Categories
Uncategorized

ATENEO di NAUCRATI

Un breve accenno alla vita di Ateneo

Quando Marco Aurelio morì, nel 180 d.C., Ateneo doveva essere un bambino di circa dieci anni. Era un Greco che la sorte fece nascere in Egitto, a Naucrati: una cittadina sul delta del Nilo che aveva storicamente svolto il ruolo di principale punto di appoggio per gli scambi mercantili tra Greci ed Egiziani prima della fondazione, poco meno di un centinaio di chilometri più ad nord-ovest, della celebre Alessandria. Ateneo visse a Roma, e le poche evidenze sparse nella sua opera, come la citazione dell’imperatore Commodo, figlio di Marco Aurelio, e del giurista Ulpiano di Tiro quali suoi contemporanei, fanno pensare che egli sia quindi vissuto anche sotto la dinastia dei Severi fino a circa il 230 d.C. ossia sino al tempo di Alessandro Severo, ultimo rappresentante di tale dinastia.

Un brevissimo accenno alle opere di Ateneo

Sappiamo, poiché lo dichiara lui stesso, che egli fu l’autore di due opere ora entrambe perdute: una storia dei re di Siria ed una monografia su una commedia di Archippo. La sua fama è però legata alla fortunata sopravvivenza della sua opera intitolata ‘I Deipnosofisti’. Come dice il titolo, si tratta di un’opera nella quale Ateneo immagina che un nutrito gruppo di persone colte si intrattengano piacevolmente a cenare e a discutere degli argomenti più vari. Gran parte dell’informazione contenuta nell’opera ha a che fare con argomenti attinenti i cibi, le bevande, il modo di servire i piatti, le danze, la musica, i giochi e così via, ma pullula anche di notizie su quasi ottocento scrittori e di citazioni da circa duemilacinquecento opere che sarebbero altrimenti rimaste per noi completamente sconosciute.

La mia scelta dei Frammenti greci di Ateneo

Il mio modesto contributo è stato, in questo caso, quello di raccogliere le citazioni che nell’opera di Ateneo hanno un riferimento diretto agli Stoici e allo Stoicismo; e di presentarle in un modo semplicemente più leggibile, visto che esse si trovano comunque tutte sparse qua e là nella mia traduzione di tutti i frammenti greci degli ‘Stoicorum Veterum Fragmenta’ e che è accessibile cliccando qui.

ATENEO DI NAUCRATI

I DEIPNOSOFISTI
ovvero
I SOFISTI A BANCHETTO

Un celebre banchetto di Sofisti

ANTIPATRO DI TARSO

V, 186a = SVF III [AT], 14 [2] In città vi sono circoli filosofici che si richiamano a molti filosofi diversi, e si chiamano ‘circolo dei seguaci di Diogene’, ‘circolo dei seguaci di Antipatro’, ‘circolo dei seguaci di Panezio’.

V, 186c = SVF III [AT], 14 [1]
Una volta che organizzò un convito, il filosofo Antipatro dispose per norma che i partecipanti discorressero di questioni filosofiche aperte.

VIII, 346c = SVF III [AT], 64
Antipatro di Tarso, lo Stoico, nel quarto libro ‘Sulla superstizione’ afferma che da parte di alcuni si racconta che Gatis, la regina dei Siri, era una mangiona così ingorda di pesce da far proclamare che nessuno era autorizzato a mangiare pesce eccetto Gatis. E dice poi che i più, per ignoranza, chiamavano lei Atargatis e si astenevano dal mangiare pesci.

XIII, 643f = SVF III [AT], 65
Di quelle focacce di cui abbiamo ritrascritto i nomi, noi te ne faremo parte, e non come della focaccia mandata da Alcibiade a Socrate. Infatti, quando Santippe la trattò con derisione Socrate le disse: “Dunque tu non ne avrai neppure una fetta!” (Questa storia è raccontata da Antipatro nel primo libro ‘Sull’ira’). Io invece, essendo un amante delle focacce non avrei permesso che quella divina focaccia fosse trattata con tale insolenza.

ARISTONE DI CHIO

VI, 251c = SVF I, 342
Timone di Fliunte, nel terzo libro dei ‘Silli’ afferma che Aristone di Chio, discepolo di Zenone di Cizio, divenne un adulatore di Persèo, e che questi era compagno del re Antigono.

VII, 281c = SVF I, 341
Pure alcuni degli Stoici s’appigliarono, insieme ad altri, a queste ebbrezze della carne. Infatti Eratostene il Cirenaico, il quale fu discepolo dello Stoico Aristone di Chio, nell’opera intitolata ‘Aristone’ rappresenta palesemente il maestro che successivamente impelle all’effeminatezza, dicendo così: “Già alcune volte ho rintracciato anche costui mentre perforava il muro divisorio tra le ebbrezze della carne e la virtù, per poi comparire dalla parte delle ebbrezze della carne”.

VII, 281d = SVF I, 408
E Apollofane, che era anch’egli un conoscente di Aristone, nell’opera ‘Aristone’, giacché anche lui intitolò così la sua compilazione, fa trasparire l’amore del maestro per le ebbrezze della carne.

CLEANTE DI ASSO

VIII, 354e = SVF I, 624
Non è priva di grazia la risposta di Sfero, che fu condiscepolo di Crisippo presso Cleante, il quale, convocato ad Alessandria alla corte del re Tolomeo, una volta che durante il pranzo furono serviti in tavola degli uccelli di cera, mentre stendeva la mano verso di essi fu trattenuto dal re in quanto stava dando il suo assenso ad una falsa rappresentazione. La risposta di Sfero, infatti, colse nel segno, giacché egli disse che stava dando il suo assenso non alla rappresentazione che essi fossero uccelli ma a quella della ragionevolezza che esse fossero uccelli. Vi è infatti differenza tra la rappresentazione catalettica e la rappresentazione della ragionevolezza di qualcosa. La prima, infatti, non è mendace; mentre per la ragionevolezza di qualcosa può succedere altrimenti.

XI, 467d = SVF I, 591 [1]
Il filosofo Cleante, nel suo libro ‘Sulla commutazione’ afferma che la coppa Tericlea e la coppa Diniade sono state chiamate così dai nomi dei rispettivi fabbricanti. 

XI, 471b = SVF I, 591 [2] Nella sua trattazione ‘Sulla commutazione’, Cleante afferma: “I nomi delle invenzioni di uomini come Tericle, Dinia, Ificrate, e quante altre sono dello stesso genere, sono facilmente comprensibili. Infatti questi nomi si rifacevano in un primo tempo a quello degli inventori, e questo appare anche ora. Se così non è, il nome potrebbe essere stato un poco mutato. Ma, com’è stato detto, non è il caso di fidarsi del primo che capita”.

