Brevi cenni sulla vita di Dione Crisostomo (40-120 d.C. circa)
Dione, coevo di Epitteto, era nato in Bitinia (Asia Minore) nella città di Prusa. Con i suoi fratelli ereditò dal padre, Pasicrate, una larga fortuna ma anche molti debiti. Divenne presto un abile oratore; in acerba polemica con i filosofi, da lui giudicati elementi ostili allo Stato. Nel corso di uno dei suoi viaggi giunse a Roma, allora sotto l’impero di Vespasiano. Qui, non si sa esattamente in quale anno, ebbe modo di ascoltare, come Epitteto, le lezioni di Musonio Rufo, e ciò gli fece cambiare atteggiamento nei confronti della filosofia. Fortemente critico nei confronti dell’imperatore Domiziano, nell’anno 82 d.C. fu esiliato e gli fu impedito di soggiornare sia in Italia che in Bitinia. Egli si trovò quindi costretto a girovagare qua e là in povertà, soprattutto nella regione del Danubio e della desolata Scizia. Sappiamo che nel 97 d.C. parlò in pubblico ai Greci riuniti ad Olimpia, che fu accolto amichevolmente dal nuovo imperatore Nerva a Roma, e che ebbe modo di ristabilirsi a Prusa. Tornato a Roma un paio di anni dopo in occasione di una ambasceria, entrò in stretta amicizia con l’imperatore Traiano. Coinvolto in un processo legato a dei progetti di ricostruzione edilizia nella sua città natale, nel 112 d.C. egli ebbe occasione di difendersi davanti a Plinio il giovane, allora Governatore romano della Bitinia. Poco si sa del resto della sua vita, nel corso della quale ebbe a subire la perdita della moglie e di un figlio.
– Il testo greco delle Orazioni XIV e XV ‘Sulla schiavitù e la libertà’ di Dione Crisostomo
Il testo greco delle due Orazioni da me tradotte è quello pubblicato nella Collana ‘The Loeb Classical Library’, 1977.
– Perché la scelta di proporre la traduzione di queste due Orazioni
Dione Crisostomo, che è coevo di Epitteto, è una sorta di volgarizzatore e propagandista dello Stoicismo sul quale Epitteto ha un giudizio preciso e tagliente. Egli lo esprime in un lungo e articolato passaggio del Capitolo XXIII del III Libro delle sue Diatribe (§ 9-38). Detto in estrema sintesi, Dione Crisostomo rappresenta secondo Epitteto un modello di conferenziere insipiente; disprezzato, in cuor loro, dai suoi uditori; che bada soltanto alla ‘audience’ ed allo ‘share’; che cerca elogi, e il cui stile è né protrettico né confutatorio né didascalico bensì ‘per ostentazione’.
Ho scelto di tradurre le due Orazioni nelle quali Dione Crisostomo discute di libertà e di schiavitù appunto affinché chi vuole possa farsi un giudizio personale al riguardo, paragonando le parole di Dione a quelle di Epitteto, che nel Capitolo I del IV Libro delle sue Diatribe tratta lo stesso identico argomento.
Orazione n. 14
SULLA SCHIAVITU’ E LA LIBERTA’ I
(1) Gli uomini, sopra ogni altra cosa, smaniano d’essere liberi ed affermano che la libertà è il sommo dei beni, mentre la schiavitù è la più vergognosa e peggior fortuna che possa capitare; e però non sanno proprio questo, ossia cos’è ‘essere libero’ o cos’è ‘essere schiavo’. Pertanto essi neppure fanno mai qualcosa per sfuggire, come si dice, ciò ch’è vergognoso ed infesto, ossia la schiavitù; o per acquisire ciò che reputano di gran valore, ossia la libertà. Anzi, tutt’al contrario essi effettuano quelle azioni la pratica delle quali di necessità li costringe poi a passare tutto il tempo in stato di schiavitù ed a non centrare mai la libertà. (2) Ma forse non vale neppure la pena di stupirsi se costoro non possono né impadronirsi di né proteggersi da ciò che sono nella condizione di ignorare. Se essi, ad esempio, si trovassero davanti una pecora e un lupo ed ignorassero qual è l’uno e qual è l’altra, e però fossero al corrente che uno dei due è di giovamento e buono da possedere mentre l’altro è dannoso ed inutile, non ci sarebbe da stupirsi se a volte essi avessero paura e fuggissero la pecora come se fosse un lupo ed invece si avvicinassero al lupo e lo aspettassero ritenendolo una pecora. Giacché l’ignoranza ha effetti di questo genere su coloro che non sanno, e li costringe a fuggire e ad inseguire cose contrarie a quel che vogliono ed a ciò che è loro utile. (3) Orbene, analizziamo se i più sanno con chiarezza cosa siano la libertà e la schiavitù; giacché forse noi li accusiamo senza ragione, quando essi, invece, queste cose le sanno benissimo. (4) Se dunque qualcuno chiedesse loro cosa significa essere libero, essi forse affermerebbero che significa non ascoltare nessuno e fare semplicemente quel che ci pare. Se però uno ponesse a chi ha risposto così questa seconda domanda, ossia se crede che agisca bene e che sia un uomo libero colui che da corista in un coro non presta attenzione al capocoro e non lo ascolta, ma canta in tono e fuori tono come gli salta in mente; e se ritenga vergognoso e degno di uno schiavo il