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PLUTARCO – GLI STOICI DICONO COSE PIU’ PARADOSSALI  DI QUELLE CHE RACCONTANO I POETI

ΠΑΡΑΔΟΞΟΤΕΡΑ ΟΙ ΣΤΩΙΚΟΙ 
ΤΩΝ ΠΟΙΗΤΩΝ ΛΕΓΟΥΣΙΝ

Questa operetta di Plutarco, che ha il notevole pregio di essere brevissima, è forse quanto rimane di un’opera che è probabilmente quella segnalata nel ‘Catalogo di Lampria’ con il numero 79.

§ 1. [1057C] Il Ceneo di Pindaro soleva subire l’accusa di non essere credibile giacché è rappresentato come un Lapite il cui corpo è insensibile a qualunque dolore, [1057D] che è invulnerabile alle armi di ferro, e che poi sprofonda nel sottosuolo immune da ferite ‘spezzando ritto in piedi la terra’. Ebbene, poiché è stato fabbricato dagli Stoici con il materiale adamantino dell’insensibilità, lo Stoico è un Lapite non immune da ferite, da malattie e da sofferenze, il quale però rimane capace di dominare la paura e l’afflizione, invitto ed impossibile da costringere con la violenza quando sia ferito, sofferente, torturato, tra i disastri della patria o nel mezzo delle sue sciagure private. Il Ceneo di Pindaro quand’anche venga colpito non è ferito, mentre invece il sapiente degli Stoici quand’anche sia ristretto in carcere non è impedito, [1057E] qualora sia buttato in un precipizio non è costretto, se torturato non è tormentato, se storpiato non è danneggiato, se atterrato mentre lotta è invitto, se bloccato entro quattro mura non è sotto assedio, se venduto come schiavo dai nemici non è catturato: insomma in nulla differisce da quelle navi battute dalla tempesta, fracassate, capovolte e affondate le quali però portano scritto sulla prora: ‘Buona navigazione’, ‘Provvidenza’, ‘Salvatrice’ o ‘Soccorso’.

Centauri e Lapiti

§ 2. Lo Iolao di Euripide, da debilitato ed attempato che era, grazie ad una certa preghiera diventa tutto d’un tratto giovane e pieno di marziale vigore. Ebbene, se ieri era la bruttezza e il vizio in persona, oggi tutt’a un tratto il sapiente degli Stoici s’è mutato [1057F] nella virtù in persona; e da rugoso, smorto e, per dirla con Eschilo, da

‘penoso vecchio con la lombalgia e il pieno d’ambasce’

che era, è diventato una persona inappuntabile, divino d’aspetto e bello di forme.

Ercole combatte con il leone di Nemea

§ 3. [1058A] Per far apparire Odisseo un bell’uomo, Atena gli fece sparire le rughe, la calvizie e il brutto aspetto. Invece il sapiente degli Stoici, senza che la vecchiaia ne abbandoni il corpo, anzi aggiuntivi ed accumulativi altri mali, pur rimanendo gobbo e, se capita, sdentato e guercio, non è brutto né deforme né laido di viso. <….> Il fatto è che, come si dice degli scarabei che essi evitano un oggetto profumato e invece vanno dietro agli oggetti maleodoranti, così la passione amorosa Stoica predilige la compagnia degli individui più infami e più deformi e da questi si allontana qualora essi, ad opera della sapienza, siano trasformati in persone belle d’aspetto e d’animo. 

§ 4. Secondo gli Stoici, un individuo che è viziosissimo la mattina può, se così capita, essere verso sera la persona più virtuosa che esiste. [1058B] E se si è addormentato essendo stupido, incolto, ingiusto, impudente e, per Zeus, pure schiavo e indigente: il giorno stesso si alza che è diventato re, ricco, opulento dei veri beni, temperante, giusto, ben saldo nei suoi giudizi e non più alla mercé delle opinioni. Non gli è spuntata la barba, né su di lui sono comparsi i segni della pubertà che compaiono in un corpo giovane e delicato, ma in un animo debole e delicato qual era il suo, non ancora virile, non saldo nei propri giudizi, egli trova ora una mente perfetta, il colmo della saggezza, una disposizione d’animo pari al quella di un dio, una conoscenza che non è più alla mercé delle opinioni, una postura abituale dell’animo immutabile. Insomma, senza che egli abbia prima smesso di cedere alla depravazione, egli si alza e scopre di essere diventato repentinamente, dalla peggiore delle belve che era, c’è poco da dire, una sorta di eroe, di demone, di dio. [1058C] Di colui che apprende la virtù dalla Stoa è infatti possibile affermare:

‘Se vuoi qualcosa, chiedilo: tutto sarà tuo’.

La virtù appresa dalla Stoa porta ricchezza, procura regalità, concede fortuna, rende gli uomini prosperi, bisognosi di nulla, autosufficienti anche se in casa non hanno una dracma.

§ 5. Il mito, poiché i poeti badano a salvaguardare la ragionevolezza di quelli che raccontano, in nessuna sua parte ci lascia intravedere un Eracle bisognoso delle cose necessarie per la sopravvivenza, anzi esse tutte quante, come da una fonte, affluiscono in abbondanza a lui ed a coloro che sono con lui dalla cornucopia di Amaltea. Invece colui che è entrato in possesso della cornucopia degli Stoici, è diventato un ricco eppure va mendicando cibo dagli altri; è un re, ma va risolvendo sillogismi dietro compenso; è il solo a possedere tutte le cose e però paga un affitto e compra della farina, [1058D] facendolo spesso con denaro preso a prestito o elemosinandolo da gente nullatenente.

§ 6. Il re degli Itacesi chiede l’elemosina poiché vuole tenere nascosto chi è, e si fa quanto più può 

‘simile ad un miserando mendicante’.

Invece quello degli Stoici mentre grida e gracchia: “Io soltanto sono un re, io soltanto sono un ricco”, si fa però spesso vedere sulle porte altrui mentre implora:

‘Date un mantello a Ipponatte, perché ho i brividi per il freddo
e sto battendo i denti’.