CRISIPPO DI SOLI

I, 4e =  SVF III [App. II] XXVIII, 6 [1]
Archestrato di Siracusa o di Gela, nell’opera che secondo Crisippo s’intitola ‘Gastronomia’, ma secondo Linceo e Callimaco ‘Vita sensuale’…

I, 5e = SVF III [App. II] XXVIII, 10
Alcune focacce presero il nome di ‘filossenie’ da questo Filosseno. Su di lui Crisippo dice: “Io ho in mente un certo mangione ingordo al quale, dopo i fatti accaduti, era a tal punto decaduto il senso di rispetto per chi gli era vicino che alle terme, e sotto gli occhi di tutti, egli soleva abituare la mano ai cibi caldi ficcandola nell’acqua calda, e che faceva gargarismi con acqua calda in bocca manifestamente al fine di diventare resistente ai cibi caldi. Dicevano anche che subornasse i cucinieri a portare in tavola cibi caldissimi che lui soltanto era in grado di consumare, non potendo tutti gli altri seguirne l’esempio”.

I, 8c = SVF III [App. II] XXVIII, 15
Dice Crisippo: “Non lasciarti sfuggire un banchetto in cui non c’è da pagare la quota”.

I, 9c = SVF III [App. II] XXVIII, 9
La vivanda che molti chiamano, come afferma Crisippo nell’opera ‘Sul bello e sul piacere fisico’, lastaurocaccabo, e la cui preparazione è assai complessa….

I, 18b = SVF III, 708
Con l’occhio a ciò ch’è confacente, Omero ci mette innanzi gli eroi mentre banchettano con non altro che carni e mentre se le imbandiscono; giacché non gli suscita né una risata né vergogna il vederli nell’atto di preparare le vivande e di farle cuocere. Essi infatti, afferma Crisippo, affettavano la loro indipendenza dai servi e si facevano belli della loro versatilità. Così Odisseo afferma di essere destro come nessun altro nello scalcare le carni e nell’ammonticchiare legna per il fuoco. Nelle ‘Preghiere’, Patroclo e Achille mettono in pronto ogni cosa, e quando Menelao celebra le nozze, lo sposo Megapente fa da coppiere. Adesso invece siamo scesi così in basso che banchettiamo sdraiati.

II, 67c =  SVF III [App. II] XXVIII, 14
Il filosofo Crisippo afferma che il miglior aceto è l’aceto d’Egitto e quello di Cnido.

III, 89d-e = SVF II, 729a
Crisippo di Soli nel quinto libro ‘Sul bello e sul piacere fisico’ afferma: “La pinna e il pinnotèro cooperano fra di loro, e non possono restare ciascuno per conto proprio. La pinna è un’ostrica e il pinnotèro è un piccolo granchio. La pinna, una volta aperte le valve, se ne sta quieta ed ha cura che i pesciolini le si avvicinino da presso. Il pinnotèro le sta accanto e, quando qualcosa entra tra le valve, le dà un morso per segnale. Al che la pinna, sentendosi morsa, chiude le valve. E così i due divorano in comune quel che è rimasto preso dentro la conchiglia.

III, 104b = SVF III, 709 [1]
Dunque, cari amici, se uno volge lo sguardo a queste cose, loderebbe verosimilmente il buon Crisippo, il quale vede con precisione dall’alto ‘La natura’ di Epicuro ed afferma che madrepatria della sua filosofia è il trattato di gastronomia di Archestrato, questa nobile epopea che tutti i filosofi ghiottoni proclamano essere il loro Teognide. 

IV, 137f = SVF III [App. II] XXVIII, 3
Nel quarto dei suoi libri ‘Sul bello e sul piacere fisico’ Crisippo afferma: “Le storie raccontano che non molto tempo fa ci furono ad Atene due pranzi, uno al Liceo e uno all’Accademia. In quello all’Accademia, il cuciniere portò in tavola il cibo su di un piatto che era invece destinato ad un altro uso. Gli ispettori mandarono allora in tanti pezzi quel manufatto in ceramica poiché era stato introdotto nel sacrificio del vasellame estero e non cittadino, quando invece era doveroso astenersi da simili manufatti d’importazione. In quello al Liceo, invece, un cuciniere che aveva apparecchiato della carne salata come si apparecchia il pesce salato, fu frustato per malvagia sofisticazione alimentare”.

IV, 158a = SVF III, 709a 
È un giudizio stoico che il sapiente farà bene ogni cosa e che condirà con saggezza anche un piatto di lenticchie. Per questo, Timone di Fliunte diceva di un tale “che non ha imparato a lessare saggiamente le lenticchie alla Zenone”, come se le lenticchie non potessero essere lessate [III,178,25] in un modo diverso dalla ricetta di Zenone, il quale diceva 

“di aggiungere alle lenticchie un dodicesimo di semi di coriandolo”.

Cratete di Tebe soleva dire che 

“per portare in auge un piatto diverso dalle lenticchie, non gettare tra di noi la sedizione”.

Crisippo, nel libro ‘Sul bello’, introducendo alcune massime dice:

‘Non mangiare mai l’oliva quando hai l’ortica.
D’inverno, oh! oh! una zuppa di bulbi e lenticchie.
Quando il freddo agghiaccia, una zuppa di bulbi e lenticchie è pari all’ambrosia’

IV, 159a = SVF III [App. II] X, 2.
<Ma Capaneo non era> come quel tale che il buon Crisippo descrive nel suo libro ‘Sulle cose che possono essere scelte non per se stesse’ dicendo così: “A tal punto certuni cadono in basso davanti al denaro, che le storie raccontano di uno che, ormai in fin di vita, morì dopo avere ingoiato non poche monete d’oro; e di un altro che, dopo averle fatte cucire in un chitone ed averlo vestito, lasciò ai familiari quale sua ultima volontà quella di essere sepolto così com’era, senza cremarlo e senza accudire in alcun modo al suo corpo”.

IV, 159d = SVF III [App. II] XVII, 2
Crisippo, nell’introduzione al trattato ‘Sui beni e sui mali’ afferma che un ricchissimo giovanotto proveniente dalla Ionia risiedeva ad Atene e portava indosso un manto di porpora con il lembo dorato. Quando un tale cercò di sapere da lui di che paese fosse, quello rispose che era ricco.

