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IL MANUALE DI EPITTETO

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EPITTETO

nuovamente tradotto

da FRANCO SCALENGHE

IL MANUALE DI EPITTETO

Ε μν τ σμά σού τις πέτρεπε τ παντήσαντι, γανάκτεις ν: τι δ σ τν γνώμην τν σεαυτο πιτρέπεις τ τυχόντι, να, ἐὰν λοιδορήσηταί σοι, ταραχθ κείνη κα συγχυθ, οκ ασχύν τούτου νεκα;

“Se qualcuno delegasse il tuo corpo a chi ti viene incontro, ne fremeresti. E che tu deleghi la tua intelligenza a chi capita affinché, se sarai ingiuriato, essa ne sia sconcertata e confusa: per questo non ti vergogni?” (Manuale, 28)

E1. 

Esistono cose per natura libere e cose per natura schiave. La Diairesi è il Supergiudizio che sa distinguere quanto è libero da quanto è schiavo. La Controdiairesi è il Supergiudizio che decreta schiavo quanto invece è libero, oppure decreta libero quanto invece è schiavo per natura delle cose.

[E1,1] Delle cose che sono, alcune sono in nostro esclusivo potere mentre altre non sono in nostro esclusivo potere. In nostro esclusivo potere sono concezione, impulso, desiderio, avversione e, in una parola, quanto è opera nostra. Non sono in nostro esclusivo potere il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche e, in una parola, quanto non è opera nostra. [E1,2] Le cose in nostro esclusivo potere sono per natura libere, non soggette ad impedimenti, non soggette ad impacci; mentre le cose non in nostro esclusivo potere sono deboli, serve, soggette ad impedimenti, allotrie. [E1,3] Ricorda dunque che se crederai libero quanto per natura delle cose è servo, e peculiare quanto è allotrio, sarai intralciato, piangerai, sarai sconcertato, biasimerai dei ed uomini. Se invece crederai tuo solo quanto è tuo ed allotrio, com’è, l’allotrio; nessuno mai ti costringerà, nessuno ti impedirà; non biasimerai nessuno, non incolperai nessuno, non effettuerai neppure una sola cosa tuo malgrado, non avrai nemici personali, nessuno ti danneggerà giacché non sperimenterai nulla di dannoso. [E1,4] Prendendo dunque di mira cose così rilevanti, ricorda che bisogna accostarsi ad esse non equilibratamente mossi ma che si deve tralasciarne alcune definitivamente ed altre, per il presente, posporle. Se vorrai tanto queste cose quanto occupare cariche ed essere ricco di denaro, per il fatto di prendere di mira anche le precedenti non centrerai, caso mai, neppure queste; ma fallirai affatto quelle attraverso cui soltanto promanano libertà e felicità. [E1,5] Subito dunque, ad ogni rappresentazione rude studia di soggiungere che “Sei una rappresentazione e non affatto quanto appari”. Poi indagala e valutala con questi canoni che hai, ed innanzitutto e soprattutto con questo: se è di cose in nostro esclusivo potere o di cose non in nostro esclusivo potere. E se sarà di qualcuna delle cose non in nostro esclusivo potere, ti sia a portata di mano che “Nulla è per me”.

E2.

Sfortune e cattive fortune.

[E2,1] Ricorda che professione del desiderio è centrare ciò che desidera, professione dell’avversione non incappare in ciò che avversa. Chi fallisce nel desiderio è sfortunato, mentre chi nell’avversione incappa in quanto avversa ha cattiva fortuna. Se dunque, di quanto è in tuo esclusivo potere, avverserai solo il contrario alla natura delle cose, non incapperai in nulla di ciò che avversi. Ma se avverserai la malattia o la morte o la povertà di denaro, avrai cattiva fortuna. [E2,2] Rimuovi dunque l’avversione da tutto quanto non è in nostro esclusivo potere ed allogala su quanto, di ciò che è in nostro esclusivo potere, è contrario alla natura delle cose. Il desiderio, per il presente, aboliscilo definitivamente. Giacché se desidererai qualcosa di non in nostro esclusivo potere, è necessario che tu sia sfortunato, mentre nulla di quanto è in nostro esclusivo potere e sarebbe bello desiderare ti è ancora presente. Usa soltanto l’impellere ed il repellere, e tuttavia leggermente, con eccezioni e pacatamente.

E3.

La natura delle cose.

[E3,1] Per ciascuna delle cose che ti cattivano l’animo o procurano un’utilità o per le quali hai affetto, ricorda di soggiungere, iniziando dalle più spicciole, quale ne è la natura. Se avrai affetto per una pentola, soggiungi “Ho affetto per una pentola” giacché, se essa si romperà, non sarai sconcertato. Se bacerai il tuo bimbo o tua moglie, soggiungi che baci una persona; giacché morendo essa, non ne sarai sconcertato.

E4.

Proairesi: la facoltà logica degli esseri umani, la loro intelligenza, in quanto può scegliere di atteggiarsi diaireticamente o controdiaireticamente.

[E4,1] Qualora stia per accostarti ad un’opera, richiamati alla memoria qual è la natura dell’opera. Se te ne andrai per fare un bagno caldo, mettiti davanti gli avvenimenti alle terme: quelli che spruzzano, quelli che strattonano, quelli che ingiuriano, quelli che rubano. E così ti accosterai all’opera più sicuramente se subito soggiungerai: “Dispongo di fare un bagno caldo, ma anche di serbare la mia proairesi in accordo con la natura delle cose”. E fa’ allo stesso modo per ciascuna opera. Giacché così, se qualcosa diverrà un intralcio a fare un bagno caldo, avrai a portata di mano che: “Io non disponevo solo questo, ma anche di serbare la mia proairesi in accordo con la natura delle cose; e non la serberò se fremerò davanti agli avvenimenti”.

