Una breve introduzione
La datazione dell’opera
Scritto in greco da un autore che ci rimane sconosciuto, è ormai certo che questo drammatico “dialogo raccontato” risale al I secolo dopo Cristo. Il suo impianto è stoico-cinico, ed il Cebete di cui si parla nel titolo nulla ha a che fare con il personaggio che compare nel “Fedone” di Platone.
Il significato dell’opera
Mi tocca anzitutto doverosamente avvertire chi legge, che questo dialogo è altamente pericoloso in quanto si tratta, per il lettore, di vita o di morte. Chi si imbatte in esso, infatti, è chiamato a fare la stessa esperienza che fece Edipo sulla via di Tebe, quando si imbatté nella Sfinge.
Questo dialogo, e la spiegazione che esso contiene, sono altamente pericolose perché chi presta la dovuta attenzione e capisce quanto vi si dice è già, o è destinato ad essere, un uomo saggio e felice. Chi, invece, non presta la dovuta attenzione e non capisce quanto vi si dice è già, o è destinato inevitabilmente a rimanere, un individuo stolto ed infelice, una persona amareggiata ed incolta che vive male.
La ragione di ciò sta nel fatto che la spiegazione contenuta in questo dialogo assomiglia all’enigma che la Sfinge, sulla via di Tebe, proponeva alle persone. Se uno capiva l’enigma e dava la risposta corretta, aveva salva la vita. Ma se uno non lo capiva e dava la risposta scorretta, periva divorato dalla Sfinge.
Le cose stanno allo stesso modo anche nel caso di questa spiegazione. Giacché la Stoltezza è, per il lettore, una Sfinge. Il dipinto su tavola del quale il dialogo tratta, allude enigmaticamente a quanto è bene, a quanto è male ed a quanto è né bene né male nella vita. E chi non capisce queste cose è destinato a perire per opera della Stoltezza; non in una sola volta, come chi moriva divorato dalla Sfinge, ma rovinato poco per volta nel corso dell’intera esistenza, come i condannati ad una punizione perenne. Se il lettore, invece, riconosce e capisce queste cose è la Stoltezza, all’opposto, a perire; mentre lui si salva e diventa beato e felice per tutta la vita. Chi legge presti dunque molta attenzione e non fraintenda nulla.
D’altra parte è arduo capire “Il dipinto su tavola di Cebete” se non si ha familiarità con la mia traduzione dell’opera di Epitteto. I concetti di ‘proairesi’ e di ‘diairesi’, di ‘cultura’ (cioè di ‘educazione alla diairesi’) e di ‘pseudocultura’ (cioè di ‘educazione a tutte le altre conoscenze’), di ‘essere umano’ e di ‘uomo’, di ‘felicità’ e di ‘infelicità’, di ‘virtù’ e di ‘vizio’, di ‘bene’, di ‘male’ e di ‘udetero’ trovano qui un’efficacia pittorica di straordinaria attualità, nella spiegazione che un anziano signore dà ad un gruppo di forestieri del significato di un dipinto su tavola visibile in un antico tempio di Crono.
La traduzione
Trattandosi di un’opera di dimensioni contenute, per la traduzione non ho avuto bisogno di lavorare su di un vero e proprio Index Verborum.
A differenza de “L’albero della Diairesi”di Epitteto, che è la fedele registrazione di un parlato dal vivo, questo “Il dipinto su tavola di Cebete” è un testo letterario. Fatta dunque salva la scrupolosità nel tradurre tutte le parole chiave e filosoficamente rilevanti, so di essermi permesso quelle libertà di stile che mi parevano concesse dalla natura del testo.
Il testo
La traduzione che qui presento è stata da me condotta sul testo greco pubblicato da D. Pesce: “La tavola di Cebete” Paideia Editrice, Brescia 1982, nella collana “Antichità classica e cristiana”. Questo testo riproduce essenzialmente l’edizione critica di K. Praechter (Teubner, Lipsia 1893). Io me ne sono discostato in un luogo solo.
La mia traduzione della Tavola di Cebete è disponibile anche in versione cartacea cliccando sull’immagine qui sotto.