VI, 267b =  SVF III, 353
Come scrive nel secondo libro ‘Sulla concordia’, Crisippo afferma che vi è differenza tra un servo comprato con denaro e un servo nato in casa, a causa del fatto che i liberti sono ancora in condizione servile mentre invece i servi nati in casa non vengono scorporati dal patrimonio, giacché “il servo nato in casa” – egli dice – “è un servo incorporato nel patrimonio domestico”.

VII, 278e = SVF III, 709 [2] 
Crisippo, da effettivo filosofo e uomo in tutto, afferma che è Archestrato l’autore fondamentale di riferimento per Epicuro e per coloro che fanno scienza della dottrina, profonda guastatrice d’ogni cosa, dell’ebbrezza. Epicuro, infatti, non si copre la bocca ma lo dice a gran voce: “Quanto a me, io non posso proprio pensare al bene se è disgiunto dall’ebbrezza legata ai sapori e ai rapporti sessuali”. Questo sapiente crede che anche la vita dei dissoluti sarebbe irredarguibile se ad essa sopravvenissero l’assenza di paura e la pacatezza.

VII, 285d = SVF III [App. II] IX, 2
Nel suo libro ‘Sulle cose che possono essere scelte per se stesse’, il filosofo Crisippo afferma: “Ad Atene la gente disdegna le acciughe a causa della loro sovrabbondanza, e dice trattarsi di una pietanza da poveracci. Nelle altre città, invece, la gente va matta per le acciughe anche se sono di peggiore qualità. Inoltre, dice sempre Crisippo, qui alcuni si danno un gran da fare nell’allevamento di volatili dell’Adriatico, pur se di minor pregio di quelli delle nostre parti in quanto molto più piccoli. E però quelli là, al contrario, importano i volatili allevati qui”.

VIII, 335b = SVF III [App. II] XXVIII, 5 [1]
Cari amici, mentre ammiro Crisippo, lo scolarca della Stoa, per molti motivi, io ancor più lo lodo perché mette il tanto decantato Archestrato, autore del trattato di gastronomia, sempre allo stesso livello di Filenide, alla quale si attribuisce quell’impudica compilazione sui piaceri sessuali.

VIII, 335d-e = SVF III [App. II] XXVIII, 5 [2]
Ma nel quinto dei suoi libri ‘Sul bello e sul piacere fisico’ il più che ammirevole Crisippo afferma: “Poi ci sono i libri di Filenide e la ‘Gastronomia’ di Archestrato, eccitanti dell’appetito ed eccitanti al sesso. Similmente, ci sono ancelle esperte di questi tipi di movenze e di posizioni e della loro pratica”. E di nuovo: “Essi imparano a memoria le cose di questo genere e acquistano gli scritti in argomento di Filenide, di Archestrato e di consimili scrittori”. E nel settimo libro afferma: “Proprio com’è possibile non imparare a memoria i libri di Filenide e la ‘Gastronomia’ di Archestrato con l’idea che essi apportino qualcosa per vivere meglio”.

VIII, 336a =  SVF III [App. II] XXVIII, 11 [1]
Sulla tomba di Sardanapalo, Crisippo dice che era stata posta la seguente epigrafe:

“Ben sapendo che nascesti mortale, scatena le tue voglie
e deliziati pensando a quanto hai gozzovigliato: non c’è per te conforto alcuno da morto.
Ecco, infatti io sono polvere; io che pur regnai sulla grande Ninive.
Questo posseggo: quel che mangiai, gli oltraggi che commisi e i piaceri sessuali
che godetti. Per il resto, tutte le mie ricchezze si sono dissolte”.

VIII, 336f = SVF III [App. II] XXVIII, 11 [2] 
L’epigrafe sulla tomba di Sardanapalo starebbe meglio, dice Crisippo, se fosse commutata così:

“Ben sapendo che nascesti mortale, scatena le tue voglie
e deliziati di discussioni filosofiche: non c’è per te conforto alcuno nel mangiare.
Ecco, infatti io sono un cencio; io che pur mangiai e godetti a più non posso.
Questo posseggo: quel che imparai, quel che cogitabondo meditai e, grazie a ciò,
quanto di prode sperimentai. Tutto il resto, pur piacevole, è stato lasciato alle spalle”.

VIII, 354e = SVF I, 624
Non è priva di grazia la risposta di Sfero, che fu condiscepolo di Crisippo presso Cleante, il quale, convocato  ad Alessandria alla corte del re Tolomeo, una volta che durante il pranzo furono serviti in tavola degli uccelli di cera, mentre stendeva la mano verso di essi fu trattenuto dal re in quanto stava dando il suo assenso ad una falsa rappresentazione. La risposta di Sfero, infatti, colse nel segno, giacché egli disse che stava dando il suo assenso non alla rappresentazione che essi fossero uccelli ma a quella della ragionevolezza che esse fossero uccelli. Vi è infatti differenza tra la rappresentazione catalettica e la rappresentazione della ragionevolezza di qualcosa. La prima, infatti, non è mendace; mentre per la ragionevolezza di qualcosa può succedere altrimenti.

IX, 373a = SVF III [App. II] XXVIII, 4
Nel quinto dei suoi libri ‘Sul bello e sul piacere fisico’ il filosofo Crisippo scrive così: “Proprio come alcune persone sono inclini a ritenere gli uccelli bianchi più piacevoli al gusto di quelli neri”.

XI, 464d = SVF III, 667
Crisippo, nell’introduzione al trattato ‘Sui beni e sui mali’ afferma che i più appiccano il termine ‘pazzia’ alla maggior parte delle cose, e che pertanto si parla di ‘pazzia per le donne’ e di ‘pazzia per le quaglie’. Alcuni chiamano ‘pazzi per la fama’ gli amanti della fama, come chiamano ‘pazzi per le donne’ gli amanti delle donne e ‘pazzi per gli uccelli’ gli amanti dei volatili, e questi nomi significano tutti la stessa cosa. Sicché anche il resto si può chiamare non impropriamente [III,167,10] in questo modo. Per esempio, chi ama le ghiottonerie e la buona tavola è ‘pazzo per le ghiottonerie’, chi ama il vino è ‘pazzo per il vino’, e allo stesso modo si può dire per i casi simili; ed è non improprio affermare che in essi giaccia la pazzia in quanto aberrano come dei pazzi e, ancor più, sono sconnessi dalla verità.