E5.

Noi siamo proairesi, ossia i nostri giudizi.

[E5,1] Sconcertano gli esseri umani non le faccende, ma i giudizi sulle faccende. Per esempio, la morte nulla è di terribile, dacché questo sarebbe parso anche a Socrate; ma il giudizio sulla morte, che sia terribile, quello è il terribile. Qualora dunque siamo intralciati o sconcertati od afflitti, non accagioniamo mai altro che noi stessi, cioè i nostri giudizi. Incolpare altri per ciò per cui lui finisce male è opera del non educato a diairesizzare. Incolpare se stessi è opera di chi ha iniziato a diairesizzare. Non incolpare né un altro né se stesso, di chi è stato educato a diairesizzare. 

E6.

Eccellenza della natura umana è null’altro che l’uso retto, ossia secondo la natura delle cose, delle rappresentazioni.

[E6,1] Non esaltarti per nessun pregio altrui. Se un cavallo dicesse esaltato: “Sono bello”, sarebbe comportabile; ma qualora tu dica esaltato: “Ho un bel cavallo”, sappi che ti esalti per la bontà di un cavallo. Cos’è dunque tuo? L’uso delle rappresentazioni. Sicché esaltati allorquando tu agisca secondo la natura delle cose nell’uso delle rappresentazioni; giacché allora ti esalterai per una qualche tua bontà.

E7.

Tutto quanto è aproairetico prima o poi deve essere restituito.

[E7,1] Appunto come, durante un viaggio per mare, quando il bastimento è all’ancora, se uscissi per rifornirti d’acqua, strada facendo raccoglierai ora una chiocciolina ora una cipollina; ma bisogna che l’intelletto sia teso al bastimento e che ti impensierisca costantemente se mai il pilota chiamerà; e se chiamerà, che tralasci tutte quelle cose per non essere sbattuto a bordo incatenato come le pecore; così pure nella vita, se invece di una cipollina e di una chiocciolina ti saranno dati una mogliettina ed un bimbo, nulla impedirà; ma se il pilota chiamerà, corri al bastimento tralasciando tutte quelle cose e senza voltarti. E se sarai vecchio, neppure allontanati troppo dal bastimento, per non eclissarti quando chiama.

E8.

Errore, vizio, infelicità.

[E8,1] Non cercare che gli avvenimenti accadano come vuoi, ma disponi gli avvenimenti come accadono e sarai sereno. 

E9.

Soltanto la proairesi è per natura libera da qualsiasi impedimento esteriore.

[E9,1] La malattia è un intralcio del corpo, non della proairesi, se la proairesi non lo disporrà. Un’azzoppatura è un intralcio di gamba, non di proairesi. E questo soggiungi per ciascun accadimento, giacché troverai che esso intralcia qualcos’altro ma non te.

E10.

Una proairesi che sa conservarsi libera in ogni situazione.

[E10,1] Per ciascuno degli eventi che ci incolgono, ricorda di voltarti a te stesso e di cercare quale facoltà hai per il suo uso. Se vedrai un magnifico giovanotto od una magnifica ragazza, troverai che la facoltà per queste cose è la padronanza di sé. Se ti si fornirà un dolore, troverai la fortezza. Se un’ingiuria, troverai la pazienza. Ed abituato così, le rappresentazioni non ti rapiranno con sé.

E11.

Tutto quanto è aproairetico prima o poi deve essere restituito 2.

[E11,1] Non dire mai di nulla “Lo persi”, ma “Lo restituii”. Il tuo bimbo morì? Fu restituito. Morì tua moglie? Fu restituita. “Il podere mi fu sottratto”. Dunque anche questo fu restituito. “Ma chi lo sottrasse è cattivo”. Che t’importa attraverso chi, colui che dà richiese? E finché ti sarà dato, siine sollecito come di cosa allotria; come i passanti dell’albergo.

E12.

Uomini, prezzi e profitto.

[E12,1] Se disponi di fare profitto, tralascia i rendiconti siffatti: “Se trascurerò i miei affari, non avrò sostentamento”; “Se non castigherò il ragazzo, sarà un malvagio”. Giacché è meglio morire di fame dopo essere diventato capace di dominare l’afflizione e la paura, piuttosto che vivere nell’abbondanza essendo preda dello sconcerto. E’ meglio che il ragazzo sia cattivo piuttosto che tu infelice. Inizia perciò dalle cose spicciole. [E12,2] E’ versato un po’ d’olio; è rubato un po’ di vino. Soggiungi: “A tanto si vende il dominio sulle passioni, a tanto il dominio sullo sconcerto”. Nulla promana gratis. Qualora chiami il ragazzo, pondera che può non darti retta, e darti retta ma non fare nulla di ciò che vuoi: ma non gli va così bene che sia in suo esclusivo potere il non essere tu preda dello sconcerto!

E13.

Questo o quello per me pari sono?

[E13,1] Se disponi di fare profitto, reggi di sembrare dissennato e sciocco riguardo agli oggetti esterni, e non decidere di sembrare uno che ha scienza di qualcosa. E se ad alcuni sembrerai essere qualcuno, diffida di te stesso. Sappi infatti che non è facile custodire la propria proairesi operante secondo la natura delle cose e gli oggetti esterni, ma se sei sollecito dell’una è del tutto necessario trascurare gli altri.

E14.

Può forse farci liberi qualcosa che è in potere d’altri?