comportamento opposto, cioè il prestare attenzione ed obbedire al capocoro cominciando e smettendo di cantare quando quello lo comanda: ebbene, io credo che egli non si direbbe d’accordo. (5) Credo anche che egli non si direbbe d’accordo quando gli si domandasse se ritiene che per chi naviga sia un comportamento da uomo libero quello di non preoccuparsi del pilota e di non fare qualunque cosa questi dica di fare. Per esempio, restare in piedi sulla nave, soltanto perché questo gli è saltato in testa, quando invece il pilota ordina di sedersi. E credo che neppure chiamerebbe libero e degno d’emulazione l’uomo che, quando il pilota comanda di buttare fuori dalla nave l’acqua accumulatasi nella sentina o di tirare giù le vele, invece né svuota la sentina né mette mano alle funi perché in questo modo lui fa quel che gli pare. (6) Di certo, poi, uno non chiamerebbe schiavi i soldati perché ascoltano il generale, perché si levano in piedi quando egli ne dà l’ordine, perché consumano il cibo, prendono le armi, si dispongono in formazione, attaccano e si ritirano non altrimenti che come e quando il generale lo comanda. E quando obbediscono ai medici, gli ammalati non diranno certo di essere per questo degli schiavi. (7) Eppure essi obbediscono loro in cose né spicciole né facili, giacché i medici ingiungono a volte di digiunare e di astenersi da qualunque bevanda. Quando poi il medico ritenga di dover legare il paziente, ecco che immediatamente egli è legato; e se ritiene di dover operare un taglio e di cauterizzare, ecco che egli sarà tagliato e cauterizzato per quanto pare al medico. Se invece il paziente non obbedisce, tutti i presenti in casa fanno da assistenti al medico; e non soltanto gli uomini liberi ma spesso i domestici stessi dell’ammalato legano strettamente il padrone, recano il fuoco così che egli possa essere cauterizzato e si prestano per tutti gli altri servizi. (8) Non diresti dunque che quest’uomo, il quale sopporta molte cose spiacevoli per ordine di un altro, è un uomo libero? Certamente non diresti che non era un uomo libero Dario, il gran re dei Persiani, poiché, essendo caduto da cavallo nel corso di una battuta di caccia ed essendosi slogato una caviglia, diede ascolto ai medici, ed erano medici che venivano dall’Egitto, i quali gli tiravano e torcevano il piede per rimettere a posto l’articolazione. A sua volta, non diresti che non era un uomo libero Serse, quando, ritirandosi dalla Grecia e colto da una tempesta mentre era in nave, obbedì in tutto e per tutto al pilota e non si permise né di fare un cenno col capo né di cambiare posto contro il parere del pilota. Pertanto non si affermerà più che la libertà consiste nel non dare alcun ascolto ad altre persone o nel fare qualunque cosa si voglia. (9) Ma forse i più diranno che questi individui ascoltano gli ordini perché sono ordini che mirano al loro utile, com’è il caso dei passeggeri col pilota della nave. Ed è per questo motivo che i soldati obbediscono al generale ed i pazienti al medico, giacché costoro null’altro ingiungono se non ciò ch’è utile a chi esegue i loro ordini.
– Invece i padroni non ordinano ai loro schiavi ciò che sarà utile a questi ultimi, bensì ciò che i padroni credono (10) essere vantaggioso per loro stessi.
– Ma che dici? È forse utile al padrone che il suo domestico muoia o che si ammali o che sia un schiavo malvagio? Nessuno direbbe questo. Ben al contrario, io credo, è utile al padrone che il domestico viva, sia in salute e sia un buon servo. Queste stesse cose parranno utili anche al domestico; sicché il padrone, se è assennato, ingiungerà di fare ciò che è non meno utile al servo, giacché queste sono le cose che paiono utili anche al padrone stesso.
– (11) Ma l’uomo, chiunque sia, per il cui acquisto uno abbia versato del denaro, è necessariamente uno schiavo.
– Eppure molti non hanno forse pagato del denaro per tanti uomini che erano liberi cittadini, alcuni dando il prezzo del riscatto ai nemici, altri ai briganti? E altri ancora non hanno forse pagato il prezzo del loro riscatto ai padroni? E questi padroni non sono di certo schiavi di se stessi.
– (12) Però qualora uno abbia la potestà di frustare un altro, di metterlo in catene, di eliminarlo o di fare di lui qualunque altra cosa voglia, allora quest’individuo è schiavo di quello.
– Che dici? I briganti non hanno la potestà di fare ciò a coloro che hanno catturato? E nondimeno questi prigionieri non sono degli schiavi. E allora? I giudici non hanno la potestà di comminare il carcere, la morte o qualunque altra pena vorranno a molti dei giudicati? E costoro non sono certo degli schiavi. E se anche lo fossero per un giorno, quello nel quale ciascuno di loro è giudicato, ciò non significherebbe nulla; giacché chi ha mai sentito dire che un uomo è stato schiavo per un giorno solo?