XIII, 565a = SVF III [App. II] XXVIII, 2
Come afferma il vostro Crisippo nel quarto dei suoi libri ‘Sul bello e sul piacere fisico’, la pratica di radersi la barba è stata escogitata ai tempi di Alessandro. Sono persuaso di non essere intempestivo nel ricordarne le parole, giacché io molto mi rallegro di quell’uomo per la sua vasta cultura ed il carattere acquiescente. Il filosofo dice dunque così: “La pratica di radersi la barba è stata promossa ai tempi di Alessandro, anche se i primi cittadini non la seguivano. Il flautista Timoteo, infatti, suonava avendo una folta barba, e in Atene serbano a dovere il non antichissimo ricordo che il primo a tagliarsi la barba ebbe il soprannome di ‘Tosato’ ”.
Perciò anche Alessi da qualche parte diceva:

‘Se vedi qualcuno depilato con la pece o rasato,
ebbene deve trovarsi in una o l’altra di queste due condizioni:
a me pare, infatti, che o divisi una campagna militare
nella quale compiere tutte cose opposte alla sua barba;
oppure costui è incolto in qualche vizio da ricchi.
Ma per gli dei, perché mai ci affliggono i peli,
se è grazie ad essi che ciascuno di noi appare essere uomo;
a meno che tu non intenda sotto sotto effettuare qualcosa di contrario ad essi’.

“Quando Diogene vide un tale col mento rasato, gli disse: ‘Hai forse qualche motivo per incolpare la natura d’averti fatto uomo e non donna?’. Quando poi vide in sella ad un cavallo un altro individuo similarmente rasato, tutto profumato e con indosso abiti confacenti a questo stato, gli disse che da tempo ricercava che animale fosse l’ippoporno, e che adesso l’aveva trovato. A Rodi c’è una legge che vieta di radersi, ma non c’è una sola persona che la prenda in parola giacché tutti si radono. A Bisanzio poi, pur se è comminata una multa al barbiere che possiede un rasoio, nondimeno tutti ne fanno uso”. Queste sono le cose che ha detto l’ammirevole Crisippo.

XIV, 616a = SVF III [App. II] XXVIII, 7
Nel quinto dei suoi libri ‘Sul bello e sul piacere fisico’ il filosofo Crisippo scrive di Pantaleone le seguenti cose: “Quando stava per morire, quel vagabondo impostore di Pantaleone ingannò entrambi i suoi due figli dicendo in privato, prima all’uno e poi all’altro, che rivelava soltanto a lui dove aveva sotterrato il proprio oro. Sicché successivamente, dopo avere in comune scavato come matti, i due si accorgessero di essere stati ingannati”.

XIV, 616b = SVF III [App. II] XXVIII, 8
Al nostro convito non può fare difetto qualcuno amante degli scherni. Circa un tale di questo genere, di nuovo nel quinto dei suoi libri ‘Sul bello e sul piacere fisico’ Crisippo scrive: “Quando stava per essere sgozzato dal boia, un tale amante degli scherni disse di voler morire cantando come fa il cigno. E poiché il boia acconsentì, quello lo schernì”.

XIV, 648c
Ciò spiegato, il saggio Ulpiano disse: “O eruditissimi grammatici, su quali libri e in quale biblioteca questi due eccellentissimi scrittori, Crisippo e Arpocratione, sono apparsi a voi calunniare i nomi di ottimi filosofi per questioni di omonimia?” 

XIV, 659a = SVF III [App. II] XXVIII, 13.
Gli antichi chiamavano ‘Mesone’ il cuoco loro concittadino, e chiamavano ‘Tettige’ (ovvero ‘Cicala’) quello che era non concittadino. Il filosofo Crisippo crede che il nome ‘Mesone’ venga dal verbo ‘masticare’, come per accennare al fatto che si tratta di un individuo incolto e che bada alla pancia. Egli ignora però che Mesone è stato un attore di commedia, nato a Megara, il quale inventò la maschera che da lui prese il nome Mesone, come afferma Aristofane di Bisanzio nel suo libro ‘Sulle maschere’. 

XV, 686f = SVF III [App. II] XXVIII, 12
Il più che ammirevole Crisippo afferma che gli olii odorosi prendono questo nome dal fatto di essere ottenuti dopo una lavorazione molto spossante e una fatica da matti. Gli Spartani scacciano da Sparta i produttori di olii odorosi in quanto rovinano l’olio, e coloro che vi mettono a bagno le lane in quanto ne fanno sparire il biancore. E il sapiente Solone ha vietato per legge a quegli uomini di commerciare gli olii odorosi.

DIOGENE DI BABILONIA

IV, 168e = SVF III [DB], 52
Diogene di Babilonia, nei suoi libri ‘Sulla nobiltà di stirpe’ afferma: “Non c’era un solo Ateniese che non odiasse Foco, il figlio di Focione; e chiunque, quando lo incontrasse, gli diceva: ‘O disonore della famiglia!’. Aveva infatti dilapidato tutto il patrimonio paterno in dissolutezze e, dopo avere fatto questo, s’era messo ad adulare chi controllava la collina di Munichia; cosa per la quale era sferzato dai sarcasmi di tutti. Una volta che si raccoglievano i donativi, venne anche lui in assemblea e disse: ‘Offro anch’io un donativo’; al che gli Ateniesi all’unisono gridarono a gran voce: ‘Sì, all’impudenza!’. Foco era anche un amante del bere. Una volta aveva vinto nella corsa dei cavalli alle Panatenee e suo padre ne riceveva a banchetto i compagni. Quando si riunirono per il pranzo, l’apparato era sontuoso ed a chi entrava erano forniti dei bacili per il lavaggio dei piedi, pieni di vino aromatizzato. Quando suo padre li vide chiamò Foco e gli disse: ‘Non farai smettere al tuo compagno di rovinare la tua vittoria?’ ”.

XII, 526c = SVF III [DB], 53
Nel quindicesimo libro delle sue ‘Storie’, Teopompo afferma che mille uomini di Colofone erano in grado di aggirarsi per la città portando stole tinte di porpora, la quale era allora merce assai rara anche per i re ed era ricercatissima, giacché il suo valore era equivalente al suo peso in argento. Perciò appunto, a causa di un siffatto andazzo finirono nella tirannide e nella guerra civile, e andarono in rovina insieme alla loro patria. Le stesse cose ha raccontato di loro anche Diogene di Babilonia nel primo libro delle sue ‘Leggi’.

DIONISIO DI ERACLEA

VII, 281d =  SVF I, 430 [1]
E cosa bisogna dire a proposito di Dionisio di Eraclea? Senza altre mediazioni, denudatosi della tunica della virtù egli si rivestì di fiori e si rallegrò di essere chiamato il Ritrattatore, sebbene avesse preso le distanze dalle dottrine Stoiche e fosse saltato nel giardino di Epicuro ormai da vecchio. Su di lui non senza grazia Timone diceva:

‘Quando bisognerebbe tramontare, lui comincia ora a darsi ai piaceri;
ma c’è un’ora per amare, un’ora per sposarsi e un’ora per smetterla’.