[E14,1] Se vorrai che i tuoi figlioli e tua moglie ed i tuoi amici vivano ognora, sei sciocco; giacché vuoi che quanto non è in tuo esclusivo potere sia in tuo esclusivo potere e che l’allotrio sia tuo. Così, se vorrai che il ragazzo non aberri, sei stupido; giacché vuoi che il vizio non sia vizio ma qualcos’altro. Se però disporrai di non fallire desiderando, questo lo puoi. [E14,2] Esercita dunque questo che puoi. Signore di ciascuno è chi ha la potestà di procacciare o sottrarre delle cose che quello vuole o non vuole. Chiunque decide di essere libero non deve dunque volere né fuggire alcunché di quanto è in potere d’altri. Se no, è necessario che sia servo.

E15.

Il convito.

[E15,1] Ricorda che devi condurti come in un convito. Una portata è arrivata di fronte a te: sporgi la mano e condividi con compostezza. Perviene oltre: non rattenerla. Non è ancora giunta: non proiettare più in là il desiderio, ma attendi finché non sarà di fronte a te. Così verso figlioli, così verso moglie, così verso cariche, così verso la ricchezza di denaro: ed una volta sarai degno convitato degli dei. Se poi, pur essendoti sistemate accanto le portate, non ne prenderai ma le disdegnerai, allora non solo sarai un convitato degli dei ma comanderai pure con loro. Giacché così facendo Diogene, Eraclito ed i loro simili meritatamente erano ed erano detti divini.

E16.

L’afflizione altrui.

[E16,1] Qualora tu veda qualcuno che singhiozza in lutto, o perché si mette in viaggio un figliolo o perché ha perso le sue cose, fa attenzione non ti rapisca con sé la rappresentazione che egli si trova in cattive acque ad opera degli oggetti esterni. Ma subito ti sia a portata di mano che “Opprime costui non l’accidente (giacché non opprime un altro) ma il suo giudizio al riguardo”. Finché tuttavia si tratta di parole non peritarti, caso mai, ad essere compiacente con lui e condolerti. Fa tuttavia attenzione a non sospirare anche dal di dentro.

E17.

Sei un attore.

[E17,1] Ricorda che sei attore di un dramma quale lo disporrà il regista. Se breve, di uno breve; se lungo, di uno lungo. Se il regista disporrà che tu reciti la parte un poveraccio, lo fa affinché tu reciti anche questo da purosangue; ed ugualmente se disporrà per te la parte di uno zoppo, di un magistrato, di un privato cittadino. Giacché tuo è recitare bene il personaggio dato; selezionarlo per te è di un altro.

E18.

Il mio bene è nelle mie mani.

[E18,1] Qualora un corvo abbia gracchiato in modo non benaugurante, la rappresentazione non ti rapisca con sé ma subito fra te e te discrimina e dì: “Niente di ciò significa qualcosa per me, ma lo significa per il mio corpicino o per le mie coserelle o per la mia reputazione o per i miei figlioli o per mia moglie. Per me tutto significa buon augurio, se io lo disporrò; giacché qualunque di queste cosa succederà è in mio esclusivo potere trarne giovamento”.

E19.

Invincibili nella gara della libertà.

[E19,1] Puoi essere invincibile se non scenderai in nessuna gara in cui non è in tuo esclusivo potere vincere. [E19,2] Vedendo qualcuno anteposto a te, od un magnate o chi altrimenti ha applausi, vedi di non beatificarlo, rapito con sé dalla rappresentazione. Giacché se la sostanza del bene sarà in quanto è in nostro esclusivo potere, non hanno territorio né invidia né gelosia; e tu non vorrai essere stratega né pritano né console ma libero. Una sola è la strada che porta a questo: lo spregio di quanto non è in nostro esclusivo potere.

E20.

L’oltraggio.

[E20,1] Ricorda che non chi ti ingiuria o percuote ti oltraggia, ma è il tuo giudizio circa questi atti come oltraggiosi. Qualora, dunque, uno ti stuzzichi, sappi che la tua concezione ti ha stuzzicato. Innanzitutto prova dunque a non essere rapito con sé dalla rappresentazione, giacché una volta che otterrai tempo ed indugio, più facilmente sarai padrone di te stesso.

E21.

La morte.

[E21,1] Morte, esilio e tutto quanto appare terribile ti siano davanti agli occhi ogni giorno. Più di tutto la morte. E non rimuginerai mai qualcosa da servo nell’animo né smanierai troppo per qualcosa.

E22.

La derisione e l’ammirazione degli esseri umani.

[E22,1] Se smani per la filosofia, preparati immantinente ad essere deriso, ad essere sbeffeggiato da molti i quali diranno: “Improvvisamente ci è ritornato filosofo!” e “Questo cipiglio donde ci viene?” Tu non avere il cipiglio e attieniti a quanto ti appare ottimo come chi è stato posizionato a questo rango da Zeus. Ricorda che se manterrai i medesimi giudizi, quanti prima ti deridono costoro, successivamente, ti ammireranno; ma se sarai da loro sconfitto, aggiungerai alla prima una seconda derisione.

E23.

Sembrare ed essere.

[E23,1] Se mai ti accadrà di rigirarti fuori per la decisione di essere gradito a qualcuno, sappi che mandasti in malora il tuo istituto di vita. Accontentati dunque in ogni circostanza di essere filosofo. Se poi decidi anche di sembrarlo, apparilo a te stesso e sarà sufficiente.

E24.

Sacrificarsi per “la Causa” a costo di perdere i nostri veri beni?

