come si  compongano opere tanto mirabili. I poeti immaginano, invece, di saperlo. Ma così non è. Oggetto del loro sapere sono infatti soltanto i giudizi che rendono possibile la composizione di tragedie, commedie, ditirambi, eccetera; e non quel talento indipendente dalla ragione per cui essi si considerano, a torto, tra gli uomini più sapienti (22a-22c)

3abbd) La terza categoria di persone che interrogai fu quella degli artigiani. Oggetto del sapere di ciascuno di loro sono i giudizi che assicurano l’efficacia di ciascuna arte particolare. Da questo punto di vista trovai che effettivamente essi erano più sapienti di me. Ma mi resi anche conto che essi pretendevano del tutto impropriamente di possedere, per il fatto di praticare ciascuno la propria arte particolare in modo mirabile, i giudizi capaci di fare di un ‘essere umano’ un ‘uomo che vive bene’. E’ preferibile avere la loro sapienza e la loro ignoranza oppure non avere né la loro sapienza né la loro ignoranza? Per me la seconda alternativa è da preferire alla prima. Uno scultore saprà scolpire stupendamente ma non per questo saprà vivere bene. Io non saprò scolpire ma non per questo non saprò vivere bene (22c-22e)

3abc) Le conseguenze dell’inchiesta (22e-24b) 

3abca) Questa inchiesta mi ha procurato inimicizie numerose e violente, alle quali va fatta risalire l’origine delle calunnie di cui sono vittima (22e-23a) 

3abcb) Mi ha anche procurato il titolo di ‘sapiente’ nelle materie in cui, di volta in volta, metto alla prova i miei interlocutori. Ma è probabile che l’unico vero sapiente sia il dio e che il compito affidatomi da Apollo sia semplicemente quello di mostrare agli esseri umani che il loro sapere nulla vale a paragone del divino sapere sul ‘vivere bene’. Il servizio che io rendo al dio mi impedisce, inoltre, di occuparmi d’altro ed è anche causa della mia presente povertà di denaro (23a-23b)

3abcc) Molto deleteria è poi, per me, la comparsa spontanea di numerosi miei giovani imitatori. Costoro fungono, senza saperlo, da moltiplicatori della ostilità nei miei confronti (23c-23e) 

3abcd) E’ appoggiandosi su questa ostilità e queste calunnie che Meleto per conto dei poeti, Anito per conto degli artigiani e Licone per conto dei politici mi hanno denunciato. Questa è la verità. Ed è dicendo la verità che mi sono fatto tanti nemici. Sarà pertanto difficile, nel breve tempo del presente processo, che io riesca a distruggere, nella mente dei giudici, calunnie radicate profondamente e da tanto tempo (23e-24b)

3b) Confutazione dei nuovi accusatori e mio interrogatorio di Meleto (24b-28a)

3ba) Introduzione

3baa) L’accusa che il buon cittadino e patriota, a suo dire, Meleto ha presentato suona così: “Socrate è colpevole del delitto di corruzione della gioventù e del delitto di non legittimare gli dei che la città legittima, ma altre e nuove divinità” (24b-24c)

3bb) Sul delitto di corruzione della gioventù (24c-26a)

3bba) Meleto commette un primo errore circa la questione di sapere chi è capace di istruire un altro e di renderlo migliore. Egli risponde infatti alle mie domande dirette, affermando che tutti gli Ateniesi  sono capaci di istruire i giovani e di  renderli migliori eccetto me, che sono l’unico a corromperli. Accade la stessa cosa nel caso dell’allevamento dei cavalli? gli domando. O non accade piuttosto il contrario, cioè che uno solo o pochi sono capaci di istruire e rendere migliore qualcun altro mentre la maggior parte della gente lo rende peggiore? E’ così in tutti i casi: esseri umani, cavalli ed ogni altro vivente; qualunque cosa ne pensino Meleto ed Anito, io concludo. La risposta di Meleto testimonia il suo disinteresse per l’educazione dei giovani e la  leggerezza con la quale ha mosso la sua accusa (24c-25c)

3bbb) Meleto commette un secondo errore quando ritiene che io corrompa intenzionalmente la  gioventù. Ma, io affermo, chiunque corrompe un’altra persona corre poi il rischio, avendola trasformata in senso malvagio, di subire da quest’ultima un torto. Siccome nessuno cercherà mai, di  proposito, di subire un torto, ne consegue o che io non sono un corruttore dei giovani oppure che,  pur essendolo, non lo sono di mia piena intenzione. In quest’ultimo caso Meleto doveva avvertirmi personalmente e biasimarmi privatamente, non portarmi davanti ad un tribunale (25c-26a)