– (13) Ma invero bisogna pur dichiarare, per dirlo in poche parole, che chiunque ha la potestà di fare ciò che vuole è un uomo libero, mentre invece chi non ha questa potestà è uno schiavo.
– No, tu non potrai dire questo di chi naviga, né degli ammalati, né di chi è impegnato in una campagna militare, né di quanti stanno imparando le lettere, o a suonare la cetra, o i movimenti della lotta, o qualche altra arte. A costoro, infatti, è concesso di effettuare non le azioni che vogliono, bensì quelle che comandano il pilota, il medico o l’insegnante. E neppure gli altri uomini hanno la potestà di fare quel che vogliono, giacché chi effettuerà qualcosa che va contro le leggi in vigore sarà punito.
– (14) Dunque, chi ha la potestà di effettuare oppure no, e come vuole lui, quanto è compreso entro l’ambito di ciò che è stato né proibito né ordinato dalle leggi è un uomo libero; mentre chi, al contrario, non ha questa potestà è uno schiavo.
– Che dici? Credi tu di avere la potestà di effettuare tutto ciò che non è espressamente proibito dalle leggi ma che peraltro gli uomini reputano vergognoso e fuori luogo: intendo, per esempio, fare l’esattore d’imposte, il tenutario di un bordello o altre attività simili?
– No, per Zeus. Io direi anzi che siffatte attività non sono neanche concesse a chi è libero, giacché esse comportano quale pena d’essere odiati ed abominati dagli uomini.
– (15) E allora? Nel caso degli spudorati, quanto costoro fanno a causa della loro impudenza; nel caso dei dissennati, quanto costoro fanno a causa della loro sconsideratezza, trascurando le loro sostanze o il loro corpo o trattando gli altri uomini ingiustamente e scriteriatamente: ebbene, tutte queste cose non sono altrettante penalità per coloro che le fanno? Infatti essi ne vengono danneggiati o nel corpo o nelle sostanze o, penalità più grande di tutte, nel loro animo.
– Questo che dici è vero.
– Pertanto neppure è lecito effettuare queste cose.
– Certo che no.
– (16) In una parola, non è lecito effettuare azioni viziose, assurde e inutili; mentre è d’uopo affermare che è conveniente e lecito effettuare quelle giuste, utili e virtuose?
– A me sembra che sia così.
– Dunque, per nessuno è senza punizione il fare azioni viziose e sconvenienti, sia egli greco o barbaro …. e neppure se ha pagato un prezzo in denaro per l’acquisto di chiunque?
– Certo che no.
– A tutti è però similmente accordata la possibilità di fare il contrario, e coloro che effettuano queste azioni trascorrono la vita senza punizione alcuna, mentre coloro che effettuano le azioni vietate sono puniti.(17) A te sembra che quanti effettuano le azioni lecite siano diversi da coloro che hanno scienza di esse, e che quanti effettuano le azioni contrarie siano diversi dagli ignoranti?
– In nessun modo diversi da costoro.
– Pertanto tutto ciò che gli uomini saggi decidono di effettuare è loro lecito. Invece tutto ciò che le persone stolte decidono, non è lecito a chi mette mano ad effettuarlo. Cosicché è necessario che i saggi siano uomini liberi e che sia loro lecito fare ciò che dispongono, mentre è invece necessario che i dissennati siano individui schiavi e che facciano proprio ciò ch’è loro non lecito.
– Forse è così.
– (18) Dunque è d’uopo anche chiamare la libertà scienza delle cose che è accordato effettuare e di quelle che è impedito effettuare; e chiamare la schiavitù ignoranza delle cose lecite e di quelle illecite. Da questo discorso discende la conclusione che nulla impedirebbe che il Gran Re, pur portando sulla testa una grandissima tiara, sia uno schiavo e che non gli sia lecito effettuare nessuna delle cose che fa, giacché quelle che effettua comportano per lui altrettante penalità e sono tutte altrettanto inutili. Se ne conclude anche che invece un altro individuo, che sembra uno schiavo e che così è chiamato; che è stato venduto non una volta sola ma, se così capita, molte volte; che, se così dovesse avvenire, porta pesantissimi ceppi, è più libero del Gran Re.
– (19) A me sembra del tutto assurdo che un uomo il quale porta dei ceppi, che è marchiato o che fa girare la macina in un mulino, sia più libero del Gran Re.
– Che dici? Sei mai stato in Tracia?
– Io sì, certo.
– Dunque là hai visto le donne di condizione libera piene di marchi, e con un numero di simili tatuaggi tanto maggiore e tanto più vari quanto più esse sono nobili e di nobile casata.
– E cosa significa questo?
– (20) Significa che nulla impedisce, com’è verosimile, che la regina sia marchiata. Credi tu di poter impedire un re? Tu quindi non hai sentito parlare di quel popolo presso il quale il re è custodito in un’altissima torre ed a cui non è lecito scendere dalla torre? Se ne avessi sentito parlare, sapresti che è possibile essere re anche se si è tenuti in completo isolamento. E se tu narrassi loro del Re dei Persiani, caso mai sentiresti quegli uomini manifestare grande stupore e non credere affatto che possa esistere un re che se ne va in giro su un carro e che va dove vuole.