[E24,1] Queste perplessità non ti opprimano: “Io vivrò senza onorificenze e non sarò nessuno da nessuna parte”. Giacché se il difetto di onorificenze è un male, tu però non puoi essere nel male a causa di un altro, non più che nella vergogna. E’ forse opera tua centrare una carica od essere invitato ad un banchetto? Nient’affatto! Com’é dunque questo ancora un difetto di onorificenze? Come non sarai nessuno da nessuna parte, tu che devi essere qualcuno nelle sole cose in tuo esclusivo potere, nelle quali hai la potestà di essere di grandissimo valore? [E24,2] Ma i tuoi amici rimarranno senza aiuto? Perché dici “senza aiuto”? Non avranno da te quattrinelli e neppure li farai cittadini romani. E chi ti disse che queste sono tra le cose in nostro esclusivo potere e non opere allotrie? Chi può dare ad un altro ciò che lui non ha? “Dunque acquisiscile,” dice, “affinché noi le abbiamo”. [E24,3] Se posso acquisirle serbando me stesso rispettoso di me e degli altri, leale, disinteressato, mostra la strada e le acquisirò. Ma se sollecitate che io perda i miei beni affinché voi vi procacciate dei non beni, vedete come siete iniqui e scriteriati. E cosa più decidete di avere? Del denaro od un amico leale e rispettoso di sé e degli altri? Soccorretemi dunque piuttosto a questo, e non sollecitatemi ad effettuare atti per cui butterò via proprio lealtà e rispetto di me e degli altri. [E24,4] “Ma la patria, per quanto è in mio potere,” dice, “sarà senza aiuto”. Di nuovo, di che tipo è questo aiuto? Non avrà grazie a te né portici né terme. E questo cos’è? Giacché neppure ha calzari grazie al fabbro né armi grazie al calzolaio. E’ sufficiente invece se ciascuno assolverà la propria opera. Se tu le strutturassi un altro cittadino leale e rispettoso di sé e degli altri, non gioveresti per nulla alla patria? “Sì”. Pertanto neppure tu saresti futile per lei. “Quale rango,” dice, “avrò dunque nella città?” Quello che potrai, custodendo insieme l’uomo leale e rispettoso di sé e degli altri. [E24,5] Ma se, deciso a giovare alla città butterai via questo, di che pro le diventeresti risultando irrispettoso e sleale?

E25.

Portaborse e leccaculi.

[E25,1] Qualcuno ti fu anteposto in un banchetto o nell’attribuzione di un appellativo o nell’essere invitato per un consiglio? Se questi sono beni, devi rallegrarti che egli li abbia centrati. Se invece sono mali, non adontarti perché non li centrasti tu. Ricorda che non puoi, non facendo le stesse cose per centrare quanto non è in nostro esclusivo potere, meritarti il pari. [E25,2] Come possono infatti avere il pari chi non bazzica le porte di qualcuno e chi le bazzica? Chi non entra nel seguito di qualcuno e chi vi entra? Chi non loda e chi loda? Sarai dunque ingiusto ed insaziato se, mentre non cedi ciò in cambio di cui quelle si smerciano, deciderai di prenderle gratis. [E25,3] A quanto si smerciano le teste di lattuga? Caso mai, un obolo. Se, dunque, ceduto l’obolo uno prenderà la lattuga e tu, non cedendo l’obolo non la prenderai, non credere di avere meno di chi la prende. Giacché come quello ha la testa di lattuga, così tu hai l’obolo che non desti. [E25,4] Allo stesso modo anche qui. Non fosti invitato al banchetto di qualcuno? Infatti non desti a chi chiama l’importo al quale vende il pranzo. E lo vende a prezzo di lodi, di assistenza lo vende. Dà dunque l’importo al quale si vende, se per te è vantaggioso. Ma se vuoi non cedere quello e pure prendere questo, sei insaziato e scempio. [E25,5] Nulla hai dunque in cambio del pranzo? Hai il non lodare costui, che non volevi; il non tollerare i suoi uscieri.

E26.

L’afflizione altrui 2.

[E26,1] E’ possibile decifrare il piano della natura da ciò per cui non differiamo gli uni dagli altri. Per esempio, qualora il bambino di un altro rompa la tazza, a portata di mano è subito il dire: “Sono cose che accadono!” Sappi dunque che, qualora fosse rotta una tua tazza, tu devi essere tale qual eri quando fu rotta quella di un altro. Così alloga questo anche a cose più grandi. E’ morto il figliolo di un altro, o la moglie. Non c’è nessuno che non direbbe: “E’ umano!” Ma qualora ne muoia uno dei propri, subito: “Ohimè! Sciagurato me!”. Sarebbe invece d’uopo ricordare cosa sperimentiamo quando lo sentiamo dire a proposito di altri.

E27.

Bene e male non esistono al di fuori della proairesi.

[E27,1] Come non si pone uno scopo per fallirlo, così neppure esiste natura di male nell’ordine del mondo.

E28.

Lo stupro dell’intelligenza.

[E28,1] Se qualcuno delegasse il tuo corpo a chi ti viene incontro, ne fremeresti. E che tu deleghi la tua intelligenza a chi capita affinché, se sarai ingiuriato, essa ne sia sconcertata e confusa: per questo non ti vergogni?

E29.

Lasciar perdere la filosofia.