3bc) Sul delitto di legittimazione di nuovi dei e sul delitto di ateismo (26b-27e)

3bca) Secondo il capo di accusa, io corrompo i giovani insegnando loro a legittimare non gli dei che la città legittima ma altre e nuove divinità. Interrogato però da me, Meleto cambia l’accusa, affermando che io non legittimo assolutamente alcuna divinità e dunque che sono colpevole del delitto di ateismo. Io professo solennemente di non essere in alcun modo ateo e di credere per esempio, come tutti gli altri, che il sole e la luna siano dei. Che poi il sole sia una pietra e la luna una terra sono teorie discutibili quanto si vuole, ma note a tutti ed avanzate da Anassagora di Clazomene, non certo da me (26a-26e)

3bcb) Meleto tuttavia insiste nella sua accusa di radicale ateismo ed è pertanto costretto da me a contraddirsi. Come può, infatti, Meleto accusarmi di ateismo se Meleto stesso mi accusa di legittimare nuovi dei, siano essi demoni od altre entità a metà strada tra uomini e dei? Chi potrà mai credere che esistano muli ma non esistano cavalle ed asini, dal cui accoppiamento essi discendono? (26e-27e)

3c) Conclusione della mia difesa
Io ritengo a questo punto di avere dato la prova di non essere colpevole dei delitti di cui sono accusato da Meleto. Una mia eventuale condanna sarà dovuta non a queste accuse, che sono state provate infondate e false, ma alle calunnie sparse su di me da tanti Ateniesi ed alla loro gelosia (28a-28b)

4) Digressione (28b-34b)

4a) Prima obiezione: la condotta di vita scelta da te è dannosa, in quanto ti espone oggi al pericolo di una condanna a morte. Io rispondo che la mia condotta di vita è quella di un uomo virtuoso che si è messo al servizio di un dio (28b-31c) 

4aa) Bene è soltanto la virtù e ciò che partecipa della virtù: saggezza, giustizia, fortezza, temperanza (28b-30c)

4aaa) Alla obiezione che la mia condotta di vita è mortalmente dannosa, io rispondo affermando che la virtù, e non la vita, è il sommo dei beni; e che la viltà, e non la morte, è il sommo dei mali.  Infatti Achille non sarebbe il semi-dio Achille, se avesse paura più della morte che della viltà (28b-28d) 

4aab) Quando sappiamo giusta l’azione che compiamo, qualunque altra considerazione deve passare in secondo piano. All’assedio di Potidea, ad Amfipoli, nella battaglia presso il santuario di Apollo Delio a Lebadea, io non ha mai abbandonato, pur a rischio della vita, il posto di oplita che mi era stato assegnato dai vostri comandanti. Ora che Apollo mi ha assegnato il compito di vivere filosofando, ossia di sottomettere me stesso e gli altri ad un continuo esame della qualità e dello stato del nostro sapere, sarebbe ben strano che la paura della morte mi facesse abbandonare il mio posto. In questo caso, sì, sarebbe giusto tradurmi davanti ad un tribunale per accusarmi di non legittimare l’esistenza degli dei (28d-29a) 

4aac) Cos’è la paura della morte se non la pretesa di essere sapienti quando invece non lo si è? Per avere paura della morte bisogna infatti sapere cosa la morte è ed essere certi che è il sommo dei mali. Nessuno, invece, sa cosa sia la morte. Ed in questo io sono più sapiente di tanta gente. Io, infatti, so di non sapere se la morte sia un male oppure un bene. So invece con certezza che l’ingiustizia,   ossia disobbedire a chi è migliore di noi, sia esso un uomo oppure un dio, è un male. E dunque io non farò mai passare la paura di un male certo, ossia dell’ingiustizia, davanti a quella della morte, di cui non so se sia un male oppure un bene (29a-29b) 

4aad) Ai giudici  che oggi proponessero una assoluzione in cambio della rinuncia alla ‘filosofia’  io rispondo che obbedirei comunque al dio e non a loro, che non smetterei mai di spiegare ai miei concittadini ed agli stranieri che incontro, che la virtù non proviene dalla ricchezza di  denaro, dagli onori, dalla fama o dalle cariche pubbliche e che solo il virtuoso sa come apprezzare e godere della fama, degli onori, della ricchezza di denaro e delle cariche pubbliche (29b-30c)