– Però tu non potrai dimostrare che uno in catene è un re.
– Forse un re degli uomini, no. Ma il re degli Dei, il primo e più antico re è stato, come si racconta, messo in catene; almeno se bisogna credere ad Esiodo, ad Omero e ad altri uomini sapienti i quali questo dicono di Crono. E fu incatenato, per Zeus, non ingiustamente ad opera di un suo nemico personale; ma subì questo trattamento da parte del suo figlio più caro, il quale stava manifestamente riservando al padre un trattamento regale e a lui conveniente. (22) Però gli uomini ignorano questi fatti e non crederebbero mai che un poveraccio, qualcuno in catene o una persona screditata possa essere un re; seppure sentano raccontare che Odisseo, quand’era un poveraccio e un postulante presso i pretendenti, era nondimeno il re e il padrone di casa; mentre Antinoo ed Eurimaco, che Omero denominava re, erano persone meschine e preda della malasorte. Questi fatti, come dicevo, gli uomini li ignorano e si cingono, quali segni regali, di tiare, di scettri e di diademi, affinché non sfugga a nessuno che essi sono dei re; come, io credo, fanno i padroni quando marchiano il bestiame affinché esso sia facilmente distinguibile. (23) È appunto per questo che il re dei Persiani si preoccupava di essere l’unico a portare la tiara diritta; e se qualcun altro lo faceva, subito il re ordinava di mandarlo a morte, come se fosse né bene né utile che tra tante decine di migliaia di uomini ce ne fossero due che portavano in capo la tiara diritta. E però non gli importava un bel nulla di avere retta l’intelligenza e che (24) nessun altro avesse una mente più saggia della sua. Io dunque non vorrei che come esistevano allora siffatti segni del potere regale, dovessero esistere anche oggi simboli del genere per la libertà; e che si dovesse incedere portando in testa un berretto di feltro, perché altrimenti non potremo riconoscere l’uomo libero dallo schiavo.
Orazione n. 15
SULLA SCHIAVITU’ E LA LIBERTA’ II
(1) Poco tempo fa, posso assicurarvi, fui presente ad una lunghissima discussione tra due persone che dibattevano circa la schiavitù e la libertà, non davanti a dei giudici né sulla pubblica piazza, ma in casa e a loro agio, avendo ciascuno dalla sua parte non pochi degli astanti. Secondo me era capitato che in precedenza essi avevano dibattuto altre questioni, e che uno dei due, trovatosi nel corso del dibattito sconfitto e a corto di argomenti, s’era dato ad ingiuriare l’altro, come suole accadere spesso, e gli aveva rinfacciato di non essere un uomo libero. Al che l’altro sorrise con grande mitezza e disse:
– (2) E da cosa sei in grado di dirlo? È possibile, mio caro, sapere chi è schiavo e chi è libero?
– Sì, per Zeus, rispose quello; io so bene di essere un uomo libero e che liberi sono tutti i presenti, mentre tu con la libertà non c’entri proprio nulla.
Alcuni degli astanti risero, ma l’altro non provò punto vergogna. E come i galli da combattimento davanti alla botta subita si scuotono e prendono coraggio, così lui pure, davanti all’ingiuria, si scosse e prese coraggio, domandandogli donde gli veniva questa conoscenza riguardo a loro due.
– (3) Dal fatto che io so per certo che mio padre è Ateniese quant’altri mai, mentre il tuo è un servo domestico del tale – e ne disse il nome.
– Se è così, disse allora l’altro, che cosa m’impedisce di fare gli esercizi ginnici e di ungermi d’olio nel Cinosarge insieme ai figli bastardi, visto che mi capita d’essere nato da una madre di condizione libera, e forse addirittura cittadina Ateniese, e dal padre di cui parli tu? Non è forse vero che molte cittadine Ateniesi, a causa dell’isolamento e della penuria di maschi, sono rimaste incinte alcune ad opera di stranieri ed altre di schiavi, alcune ignorando questo fatto ma altre anche ben sapendolo? Nessuno dei figli generati così è schiavo, ma soltanto non è cittadino Ateniese.
– (4) Ma io so bene, disse quello, che anche tua madre è una serva domestica come tuo padre.
– E sia pure, rispose l’altro; ma tu sai chi è tua madre?
– Lo so benissimo: è cittadina Ateniese, figlia di Ateniesi e che ha anche portato al marito una bella dote.