IL DIPINTO SU TAVOLA DI CEBETE
nuovamente tradotto
da
Franco Scalenghe
[1.1] Passeggiavamo per caso nel recinto sacro a Crono, considerando molti e diversi doni votivi. Dinanzi al tempio era dedicato anche un dipinto su tavola, con una strana pittura raffigurante storie assai particolari che non riuscivamo a congetturare quali mai fossero. [1.2] Il dipinto non ci sembrava raffigurare né una città né un accampamento, ma un recinto contenente al proprio interno altri due recinti, uno più grande ed uno più piccolo. Nel primo recinto vi era un portale, e presso di esso appariva sostare molta folla. [1.3] All’interno del recinto si vedeva uno stuolo di donne. Sul portone era fermo un vecchio, il quale faceva dei cenni come ingiungendo qualcosa alla folla che entrava. [2.1] Eravamo incerti sul significato della storia e ci interrogavamo l’un l’altro da un po’ di tempo quando un anziano signore, che stava accanto a noi, disse:
-Forestieri, non provate nulla di straordinario se siete incerti sull’interpretazione da dare a questa pittura. Pochi, anche tra la gente del posto, sanno quale sia il significato della storia. [2.2] Il dono votivo non è, infatti, di un cittadino di qui ma di un forestiero, un uomo intelligente e di straordinaria sapienza, emulo in teoria ed in pratica della vita Pitagorica e Parmenidea, il quale venne qui molto tempo fa e dedicò sia questo recinto sacro sia la pittura a Crono-
[2.3] -Ma quest’uomo- dissi io -tu l’hai conosciuto di persona?-
-E l’ho anche ammirato- disse lui -per molto tempo quando ero più giovane. Giacché era solito discorrere di molti e seri argomenti; ed allora io lo ascoltai più volte raccontare il significato di questa storia-
[3.1] -Ebbene per Zeus- dissi io -se non ti capita d’avere qualche altro impegno pressante, esponilo anche a noi. Siamo, infatti, assai smaniosi di ascoltare di che storia si tratta-
-Forestieri- rispose -non lo ricuserò. Ma innanzi tutto dovete ascoltare questo, che la spiegazione contiene in sé qualcosa di pericoloso-
-Quale pericolo?- chiesi io
-Che se presterete attenzione- continuò lui -e capirete quanto vi si dice, sarete uomini saggi e felici; altrimenti diventerete stolti ed infelici, amareggiati ed incolti esseri umani e vivrete male. [3.2] La spiegazione assomiglia, infatti, all’enigma che la Sfinge proponeva alle persone. Se uno lo capiva, si salvava; ma se non lo capiva, periva per opera della Sfinge. Le cose stanno allo stesso modo anche nel caso di questa spiegazione. Giacché la Stoltezza è per le persone una Sfinge. [3.3] Il dipinto su tavola allude enigmaticamente a quanto è bene, a quanto è male ed a quanto non è né bene né male nella vita. E se uno non capisce queste cose, perisce per opera della Stoltezza; non in una sola volta, come chi moriva divorato dalla Sfinge, ma rovinato poco per volta nel corso dell’intera esistenza, come i condannati ad una punizione perenne. [3.4] Se uno invece riconosce queste cose è la Stoltezza, all’opposto, a perire; mentre lui si salva e diventa beato e felice per tutta la vita. Prestate dunque attenzione e non fraintendete-
[4.1] -Per Eracle, se le cose stanno così, che grande smania ci hai messo addosso!-
-E stanno proprio così- disse lui
-Esponici quindi al più presto il significato della storia e, siccome siffatta è la ricompensa, noi ti presteremo un’attenzione non superficiale-
[4.2] Raccolta dunque una bacchetta, l’anziano signore la protese verso la pittura e disse:
-Vedete questo recinto?-
-Lo vediamo-
-Dovete innanzi tutto sapere che questo luogo si chiama Vita. E la gran folla che sosta presso il portale è la folla di coloro che stanno per fare ingresso nella Vita. [4.3] Il vecchio fermo in alto con un foglio di papiro in una mano e che con l’altra indica qualcosa, si chiama Genio. Egli ingiunge a coloro che fanno ingresso cosa debbono fare quando siano entrati in Vita, ed indica loro quale strada debbono percorrere se intendono salvarsi nella Vita-
[5.1] -Quale strada intima di percorrere e come?- chiesi io
-Vedi presso il portale- rispose lui -un seggio, posto nel luogo in cui la folla fa il suo ingresso e sul quale siede una femmina dipinta in modo da apparire suadente e che ha in mano una coppa?-
[5.2] -La vedo- dissi io -E chi è?-
-Si chiama Inganno- rispose -ed induce in errore tutti gli esseri umani-
-E cosa effettua costei?-
-A coloro che fanno ingresso nella Vita dà a bere la sua propria facoltà-
[5.3] -Cos’è questa bevanda?-
-Errore- disse -ed Ignoranza-
-E poi cosa accade?-
-Dopo avere bevuto questa bevanda procedono verso la Vita-
-Ma tutti bevono l’errore oppure no?-
[6.1] -Tutti lo bevono- rispose -alcuni di più, altri di meno. E vedi ancora, all’interno del portale, uno stuolo di altre femmine che hanno aspetti d’ogni genere?-
-Le vedo-
[6.2] -Si chiamano Opinioni, Smanie, Piaceri. Quando la folla fa il suo ingresso esse balzano su, si avvinghiano a ciascuno e lo menano via-
-E dove li menano?-
-Alcune menano gli esseri umani alla salvezza- rispose -altre invece li menano alla perdizione per opera dell’Inganno-
-Caro amico, che sgradevole pozione è quella di cui parli!-