[E29,1] Di ciascuna opera considera gli antecedenti ed i conseguenti e così vieni ad essa. Se no, dapprima vi sarai giunto con foga in quanto non hai ponderato nulla del seguito, ma successivamente, quando compariranno motivi di malcontento, te ne distornerai vergognosamente. [E29,2] Vuoi vincere le Olimpiadi? Anch’io, per gli dei, giacché è grazioso. Ma considera gli antecedenti ed i conseguenti e così accostati all’opera. Devi disciplinarti, cibarti a dieta, astenerti dai manicaretti, allenarti per necessità in ore fisse, nella calura, al freddo; non bere freddo, né vino come capita; insomma avere trasmesso te stesso al soprintendente come ad un medico; e poi in gara scavarti la sabbia, slogarti a volte una mano, storcerti una caviglia, ingoiare molta rena, possibilmente venire frustato e, dopo tutto ciò, essere vinto. [E29,3] Ciò esaminato, se ancora lo vorrai, vieni al cimento. Se no, ti sarai condotto come i bimbi i quali ora giocano ai lottatori, ora ai gladiatori, ora trombettano e poi canticchiano. Così tu pure ora atleta, ora gladiatore e poi oratore e poi filosofo ma con l’animo intero nulla. Come una scimmia tu imiti ogni spettacolo che vedrai e gradisci qualcosa di sempre diverso. Giacché non venisti a qualcosa dopo un’analisi né un percorso, ma a casaccio e secondo una gelida smania. [E29,4] Così alcuni, osservato un filosofo ed ascoltato qualcuno che parla come parla Eufrate (eppure, chi può parlare come lui?), vogliono anch’essi far filosofia. [E29,5] O uomo, esamina innanzitutto quella che è la faccenda e poi decifra anche la tua natura, se puoi sorreggerla. Decidi di essere un pentatleta od un lottatore? Vedi le tue braccia, le cosce, decifra i lombi. [E29,6] Giacché uno è nato per una cosa, un altro per un’altra. Reputi che facendo questo puoi mangiare allo stesso modo, bere allo stesso modo, similmente desiderare, similmente dispiacerti? Vegliare devi, faticare, partire dai familiari, essere spregiato da un pupattolo, essere deriso da chi ti viene incontro, avere la meno in ogni circostanza: in onorificenze, in cariche, nei processi, in ogni affaruccio. [E29,7] Esamina questi profili se disponi di permutare ciò con dominio sulle passioni, libertà, dominio sullo sconcerto. Se no, non appressarti per non essere, come i bimbi, ora filosofo, successivamente gabelliere e poi oratore e poi procuratore di Cesare. Questi ruoli non vanno d’accordo. Una sola persona tu devi essere, o buona o cattiva. Tu devi elaborare o il tuo egemonico o gli oggetti esterni; lavorare con arte sul di dentro o sul di fuori: questo è ricoprire il posizionamento di filosofo o di persona comune.

E30.

Le relazioni sociali.

[E30,1] Il doveroso si commisura generalmente alle relazioni sociali. E’ padre: è dettato di averne sollecitudine, dargli spazio in tutto, tollerare se ingiuria, se batte. “Ma è un cattivo padre”. Fosti forse imparentato dalla natura ad un buon padre? No, ma ad un padre. “Mio fratello commette ingiustizie”. Perciò serba il tuo posizionamento nei suoi confronti, e non considerare cosa fa lui ma cosa fai tu per avere la tua proairesi in accordo con la natura delle cose. Giacché un altro non danneggerà te, se tu non lo disporrai. E allora sarai stato danneggiato, qualora concepisca di essere danneggiato. Così dunque troverai quanto è doveroso da vicino, da cittadino, da stratega, se ti abituerai a conoscere i principi generali delle relazioni sociali.

E31.

Uomini e dei.

[E31,1] Circa la pietà per gli dei, sappi che dominante è avere di essi rette concezioni, come esistenti e governanti il tutto bene e giustamente; ed esserti assegnato l’ubbidire loro, cedere il passo ad ognuno di loro e seguirli di buon grado come realizzati dalla nostra più eccelsa intelligenza. Giacché così non biasimerai mai gli dei né li incolperai di essere trascurato. [E31,2] E questo non è tale da accadere altrimenti che rimuovendo il bene ed il male da quanto non è in nostro esclusivo potere e ponendoli soltanto in quanto è in nostro esclusivo potere. Ché se concepirai proprio qualcuna di quelle cose come bene o male è del tutto necessario, qualora fallisca ciò che vuoi ed incappi in ciò che non vuoi, che tu biasimi ed odi i causativi. [E31,3] Ogni creatura è infatti nata per fuggire e scansare quanto appare dannoso ed i suoi causativi e per andare in cerca e dare valore a quanto giova ed ai suoi causativi. Dunque è inconcepibile che chi crede di essere danneggiato si rallegri di colui dal quale reputa di essere danneggiato, come pure è impossibile rallegrarsi del danno stesso. [E31,4] Di qua viene anche che il padre è ingiuriato dal figlio qualora non lo faccia parte di quelli che il ragazzo reputa essere beni. E questo fece Eteocle e Polinice l’un l’altro nemici: credere un bene la tirannia. Per questo l’agricoltore ingiuria gli Dei, per questo il marinaio, per questo il mercante, per questo coloro che perdono le mogli ed i figlioli. Giacché dov’è l’utile, là è anche la pietà. Sicché chi è sollecito a desiderare e ad avversare come deve, nel medesimo tempo ha sollecitudine anche della pietà. [E31,5] Libare, sacrificare, offrire primizie secondo i patrii costumi in ciascun caso conviene; facendolo puramente, senza negligenza né trascuratezza e neppure con spilorceria né oltre le nostre facoltà.

E32.

La divinazione indifferente.