4ab) Il virtuoso non può subire alcun male ad opera di chi virtuoso non è (30c-31c)

4aba) Gli Ateniesi non si rendono conto che, attraverso di me e la mia pratica della filosofia, il dio ha fatto alla città il regalo più grande. Uccidendomi, la città farebbe un male a se stessa, non a me. Anito e Meleto immaginano che per me la minaccia di una condanna a morte o all’esilio o alla privazione dei diritti di cittadinanza sia una prova terribile. Costoro non sanno, al contrario, che la sola cosa terribile in tutta questa vicenda è l’ingiustizia con la quale essi tentano di ottenere la morte di un uomo virtuoso e giusto, il quale è stato da Apollo attaccato ad Atene come un tafano ad un cavallo di razza che di tanto in tanto ha bisogno di essere risvegliato dalle punture dell’insetto. Questo è il compito che io svolgo, e questo compito è altamente giovevole ad Atene (30c-30e) 

4abb) Se, come un qualunque sofista, io mi facessi pagare per i miei consigli, la mia condotta avrebbe un senso banale e comprensibile a tutti. Ma i miei accusatori non hanno potuto produrre un solo testimone disposto ad attestare ciò. La verità del fatto che io sia un vero dono del dio ai miei  concittadini, per spronarli alla virtù ed alle ricchezze che da essa discendono è, a questo punto,  testimoniata dalla mia stessa onorata povertà di denaro (31a-31c) 

4b) Seconda obiezione: tu avresti dovuto prendere parte attiva alle lotte di fazione che dividono la città. 

4ba) Io rispondo che ne sono stato impedito da una voce interiore e divina e che, se avessi fatto questo, sarei già morto da molto tempo senza essere stato utile né a me stesso né alla città (31c-34b)

4baa) Io, che pure parlo in privato con chiunque, non ho mai avuto il coraggio di salire sulla tribuna della Pnice per parlare all’Assemblea del popolo. Questo comportamento mi è stato imposto da un segno divino, da una voce interiore che io sento fin dall’infanzia e che mi vieta di fare ciò che sto per fare, senza però spingermi mai a qualche azione specifica. Si è trattato di una opposizione particolarmente felice, giacché se avessi preso parte attiva alle lotte di fazione della città sarei già morto da molto tempo senza essere stato utile né a me stesso né alla città. (31c-31d) 

4bab) Infatti, chiunque cerchi di impedire qualcuna delle azioni ingiuste ed illegali che sono commesse in città per decisione dell’Assemblea del popolo o di qualche altro potere, trova prima o poi la morte ed è impossibile non commettere atti ingiusti ed illegali se si prende parte alle lotte di fazione e si vuole restare in vita. Due esempi che hanno riferimento diretto alla mia persona, in due contesti politici diversi, valgono a provarlo. Nel 406, in un contesto di potere democratico, io ero membro del Consiglio dei 500 e, dopo la battaglia delle Arginuse, fui il solo ad opporre il mio voto alla procedura illegale con la quale furono poi condannati a morte, in blocco, gli strateghi reduci da quell’impresa. Nel 404, in un contesto di potere oligarchico, fu ordinato a me e ad altre quattro persone di recarci a Salamina per catturare e portare ad Atene un certo Leonte, che doveva essere messo a morte. Ma io rifiutai di rendermi complice di questo crimine e, mentre gli altri quattro partirono per Salamina, io me ne andai a casa. Numerose persone possono attestare le mie affermazioni e ciò vale a dimostrare che io ho sempre preferito rischiare la vita piuttosto che commettere un atto ingiusto od empio. (31e-32e)

4bac)Ecco perché mi limito a discussioni private, dalle quali io non escludo nessuno (32e-33b)

4bad) Le persone che poi mi seguono, ed in particolare i giovani, lo fanno perché fa loro piacere vedere castigata, a volte, l’albagia di chi si crede sapiente senza esserlo. Ma pure ammettendo che io abbia corrotto i giovani che mi stanno intorno come mai non uno solo, non di loro, ma dei loro parenti più prossimi, che certamente avrebbero tutto l’interesse a denunciarmi, è salito su questa tribuna per dare man forte all’accusa di Meleto? Questi parenti presenti al processo io posso indicarli a Meleto a decine, e mi offro di lasciargli il posto così che egli possa produrli come testimoni dell’accusa (33b-34b)