[6.3] -Tutte però- aggiunse -professano di condurre all’ottimo e ad una vita felice e vantaggiosa. E costoro, a causa dell’ignoranza e dell’errore che hanno bevuto dalla coppa dell’Inganno, non trovano quale sia la vera strada nella Vita ma vanno errando a casaccio, come puoi vedere osservando coloro che hanno fatto il loro ingresso prima, i quali vanno in giro dove capita-
[7.1] -Li vedo- dissi -E chi è quella donna che appare essere come cieca e pazza, e che se ne sta ritta sopra una pietra rotonda?-
-Si chiama Fortuna- rispose -E non è soltanto cieca e pazza ma anche sorda-
[7.2] -Quale funzione ha?-
-Si aggira dappertutto- rispose -e ghermisce gli averi di alcuni per darli ad altri. Poi a questi stessi subito di nuovo sottrae ciò che ha dato e lo dà al altri, a casaccio ed in modo instabile. Perciò anche quel segno svela bene la sua natura-
[7.3] -Quale segno?- chiesi io
-Il fatto che sta ritta sopra una pietra rotonda-
-E questo cosa significa?-
-Significa che il suo dare non è né sicuro né saldo. Qualora uno si fidi di lei ne nascono grandi e dure delusioni-
[8.1] -Ma cosa vuole questa gran folla che le sta intorno, e come si chiamano costoro?-
-Si chiamano Sconsiderati. Ciascuno di essi chiede per sé le cose che la Fortuna getta-
-Come mai non hanno tutti un aspetto simile, ma alcuni appaiono rallegrarsi mentre altri hanno le mani protese e sono scoraggiati?-
[8.2] -Quelli che appaiono rallegrarsi e ridere- rispose -sono coloro che hanno ricevuto qualcosa da lei, e questi la chiamano buona Fortuna. Quelli che appaiono singhiozzare sono invece coloro ai quali la Fortuna ha sottratto ciò che aveva prima dato, e questi al contrario chiamano lei cattiva Fortuna-
[8.3] -Quali sono le cose che la Fortuna dà e per le quali coloro che le ricevono si rallegrano, mentre coloro che le perdono singhiozzano?-
-Sono quelle- rispose -che alla massa degli esseri umani sembrano essere beni-
-Quali sono questi beni?-
[8.4] -La ricchezza di denaro, evidentemente; e la fama, la stirpe nobile, la figliolanza, il potere tirannico, il potere regale e quant’altre cose somigliano a queste-
-Ma come? Questi non sono beni?-
-Di questo- disse -potremo discutere in seguito. Ora stiamo al significato della storia-
-Va bene-
[9.1] -Come oltrepassi con lo sguardo questo portale, vedi più in alto un altro recinto e ferme, fuori del recinto, delle femmine acconciate come sono solite acconciarsi le prostitute?-
-Certamente-
-Esse si chiamano una Non padronanza di sé, l’altra Dissolutezza, l’altra Insaziabilità, l’altra ancora Adulazione-
[9.2] -Perché sono ferme lì?-
-Perché spiano- disse -coloro che hanno ricevuto qualcosa dalla Fortuna-
-E poi cosa accade?-
-Esse balzano su queste persone e vi si avvinghiano, le adulano, le urgono a rimanere presso di loro dicendo che avranno una vita piacevole, indolore e priva di patimenti. [9.3] E se uno si lascia persuadere da queste femmine ad entrare da Lascivia, il trastullo sembra piacevole fino a che solletica l’individuo, poi non più. Giacché qualora ritorni in sé, costui si accorge che non era lui a mangiare da Lascivia ma che era Lascivia a mangiare vivo e ad oltraggiare lui. [9.4] Perciò, quando abbia speso tutto quanto aveva ricevuto dalla Fortuna, è costretto a fare da servo a queste femmine, a soggiacere ad esse in tutto, a comportarsi indecentemente, a fare per causa loro ogni sorta di azione dannosa come frodare, derubare templi, spergiurare, tradire, depredare e quant’altre azioni somigliano a queste. Quando poi a costoro venga meno ogni risorsa, queste femmine li consegnano alla Punizione-
[10.1] -Quale figura è la Punizione?-
-Vedi- disse -un po’ dietro e sopra di loro come una piccola porticina ed un luogo angusto ed oscuro?-
-Certamente-
-E non ti sembra che ci siano anche delle femmine laide, sozze e rivestite di cenci?-
[10.2] -Certamente-
-Queste dunque- rispose -si chiamano: quella che ha la frusta, Punizione; quella che ha il capo chino tra le ginocchia, Afflizione; quella che si strappa i capelli, Doglia-
[10.3] -Chi è quest’altro che sta accanto ad esse, quest’uomo deforme, magro e nudo; e chi è l’altra che è insieme con lui ed è, come lui, laida e magra?-
-Lui si chiama Rammarico- rispose -lei Prostrazione; e sono fratello e sorella. [10.4] A questi dunque egli è consegnato e con questi convive in continua punizione. Di qua, poi, è gettato in un’altra dimora, quella dell’Infelicità, e qui trascorre il resto della vita in totale infelicità, a meno che il Ripensamento non s’imbatta in lui venendogli incontro dalla sua propria proairesi-
[11.1] -E poi cosa accade se gli viene incontro il Ripensamento?-
-Lo cava fuori dei mali e gli raccomanda un’altra Opinione, quella che conduce alla vera Educazione ed insieme a quella che si chiama Pseudoeducazione-
[11.2] -E poi cosa accade?-
-Se egli accetta l’Opinione in quanto lo conduce alla vera Educazione- rispose -purificato da essa si salva e diventa beato e felice nella vita. Se no, viene di nuovo indotto in errore dalla stessa Opinione in quanto lo conduce alla Pseudoeducazione-
[12.1] -Per Eracle! Che altro gran pericolo è questo. E qual è- chiesi io -la figura della Pseudoeducazione?-