[E32,1] Qualora ti avvicini alla divinazione, ricorda che non sai cosa succederà ma che sei giunto per cercare di saperlo dall’indovino. Quel che è sei venuto sapendolo, se appunto sei filosofo. Giacché se è qualcosa di non in nostro esclusivo potere, è del tutto necessario che non sia né bene né male. [E32,2] Non portare dunque dall’indovino desiderio od avversione e non avvicinarti a lui tremando, ma avendo vagliato che tutto quanto succederà è indifferente e nulla per te; che quale che sarà, sarà possibile usarlo da virtuoso e che nessuno lo impedirà. Vieni dunque con fiducia agli dei come a consiglieri. Orbene qualora ti sia consigliato qualcosa, ricorda quali consiglieri assumesti e chi fraintenderai disubbidendoli. [E32,3] Vieni al divinare, come appunto sollecitava Socrate, in quei casi in cui ogni analisi ha riferimento all’esito e né dal ragionamento né da qualche altra arte si danno risorse per notare l’obiettivo della sorte. Sicché, qualora si debbano correre pericoli insieme ad un amico o con la propria patria, non divinare se li si debba correre. Giacché se l’indovino ti avviserà che le vittime sacrificali sono state infauste, è manifesto che significa morte o storpiatura di qualche parte del corpo od esilio. Ma la ragione sceglie, anche con ciò, di porsi accanto all’amico e di correre pericoli insieme con la patria. Fa’ perciò attenzione all’indovino più grande, ad Apollo Pizio, il quale fece espellere dal tempio chi non aiutò l’amico che veniva levato di mezzo.

E33.

Suggerisco.

[E33,1] Posizionati ormai un certo stile e modello, che custodirai sia quando sei solo, sia incontrando persone. [E33,2] E vi sia per lo più taciturnità o si parli il necessario e con poche parole. Raramente, e quando il momento adatto invita a dire, dì pure, ma non di quel che capita: non di combattimenti di gladiatori, non di corse dei cavalli, non di atleti, non di vivande o bevande, di trivialità e soprattutto non di persone, denigrando o lodando o paragonando. [E33,3] Se dunque ne sarai capace, con i tuoi discorsi trasporta anche quelli dei sodali al conveniente. Se poi fossi per caso preso da parte tra forestieri, taci. [E33,4] Il riso non sia molto né su molti argomenti né sia sguaiato. [E33,5] Un giuramento schivalo, se è possibile, appieno; se no, per quanto è contingente. [E33,6] Declina banchetti con gente di fuori e persone comuni. Se una volta ne sarà tempo, fa ben bene attenzione a non travalicare mai in volgarità. Sappi infatti che qualora il compagno sia sudicio, anche chi gli si struscia addosso necessariamente si insudicia, pur se fosse per caso pulito. [E33,7] Per quanto riguarda il corpo, assumi cose quali cibo, bevande, vestiario, casa, domestici, fino a soddisfare il mero bisogno; e circoscrivi tutto quanto è per reputazione od effeminatezza. [E33,8] Quanto ai piaceri sessuali prima dello sposalizio, bisogna fare del nostro meglio per essere puliti; e chi vi si accosta deve condividere quelli legali. Tuttavia non diventare grossolano né contestatorio con coloro che ne usano, e non citare sovente il fatto che tu non ne usi. [E33,9] Se qualcuno ti annuncerà che il tale sparla di te, non parlare in tua difesa contro quanto è detto, ma rispondi che “Il tale ignorava gli altri vizi che mi sono congiunti, dacché non direbbe solo di questi!” [E33,10] Andare a spettacoli non è per lo più necessario. Se una volta ne fosse tempo, non mostrare di parteggiare per altri che per te stesso, cioè disponi che accada soltanto quel che accade e che vinca solo chi vince: giacché così non sarai intralciato. Astieniti definitivamente dalle grida, dal ridacchiare di qualcuno o dal commuoverti troppo. Dopo esserti allontanato, non fare molti discorsi sull’avvenuto, se non per quanto porta alla tua rettificazione; giacché da un siffatto contegno si palesa che ammirasti lo spettacolo. [E33,11] Non andare a casaccio né facilmente a pubbliche letture. Se però ci vai, custodisciti solenne, stabile ed insieme non grossolano. [E33,12] Qualora tu stia per conferire con qualcuno, soprattutto delle reputate “Eccellenze”, mettiti davanti cosa avrebbero fatto in questo caso Socrate o Zenone, e non difetterai di usare convenientemente dell’accadimento. [E33,13] Qualora bazzichi qualche magnate, mettiti davanti che non lo troverai dentro, che sarai sbarrato fuori, che le porte ti saranno squassate contro, che non si preoccuperà di te. E se pur con ciò sarà doveroso venirci, venendo sopporta gli avvenimenti e non dire mai a te stesso: “Non meritava tanto!”; giacché questo è da persona comune e cui sono invisi gli eventi esterni. [E33,14] Nelle conversazioni tieniti lungi dal ricordare a lungo certe tue opere o, senza misura, dei pericoli corsi. Giacché come per te è piacevole ricordare i tuoi pericoli, non così è piacevole per gli altri ascoltare dei tuoi accidenti. [E33,15] Ci si tenga anche lungi dal muovere risate, giacché lubrico è il terreno che porta alla volgarità, ed insieme sufficiente ad attenuare il rispetto di chi ti è dintorno nei tuoi confronti. [E33,16] Malsicuro è anche avanzare verso il turpiloquio. Qualora dunque avvenga qualcosa di siffatto, se sarà tempestivo censura anche chi vi avanzò. Se no, proprio col tacere ed arrossire e l’accigliarti manifesta il tuo malcontento per il discorso.

E34.

La forza delle rappresentazioni.