5) Perorazione: io non supplicherò i giudici (34b-35d)

Giunti a questo punto del processo è costume comune, anche per casi meno gravi, che gli accusati supplichino, versino torrenti di lacrime e facciano salire sulla tribuna i loro bambini, parenti ed amici per impietosire i giudici e strappare così un voto di assoluzione. Io, che pure ho tre figli e parenti ed amici, non farò nulla del genere ed invito i giudici a non irritarsi per questo ed a non depositare un voto di condanna che sarebbe allora mosso soltanto dalla collera. Se, a torto o a ragione, vi è in me qualcosa che mi distingue dalla maggior parte degli altri, ebbene il supplicare i giudici non gioverebbe certamente a questa mia reputazione. Né gioverebbe a quella di Atene, la quale vede già troppi suoi rinomati cittadini perdere ogni dignità di fronte all’eventualità di una propria condanna. Costoro, in nulla distinguendosi dalle femminette, immaginano la morte un male spaventoso -come se una volta assolti, invece, diventassero immortali- e  preferiscono, alla morte, vivere nella vergogna. Questo è un comportamento ridicolo che, per la buona reputazione della città, i giudici dovrebbero fermamente sanzionare (34b-35b)
A parte la questione della reputazione, supplicare i giudici non è comunque atto conforme a giustizia. I giudici, infatti, non siedono in tribunale per fare della giustizia un favore ma per rendere giustizia conformemente alle leggi sulla base della esposizione dei fatti e di una libera persuasione (35b-35c) 
Se io supplicassi i giudici e li inducessi così a violare la santità del loro giuramento insegnerei, con questo, a credere che gli dei non esistono e darei davvero la prova provata di essere meritevole di condanna. Ma così non sarà, ed io professo di legittimare gli dei più fermamente dei miei accusatori (35c-35d)

Ha luogo la votazione. 
L’esito della votazione è il seguente: circa 280 giudici hanno votato per la condanna di Socrate, circa 220 per la sua assoluzione. 
Socrate risulta dunque condannato. 
I suoi accusatori hanno proposto per lui la pena di morte. 
Tocca ora a Socrate proporre una pena alternativa. 
I giudici voteranno poi una seconda volta per decidere quale delle due pene infliggere a Socrate.

Secondo discorso: sulla pena da infliggere a Socrate (35e-38b)

6) Esordio 

Sono stato riconosciuto colpevole, ma soltanto per un lieve scarto di voti. Sarebbe bastato lo spostamento di una trentina di voti ed il verdetto sarebbe stato, sorprendentemente per me, di assoluzione. Essendo tre i miei accusatori, io mi considero comunque assolto dalle accuse di Meleto al quale, avendo da solo raccolto meno del venti per cento dei voti totali, spetterebbe addirittura di pagare una ammenda di 1000 dracme (35e-36b)

7) Proposizione da parte mia di una pena alternativa alla morte e che tenga conto dei miei meriti (35e-37a)

La pena proposta per me da Meleto è la morte. Tocca ora a me proporre per me una pena alternativa. Qual è la pena giusta per un uomo che ha trascurato gli affari, l’amministrazione del proprio patrimonio, le cariche, le magistrature, le fazioni politiche della città per dedicarsi a spronare ciascun singolo cittadino ad una vita migliore, la più virtuosa possibile? (36b-36d)
Il trattamento che va riservato ad un simile uomo, ad un uomo povero di denaro, a un benefattore della città, a qualcuno che ha bisogno di tempo libero non per riportare vittorie alle Olimpiadi montando cavalli da corsa ma per dire la verità ai suoi concittadini, è quello di essere mantenuto a spese pubbliche nel Pritaneo. Questa è la giusta pena che io propongo per me (36d-37a) 

8) Proposizione da parte mia di una pena alternativa alla morte e che tenga conto delle regole giudiziarie (37a-38b)