– Potresti tu affermare sotto giuramento di essere figlio dell’uomo che dice tua madre? Telemaco, come sai, non riteneva affatto il caso di sostenere con tutte le sue forze, in difesa di Penelope figlia di Icario, la quale era reputata una moglie della massima castigatezza di costumi, che ella dice la verità quando dichiara che Odisseo è suo padre. Tu invece giureresti non soltanto in difesa tua e di tua madre, ma se qualcuno te lo intimasse giureresti, a quanto pare, anche a proposito di non importa quale schiava, come tu affermi essere mia madre, di sapere ad opera di chi rimase incinta. (5) Ti sembra impossibile che ella sia rimasta incinta ad opera di un altro uomo, di un libero cittadino o del suo stesso padrone? Non sono molti gli Ateniesi che hanno rapporti sessuali con le loro ancelle, alcuni di nascosto ma altri anche apertamente? Tutti gli Ateniesi, infatti, non sono certo migliori di Eracle, il quale non stimò indegno avere rapporti sessuali con la schiava di Iardano, dalla quale nacquero i re di Sardi. (6) Non ti pare che Clitennestra, figlia di Tindareo e moglie di Agamennone, abbia avuto rapporti coniugali, com’è verosimile, con suo marito Agamennone; e che quando questi se ne andò lontano abbia avuto rapporti sessuali con Egisto? Non ti pare che Aerope, la moglie di Atreo, abbia accettato le profferte di Tieste; e che molte altre mogli di uomini celebri e ricchi, sia anticamente che di questi tempi, abbiano avuto rapporti sessuali con altri uomini, e che a volte abbiano avuto da essi dei figli? Tu invece sei sicuro che l’ancella di cui parli abbia custodito la propria fedeltà a suo marito così precisamente da non avere avuto rapporti sessuali con nessun altro. (7) Per di più tu garantisci, a tuo ed a mio riguardo, che ciascuno di noi due è figlio di colei che sembra e si dice essere nostra madre. Eppure potresti dire il nome di molti Ateniesi, e dei più conosciuti, dei quali fu in seguito acclarato non soltanto che non erano figli del padre, ma neppure della madre che si diceva; trattandosi di bambini allevati da qualche parte come figli suppositizi. Queste vicende le vedi mostrate e raccontate ogni volta dagli scrittori di commedie e nelle tragedie; e tu nondimeno insisti egualmente a dire, a tuo ed a mio riguardo, di sapere bene le circostanze della nostra nascita e da chi siamo nati. (8) Non sai, concluse, che la legge permette di intentare un processo per calunnia contro colui che diffama qualcuno senza poter dimostrare chiaramente nulla di ciò di cui parla?
– Io so bene, disse quello, che se non hanno figli perché non riescono a rimanere incinte, le donne di condizione libera fanno spesso passare un figlio altrui come proprio; volendo ciascuna di esse tenersi stretto il proprio marito e conservare la casa, e poiché nel contempo non mancano loro i mezzi coi quali allevare i bambini. So anche che delle schiave, al contrario, alcune abortiscono; ed altre, se possono tener ciò nascosto e a volte anche con la complicità dei mariti, uccidono il bambino dopo il parto per non avere fastidi e non essere costrette, oltre al lavoro servile, anche ad allevare il neonato.
– (9) Sì, per Zeus, disse l’altro, se però si eccettua quella schiava di Oeneo, figlio bastardo, si diceva, di Pandione. Infatti, il pastore di Oeneo e sua moglie, che vivevano ad Eleutere, non soltanto non esponevano i figli da loro generati, ma raccoglievano anche neonati non loro che trovavano per strada, senza sapere di chi fossero; li allevavano come figli loro e mai in seguito ammisero volontariamente che fossero figli altrui. Tu invece forse copriresti d’ingiurie anche Zeto ed Anfione, prima che la loro identità diventasse chiara; e circa dei figli di Zeus giureresti che sono degli schiavi.
– (10) Quello allora rise molto ironicamente e disse: ‘E tu chiami testimoni gli scrittori di tragedie?’
– Sì, disse l’altro, chiamo a testimoniare coloro nei quali i Greci hanno fiducia. Giacché quelli che i tragediografi ci mostrano come eroi, ebbene è a costoro che i Greci offrono sacrifici come ad eroi; ed è possibile vedere che i sacrari degli eroi sono stati edificati in loro onore. E fatti lo stesso concetto, se vuoi, anche della schiava Frigia di Priamo, la quale, presolo dal marito che era un bovaro, allevò Alessandro sul monte Ida come figlio suo, e portò innanzi l’allevamento del bambino senza esserne affatto incomodata. I Greci raccontano anche che Telefo, il figlio di Auge e di Eracle, non fu allevato da una donna ma da una cerva. E a te sembra che una cerva avrebbe più compassione di un neonato e proverebbe più desiderio di allevarlo di un essere umano, pur se costui è una schiava? (11) Orsù, per gli Dei! E se io pur ammettessi con te che i miei genitori sono quelli che tu dici, come fai tu a sapere che sono degli schiavi? Oppure tu conoscevi con assoluta certezza anche i loro genitori, e sei pronto a giurare a loro proposito che entrambi erano nati da genitori tutti e due schiavi, e che ciò vale anche per le generazioni precedenti e così per tutti loro fin dal principio? È infatti manifesto che qualora un membro della discendenza sia di condizione libera, non è più permesso né corretto legittimare i suoi discendenti come schiavi. Ciò non è possibile, mio caro, perché è impossibile, come si dice, che da tutta l’eternità esista una generazione di uomini nella quale non siano nati un numero sconfinato di individui di condizione libera, e in numero non minore individui di condizione schiava; e poi che non vi siano stati tiranni, re, prigionieri, schiavi marchiati, bottegai, calzolai e addetti a tutte quante le altre attività umane: tutta gente passata attraverso ogni sorta di lavoro, ogni sorta di vita, ogni sorta di fortuna e di guai. (12) Non sai che è questo il motivo per cui i poeti fanno risalire direttamente agli Dei la discendenza dei cosiddetti eroi, di modo che non si possa indagare più oltre il personaggio? Essi affermano anche che la maggior parte di tali eroi sono discendenti di Zeus, affinché i loro re, i loro fondatori di città e i loro eroi eponimi non si imbattano in situazioni tali che agli uomini sembrano essere vergognose e disonorevoli. Pertanto, se lo stato delle cose umane è questo che diciamo noi e che dicono altri più sapienti di noi, quanto a discendenza a te non si converrebbe più libertà, ed a me più schiavitù, di quanta ne convenga a chiunque di coloro che sembrano essere puri e semplici servi domestici, a meno che anche tu non faccia in fretta risalire i tuoi progenitori a Zeus o a Poseidone o ad Apollo.