X, 437e = SVF I, 428
Antigono di Caristo nella sua ‘Vita di Dionisio di Eraclea, soprannominato il Ritrattatore’ racconta che Dionisio, mentre festeggiava insieme ai suoi domestici la festa dei Congi, poiché non riusciva, a causa della vecchiaia, ad avere un rapporto sessuale completo con un’etera che essi avevano invitato, si rivolse ai commensali e disse:

‘Io non ce la faccio a tenderlo, dunque la prenda un altro’.

PERSEO DI CIZIO

IV, 140b = SVF I, 455
I porcellini da latte non si chiamano ‘orthagoriscoi’, come afferma Polemone, bensì ‘orthragoriscoi’ giacché se ne fa commercio all’alba, come raccontano Persèo nella ‘Costituzione di Sparta’, Dioscuride nel secondo libro della ‘Repubblica’ e Aristocle nel primo libro, lui pure, della ‘Costituzione di Sparta’.

IV, 140e = SVF I, 454
Circa i dopopasto, nella ‘Costituzione di Sparta’ Persèo scrive così: “<L’incaricato> sanziona immediatamente le persone facoltose a procurare i dopopasto, dove per ‘dopopasto’ si intendono i dessert serviti a fine pasto. Egli ordina invece alle persone non facoltose di fornire una cannuccia o uno stuoino o delle foglie d’alloro dai quali, dopo il pasto, prendere e mangiare i dopopasto, i quali consistono di farinate spruzzate d’olio d’oliva. Nel suo insieme questa è una piccola norma di pubblica amministrazione, giacché sia chi giace in prima fila o in seconda o chiunque siede sul lettuccio tutti devono fare cose del genere in vista dei dopopasto”. Cose simili le racconta anche Dioscuride.

IV, 162b = SVF I, 452
<Voi avete in ossequio> i ‘Dialoghi Conviviali’ del buon filosofo Persèo, composti con materiale tratto dai ‘Memorabili’ di Stilpone e di Zenone. Affinché i convitati non cadano addormentati, Persèo ricerca in essi come si debbano utilizzare le libagioni, in quale momento debbano essere introdotti nel simposio i ragazzi e le ragazze in fiore, quando si debba accettare che essi mostrino le loro grazie e quando invece li si debba respingere trascurandoli. Egli tratta anche di pietanze, di pani e di altri argomenti, tra i quali tutto quanto il filosofo figlio di Sofronisco ha detto alquanto indiscretamente a proposito dei baci. Pur girando e rigirando nell’intelletto sempre questi argomenti, Persèo, come afferma Ermippo, ebbe in affidamento da Antigono il comando della Rocca di Corinto. Bevuto cionco com’era, egli fu però cacciato via dalla stessa Corinto dalle superiori capacità militari di Arato di Sicione. E pensare che in precedenza proprio Persèo, nei ‘Dialoghi’, aveva fatto a gara con Zenone nel sostenere che il sapiente sarebbe in ogni caso un ottimo generale. Davvero al buon domestico di Zenone è mancato soltanto di confermare ciò con i fatti! Bione di Boristene, dopo avere osservato una sua statua di bronzo recante l’epigrafe: “Persèo di Zenone, di Cizio”, aveva amenamente detto che chi aveva scritto l’epigrafe aveva errato, giacché essa doveva dire così: “Persèo di Zenone, servo”. E Persèo era in realtà un servo nato in casa di Zenone, come raccontano Nicia di Nicea nella sua ‘Storia dei filosofi’ e Sozione di Alessandria nelle sue ‘Successioni’. Abbiamo così incontrato due brani tratti da questo sapiente trattato di Persèo intitolato ‘Dialoghi conviviali’. 

VI, 251b =  SVF I, 342
Timone di Fliunte, nel terzo libro dei ‘Silli’ afferma che Aristone di Chio, discepolo di Zenone di Cizio, divenne un adulatore di Persèo, e che questi era compagno del re Antigono.

XIII, 607a-f = SVF I, 451
Eppure Persèo di Cizio nei suoi ‘Ricordi conviviali’ lo grida, e afferma che bevendo del vino è acconcio ricordare argomenti sessuali giacché, quando beviamo alquanto, noi siamo propensi a questi piaceri. Egli dice che “in tale contesto bisogna lodare coloro che dei piaceri sessuali fanno un uso mansueto ed equilibrato ed invece denigrare coloro che ne fanno un uso belluino ed insaziabile”. Dice anche che “se dei dialettici, convenuti in simposio, si mettessero a discutere di sillogismi, si potrebbe ben concepire che essi facciano qualcosa di estraneo all’occasione del momento”. Inoltre egli dice che “l’uomo virtuoso potrebbe ubriacarsi; e quanti, nel corso dei simposi sono decisi ad essere ultratemperanti, serbano un simile proposito fino ad un certo punto ma poi, una volta che il vinello scorra loro dentro, allora essi sfoggiano tutta la loro indecenza. Il che avvenne recentemente con gli osservatori giunti presso Antigono dall’Arcadia. Infatti tali osservatori, come credevano di dover fare, pasteggiavano tutti accigliati e pieni di decoro, senza volgere lo sguardo nonché verso qualcuno di noi, neppure guardandosi tra di loro. Quando però le bevute andavano ormai avanti ed entrarono in scena, tra gli altri intrattenimenti musicali, proprio le danzatrici Tessale le quali, com’è loro costume, usano danzare nude nei loro perizomi, allora quegli uomini non riuscirono più a trattenersi e slanciandosi dai loro letti gridavano di star assistendo ad uno spettacolo stupefacente, proclamavano beato il re perché può fruire di questi spettacoli e facevano molte altre cose del tutto da carrettieri a queste similari. Quando poi una flautista si mosse verso uno dei filosofi che bevevano con noi e, poiché vi era dello spazio libero accanto a lui voleva sederglisi accanto, egli non lo consentì ma fece con la ragazza la parte del duro. Successivamente, com’è costume che avvenga nei simposi, la flautista fu messa in vendita. Nel comprare, quel filosofo era assai baldanzoso ed entrò in controversia con il venditore, il quale l’aveva assegnata ad un altro troppo in fretta, affermando che la vendita non era avvenuta. Alla fine quel duro filosofo venne addirittura ai pugni, lui che all’inizio neppure aveva consentito alla flautista di sederglisi accanto”. Può darsi che chi giunse al pugilato per la flautista sia lo stesso Persèo. Lo afferma Antigono di Caristo quando nel suo libro ‘Su Zenone’ scrive così: “Quando Persèo, durante un simposio, comprò una flautista ma temeva assai di introdurla in casa perché coabitava con Zenone di Cizio, quest’ultimo, avuta consapevolezza della cosa, trascinò dentro la ragazza e la chiuse in casa con Persèo”.