-Vedi quell’altro recinto?-
[12.2] -Certamente- dissi io
-E vedi fuori del recinto, presso l’ingresso, ferma una femmina che appare molto pulita e ben ordinata?-
-Certamente-
[12.3] -Le masse di gente avventata- disse -chiamano costei Educazione, ma essa non è la vera Educazione bensì la Pseudoeducazione. Comunque quando coloro che si salvano decidono di venire alla vera Educazione, innanzi tutto si presentano qui-
-C’è un’altra strada che conduce alla vera Educazione?-
-C’è- rispose
[13.1] -Chi sono gli uomini che vanno su e giù all’interno del recinto?-
-Sono- disse -gli ingannati amanti della Pseudoeducazione, i quali credono di conversare con la vera Educazione-
-E come si chiamano?-
[13.2] -Si chiamano- rispose -poeti, oratori, dialettici, musicisti, matematici, geometri, astronomi, edonisti, peripatetici, critici e quant’altri esseri umani somigliano a questi-
[14.1] -E chi sono quelle donne che appaiono correre intorno a costoro, simili nell’aspetto alle prime cioè a quelle tra le quali dicevi esservi la Non padronanza di sé?-
-Sono proprio quelle femmine- rispose
[14.2] -Dunque esse fanno ingresso anche qui?-
-Si, per Zeus! anche qui; ma raramente e non come nel primo recinto-
-Ed anche le Opinioni fanno ingresso qui?- chiesi io
[14.3] -Sì, giacché anche in costoro permane l’effetto della pozione che hanno bevuto dalla coppa dell’Inganno-
-L’Ignoranza permane anche in costoro?-
-Sì, per Zeus! ed insieme all’Ignoranza permane anche la Stoltezza. E non c’è pericolo che si separino da costoro né l’opinione né ogni restante vizio fino a che essi, disperando ormai della Pseudoeducazione, non imbocchino la vera strada e bevano le facoltà che li purificano. [14.4] Quando poi siano purificati ed abbiano espulso tutti i loro mali, le opinioni, l’ignoranza ed ogni restante vizio, allora in questo modo saranno salvi. Ma rimanendo qui presso la Pseudoeducazione essi non ne saranno mai liberati, né alcun male li abbandonerà per opera di questo genere di conoscenze-
[15.1] -Qual è la strada che porta alla vera Educazione?- chiesi io
-Vedi lassù- disse -quel luogo dove non dimora nessuno e che appare deserto?-
-Lo vedo-
[15.2] -Vedi anche una piccola porta e, davanti alla porta, una strada non molto affollata sulla quale assai pochi procedono, come su una strada che appare impervia, scabrosa e pietrosa?-
-Certamente- dissi io
[15.3] -Si vedono anche un elevato colle ed una salita assai angusta con profondi burroni da una parte e dall’altra-
-Li vedo-
-Questa è la strada- disse -che conduce alla vera Educazione-
[15.4] -A guardarla, è una strada davvero difficile-
-E vedi lassù sul colle una gran rupe, elevata e scoscesa tutt’intorno?-
-La vedo- dissi io
[16.1] -Vedi anche due donne, dal corpo florido e vigoroso, ferme sulla rupe e che hanno le mani protese con slancio?-
-Le vedo- dissi io -e come si chiamano?-
[16.2] -Una si chiama Padronanza di sé- rispose -l’altra Fortezza, e sono sorelle-
-Perché hanno le mani protese con tanto slancio?-
[16.3] -Invitano- disse -quelli che si presentano in quel luogo ad avere coraggio ed a non avvilirsi, dicendo loro che debbono ancora farsi forza brevemente e che poi giungeranno ad una magnifica strada-
[16.4] -Ma quando le persone si presentano alla rupe, come fanno a salire? Non vedo, infatti, nessuna strada portare alle due donne-
-Sono le due donne a scendere lungo il burrone ed a trarli lassù presso di sé. Li esortano quindi a riposarsi. [16.5] Dopo un poco, danno loro forza e coraggio professando che li introdurranno alla vera Educazione e mostrando loro come la strada sia magnifica, piana, agevole e pulita d’ogni male, come vedi-
-E’ palese, per Zeus!-
[17.1] -Vedi anche- disse -davanti a quel bosco un luogo che appare magnifico, simile ad un prato sfolgorante di luce?-
-Certamente-
[17.2] -E scorgi in mezzo al prato un altro recinto ed un altro portale?-
-E’ così. Ma come si chiama questo luogo?-
[17.3] -Abitazione degli uomini felici- rispose -Qui soggiornano tutte le Virtù e la Felicità-
-Sì- dissi io -com’è magnifico il luogo di cui parli!-
[18.1] -E vedi- continuò lui -che presso il portale vi è una donna con un bel volto calmo, di media e già matura età, indossante una veste semplice e disadorna? Essa non sta ritta sopra una pietra rotonda ma su una quadrata, solidamente piantata in terra, [18.2] ed insieme a lei sono altre due donne che sembrano essere sue figlie-
-E’ palesemente così-
-Di queste tre donne, dunque, quella nel mezzo è la vera Educazione, l’Educazione alla diairesi, le altre due sono la Verità e la Fiducia in se stessi-
[18.3] -Perché la vera Educazione sta ritta sopra una pietra quadrata?-
-E’ segno- rispose -che sicura e salda è la strada per coloro che arrivano da lei e che sicuro è il suo dare per coloro che lo ricevono-
[18.4] -E quali sono le cose che l’Educazione dà?-
-Coraggio e Dominio sulla paura- disse lui
-E cosa sono queste?-
-Sono la scienza- rispose -che permette di non sperimentare nulla di terribile nella vita-
[19.1] -Per Eracle- dissi io -che magnifici doni! Ma perché sta così fuori del recinto?-