Mi rammarico di non essere riuscito a convincere i giudici della mia innocenza e sono certo che, se il processo fosse durato non un giorno soltanto ma più giorni, sarei riuscito ad allontanare da me le gravi calunnie di cui sono stato vittima. Sapendo di essere innocente, io non posso comunque essere ingiusto con me stesso e proporre una pena che non merito. La mia non è dunque arroganza. Della morte, ignorando se essa sia un bene o un male, io non ho paura. Vogliono invece ad ogni costo i giudici che io scelga per me, come pena, qualcosa che so essere certamente per me un male? Sarà la schiavitù dell’ergastolo? Sarà una forte ammenda e la prigione fino a che io non l’abbia pagata? Ma questa pena equivarrebbe alla precedente, giacché non avrei comunque denaro sufficiente per pagarla. Sarà l’esilio? Questa è una pena che i giudici si aspettano che io proponga e che potrebbero accettare.  Ma se sono diventato insopportabile per i miei concittadini Ateniesi, come potrei sperare di non diventarlo per gli abitanti di città straniere, come potrei sperare di non essere scacciato anche di là? (37a-37e)
Non potrei andare in esilio e lì starmene zitto e tranquillo? A questa proposta io rispondo che così facendo disubbidirei al dio e che una vita senza la luce della ‘filosofia’, senza il continuo esame della qualità e dello stato del nostro sapere, non merita di essere vissuta. (37e-38a)
Io non reclamerò mai per me stesso un male. Se avessi del denaro, avrei dunque già proposto come pena una congrua ammenda che fossi in grado di pagare. La perdita di un po’ di denaro, infatti, non rappresenta alcun male. A meno che voi giudici non accettiate la proposta della modesta ammenda di soltanto una mina, somma di cui dichiaro di disporre. Ecco dunque la pena legale che io propongo per me. (38a-38b) 
A questo punto, alcuni amici presenti al processo mi sollecitano ad elevare l’ammontare della ammenda da una mina a trenta mine. Saranno essi i garanti del pagamento di tale somma. (38b-38c)

Ha luogo la seconda votazione. 
L’esito della votazione è il seguente: Socrate è condannato a morte.

Terzo discorso: ai giudici che hanno votato per la condanna a  morte di Socrate (38c-39d)

9) Esordio

Con il presente verdetto gli Ateniesi acquisiranno, presso tutti coloro che intendono denigrare Atene, la fama di avere ingiustamente condannato a morte un uomo sapiente. Io sono ormai molto anziano e non lontano dalla morte. Vi sarebbe bastato aspettare un po’ di tempo e lasciar fare alla natura, per sgravarvi di una responsabilità tanto obbrobriosa. (38c)

10) La pena alla quale sono stato condannato io e la pena alla quale sono stati condannati i miei accusatori (38d-39b)

10a) La causa della mia condanna a morte e la qualità della mia pena 

10aa) Ciò che ha portato alla mia condanna  è stata la mia incapacità a tenere i discorsi che conseguono al giudizio che bisogna dire e fare qualunque cosa pur di sfuggire alla morte. Dunque a perdermi  è stata la mia incapacità a mostrare ardire protervo e sfrontatezza nel piangere, nel gemere, nell’implorare al modo che i giudici sono abituati a veder fare dagli altri accusati. Ma tutto ciò non è degno di un uomo libero come me ed io non mi pento affatto del comportamento che ho tenuto. Io preferisco morire a prezzo della libertà piuttosto che vivere a costo della viltà. (38d-39a) 

10b) Da chi ed a quale pena sono stati condannati i miei accusatori 

10ba) Tanto in tribunale quanto in guerra, se si ha la sfrontatezza di fare qualunque cosa, si hanno molte probabilità di sfuggire alla morte. Ma a quale costo? E’ più difficile sfuggire alla viltà che alla morte. In effetti la viltà corre molto più veloce della morte. Io, ormai vecchio e lento, sono stato raggiunto dalla morte. I miei accusatori, giovani e agili, sono stati raggiunti dalla viltà, e dall’ingiustizia. E questa è la condanna alla quale essi sono stati condannati dalla verità. (39a-39b)

11) La mia profezia

Ormai vicino a morire, io mi trovo in quel momento della vita che è il più propizio alle profezie. I giudici che mi hanno condannato a morte credono di essersi così liberati dalla necessità di giustificare e di rendere conto del loro modo di vita. Ma questo è un cattivo calcolo, e la maniera che essi hanno scelto per sbarazzarsi del problema non è né particolarmente efficace né particolarmente onorevole. Il solo modo elegante e pratico per risolvere il problema non consiste nello sbarazzarsi di uomini come me ma nel prendere i provvedimenti che si impongono affinché ciascuno di voi faccia di se stesso il miglior uomo possibile. Dopo la mia scomparsa, vipredicoche non diminuirà ma aumenterà il numero di coloro che chiederanno agli Ateniesi di giustificare il loro modo di vita, e molti di costoro saranno giovani, e più aggressivi di quanto sarebbero stati se io fossi ancora in vita. (39c-39d)

Mentre si portano a termine le formalità processuali di rito ed in attesa di essere condotto nella prigione dove dovrà morire, Socrate si rivolge ai cittadini che hanno votato per la sua assoluzione.