SFERO DI BORISTENE

IV, 141c = SVF I, 630
Nel terzo libro della ‘Costituzione di Sparta’, Sfero scrive: “I partecipanti alle mense pubbliche comuni vi portano i dopopasto. I più vi portano talora delle cose cacciate da loro stessi; le persone facoltose vi portano però del pane e primizie di stagione dai campi; giusto quanto serve per il banchetto, poiché ritengono che approntarne più del sufficiente sia di troppo e quindi che non è il caso di portarlo”.

VIII, 354e = SVF I, 624
Non è priva di grazia la risposta di Sfero, che fu condiscepolo di Crisippo presso Cleante, il quale, convocato ad Alessandria alla corte del re Tolomeo, una volta che durante il pranzo furono serviti in tavola degli uccelli di cera, mentre stendeva la mano verso di essi fu trattenuto dal re in quanto stava dando il suo assenso ad una falsa rappresentazione. La risposta di Sfero, infatti, colse nel segno, giacché egli disse che stava dando il suo assenso non alla rappresentazione che essi fossero uccelli ma a quella della ragionevolezza che esse fossero uccelli. Vi è infatti differenza tra la rappresentazione catalettica e la rappresentazione della ragionevolezza di qualcosa. La prima, infatti, non è mendace; mentre per la ragionevolezza di qualcosa può succedere altrimenti.

SUGLI STOICI IN GENERALE

III, 103b

‘Lui <Epicuro> soltanto sa qual è il bene, mentre gli Stoici
lo ricercano continuamente senza sapere quale sia. 
Dunque ciò che essi non hanno, ed ignorano pure,
neppure potrebbero darlo a qualcun altro.’

 
III, 104b = SVF III, 709 [1]
Dunque, cari amici, se uno volge lo sguardo a queste cose, loderebbe verosimilmente il buon Crisippo, il quale vede con precisione dall’alto ‘La natura’ di Epicuro ed afferma che madrepatria della sua filosofia è il trattato di gastronomia di Archestrato, questa nobile epopea che tutti i filosofi ghiottoni proclamano essere il loro Teognide. Contro di loro <gli Stoici> anche Teogneto nel suo ‘Lo spettro’    ovvero ‘L’avido di denaro’, dice:
III, 104c = Teogneto comico Fr. 1, III, p. 364 Kock = SVF III, 241

‘Uomo, tu mi manderai in malora. Zeppo come sei 
dei discorsetti di quelli del Portico Dipinto, sei malato: 
“La ricchezza di denaro è per l’uomo una cosa allotria”. Brina! 
“Propria dell’uomo è la sapienza”. Ghiaccio! 
“Nessuno mai dopo averla ottenuta l’ha persa”. Sciagurato me! 
Con che razza di filosofo mi ha messo a coabitare il mio demone?’

IV, 158a-c = SVF III, 709a
È un giudizio stoico che il sapiente farà bene ogni cosa e che condirà con saggezza anche un piatto di lenticchie. Per questo, Timone di Fliunte diceva di un tale “che non ha imparato a lessare saggiamente le lenticchie alla Zenone”, come se le lenticchie non potessero essere lessate in un modo diverso dalla ricetta di Zenone, il quale diceva 

“di aggiungere alle lenticchie un dodicesimo di semi di coriandolo”.

Cratete di Tebe soleva dire che 

“per portare in auge un piatto diverso dalle lenticchie, non gettare tra di noi la sedizione”.

Crisippo, nel libro ‘Sul bello’, introducendo alcune massime dice:

“Non mangiare mai l’oliva quando hai l’ortica.
D’inverno, oh! oh! una zuppa di bulbi e lenticchie.
Quando il freddo agghiaccia, una zuppa di bulbi e lenticchie è pari all’ambrosia”.

IV, 164f
‘A lui <Diodoro di Aspendo> Stratonico mandò un messaggero e gli ingiunse di riferire quanto detto:

‘a quell’accolito di Pitagora, che nel Portico 
ha intorno il pieno di uditori, attirati dalla sua
pazzia ed insolenza d’andar vestito di pelli di belve.’

V, 211a-b
Diogene l’Epicureo, il quale aveva un’adeguata dimestichezza con la dottrina della quale si dichiarava seguace, era nativo di Seleucia di Babilonia; e godeva dei favori del re <Alessandro I Bala Epifane> sebbene quest’ultimo fosse assai più incline alle dottrine degli Stoici.

VI, 233b-c = SVF I, 239
Lo Stoico Zenone appare avere ritenuto indifferenti tutte le altre cose, eccezion fatta per il loro uso legittimo e buono. Egli ha detto di no sia alla scelta e sia alla fuga da tali cose indifferenti, ed ha comunque ingiunto di utilizzare principalmente cose frugali e senza eccessi. In questo modo gli uomini, poiché hanno una disposizione d’animo lontana da paure e da infatuazioni per tutto ciò ch’è indifferente e dunque né bello né brutto, per la maggior parte usano queste cose secondo natura, e s’astengono dalle contrarie per ragionamento e non per paura, giacché non hanno più timore di nulla.

VI, 274e
Tra tante decine di migliaia di uomini, soltanto costoro, ed erano quelli che si attenevano alle dottrine degli Stoici, usavano osservare la legge come sotto giuramento, e non accettavano neppure il minimo regalo; anzi ne facevano essi, e di grandi, ad altre persone o ad amici che vedevano mossi da un sincero impulso ad educarsi filosoficamente. 

VII, 281c-d = SVF I, 341
Pure alcuni degli Stoici s’appigliarono, insieme ad altri, a queste ebbrezze della carne. Infatti Eratostene il Cirenaico, il quale fu discepolo dello Stoico Aristone di Chio, nell’opera intitolata ‘Aristone’ rappresenta palesemente il maestro che successivamente impelle all’effeminatezza, dicendo così: “Già alcune volte ho rintracciato anche costui mentre perforava il muro divisorio tra le ebbrezze della carne e la virtù, per poi comparire dalla parte delle ebbrezze della carne”.