-Per curare- rispose -coloro che si presentano e per dare loro a bere la facoltà purificatrice. Poi quando siano purificati li conduce dalle Virtù-
[19.2] -Non capisco come questo accade- dissi io
-In questo modo lo capirai- rispose -Se uno fosse per caso gravemente malato ed andasse da un medico, questi gli farebbe dapprima espellere le cause della malattia grazie a farmaci purificatori e così lo porterebbe poi al recupero della salute. [19.3] Ma se il malato non ubbidisse alle sue prescrizioni, sarebbe respinto a ragione dal medico e sarebbe distrutto dalla malattia-
-Questo lo capisco- dissi io
[19.4] -Allo stesso modo- continuò -qualora uno si presenti all’Educazione alla diairesi essa lo cura e gli dà a bere la sua propria facoltà, affinché innanzi tutto sia purificato ed espella tutti quanti i mali con cui era venuto qui-
-Quali mali?-
[19.5] -L’ignoranza e l’errore che aveva bevuto dalla coppa dell’Inganno, e poi la cialtroneria, la smaniosità, la non padronanza di sé, il rancore, l’avidità di denaro e tutti i restanti mali di cui si era riempito nel primo recinto-
[20.1] -E quando sia purificato, l’Educazione dove lo invia?-
-Lo invia dentro il recinto- rispose -presso la Scienza e le altre Virtù-
-Quali sono queste figure?-
[20.2] -Vedi- disse -al di là del portale un coro di donne, e come appaiono avvenenti ed ordinate con indosso una veste semplice e sobria? Vedi anche come sono naturali e per nulla imbellettate come le altre?-
[20.3] -Le vedo- risposi -E come si chiamano?-
-La prima si chiama Scienza, disse. Le altre sono sue sorelle e si chiamano Virilità, Giustizia, Probità, Temperanza, Disciplina, Libertà, Padronanza di sé, Mitezza-
[20.4] -O carissimo- dissi io -in che grande speranza siamo!-
-A patto che capiate- disse -e procuriate di fare un abito di quanto state ascoltando-
-Presteremo la massima attenzione a questo- dissi io
-Pertanto- continuò -sarete salvi-
[21.1] -Qualora le Virtù l’abbiano preso con loro, dove lo conducono?-
-Dalla loro madre- rispose
-E chi è?-
-La Felicità- disse
-Qual è la figura della Felicità?-
[21.2] -Vedi la strada che porta a quel luogo elevato, rappresentante l’acropoli di tutti i recinti?-
-La vedo-
[21.3] -Non vedi nel vestibolo un’avvenente donna di mezza età che siede sopra un alto trono, acconciata con libertà e senza ricercatezza, ed incoronata di una splendida corona di fiori?-
-E’ palesemente così-
-Questa è la Felicità- disse
[22.1] -E quando uno si presenti qui, cosa fa?-
-La Felicità lo incorona- disse -con la sua propria facoltà e così fanno le altre Virtù, come con i vincitori delle gare più importanti-
-Che genere di gare ha vinto?- chiesi io
[22.2] -Le più importanti- rispose -poiché ha domato tutte le peggiori belve, quelle che prima lo mangiavano vivo, lo castigavano, facevano di lui un servo. Tutte queste ha vinto e scacciato lontano da sé ed è diventato padrone di se stesso, sicché ora quelle sono asservite a lui come prima era lui asservito ad esse-
[23.1] -Quali sono le belve di cui parli? Bramo vivamente sentirlo da te-
-Innanzi tutto- rispose -l’Ignoranza e l’Errore. O queste non ti sembrano belve?-
-E belve davvero malvagie- risposi io
[23.2] -Poi l’Afflizione, il Rammarico, l’Avidità di denaro, la Non padronanza di sé ed ogni restante Vizio. Egli domina tutto ciò e non ne è dominato, come accadeva prima-
[23.3] -Che belle imprese- dissi io -e che bellissima vittoria! Ma dimmi ancora: quale facoltà ha la corona con la quale affermavi che la Felicità lo incorona?-
[23.4] -La facoltà felicitante, giovanotto. Giacché chi è incoronato con questa facoltà diventa felice e beato e non ripone le proprie speranze di felicità in altri ma in se stesso-
[24.1] -Di che bella vittoria parli! E quando sia stato incoronato, cosa fa e dove va?-
[24.2] -Le Virtù lo prendono con loro e lo conducono nel luogo dal quale era prima venuto. Gli mostrano come passino male il tempo e vivano meschinamente gli esseri umani che là soggiornano, quale naufragio sia la loro vita, come vadano errando e siano condotti quasi in balia di nemici, chi dalla Non padronanza di sé, chi dalla Cialtroneria, chi dalla Avidità di denaro, altri dalla Vanagloria e chi da altri Mali. [24.3] Mali terribili, cui essi sono avvinti e dai quali non sono capaci di affrancarsi, così da salvarsi ed arrivare qua. Essi restano invece nello sconcerto per tutta la vita; e questo sperimentano perché, avendo dimenticato l’ingiunzione del Genio, sono incapaci di trovare la strada che conduce qui-
[25.1] -Mi sembri parlare rettamente. Ma ho ancora questa incertezza: perché le Virtù gli mostrano il luogo dal quale era precedentemente giunto?-
[25.2] -Perché non sapeva precisamente- disse -perché non aveva scienza di nessuna delle cose di là ed era in dubbio. A causa dell’ignoranza e dell’errore che aveva bevuto, egli infatti legittimava come beni quelli che beni non sono e come mali quelli che mali non sono; [25.3] e per questo viveva male, come vivono male gli altri esseri umani che là soggiornano. Ora invece che quest’uomo ha acquisito la scienza delle cose utili, lui stesso vive bene e considera come finiscono male quegli esseri umani-
[26.1] -E quando abbia tutto considerato, cosa fa e dove va ancora?-