– (13) Lasciamo dunque stare, disse quello, la faccenda della discendenza e degli antenati, poiché a te sembra una questione così difficile da appurare e poiché forse ne risulterà addirittura che tu sei come un Anfione, uno Zeto o come Alessandro, il figlio di Priamo. Quanto a te proprio, però, noi tutti sappiamo che sei di condizione servile.
– Ma che dici? continuò l’altro. A te sembra che tutti gli individui di condizione servile siano degli schiavi? Molti di essi non sono uomini liberi ingiustamente tenuti in schiavitù? Alcuni di questi, infatti, hanno adito i tribunali ed hanno dimostrato di essere uomini liberi. Altri, invece, sopportano di restare per sempre in stato servile poiché non hanno modo di dimostrare chiaramente la loro libertà, oppure affinché i cosiddetti padroni non siano duri e violenti con loro. (14) Orsù, prendi Eumeo, figlio di Ctesia, a sua volta figlio di Ormeno. Eumeo era figlio di un uomo assolutamente libero e ricco, eppure non svolgeva forse mansioni servili ad Itaca, presso Odisseo e Laerte? E pur essendogli permesso di navigare spesso verso casa, se così voleva, non ritenne mai il caso di farlo. E allora? Molti Ateniesi catturati in Sicilia, pur essendo uomini liberi non rimasero come schiavi in Sicilia e nel Peloponneso? E dei prigionieri di guerra catturati in molte altre battaglie, alcuni non rimasero schiavi per qualche tempo, ossia fino a che non trovarono chi pagava il loro riscatto; mentre altri lo rimasero per sempre? (15) Sembra che anche il figlio di Callia sia stato schiavo per lungo tempo in Tracia, dopo la battaglia nei pressi di Acanto nella quale gli Ateniesi furono sconfitti. Sicché successivamente, essendo riuscito a fuggire dalla prigionia ed a tornare a casa, egli avanzò pretese sull’eredità del padre e procurò molti fastidi ai parenti. Quello era però, io credo, un falso figlio di Callia, in quanto non ne era il figlio ma lo stalliere, simile soltanto di vista al figlio adolescente di Callia, cui invece era capitato di morire in battaglia. Egli, inoltre, parlava greco correttamente e conosceva le lettere; (16) ma miriadi di altre persone hanno sofferto vicende simili; poiché anche ora, di coloro che sono schiavi qui dove ci troviamo io non disconosco che molti sono uomini liberi. Se infatti un libero cittadino Ateniese preso prigioniero in guerra, sarà condotto in Persia oppure, per Zeus, portato in Tracia o in Sicilia e colà venduto, noi non diremo che costui è uno schiavo. Se invece sarà portato qui un Trace o un Persino, non soltanto nato colà da genitori di condizione libera ma pure figlio di qualche principe o di qualche re, noi non ammetteremo che costui sia un uomo libero. (17) Non sai, continuò, che ad Atene e in molti altri Stati, la legge non permette a chi è schiavo di partecipare dei diritti di cui godono i cittadini? Nessuno invece avrebbe sollecitato di escludere dalla cittadinanza Ateniese il figlio di Callia, se davvero egli si salvò dopo la cattura e giunse qui dalla Tracia dopo esservi vissuto per lunghi anni ed esservi stato spesso frustato. Sicché in certi casi anche la legge afferma perentoriamente che quanti sono tenuti ingiustamente in condizione servile non sono per questo diventati schiavi. (18) Per gli Dei, cosa sai tu che io faccio o subisco, per affermare di sapere che io sono uno schiavo?
– Io so che tu sei nutrito dal tuo padrone, che lo segui, che fai qualunque cosa egli ti ingiunga; e che se non la fai sei picchiato.
– Dicendo così, rispose l’altro, tu stai dichiarando che anche i figli sono schiavi dei loro padri. Infatti i figli seguono i padri, soprattutto se poveri, e vanno con loro in palestra o a pranzo. Tutti i figli sono nutriti dai padri, sono spesso da loro picchiati ed ubbidiscono a qualunque cosa i padri ingiungano loro di fare. (19) E a motivo dell’ubbidire e del prendere botte, allora tu dirai che quanti imparano le lettere sono servi domestici dei loro maestri di grammatica; e che gli istruttori di ginnastica o gli insegnanti di qualcos’altro sono padroni dei loro allievi, giacché in effetti essi ingiungono loro certe cose e li battono quando non ubbidiscono.