Quarto discorso: ai giudici che hanno votato per l’assoluzione di Socrate (39e- 41c)

12) Esordio

Ai cittadini che hanno votato per la mia assoluzione, ed ai quali soltanto riservo il nome di ‘giudici’, io intendo spiegare, come ad amici, la mia interpretazione di quanto è accaduto (39e-40a)

13) Come io interpreto i fatti accaduti

Mi è accaduto, con la condanna a morte, ciò che viene comunemente ritenuto il sommo dei mali. Non è affatto questa la mia interpretazione dei fatti. Come si può conciliare la serenità di cui godo con il giudizio di patire un male? In effetti oggi mi è accaduto qualcosa di straordinario.Il segno divino, quella voce interiore che io sento fin dall’infanzia e che mi vieta di fare ciò che non devo fare e che non è bene, anche in questioni di poco conto, non mi ha mai avvertito della presenza di un pericolo e nonmi ha trattenutoné in mattinata quando stavo uscendo di casa né quando, in tribunale, stavo salendo sulla tribuna né in alcun momento dei miei discorsi di difesa. Non vi è che una spiegazione possibile di tutto ciò, ed è che quanto è accaduto  è verosimilmente un bene per me. (40a-40c)
      
14) Per me la morte non è di per sé un male e forse è un bene. Due possibili rappresentazioni della morte (40c-41c)

14a) La morte come sonno eterno

Nei confronti della morte, delle due cose l’una. O chi muore non ha mai più coscienza di nulla oppure la morte è, per l’animo, un cambiamento di domicilio. Se si crede la morte un tranquillo, eterno sonno, chi non considererebbe ciò un bene? Chi, sia egli un re o un semplice essere umano, non preferirebbe questo alle angosciose notti colme di incubi o ai disperati giorni pieni di paura che tutti i viventi conoscono? (40c-40e)

14b) La morte come cambiamento di domicilio dell’animo

Se, con la morte, il nostro animo si sposta in una regione nella quale trova gli animi di tutti coloro che ci hanno preceduto ebbene, io dico, anche in questo caso non varrebbe la pena di considerare ciò un bene? Essere giudicati da veri giudici giusti, godere della compagnia di semi-dei, di eroi e di uomini illustri, poter sottoporre costoro all’esame cui io sottoponevo i miei concittadini senza rischiare, per questo, la morte: non sarebbe, tutto ciò, il colmo della felicità? (40e-41c) 

15) Conclusione generale di Socrate

Nessun male potrà mai toccare l’uomo virtuoso né in vita né in morte, ed egli avrà sempre su di sé lo sguardo interessato degli dei. La sorte che oggi mi è toccata non è il frutto di un caso. Al contrario, è evidente che adesso per me è meglio morire ed essere così liberato da ogni preoccupazione. Ecco perché il segno divino non mi ha mai trattenuto ed ecco perché io non serbo rancore né per i miei accusatori né per i giudici che mi hanno condannato. Costoro intendevano però causarmi un male, che invece hanno causato a loro stessi, e per questo vanno biasimati. Ma essi possono ancora ricredersi e dare una futura prova di giustizia nei miei confronti. (41c-41e)

16) L’estrema richiesta di Socrate ai giudici che lo hanno condannato 

Quale? Se ad essi parrà che i miei figli, quando saranno grandi, si diano pensiero del denaro o di qualunque altra cosa più che della virtù; se ad essi parrà che credano di essere qualcosa mentre non sono nulla: di punirli, di tormentarli, di indirizzare ai miei figli il rimprovero che io indirizzavo proprio a loro: quello di non darsi pensiero di ciò di cui ci si deve dare pensiero e di credersi qualcuno mentre non si vale nulla. (41e-42a)

17) Epilogo

Ma ecco che io vengo condotto via, verso la prigione dove dovrò morire, mentre i giudici ed i cittadini sfollano il tribunale e vanno ciascuno verso la loro vita. Chi di noi va verso la sorte migliore? Nessuno conosce la risposta, eccetto chi è dio. (42a)