XIII, 563e = SVF I, 247
<Voi siete dei corruttori di ragazzi, in questo soltanto> emuli del vostro fondamento di sapienza, Zenone il Fenicio; il quale non se la fece mai con una donna ma sempre con dei ragazzi, come Antigono di Caristo ha investigato nel suo libro sulla vita di Zenone. Voi infatti blaterate che “bisogna amare non i corpi ma l’animo”, proprio voi che andate dicendo che si devono praticare gli amati fino all’età di ventotto anni.

XIII, 565a-f = SVF III [App. II] XXVIII, 2
Come afferma il vostro Crisippo nel quarto dei suoi libri ‘Sul bello e sul piacere fisico’, la pratica di radersi la barba è stata escogitata ai tempi di Alessandro. Sono persuaso di non essere intempestivo nel ricordarne le parole, giacché io molto mi rallegro di quell’uomo per la sua vasta cultura ed il carattere acquiescente. Il filosofo dice dunque così: “La pratica di radersi la barba è stata promossa ai tempi di Alessandro, anche se i primi cittadini non la seguivano. Il flautista Timoteo, infatti, suonava avendo una folta barba, e in Atene serbano a dovere il non antichissimo ricordo che il primo a tagliarsi la barba ebbe il soprannome di ‘Tosato’ ”.
Perciò anche Alessi da qualche parte diceva:

‘Se vedi qualcuno depilato con la pece o rasato,
ebbene deve trovarsi in una o l’altra di queste due condizioni:
a me pare, infatti, che o divisi una campagna militare
nella quale compiere tutte cose opposte alla sua barba;
oppure costui è incolto in qualche vizio da ricchi.
Ma per gli dei, perché mai ci affliggono i peli,
se è grazie ad essi che ciascuno di noi appare essere uomo;
a meno che tu non intenda sotto sotto effettuare qualcosa di contrario ad essi’.

“Quando Diogene vide un tale col mento rasato, gli disse: ‘Hai forse qualche motivo per incolpare la natura d’averti fatto uomo e non donna?’. Quando poi vide in sella ad un cavallo un altro individuo similarmente rasato, tutto profumato e con indosso abiti confacenti a questo stato, gli disse che da tempo ricercava che animale fosse l’ippoporno, e che adesso l’aveva trovato. A Rodi c’è una legge che vieta di radersi, ma non c’è una sola persona che la prenda in parola giacché tutti si radono. A Bisanzio poi, pur se è comminata una multa al barbiere che possiede un rasoio, nondimeno tutti ne fanno uso”. Queste sono le cose che ha detto l’ammirevole Crisippo.

ZENONE DI CIZIO

II, 55f = SVF I, 285
Perciò Zenone di Cizio, pur essendo burbero e rancoroso con i conoscenti, soprattutto quando trincava del vino diventava piacevole e blando. A coloro che cercavano di sapere il perché della sua differenza di modi, Zenone diceva di sperimentare quello che sperimentano i lupini. Anch’essi, infatti, sono amarissimi prima di essere ammolliti in acqua e invece, dopo essere stati abbeverati, diventano dolci e gradevolissimi.

IV, 158a-b = SVF III, 709a 
È un giudizio stoico che il sapiente farà bene ogni cosa e che condirà con saggezza anche un piatto di lenticchie. Per questo, Timone di Fliunte diceva di un tale “che non ha imparato a lessare saggiamente le lenticchie alla Zenone”, come se le lenticchie non potessero essere lessate in un modo diverso dalla ricetta di Zenone, il quale diceva 

“di aggiungere alle lenticchie un dodicesimo di semi di coriandolo”.

Cratete di Tebe soleva dire che 

“per portare in auge un piatto diverso dalle lenticchie, non gettare tra di noi la sedizione”.

Crisippo, nel libro ‘Sul bello’, introducendo alcune massime dice:

“Non mangiare mai l’oliva quando hai l’ortica.
D’inverno, oh! oh! una zuppa di bulbi e lenticchie.
Quando il freddo agghiaccia, una zuppa di bulbi e lenticchie è pari all’ambrosia”.

IV, 160e-f = SVF I, 18 

‘Dopo avere ascoltato filosofeggiare e filologheggiare,
e che voi scegliete solertemente di mostrare fortezza,
prenderò da voi la prova di tali principi,
in primo luogo affumicandovi. E se poi vedrò
che qualcuno di voi mentre arrostisce contrae la gamba,
costui sarà venduto per l’esportazione 
ad un padrone Zenoniano, poiché ignora la saggezza’.

IV, 162b-e = SVF I, 452 
<A voi piacciono> i ‘Dialoghi Conviviali’ del buon filosofo Persèo, composti con materiale tratto dai ‘Memorabili’ di Stilpone e di Zenone. Affinché i convitati non cadano addormentati, Persèo ricerca in essi come si debbano utilizzare le libagioni, in quale momento debbano essere introdotti nel simposio i ragazzi e le ragazze in fiore, quando si debba accettare che essi mostrino le loro grazie e quando invece li si debba respingere trascurandoli. Egli tratta anche di pietanze, di pani e di altri argomenti, tra i quali tutto quanto il filosofo figlio di Sofronisco ha detto alquanto indiscretamente a proposito dei baci. Pur girando e rigirando nell’intelletto sempre questi argomenti, Persèo, come afferma Ermippo, ebbe in affidamento da Antigono il comando della Rocca di Corinto. Bevuto cionco com’era, egli fu però cacciato via dalla stessa Corinto dalle superiori capacità militari di Arato di Sicione. E pensare che in precedenza proprio Persèo, nei ‘Dialoghi’, aveva fatto a gara con Zenone nel sostenere che il sapiente sarebbe in ogni caso un ottimo generale. Davvero al buon domestico di Zenone è mancato soltanto di confermare ciò con i fatti! Bione di Boristene, dopo avere osservato una sua statua di bronzo recante l’epigrafe: “Persèo di Zenone, di Cizio”, aveva amenamente detto che chi aveva scritto l’epigrafe aveva errato, giacché essa doveva dire così: “Persèo di Zenone, servo”. E Persèo era in realtà un servo nato in casa di Zenone, come raccontano Nicia di Nicea nella sua ‘Storia dei filosofi’ e Sozione di Alessandria nelle sue ‘Successioni’. Abbiamo così incontrato due brani tratti da questo sapiente trattato di Persèo intitolato ‘Dialoghi conviviali’.

V, 186d = SVF I, 291
Non appena fu servito in tavola un pesce, immediatamente uno degli ingordi mangioni presenti ne rase via la parte superiore. Allora Zenone rigirò il pesce e fece anche lui la stessa cosa soggiungendo:

‘e Ino finì il lavoro dall’altra parte’.