– Per Zeus, disse quello, così è; però né gli istruttori di ginnastica né gli altri insegnanti possono imprigionare i loro allievi né venderli, e neppure possono sbatterli in un mulino a far girare la macina; mentre tutte queste punizioni sono invece permesse ai padroni.
– (20) Forse tu non sai che in molti Stati retti da buonissime leggi, le cose che tu dici sono nella potestà dei padri verso i figli. I padri, infatti, possono imprigionare i figli quando vogliono, possono venderli e, cosa ancor più dura e violenta, possono ucciderli senza far loro un processo e senza neppure incriminarli di qualcosa. Eppure nondimeno essi non sono gli schiavi dei padri, ma i figli. E se io pur fossi uno schiavo quant’altri mai e giustamente schiavo fin dalla nascita; cosa impedisce, continuò l’altro, che io sia adesso nondimeno un uomo libero e che tu a tua volta, pur se fossi nato da genitori liberissimi, sia al contrario schiavo più di chiunque altro?
– (21) Io, disse quello, non vedo come potrò mai essere uno schiavo. Non è invece impossibile che tu divenga un uomo libero se il tuo padrone ti emancipa.
– O carissimo, rispose l’altro, che dici mai? Davvero nessuno schiavo potrebbe diventare libero se non per emancipazione dal proprio padrone?
– E come, se no? chiese quello.
– In questo modo: dopo la battaglia di Cheronea, gli Ateniesi decretarono che i servi domestici i quali avessero in futuro preso parte alla guerra sarebbero diventati uomini liberi. Se dunque la guerra fosse continuata e Filippo non avesse fatto pace con loro troppo presto, molti o praticamente tutti i servi domestici Ateniesi sarebbero oggi uomini liberi, senza essere stati emancipati uno per uno dal loro padrone.
– Sia pur così, se lo Stato ti libererà a sue spese.
– (22) Ma che dici? Ti pare che io non potrò liberarmi da solo?
– Sì, se verserai al tuo padrone il denaro che hai trovato da qualche parte.
– Non intendo in questo modo, ma nel modo in cui Ciro liberò non soltanto se stesso ma anche tutti i Persiani, una folla così numerosa di persone, senza versare ad alcuno del denaro e senza essere liberato dal proprio padrone. Non sai che Ciro era un vassallo di Astiage, e che quando poté e gli parve il momento divenne libero e re dell’Asia intera?
– E sia. Ma come fai a dire che io potrei diventare schiavo?
– (23) Io dico che in effetti miriadi di uomini liberi vendono se stessi per lavorare come schiavi a contratto, a volte a condizioni non solo inique ma durissime.
Fino a questo punto i presenti avevano prestato attenzione ai discorsi dei due come a cose dette non tanto sul serio quanto per scherzo. Successivamente, però, i due entrarono in una seria disputa, giacché sembrò loro assurdo che non si potesse invocare una prova certa grazie alla quale distinguere in modo incontestabile lo schiavo dall’uomo libero; e che invece fosse facilmente possibile in qualunque caso mettere in piedi una controversia ed obiettare polemicamente. (24) Lasciata pertanto cadere la considerazione dello specifico caso della schiavitù o meno di uno dei due, essi presero a considerare chi sia in generale lo schiavo. E parve ad essi che qualora uno entri in pieno e incondizionato possesso di un essere umano, così com’è padrone assoluto di qualunque altro dei suoi beni o dei suoi capi di bestiame, tanto da avere la potestà di servirsene come vuole, allora quest’essere umano può rettamente essere chiamato, e di fatto è, schiavo del suo possessore.
Ma a questo punto quello cui era stato rinfacciato di essere uno schiavo mise di nuovo in piedi una controversia, obiettando polemicamente di voler sapere cosa fosse il ‘pieno e incondizionato possesso’. (25) Giacché, diceva, era già venuto chiaramente in luce come molti di coloro che da lungo tempo possedevano una casa, un podere, un cavallo o un bue, e taluni avendoli ricevuti dai propri padri, non godevano di tale possesso secondo giustizia; e pertanto, allo stesso modo, era possibile anche l’ingiusto possesso di un essere umano. Infatti, come nel caso di tutti gli altri beni, tra i beni che si acquisiscono ci sono anche i servi domestici, che alcuni padroni prendono da altri possessori o per cessione gratuita, o per eredità, o per acquisto oneroso; mentre altri schiavi essi li possiedono fin dal principio, in quanto sono stati generati presso gli stessi padroni e sono quelli che si chiamano schiavi nati in casa. Il terzo modo di acquisire uno schiavo è quando si prenda qualcuno prigioniero in guerra, oppure lo si rapisca e lo si riduca in schiavitù; modo, questo, che io credo sia il più antico di tutti. Non è infatti verosimile che i primi individui diventati schiavi siano nati da uomini fin dal principio per natura schiavi, bensì che per rapimento o per cattura in guerra alcuni individui siano poi stati costretti alla schiavitù da coloro che li avevano catturati. (26) Dunque questo antichissimo modo dal quale tutti gli altri dipendono è, quanto a giustizia, debolissimo e per nulla fondato; sicché qualora quegli schiavi possano fuggire, nulla impedisce che essi siano di nuovo uomini liberi; e poiché erano ingiustamente schiavi ne consegue che essi non erano schiavi neppure prima. A volte, poi, questi schiavi non soltanto fuggirono dalla schiavitù ma ridussero in schiavitù i loro stessi padroni. Anche in questo caso, come si dice, a seconda di come cade e si rivolta il coccio, tutto diventa il contrario di com’era prima. A questo punto uno dei presenti disse che forse quelli non potrebbero essere chiamati schiavi in senso proprio, ma che ai loro figli e a quelli di seconda e terza generazione potrebbe convenire in senso proprio il nome di schiavi.