-Dove decide lui- rispose -Giacché dappertutto egli è sicuro come chi sta nell’antro Coricio, e dovunque arrivi vivrà benissimo ed in completa sicurezza. Tutti, infatti, lo accoglieranno lietamente, come fanno i sofferenti con il medico-
[26.2] -Non ha più paura di patire qualche danno da parte di quelle donne che dicevi essere belve?-
-Non sarà più disturbato né dalla Doglia, né dalla Afflizione, né dalla Non padronanza di sé, né dalla Avidità di denaro, né dalla Povertà di diairesi né da alcun altro Male. [26.3] L’uomo, infatti, le signoreggia tutte ed è al di sopra di tutto ciò che precedentemente lo affliggeva, come coloro che sono immuni al morso delle vipere. Proprio le vipere, che avvelenano tutti gli altri fino a farli morire, non affliggono coloro che ne sono immuni, poiché questi possiedono gli anticorpi contro il loro veleno. Allo stesso modo anche quest’uomo, poiché possiede gli anticorpi contro i Mali, non ne è più afflitto-
[27.1] -Mi sembri parlare bene. Ma dimmi ancora questo: chi sono coloro che appaiono presentarsi di là dal colle? Alcuni di essi sono incoronati e fanno cenni come d’allegrezza mentre altri, non incoronati, fanno cenni di afflizione e sconcerto, hanno gambe e teste contuse [27.2] e sono trattenuti da alcune donne-
-Gli incoronati sono coloro che si sono salvati pervenendo all’Educazione alla diairesi e sono allegri per averla conseguita. [27.3] Di quelli senza corona alcuni, avendo l’Educazione alla diairesi disperato di loro, tornano indietro mal disposti come gente meschina mentre altri, avvilitisi e non saliti alla Fortezza, tornano indietro a loro volta e vanno errando per strade impervie-
[27.4] -E chi sono le donne che li seguono?-
-Sono Afflizioni- rispose -sono Doglie, Prostrazioni, Infamie, Ignoranze-
[28.1] -Stai affermando che tutti i mali li seguono?-
-Tutti i mali, per Zeus, li seguono! continuò. E qualora questi esseri umani, nel primo recinto, si presentino a Lascivia ed alla Non padronanza di sé, [28.2] non accusano se stessi ma si affrettano a parlar male dell’Educazione alla diairesi e degli uomini che a lei vanno, affermando che sono dei disgraziati, dei meschini e degli infelici i quali, abbandonata la vita che si conduce in compagnia della Lascivia e della Non padronanza di sé, vivono male e non fruiscono dei beni che esse dispensano-
[28.3] -E quali cose costoro chiamano beni?-
-La dissolutezza e la non padronanza di sé, per dirla sommariamente. Giacché ritengono fruizione dei sommi beni il montare a modo del bestiame-
[29.1] -Le altre donne che si presentano di là, ilari e ridenti, come si chiamano?-
[29.2] -Si chiamano Opinioni- rispose -Esse, dopo aver condotto all’Educazione alla diairesi quanti entreranno dalle Virtù, stanno tornando indietro per condurne altri e stanno annunziando che gli uomini da esse prima menati lassù sono ormai diventati felici-
[29.3] -Ma le Opinioni- chiesi io -non fanno ingresso presso le Virtù?-
-No- rispose -Esse, giacché non è lecito ad una Opinione fare ingresso presso la Scienza, consegnano le persone all’Educazione alla diairesi. [29.4] Poi, quando l’Educazione alla diairesi abbia preso queste con sé, le Opinioni tornano indietro per condurre altre persone, come navi mercantili che, scaricato il carico, tornano indietro e rifanno il carico di altre merci-
[30.1] -Mi sembra che tu abbia spiegato queste cose davvero bene- dissi io -Ma non ci hai ancora chiarito che cosa il Genio ingiunge di fare a coloro che fanno ingresso nella Vita-
[30.2] -Di avere coraggio- rispose -Abbiatelo quindi anche voi, giacché io spiegherò tutto e non tralascerò nulla-
-Dici bene- risposi io
[30.3] Protesa dunque di nuovo la mano verso il dipinto
-Vedete- disse -quella femmina che appare essere cieca, che sta ritta sopra una pietra rotonda e che poco fa vi dissi chiamarsi Fortuna?-
-La vediamo-
[31.1] -Il Genio intima- continuò -di non fidarsi di lei, di non legittimare come salda e sicura qualunque cosa si riceva da lei e di non ritenerla come nostra propria; [31.2 ] giacché nulla impedisce che queste cose ci siano di nuovo sottratte e date ad un altro. La Fortuna è spesso solita far questo, ed a cagione di ciò il Genio intima di essere equilibrati nei confronti del suo dare, senza cioè rallegrarsi qualora dia e senza scoraggiarsi qualora sottragga, senza denigrarla e senza lodarla. [31.3] Essa infatti nulla fa con raziocinio ma tutto a casaccio e come capita, come prima vi dissi. Per questo il Genio intima di non meravigliarsi, qualunque siano le operazioni che essa effettua e di non diventare simili ai cattivi banchieri. [31.4] QQQ uando i cattivi banchieri ricevono del denaro dalla gente, si rallegrano e lo legittimano come loro proprio. Quando poi ne siano richiesti, fremono e credono di avere patito un terribile torto, senza ricordare che avevano ricevuto i depositi a patto che non vi fosse alcun impedimento a ritrasferire il deposito. [31.5] Il Genio intima dunque di comportarsi allo stesso modo nei confronti di quanto la Fortuna dà e di ricordare che essa ha natura siffatta da sottrarre quel che ha dato, poi di ridarlo immediatamente moltiplicato, poi di seguito di sottrarre quel che ha dato e non solo questo, ma pure quel che si aveva prima. [31.6] Quello che dunque la Fortuna dà, il Genio intima di prenderlo e di spicciarsi ad uscire dal primo recinto, mirando al dare saldo e sicuro-