VI, 233b-c =  SVF I, 239
Lo Stoico Zenone appare avere ritenuto indifferenti tutte le altre cose, eccezion fatta per il loro uso legittimo e buono. Egli ha detto di no sia alla scelta e sia alla fuga da tali cose indifferenti, ed ha comunque ingiunto di utilizzare principalmente cose frugali e senza eccessi. In questo modo gli uomini, poiché hanno una disposizione d’animo lontana da paure e da infatuazioni per tutto ciò ch’è indifferente e dunque né bello né brutto, per la maggior parte usano queste cose secondo natura, e s’astengono dalle contrarie per ragionamento e non per paura, giacché non hanno più timore di nulla.

VI, 251b = SVF I, 342
Timone di Fliunte, nel terzo libro dei ‘Silli’ afferma che Aristone di Chio, discepolo di Zenone di Cizio, divenne un adulatore di Persèo, e che questi era compagno del re Antigono.

VIII, 345c-d =  SVF I, 290
Secondo quanto racconta Antigono di Caristo nella sua ‘Vita di Zenone’, questo fu il comportamento di Zenone di Cizio, il costruttore della scuola Stoica, nei confronti dell’ingordo mangione con il quale conviveva da parecchio tempo. Accadde per caso che, senza che fosse preparato altro, fosse servito in tavola un grosso pesce e che Zenone, presolo tutto intero dal piatto di portata, si mettesse a divorarlo tal quale era. Al mangione che gli lanciava terribili sguardi, Zenone allora disse: “Cosa credi dunque che sperimentino i tuoi conviventi, se tu non sei capace di sopportare per un giorno solo la mia ingordigia?”.

IX, 370c = SVF I, 32a [1]
Non è un paradosso se alcuni giuravano ‘per il cavolo’, dal momento che Zenone di Cizio, il fondatore della Stoa, imitando il giuramento di Socrate ‘per il cane’ giurava lui stesso ‘per il cappero’, come afferma Empedo nei ‘Detti memorabili’.

XIII, 561c = SVF I, 263 [1]
Ponziano diceva che Zenone di Cizio concepiva Eros come il dio dell’amicizia e della libertà, ed inoltre come apprestatore di concordia e di null’altro. Perciò nella sua ‘Repubblica’ Zenone affermava: “Eros è un dio che esiste per cooperare alla salvezza della città”.

XIII, 563e = SVF I, 247
<Voi siete dei corruttori di ragazzi, in questo soltanto> emuli del vostro fondamento di sapienza, Zenone il Fenicio; il quale non se la fece mai con una donna ma sempre con dei ragazzi, come Antigono di Caristo ha investigato nel suo libro sulla vita di Zenone. Voi infatti blaterate che “bisogna amare non i corpi ma l’animo”, proprio voi che andate dicendo che si devono praticare gli amati fino all’età di ventotto anni.

XIII, 565d = SVF I, 242 
Il celebre sapiente Zenone, come lo chiama Antigono di Caristo, presagendo da indovino, com’è verisimile, le vostre vite e il mestiere che vi arrogate, diceva che coloro i quali fraintendono i suoi discorsi e non li capiscono bene, saranno individui sozzi e non liberi. Proprio come i traviati della scuola di Aristippo saranno individui dissoluti e sfrontati.

XIII, 603d =  SVF I, 23
Il citaredo Aristocle era l’amato del re Antigono e su di lui Antigono di Caristo, nel libro sulla ‘Vita di Zenone’, scrive così: “Il re Antigono soleva sopraggiungere a far baldoria con Zenone e una volta, di giorno, venendo da un certo simposio, fece un salto su da Zenone e lo persuase ad andare con lui a fare baldoria dal citaredo Aristocle, di cui il re era amantissimo”.

XIII, 607a-f = SVF I, 451
Eppure Persèo di Cizio nei suoi ‘Ricordi conviviali’ lo grida, e afferma che bevendo del vino è acconcio ricordare argomenti sessuali giacché, quando beviamo alquanto, noi siamo propensi a questi piaceri. Egli dice che “in tale contesto bisogna lodare coloro che dei piaceri sessuali fanno un uso mansueto ed equilibrato ed invece denigrare coloro che ne fanno un uso belluino ed insaziabile”. Dice anche che “se dei dialettici, convenuti in simposio, si mettessero a discutere di sillogismi, si potrebbe ben concepire che essi facciano qualcosa di estraneo all’occasione del momento”. Inoltre egli dice che “l’uomo virtuoso potrebbe ubriacarsi; e quanti, nel corso dei simposi sono decisi ad essere ultratemperanti, serbano un simile proposito fino ad un certo punto ma poi, una volta che il vinello scorra loro dentro, allora essi sfoggiano tutta la loro indecenza. Il che avvenne recentemente con gli osservatori giunti presso Antigono dall’Arcadia. Infatti tali osservatori, come credevano di dover fare, pasteggiavano tutti accigliati e pieni di decoro, senza volgere lo sguardo nonché verso qualcuno di noi, neppure guardandosi tra di loro. Quando però le bevute andavano ormai avanti ed entrarono in scena, tra gli altri intrattenimenti musicali, proprio le danzatrici Tessale le quali, com’è loro costume, usano danzare nude nei loro perizomi, allora quegli uomini non riuscirono più a trattenersi e slanciandosi dai loro letti gridavano di star assistendo ad uno spettacolo stupefacente, proclamavano beato il re perché può fruire di questi spettacoli e facevano molte altre cose del tutto da carrettieri a queste similari. Quando poi una flautista si mosse verso uno dei filosofi che bevevano con noi e, poiché vi era dello spazio libero accanto a lui voleva sederglisi accanto, egli non lo consentì ma fece con la ragazza la parte del duro. Successivamente, com’è costume che avvenga nei simposi, la flautista fu messa in vendita. Nel comprare, quel filosofo era assai baldanzoso ed entrò in controversia con il venditore, il quale l’aveva assegnata ad un altro troppo in fretta, affermando che la vendita non era avvenuta. Alla fine quel duro filosofo venne addirittura ai pugni, lui che all’inizio neppure aveva consentito alla flautista di sederglisi accanto”. Può darsi che chi giunse al pugilato per la flautista sia lo stesso Persèo. Lo afferma Antigono di Caristo quando nel suo libro ‘Su Zenone’ scrive così: “Quando Persèo, durante un simposio, comprò una flautista ma temeva assai di introdurla in casa perché coabitava con Zenone di Cizio, quest’ultimo, avuta consapevolezza della cosa, trascinò dentro la ragazza e la chiuse in casa con Persèo”.