[E34,1] Qualora la rappresentazione di qualche ebbrezza ti prenda, come appunto per le altre rappresentazioni, sta in guardia a non essere da essa rapito con sé. Che dunque la faccenda aspetti te, e tu prenditi qualche dilazione. Poi ricorda entrambi i tempi: il tempo in cui fruirai dell’ebbrezza ed il tempo in cui successivamente, dopo averne fruito, ti pentirai ed ingiurierai te stesso. Contrapponi a questo come ti rallegrerai astenendotene e come loderai te stesso. E se ti parrà tempo di accostarti all’opera, fa attenzione che non ti sconfiggano la sua gradevolezza e piacevolezza e seduzione. Ma contrapponi quanto meglio sia per te la cognizione di avere vinto questa vittoria.

E35.

Decisione.

[E35,1] Qualora tu, vagliato che una cosa è da fare, la faccia; non fuggire mai dall’essere visto effettuarla anche se i più saranno per concepire qualcosa di diverso al riguardo. Giacché se non fai rettamente, fuggi l’opera stessa. Se fai rettamente, perché hai paura di coloro che censureranno non rettamente?

E36.

Conflitto di interessi.

[E36,1] Come le asserzioni “E’ giorno” ed “E’ notte” hanno grande valore per una proposizione disgiuntiva ed invece disvalore per un periodo copulativamente coordinato, così selezionare per sé il pezzo più grande di qualcosa abbia pure valore per il corpo, ma per custodire come si deve la socievolezza in un banchetto ha disvalore. Qualora dunque mangi con un altro, ricorda di non vedere soltanto il valore per il tuo corpo delle portate che ti giacciono accanto, ma anche di custodire il rispetto verso l’imbanditore.

E37.

Sopra le righe.

[E37,1] Se interpreterai un personaggio oltre le tue facoltà, in questo fosti indecente ed omettesti di assolvere quello che potevi.

E38.

Il danno.

[E38,1] Appunto come nel camminare fai attenzione a non pestare un chiodo o non storcerti un piede, così fa’ attenzione a non danneggiare il tuo egemonico. E se staremo in guardia su questo in ciascuna opera, ci accosteremo all’opera più sicuramente.

E39.

La misura e oltre.

[E39,1] Misura del patrimonio è per ciascuno il corpo, come il piede lo è di un calzare. Se dunque a questo starai, custodirai la misura. Se invece la oltrepasserai, orbene è necessario essere portato come lungo un precipizio. Appunto come pure il calzare, se oltrepasserai il piede, diventa indorato e poi purpureo e poi trapunto. Di ciò che è una volta oltre misura non vi è infatti limite alcuno.

E40.

Signore il cui unico bene è la fica.

[E40,1] Subito dall’età di quattordici anni le femmine sono chiamate dai maschi “Signore”. Vedendo perciò che null’altro è loro congiunto se non il coricarsi coi maschi, esse iniziano ad imbellettarsi e ad avere in questo tutte le loro speranze. Merita dunque fare attenzione affinché esse si accorgano di essere onorate per null’altro che per l’apparire composte e rispettose.

E41.

Cacare e montare.

[E41,1] E’ segno di bastardaggine indugiare troppo in cose che riguardano il corpo, come allenarsi a lungo, a lungo mangiare, a lungo bere, a lungo cacare, montare. Queste cose vanno fatte come accessorie. Tutta la pensosità sia invece per l’intelligenza.

E42.

Chi è il danneggiato.

[E42,1] Qualora qualcuno ti tratti male o parli male di te, ricorda che lo fa o dice credendolo doveroso. Non è dunque possibile che egli segua quel che pare a te ma quel che pare a lui sicché, se il suo parere è cattivo, è danneggiato chi si è ingannato. Giacché se uno concepirà falso un vero periodo copulativamente coordinato, non è danneggiato il periodo copulativamente coordinato ma chi si ingannò. Prendendo dunque spunto da questo, sarai mite con chi ingiuria. Giacché ad ogni ingiuria esclama: “Lo reputò!”

E43.

I due manici della faccenda.

[E43,1] Ogni faccenda ha due manici: uno sopportabile ed un altro insopportabile. Se tuo fratello commetterà una ingiustizia, non prendere la faccenda di qui, che commette una ingiustizia (giacché questo è il suo manico insopportabile), ma piuttosto di là, che è tuo fratello, che ha fatto vita comune con te; e prenderai la faccenda dal manico sopportabile.

E44.

L’incombinabile.

[E44,1] Questi sono discorsi incombinabili: “Io sono più ricco di denaro di te, io sono dunque migliore di te”; “Io sono più facondo di te, io sono dunque migliore di te”. Discorsi combinabili sono piuttosto i seguenti: “Io sono più ricco di denaro di te, il mio patrimonio è dunque migliore del tuo”; “Io sono più facondo di te, la mia loquela è dunque migliore della tua”. Ma tu non sei davvero né patrimonio né loquela.

E45.

Realtà ed apparenza.

[E45,1] Uno fa il bagno caldo frettolosamente: non dire che lo fa male ma frettolosamente. Uno beve molto vino: non dire che beve male ma molto. Giacché prima di vagliare il giudizio, donde sai se fa male? Così non ti avverrà di pigliare rappresentazioni catalettiche di certe cose e di assentire ad altre.

E46.

Essere filosofi.

[E46,1] Non dirti in nessun luogo filosofo e, in genere, non cianciare tra le persone comuni di principi filosofici generali, ma fa’ quanto da quei principi discende. In un convito, per esempio, non dire come si deve mangiare ma mangia come si deve. Ricorda infatti che Socrate aveva così eliminato da ogni dove l’ostentazione che venivano da lui volendo essere da lui raccomandati ai filosofi; e lui ve li menava. Così tollerava di essere sottovalutato! [E46,2] E se in un ragionamento su qualche principio filosofico generale ci si imbatterà in persone comuni, in genere taci; giacché grande è il pericolo di vomitare subito ciò che non ancora digeristi. E qualora uno ti dica che nulla sai e tu non ne sia morso, allora sappi che inizi l’opera. Dacché anche le pecore non sfoggiano ai pastori quanto mangiarono portando loro il foraggio ma, digerita dentro la pastura, portano fuori lana e latte. Anche tu, quindi, non sfoggiare i principi filosofici generali alle persone comuni ma, digeritili, le opere.