– (27) Ma com’è possibile ciò? Se infatti a fare uno schiavo è la cattura, questo nome converrebbe a coloro che sono stati catturati ben più che ai loro discendenti. Se invece a fare uno schiavo è la nascita da genitori schiavi, poiché i catturati sono manifestamente degli uomini liberi, i loro discendenti non potrebbero essere dei servi domestici. Noi ad esempio vediamo che dopo tanti anni i famosi Messeni recuperarono non soltanto la libertà ma anche le loro terre. (28) Quando infatti gli Spartani furono sconfitti a Leuttra dai Tebani, questi ultimi e i loro alleati entrarono militarmente nel Peloponneso, costrinsero gli Spartani a cedere la Messenia e reinsediarono a Messene quanti erano originari di quella regione, e che in precedenza erano tenuti in schiavitù dagli Spartani e chiamati Iloti. E nessuno afferma che i Tebani abbiano compiuto queste imprese contro giustizia, bensì del tutto onorevolmente e secondo giustizia. Se pertanto questo modo, dal quale tutti gli altri originano, di entrare in possesso di un uomo non è giusto, si rischia che nessun altro lo sia, e dunque che effettivamente la parola ‘schiavo’ non sia pronunciata secondo verità. (29) Può tuttavia darsi che la parola ‘schiavo’ non sia stata da principio pronunciata in questo senso, ossia a proposito di colui per il cui corpo qualcuno abbia versato del denaro; oppure, come ritengono i più, che schiavo sia chi è nato da genitori schiavi; ma che il termine ‘schiavo’ indicasse piuttosto chi è d’animo non libero ed incline al servilismo. Noi infatti ammetteremo che dei cosiddetti schiavi molti sono certamente uomini d’animo libero, e che invece molti dei cosiddetti uomini liberi sono persone del tutto inclini al servilismo. Ciò vale anche per le persone ‘di nobile indole’ e ‘bennate’. Dapprima gli uomini chiamarono così coloro che mostravano d’essere nati per la virtù, senza impicciarsi di sapere di chi fossero figli. Successivamente, però, i discendenti di famiglie d’alta reputazione e d’antica ricchezza furono da alcuni chiamati ‘bennati’. (30) Di ciò rimane un segno chiarissimo nel fatto che la designazione ‘di razza’, quale era stata applicata anche agli uomini in tempi antichi, si è conservata nel caso dei galli, dei cavalli e dei cani. Chi infatti vede un cavallo focoso, fiero, ben dotato per la corsa, senza cercare di sapere se il padre sia uno stallone proveniente dall’Arcadia o dalla Media o dalla Tessaglia, lo giudica per le sue doti e dice che è un cavallo ‘di razza’. Similmente, se chi è esperto di cani vede una cagna veloce, piena di slancio e sagace nel seguire le orme, non va a cercare se sia di un genere proveniente dalla Caria, dalla Laconia o da qualche altra regione, ma dice che è una cagna ‘di razza’. La stessa cosa vale nel caso di un gallo e degli altri animali. (31) È dunque manifesto che la faccenda starebbe in questi termini anche nel caso degli uomini. Sicché chi sarà bennato per la virtù, costui conviene che sia chiamato di nobile indole, anche se nessuno conosce i suoi genitori né i suoi antenati.
– Ma non è proprio possibile che uno sia ‘di nobile indole’ e che non sia ‘bennato’, né che sia ‘bennato’ e che non sia un uomo ‘libero’: sicché è anche del tutto necessario che chi è ‘ignobile’ sia uno ‘schiavo’. Dunque s’intende che se ci fosse l’abitudine di parlare della libertà e della schiavitù come se ne parla nel caso dei cavalli, dei galli e dei cani, noi non diremmo che alcuni sono ‘di razza’ ed altri invece sono ‘liberi’, né che alcuni sono ‘schiavi’ ed altri invece sono ‘ignobili’.
– (32) Allo stesso modo, anche nel caso degli uomini non è verosimile chiamare alcuni ‘di nobile indole’ e ‘bennati’ ed altri invece ‘liberi’, giacché deve trattarsi delle stesse identiche persone; e così pure è inverosimile chiamare alcuni ‘ignobili’ e ‘servi nell’animo’ ed altri invece ‘schiavi’.
– Così il ragionamento rende palese che a fare un cattivo uso dei nomi non sono i filosofi bensì la maggioranza degli uomini dissennati, per la loro inesperienza in materia.