[32.1] -Qual è il dare saldo e sicuro?- chiesi io
-Quello che riceveranno dall’Educazione alla diairesi, se si salveranno giungendo lassù da lei-
-Qual è questo dare?-
[32.2] -La scienza vera delle cose utili- rispose -Questo è il dare sicuro, saldo e senza rimorsi. [32.3] Il Genio intima dunque di spicciarsi a fuggire verso l’Educazione alla diairesi e qualora quelli che fanno ingresso nella Vita si avvicinino a quelle femmine che anche prima dicevo chiamarsi Non padronanza di sé e Lascivia, egli intima di spicciarsi ad allontanarsene ed a non fidarsi per nulla di loro, fino a che non siano arrivati alla Pseudoeducazione. [32.4] Intima quindi di trastullarsi qui qualche tempo e di prendere dalla Pseudoeducazione, come viatico, qualunque cosa decidano di prendere; ma poi di spicciarsi ad andarsene di qui alla volta della vera Educazione. [32.5] Questo è quanto ingiunge il Genio. E chi fa qualcosa di contrario a queste ingiunzioni o le fraintende, perisce malamente da vizioso. [33.1] Forestieri, siffatta è dunque la storia dipinta sulla tavola. Se intendete sapere ancora qualcosa su ciascuna delle figure dipinte, io non ricuserò di rispondervi-
[33.2] -Stai parlando bene- dissi io -Ma il Genio, a chi fa ingresso nella Vita, cosa intima di prendere dalla Pseudoeducazione?-
-Le cose che sembrano proficue-
-E quali sono?-
[33.3] -Le lettere- rispose -e, tra le altre conoscenze, quelle che anche Platone afferma aver quasi facoltà di briglie per i giovani, affinché non siano distratti ad altro-
[33.4] -Ma è necessario che chi intende giungere alla vera Educazione riceva queste conoscenze, oppure no?-
-Non vi è alcuna necessità- rispose -quantunque esse siano proficue per venirvi più celermente. Tuttavia queste conoscenze nulla conferiscono per diventare migliori-
[33.5] -Stai affermando che queste conoscenze non sono proficue per far diventare gli uomini migliori?-
-Sto dicendo che è possibile agli esseri umani diventare migliori, cioè uomini, anche senza queste conoscenze; quantunque esse pure non manchino di una certa proficuità. [33.6] Come infatti a volte noi contribuiamo a quanto viene detto in una discussione grazie all’opera di un interprete, anche se non sarebbe improficuo che noi pure sapessimo parlare quella lingua, giacché questo ci permetterebbe di capire con maggiore precisione; così nulla impedisce agli esseri umani di diventare migliori anche senza queste conoscenze-
[34.1] -Dunque quelli che possiedono queste conoscenze, quanto al diventare migliori non sono superiori agli altri uomini?-
[34.2] -Come possono essere superiori, dal momento che dimostrano di essersi ingannati sui beni e sui mali come gli altri esseri umani e sono ancora trattenuti nel secondo recinto da ogni sorta di vizio? [34.3] Giacché nulla impedisce di sapere le lettere e di possedere tutte le conoscenze della Pseudoeducazione ed ugualmente di essere un ubriacone, un individuo non padrone di sé, avido di denaro, ingiusto, traditore e, alla fine, uno stolto-
[34.4] -Senza fallo è possibile vedere molti uomini siffatti-
-Quanto al diventare migliori, cioè uomini, grazie a queste conoscenze, in che modo sono dunque costoro superiori agli altri esseri umani?-
[35.1] -Il tuo ragionamento dimostra che essi non sono in alcun modo superiori. Ma qual è la causa- chiesi io -del fatto che soggiornano nel secondo recinto come coloro che si accostano alla vera Educazione?-
[35.2] -E questo a che giova loro- rispose -quando è possibile vedere gente che, provenendo dal primo recinto, dalla Non padronanza di sé e da ogni altro Vizio, si presenta direttamente al terzo recinto, alla vera Educazione, quella alla diairesi, lasciandosi indietro i possessori di queste conoscenze della Pseudoeducazione? Sicché come si può ancora dire che essi siano superiori, quando invece sono più torpidi e tardi ad imparare?-
[35.3] -Com’è possibile questo?- chiesi io
-A parte il resto, anche coloro che soggiornano nel secondo recinto, come quelli che soggiornano nel primo, non sanno ciò che pretendono di sapere. E finché hanno l’opinione di sapere è necessario che siano torpidi ad impellere verso la vera Educazione. [35.4] E poi non vedi l’altro fatto, cioè che le Opinioni, provenendo dal primo recinto, fanno ugualmente ingresso presso di loro? Sicché questi non sono migliori di quelli, a meno che anche a questi non si accompagni il Ravvedimento e si convincano di avere non Educazione alla diairesi ma Pseudoeducazione, e che ad opera sua sono ingannati. [35.5] Disposti tuttavia come sono, non si salverebbero mai. Forestieri- disse -voi fate quindi così ed attenetevi a quanto detto fino a prenderne un abito. Queste medesime cose bisogna sopravvederle spesso e non smettere di ritenere le altre accessorie. Altrimenti ciò che avete ora ascoltato non vi sarà di alcun pro-