E47.

L’ostentazione.

[E47,1] Qualora ti sia acconciato, quanto al corpo, a vivere con quattro soldi, non abbellirti di questo e, se berrai acqua, non cercare ogni movente per dire che bevi acqua. Se mai disporrai di esercitarti alla fatica, fallo per te e non per quelli di fuori. Non abbracciare statue, ma avendo energicamente sete tirati addosso dell’acqua fresca poi sputa, e non dirlo a nessuno.

E48.

Esseri umani ed uomini.

[E48,1] Stazione e stile da persona comune: mai suppone da se stesso giovamento o danno, ma dal di fuori. Stazione e stile da filosofo: suppone ogni giovamento e danno da se stesso. [E48,2] I segni di chi fa profitto: non denigra nessuno, non loda nessuno, non biasima nessuno, non incolpa nessuno, non dice nulla di sé come fosse qualcuno o sapesse qualcosa. Qualora sia intralciato in qualcosa od impedito, incolpa se stesso. Se uno lo loderà, deride tra sé e sé chi loda; e se sarà denigrato, non parla in sua difesa. Va in giro appunto come gli infermi, cauto a muovere, prima che prendano solidità, qualcuna delle parti in ricostituzione. [E48,3] Ha rimosso da sé ogni desiderio ed ha allogato l’avversione solo su ciò che, tra quanto è in nostro esclusivo potere, è contro la natura delle cose. Verso tutto usa l’impulso pacatamente. Se sembrerà sciocco od incolto, non se ne preoccupa. In una parola, sta in guardia verso se stesso come verso un insidioso nemico personale.

E49.

Solennità di essere filosofi oppure commentatori di filosofi.

[E49,1] Qualora uno faccia il solenne perché può capire e commentare i libri di Crisippo, fra te e te di’: “Se Crisippo non avesse scritto con poca chiarezza, costui non avrebbe nulla per cui fare il solenne”. Io cosa decido? Di decifrare la natura delle cose ed accompagnarmi a lei. Cerco dunque chi è il commentatore e, sentito dire che è Crisippo, vengo da lui. Ma non ne capisco gli scritti. Cerco dunque il commentatore di Crisippo. E fin qui non v’è ancora nulla di solenne. Qualora trovi il commentatore, avanza di usare le prescrizioni: questo solo è solenne. Se invece ammirerò il fatto in sé di commentare, che altro risulto se non un grammatico invece che un filosofo? Eccetto che invece di Omero so commentare, appunto, Crisippo. Qualora uno mi dica: “Rileggimi Crisippo”, io dunque piuttosto arrossirò, qualora non possa sfoggiare opere simili ed in armonia con i suoi discorsi.

E50.

E’ in palio la felicità.

[E50,1] A quanto è proposto mantieniti come a leggi, come fossi empio se lo violerai. E qualunque cosa uno dirà di te, non impensierirti; giacché questo non è più tuo.

E51.

Olimpia è adesso.

[E51,1] Ed a quale tempo ancora rimandi il meritarti l’ottimo ed il non violare in nulla la ragione che opera la diairesi? Hai assunto i principi filosofici generali con i quali dovevi metterti alle prese e ti sei messo alle prese. Quale insegnante dunque supponi ancora che possa giungere, per posporre a lui di fare la tua rettificazione? Non sei più un adolescente ma ormai un perfetto adulto. Se ora sarai trascurato e pigro e farai propositi dopo propositi e definirai uno dopo l’altro il giorno in cui farai attenzione a te stesso, ti sfuggirà che non fai profitto ma continuerai a vivere e morire da persona comune. [E51,2] Dunque sollecitati ormai a vivere da uomo perfetto e che fa profitto; e tutto quanto ti appare ottimo sia per te legge inviolabile. Se si appresserà qualcosa di doloroso o piacevole, che porta credito o discredito, ricorda che la gara è adesso, che le Olimpiadi sono ormai presenti, che non è più possibile rimandare e che in un solo giorno ed una sola faccenda il profitto va in malora o si salvaguarda. [E51,3] Socrate risultò così perché, di tutto quanto gli si appressava, non faceva attenzione ad altro che alla ragione. Tu, se pure non sei ancora Socrate, sei tenuto a vivere come chi decide di essere proprio Socrate.

E52.

Tre campi della filosofia.

[E52,1] Nella filosofia, il primo e più necessario àmbito è quello dell’uso dei principi generali: per esempio, non mentire. Il secondo è quello delle dimostrazioni: per esempio, donde è che non si deve mentire? Il terzo è quello che fa ben saldi ed articola questi stessi ambiti: per esempio, donde è che questo è una dimostrazione? Giacché cos’è dimostrazione, cos’è consequenzialità, cos’è contraddizione, cos’è vero, cos’è falso? [E52,2] Pertanto il terzo àmbito è necessario a causa del secondo ed il secondo a causa del primo. Il più necessario e dove ci si deve soffermare è il primo. Noi invece facciamo viceversa; giacché ci trastulliamo nel terzo àmbito ed a questo dedichiamo ogni nostra industria, mentre trascuriamo definitivamente il primo. Perciò appunto noi mentiamo, ma come si dimostra che non si deve mentire, questo l’abbiamo a portata di mano.