[36.1] -Lo faremo. Ma spiegaci questo: come mai non sono beni quelli che gli uomini ricevono dalla Fortuna; cose ad esempio come il vivere, l’essere in salute, essere ricchi, essere applauditi, avere figliolanza, vincere, e quant’altre cose somigliano a queste? [36.2] E come mai, a loro volta, non sono mali le cose opposte? Quel che hai detto ci pare infatti assai paradossale ed incredibile-
-Orsù dunque- disse -prova a rispondere secondo il tuo parere alle domande che ti rivolgerò-
[36.3] -Lo farò- dissi io
-Se uno vive male, il vivere è per lui un bene?-
-Non mi sembra- risposi io -ma un male-
-Com’è dunque un bene il vivere- continuò -se per costui è invece un male?-
[36.4] -Perché il vivere a me sembra un male per coloro che vivono male, ed invece un bene per coloro che vivono bene-
-Dunque stai dicendo che il vivere è sia un male che un bene?-
-Sì, io dico così-
[37.1] -Non dire cose inverosimili. E’ impossibile che la stessa faccenda sia un male ed un bene. Giacché allora la stessa faccenda sarebbe costantemente sia giovevole che dannosa, sia da scegliersi che da fuggirsi-
[37.2] -Sì, è inverosimile. Ma come fa a non succedere un male a colui che vive male? E se dunque gli succede un male, proprio il vivere è male-
-Ma il vivere ed il vivere male non sono la stessa cosa. Oppure hai un parere diverso?-
-Senza fallo, neppure a me sembrano essere la stessa cosa-
[37.3] -Ad essere un male è quindi il vivere male, ma il semplice vivere non è un male, giacché se fosse un male, a coloro che vivono bene succederebbe un male perché comunque succede loro di vivere, il che appunto tu dici essere un male-
-Mi sembra che tu stia dicendo il vero-
[38.1] -Poiché quindi avviene che vivano entrambi, sia coloro che vivono bene sia coloro che vivono male, il vivere non potrebbe che essere né un bene né un male. Come non è il tagliare ed il cauterizzare, nel caso degli infermi, ad essere causa di malattia o salute ma il modo in cui si taglia; così pure nel caso della vita, non è il vivere di per sé ad essere un male, ma il vivere male-
[38.2] -E’ così-
-Se quindi le cose stanno così, considera se tu decideresti di vivere male oppure di morire bene e virilmente-
-Io, di morire bene-
[38.3] -E dunque neppure il morire è un male, se spesso il morire è preferibile al vivere-
-E’ così-
[38.4] -Lo stesso discorso vale anche circa l’essere in salute o l’essere malati. Giacché spesso non è utile essere in salute ma il contrario, qualora la circostanza sia tale da renderlo preferibile-
-Stai dicendo il vero-
[39.1] -Orsù, anche riguardo alla ricchezza di denaro, analizziamo se è davvero possibile considerare –come spesso è possibile vedere- che ad una persona succeda di essere ricco di denaro ma di vivere male e meschinamente-
-Per Zeus, di uomini simili se ne possono vedere molti!-
[39.2] -Dunque la ricchezza di denaro non aiuta costoro a vivere bene?-
-Non pare aiutarli, giacché costoro sono insipienti-
[39.3] -Dunque non è la ricchezza di denaro a fare gli uomini virtuosi, ma l’Educazione alla diairesi-
-E’ verosimile-
-In conseguenza di questo discorso, neppure la ricchezza di denaro è un bene, se appunto non aiuta quelli che l’hanno ad essere migliori-
-Così pare-
[39.4] -Quindi ad alcuni neppure è utile essere ricchi di denaro, qualora non sappiano usare la ricchezza di denaro-
-Mi sembra vero-
-Dunque, come si giudicherebbe essere un bene ciò che spesso non è utile avere?-
[39.5] -In nessun modo-
-Se dunque uno sa usare bene ed espertamente della ricchezza di denaro, vivrà bene; se no, vivrà male-
-Mi sembra che tu stia dicendo una cosa verissima-
[40.1] -Insomma è possibile apprezzare queste cose come beni o deprezzarle come mali, e proprio questo è ciò che sconcerta e danneggia gli esseri umani. Qualora, infatti, le apprezzino e credano possibile essere felici soltanto grazie ad esse, essi soggiacciono ad effettuare per causa loro qualunque azione e non schivano anche quelle che appaiono le più empie e vergognose. [40.2] E questo sperimentano a causa dell’ignoranza di cosa sia il bene. Essi ignorano che un bene non nasce da mali. [40.3] Invece è possibile vedere molte persone acquisire ricchezza di denaro con azioni cattive e vergognose, dico ad esempio con il tradimento, con la depredazione, l’omicidio, la delazione, la frode e molte altre azioni depravate-
-E’ così-
[41.1] -Se quindi nessun bene nasce da un male, com’è verosimile, e la ricchezza di denaro nasce da cattive azioni, è necessario che la ricchezza di denaro non sia un bene-
-Avviene così, in conseguenza di questo discorso-
[41.2] -Ora, poiché non è possibile acquisire la saggezza né l’operare con giustizia attraverso le cattive azioni, allo stesso modo che non è possibile acquisire l’operare contro la giustizia né la stoltezza attraverso le azioni virtuose, queste due cose non possono succedere contemporaneamente alla stessa persona. [41.3] Invece nulla impedisce che la ricchezza di denaro, la fama, la vittoria e le restanti cose che somigliano a queste, succedano ad una persona assieme a grandi vizi. Sicché queste cose non potrebbero essere né beni né mali, ma soltanto la saggezza è bene, mentre la stoltezza è male-
[41.4] -Mi sembra che tu abbia parlato a sufficienza- dissi io.